Istanza per la trattazione della causa in pubblica udienza (art. 87)InquadramentoIl principio alla base del processo amministrativo è quello di pubblicità delle udienze, a pena di nullità, salvo i casi stabiliti di procedimenti in camera di consiglio (assistito da termini abbreviati per esigenze di celerità). Tuttavia, anche in tali casi, può essere disposta dal Presidente la trattazione in pubblica udienza (che, ai sensi dell'art. 87, comma 4, non comporta in ogni caso nullità della decisione). Formula[da inserire nel verbale d'udienza] ISTANZA DI TRATTAZIONE IN PUBBLICA UDIENZA [1] RICORSO R.G. N. ... VERBALE DI UDIENZA Alla camera di consiglio del [_], in relazione al ricorso R.G. n. ..., chiamato alle ore ... e per il quale il Collegio giudicante è composto dai seguenti magistrati: ... . Sono presenti per le parti ... [ ... ]. L'Avv. ..., che rappresenta e difende ..., giusta procura speciale agli atti, a fronte della circostanza [indicare la circostanza che rende necessario disporre la trattazione alla pubblica udienza], chiede che il ricorso sia trattato in pubblica udienza, con rinvio alla data [che il collegio riterrà di fissare]/[stabilita, in particolare al ... ]. [ ... ] 1. L'istanza può essere contenuta in una memoria difensiva, ovvero anche in un atto autonomamente depositato presso la segreteria del presidente del tribunale adito. CommentoIl principio di pubblicità, in quanto espressione di civiltà giuridica, è presente non soltanto nell'ordinamento italiano, ma anche in convenzioni internazionali, quali la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (art. 6) e ratificata con 1.4 agosto 1955 n. 848, (e così anche il Nuovo ordin. proc. della Corte europea dei diritti dell'uomo, art. 18), il Patto internazionale di New York relativo ai diritti civili e politici, adottato il 16 dicembre 1966 e ratificato con 1.25 ottobre 1977 n. 881 (art. 14), i Protocolli sullo Statuto della Corte di giustizia, annessi ai trattati Ceca, Cee ed Euratom (rispettivamente artt. 28 e 29). Il suo mancato rispetto comporta la nullità della decisione adottata in esito al procedimento (secondo un indirizzo la nullità colpirebbe soltanto la mancata apertura al pubblico delle udienze e non anche il mancato svolgimento in udienza pubblica di un giudizio trattato con il rito camerale in assenza di deduzione di uno specifico pregiudizio al diritto di difesa derivante dalla omessa conversione del rito; Cons. St. IV, n. 2416/2014). Al contrario, la trattazione della causa in pubblica udienza, anziché in camera di consiglio, non può mai costituire motivo di nullità della decisione. Tale disposizione lascia invero uno spazio interpretativo, laddove sembra consentire, su richiesta delle parti o di una parte, la fissazione dell'udienza pubblica in luogo della camera di consiglio. La facoltà era espressamente prevista dalla precedente norma di cui al l'art. 27 l. T.A.R., che prevedeva che in caso di richiesta di una delle parti il presidente ordinava la trattazione del ricorso in udienza pubblica. Anche se tale disposizione non è stata riprodotta – e quindi la semplice richiesta non comporta un obbligo per il giudice di disporre la trattazione pubblica – pare comunque ammissibile una richiesta di parte in tal senso (depone per tale interpretazione anche l'assenza di sanzione). Posto che i presidi di celerità che assistono la trattazione in camera di consiglio coinvolgono le parti del procedimento, la richiesta, che può essere formulata dal solo ricorrente, sarà maggiormente incisiva nella misura in cui le altre parti vi aderiscano (o quantomeno non si oppongano). In giurisprudenza, è stato ritenuto che, sebbene le cause d'appello avverso le sentenze declinatorie della giurisdizione seguano il rito della camera di consiglio (art. 105, comma 2), l'adozione del rito ordinario comporta un surplus di tutela e non incide in senso invalidante sul rapporto processuale (v. art. 87, comma 4), con conseguente rituale passaggio in decisione della causa alla pubblica udienza (Cons. St. VI, n. 6144/2014). In senso contrario, è stato affermato che la disciplina del procedimento seguita in primo grado non vincola anche quella del grado d'appello e, di conseguenza, nel giudizio d'appello proposto contro la sentenza di primo grado declinatoria della giurisdizione, si applica, ai sensi dell'art. 105 comma 2, il procedimento in camera di consiglio previsto dal precedente art. 87 comma 3, a norma del quale, tra l'altro, tutti i termini (tranne, nei giudizi di primo grado, quelli per la notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti), inclusi quelli per proporre appello, sono dimezzati, con conseguente irricevibilità dell'appello depositato oltre i 15 giorni (Cons. St. V, n. 3262/2016; Cons. St. III, n. 3379/2015). Domande soggette a riti diversi Nel processo amministrativo qualora vengano proposte in giudizio domande soggette a riti diversi (nell'ambito del rito del silenzio ai fini dell'esecuzione, ma anche rivolte a differenti e più complesse questioni di merito), ai sensi dell'art. 32 deve applicarsi il procedimento previsto dal rito ordinario e non può seguirsi il rito speciale in camera di consiglio in quanto l'art. 87, comma 1, impone, a pena di nullità, la trattazione del processo in udienza pubblica. Ciò salvo che una delle domande sia soggetta al rito abbreviato ex art. 119 e art. 120, che in tale ipotesi deve intendersi prevalente ed estendersi alle altre (Cons. St. V, n. 1058/2012; T.A.R. Sicilia (Catania) III, 22 dicembre 2016 n. 3346; T.A.R. Lazio (Roma) II, 2 febbraio 2012 n. 1138; T.A.R. Lazio (Roma) II, 16 maggio 2011 n. 4216). In caso di proposizione cumulativa e collettiva di domande soggette a riti diversi, si pone per il giudice una questione di conversione del rito, da risolvere ai sensi dell'art. 32. Al riguardo, l'eventuale violazione della disciplina del rito applicabile potrebbe assurgere a rilievo solo in caso di una conseguente lesione effettiva delle garanzie difensive causalmente incidente sull'esito del giudizio (Cons. St. VI, n. 5014/2013). |