Ricorso di ottemperanza (art. 112)

Roberto Chieppa

Inquadramento

Il principio costituzionale dell'effettività della tutela giurisdizionale richiede che la sentenza emanata nei confronti della parte soccombente venga portata ad esecuzione anche senza la cooperazione di quest'ultima e il giudizio di ottemperanza serve proprio a dare esecuzione alle sentenze pronunciate nei confronti della p.a., ove questa non provveda direttamente.

Il giudizio di ottemperanza ha costituito fino ad oggi uno degli strumenti più efficaci del processo amministrativo.

L'ottemperanza costituisce uno strumento di coazione diretta, che consente al giudice amministrativo di dare attuazione al giudicato, anche sostituendosi all'amministrazione; in altri ordinamenti, la fase esecutiva delle pronunce del giudice nei confronti della p.a. è rimessa unicamente a strumenti di coazione indiretta, quali ad esempio il pagamento di sanzioni, ma manca uno strumento, che consente al giudice di sostituirsi all'amministrazione con l'esercizio di poteri anche di merito.

Il rilievo che ha assunto il giudizio di ottemperanza contrastava però con la scarna, datata e spesso lacunosa normativa in passato vigente, che si era formata a partire dal regolamento del 1907, passando poi per il TU del consiglio di Stato del 1924 e la l. T.A.R. del 1971.

L'art. 27 del TU del Consiglio di Stato si occupava della sola ottemperanza alle sentenze del giudice ordinario, mentre lo strumento è stato poi esteso alle sentenze dello stesso giudice amministrativo.

L'intervento riformatore del Codice del processo amministrativo ha, quindi, costituito l'occasione per una risistemazione di norme datate e lacunose, che tuttavia erano state fino ad oggi utilizzate in modo particolarmente efficace da parte della giurisprudenza.

Il Titolo I del Libro IV (artt. 112-115 c.p.a.) è stato così dedicato al giudizio di ottemperanza, la cui disciplina è stata elaborata alla luce delle vigenti disposizioni nonché dell'elaborazione giurisprudenziale.

Va rimarcato come il Libro IV sia intitolato «Ottemperanza e riti speciali» a conferma dell'autonomia del giudizio di ottemperanza rispetto ai riti cognitori di carattere speciale.

In sostanza, l'inserimento nel Libro IV è stato determinato dalla specialità delle regole processuali del processo esecutivo rispetto al processo di cognizione, senza però procedere ad una assimilazione di tale processo ai riti speciali e senza alcuna introduzione di una disciplina comune di tali riti.

Formula

TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE .... [1]

RICORSO PER L'OTTEMPERANZA [2]

Nell'interesse di

- [PERSONA FISICA] [3], nato/a a .... il .... (C.F. ....), residente in ...., via/piazza .... n. ...., elettivamente domiciliato/a in ...., via/piazza ...., n. ...., presso lo studio dell'Avv. [4]...., C.F. .... [5], PEC: .... [6], fax .... [7], che lo/la rappresenta e difende in forza di procura speciale alle liti .... [8].

- [PERSONA GIURIDICA] [9], con sede legale in ...., via/piazza ...., n. ...., iscritta nel registro delle imprese di ...., n. ...., P.I. ...., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato/a in ...., via/piazza ...., n. ...., presso lo studio dell'Avv. [10]...., C.F. .... [11], PEC: .... [12], fax .... [13], che la rappresenta e difende in forza di procura speciale alle liti .... [14].

[Per tutte le future comunicazioni e notifiche di cancelleria si indicano l'indirizzo di posta elettronica certificata .... ed il numero di fax ....] [15].

- ricorrente -

CONTRO

- [Amministrazione/Ente/Autorità] [16], in persona del legale rappresentante pro tempore, [per legge rappresentata e difesa dall'Avvocatura generale/distrettuale dello Stato] [17],

- resistente -

E NEI CONFRONTI DI

- Sig./ Sig.ra .... residente in ...., via/piazza .... n. ....

- controinteressato -

PER L'OTTEMPERANZA

in relazione al giudicato formatosi sulla sentenza del .... n. .... del .... [18]

FATTO

In data .... è passata in giudicato la sentenza del .... n. .... pubblicata in data .....

Con la predetta sentenza è stato definitivamente accolto il ricorso del sottoscritto avente ad oggetto .....

In particolare, dalla sentenza sorge l'obbligo per l'amministrazione qui intimata di conformarsi al giudicato.

Essendo fino ad oggi l'amministrazione qui intimata restata inerte o avendo adottato atti violativi o elusivi del giudicato (specificare se è stata proposta previa diffida, che non è comunque obbligatoria e se l'amministrazione ha adottato atti in violazione o elusione del giudicato), si agisce in questa sede per l'ottemperanza della menzionata sentenza.

DIRITTO

Alcun dubbio sussiste sul passaggio in giudicato della sentenza di cui si chiede l'esecuzione che è avvenuto in data .... a seguito del .....

L'obbligo conformativo che grava sull'amministrazione consiste in:

a) (Specificare il contenuto dell'obbligo conformativo)

L'inadempimento della p.a. intimata è dimostrato dalla sua totale inerzia nel dare esecuzione alla sentenza / (alternativo) dall'aver adottato i seguenti atti palesemente posti in violazione o elusione del giudicato e da considerare, quindi, nulli e come tali tamquam non essent (indicare il contenuto degli atti e spiegare).

Si chiede, pertanto, che venga ordinato all'amministrazione di dare esecuzione al giudicato entro il termine di quindici giorni, nominando fin da ora un commissario ad acta che intervenga in sostituzione dell'amministrazione alla scadenza del predetto termine.

(eventuale) Si chiede inoltre la condanna dell'amministrazione al pagamento di rivalutazione monetaria e interessi maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza di cui si chiede l'ottemperanza, da quantificare nella somma di Euro ....

DOMANDA DI RISARCIMENTO DEL DANNO (EVENTUALE)

[V. formula “ricorso di ottemperanza con domanda di risarcimento”]

RICHIESTA DI UNA SOMMA DOVUTA PER VIOLAZIONE, INOSSERVANZA O RITARDO NELL'ESECUZIONE DEL GIUDICATO (EVENTUALE)

[V. formula “istanza per fissazione della somma dovuta per violazione, inosservanza o ritardo nell'esecuzione del giudicato (astreintes)”]

[Indicare eventuali istanze istruttorie]

L'amministrazione dovrà altresì essere condannata al pagamento delle spese di giudizio, in relazione alle quali appare evidente la sussistenza di un danno erariale da segnalare alla competente Procura della Corte dei Conti, cui si chiede di inviare la sentenza con cui è deciso il presente ricorso (se proposta azione di risarcimento o domanda per il pagamento di una somma di denaro ai sensi dell'art. 114, comma 4, lett. e), c.p.a., integrare la richiesta con riferimento anche a tali somme).

Si chiede che il difensore sia sentito in camera di consiglio.

P.Q.M.

Si chiede al Tribunale adito, respinta ogni contraria istanza, di accogliere il ricorso di ottemperanza e, per l'effetto, di ordinare all'amministrazione intimata di dare esecuzione alla sentenza indicata in epigrafe entro il termine di giorni 15, nominando fin da ora un commissario ad acta che intervenga in sostituzione dell'amministrazione alla scadenza del predetto termine.

Si chiede che la sentenza sia trasmessa alla competente Procura presso la Corte dei Conti.

Con riserva di dedurre ulteriormente nel corso di causa.

Con vittoria di spese e onorari.

Si producono i seguenti documenti:

1) [copia della sentenza di cui si chiede l'esecuzione]

2) [certificazione del passaggio in giudicato della sentenza]

3) [atto di diffida e messa in mora] (eventuale)

4) [ ....] [19]

Ai sensi dell'art. 13, comma 6-bis, d.P.R. n. 115/2002 («Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia»), si dichiara che il contributo unificato è dovuto per un importo pari a Euro ...., trattandosi di ricorso di ottemperanza [rinvio a Formula “Dichiarazione ai fini del contributo unificato”]

Luogo e data ....

Firma Avv. [20]....

PROCURA

[V. formula “Procura speciale alle liti rilasciata a singolo avvocato” e formule correlate]

ISTANZA ABBREVIAZIONE DEI TERMINI (EVENTUALE)

[V. formula “Istanza abbreviazione dei termini”]

RELATA DI NOTIFICA

[V. formula “Relata di notifica a persona fisica” e formule correlate]

DEPOSITO INFORMATICO

Ai sensi e per gli effetti dell'art. 136, comma 2, c.p.a., il presente atto è depositato con modalità telematiche [21].

[1]Il ricorso si deve proporre dinnanzi al T.A.R. che ha emesso la sentenza da ottemperare. Per le sentenze di altre giurisdizioni e per i lodi arbitrali la competenza spetta al T.A.R. nella cui circoscrizione ha sede il giudice che ha emesso la sentenza di cui è chiesta l'ottemperanza. La competenza è del tribunale amministrativo regionale anche per i suoi provvedimenti confermati in appello con motivazione che abbia lo stesso contenuto dispositivo e conformativo dei provvedimenti di primo grado. La giurisprudenza riconosce, infatti, la competenza funzionale in unico grado del Consiglio di Stato, quale giudice dell'esecuzione del giudicato, ogniqualvolta l'amministrazione si deve adeguare a statuizioni rese per la prima volta in appello, anche se la sentenza di primo grado è stata confermata con integrazione e modifiche della motivazione, e cioè qualora dalla motivazione della decisione di secondo grado emergesse un autonomo contenuto precettivo, quanto al contenuto e alle modalità dell'ottemperanza.

[2]Il contenuto del ricorso è disciplinato dall'art. 40 c.p.a. Va rammentato che, ai sensi dell'art. 44 c.p.a., lo stesso deve recare, a pena di nullità, la sottoscrizione del ricorrente (se sta in giudizio personalmente) o del difensore (con indicazione, in questo caso, della procura speciale). Il ricorso è un atto di parte e, pertanto, debbono essere rispettati i limiti dimensionali e le specifiche tecniche stabiliti con il d.P.C.S. n. 167/2016.

[3]In tutti gli atti introduttivi di un giudizio e in tutti gli atti di prima difesa devono essere indicati le generalità complete della parte, la residenza o sede, il domicilio eletto presso il difensore ed il codice fiscale, oltre che della parte, anche dei rappresentanti in giudizio (art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2011, conv., con modif., in l. n. 111/2011).

[4]In caso di procura rilasciata a più difensori, si dovrà indicare per ciascuno di essi i dati indicati (C.F., fax, etc.).

[5]L'indicazione del codice fiscale dell'avvocato è prevista, oltre che dall'art. 23, comma 50, d.l. n. 98/2011 conv. con modif. nella l. n. 111/2011, dall'art. 125, comma 1, c.p.c., come modificato dall'art. 4, comma 8, d.l. n. 193/2009 conv. con modif. nella l. n. 24/2010. Con riferimento specifico al processo amministrativo, sebbene l'art. 40 c.p.a., lett. a), faccia riferimento generico agli “elementi identificativi” del ricorrente, del suo difensore e delle parti, tale indicazione è imposta dall'art. 13, comma 6-bis, d.P.R. n. 115/2002. Per i ricorsi incardinati dopo l'avvio del PAT, l'indicazione del codice fiscale del difensore e della parte, oltre che dell'indirizzo PEC e Fax, è comunque richiesta anche nella compilazione dei campi del modulo per il deposito telematico.

[6]Ai sensi dell'art. 136 c.p.a. “I difensori indicano nel ricorso o nel primo atto difensivo un recapito di fax, che può essere anche diverso da quello del domiciliatario. La comunicazione a mezzo fax è eseguita esclusivamente qualora sia impossibile effettuare la comunicazione all'indirizzo di posta elettronica certificata risultante da pubblici elenchi, per mancato funzionamento del sistema informatico della giustizia amministrativa. È onere dei difensori comunicare alla segreteria e alle parti costituite ogni variazione del recapito di fax o di indirizzo di posta elettronica certificata. Ai fini dell'efficacia delle comunicazioni di segreteria è sufficiente che vada a buon fine una sola delle comunicazioni effettuate a ciascun avvocato componente il collegio difensivo”.

[7]L'indicazione del numero di fax dell'avvocato è prevista dall'art. 136, comma 1, c.p.a., e dall'art. 13, comma 6-bis, d.P.R. n. 115/2002. Ai sensi di quest'ultima norma, gli importi dovuti a titolo di contributo unificato “sono aumentati della metà ove il difensore non indichi il proprio indirizzo di posta elettronica certificata e il proprio recapito fax, ai sensi dell'art. 136 [c.p.a.]”.

[8]La procura, ove necessaria, può essere apposta in calce o a margine dell'atto di appello o, comunque, nelle forme stabilite dall'art. 83 c.p.c. Per i ricorsi depositati successivamente al 1° gennaio 2017, ai quali si applica il Processo Amministrativo Telematico (‘PAT'), il difensore procede al deposito della copia per immagine della procura conferita su supporto cartaceo e ne attesta la conformità all'originale, ai sensi dell'articolo 22 del d.lgs. n. 82/2005 (“Codice dell'Amministrazione Digitale”; CAD), mediante sottoscrizione con firma digitale (cfr. art. 8, comma 2, delle Regole tecnico-operative del PAT, all.to 1 al d.P.C.S. 28 luglio 2021). V. Formula “Attestazione di conformità ai fini del deposito della copia per immagine della procura rilasciata su supporto analogico”.

[9]In caso di proposizione del ricorso nell'interesse di una persona giuridica, si dovrà indicare la denominazione della società, la sede legale, l'eventuale iscrizione al registro delle imprese, la partita IVA, il codice fiscale, con l'indicazione del rappresentante legale per mezzo del quale la società sta in giudizio.

[10]V. nt. 4.

[11]V. nt. 5.

[12]V. nt. 6.

[13]V. nt. 7.

[14]V. nt. 8.

[15]In caso di pluralità di difensori, può essere utile indicare l'indirizzo (di fax e/o PEC) al quale si desidera ricevere le comunicazioni inerenti il procedimento.

[16]A titolo esemplificativo, nel caso di Ministero, il ricorso sarà proposto contro il Ministero “in persona del Ministro in carica”; in caso di Comune, “in persona del Sindaco in carica”, in caso di un'autorità indipendente o altro ente pubblico o concessionario di pubblici servizi, “in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore”.

[17]In caso di amministrazioni statali, si applicano le norme vigenti per la difesa in giudizio delle stesse, che prevedono il patrocinio da parte dell'Avvocatura dello Stato territorialmente competente (quella nel cui distretto ha sede il T.A.R. adito; v. artt. 1, l. n. 260/1958 e 10, comma 3, l. n. 103/1979). Le funzioni dell'Avvocatura dello Stato nei riguardi dell'amministrazione statale sono estese alle regioni a statuto ordinario che decidano di avvalersene con deliberazione del consiglio regionale da pubblicarsi per estratto nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica e nel Bollettino ufficiale della regione (art. 10, comma 1, l. n. 103/1979).

[18]In caso di azione di ottemperanza proposta in relazione ad una decisione resa su un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica vanno inseriti gli estremi di tale decisione. Per il lodo arbitrale vedi la formula “Ricorso per ottemperanza per lodo arbitrale ex art. 112 lett. e).”

[19]Copia di eventuale altra documentazione utile alla comprensione del contesto fattuale e/o alle ragioni del ricorso. V. anche Formula [“Attestazione di conformità ai fini del deposito di copia informatica di atto, provvedimento o documento originale analogico”].

[20]Per i ricorsi depositati in giudizio dopo la data del 1° gennaio 2017 e, quindi, soggetti alla normativa sul processo amministrativo telematico (PAT), l'atto di parte sottoscritto dal difensore, deve essere redatto in forma di pdf nativo digitale sottoscritto con firma PAdES e depositata in giudizio con le modalità telematiche previste dall'art. 6 delle Specifiche tecniche del PAT di cui all'all.to 2 del d.P.C.S. 28 luglio 2021 (attraverso il modulo denominato “Modulo Deposito Ricorso”).

[21]Ai sensi dell'art. 13, comma 1-ter, dell'allegato 2 al c.p.a., introdotto dall'art. 7, del d.l. n. 168/2016, il Processo amministrativo telematico si applica ai giudizi introdotti con i ricorsi depositati, in primo o in secondo grado, a far data dal 1° gennaio 2017. Ai ricorsi depositati anteriormente a tale data, continuano ad applicarsi, fino all'esaurimento del grado di giudizio nel quale sono pendenti alla data stessa e comunque non oltre il 1° gennaio 2018, le norme previgenti. Ai fini del deposito telematico, il ricorrente dovrà utilizzare gli appositi moduli presenti sul sito della Giustizia Amministrativa. È stato definitivamente abrogato (cfr. art. 4 d.l. n. 28/2020) l'obbligo di depositare una copia cartacea conforme all'originale telematico del ricorso e degli scritti difensivi.

Commento

La formula in commento è quella tipo per il ricorso di ottemperanza e il suo contenuto va completato a seconda della tipo di sentenza o decisione per la quale è chiesta l'ottemperanza; per alcune tipologie particolari di ottemperanza o di cumulo della domanda di ottemperanza con altre domande (come ad esempio quella di risarcimento) si rinvia alle formule correlate.

Nella formula è inserita la richiesta di nomina di un commissario ad acta, che può tuttavia essere oggetto di una istanza specifica (v. formula “Istanza di nomina del commissario ad acta nel giudizio di ottemperanza”).

Si consiglia di inserire sempre tale richiesta, utilizzando la appena citata formula nei casi in cui il giudice non nomini subito il commissario ad acta e si riservi di farlo, su istanza di parte, in caso di perdurante inottemperanza alla scadenza del termine assegnato all'amministrazione.

Altra valutazione da fare per completare è l'inserimento della richiesta di pagamento di una somma per violazione, inosservanza o ritardo nell'esecuzione del giudicato, le c.d. astreintes ex art. 114, comma 3, lett. e), c.p.a. la cui efficacia è evidente perché da un lato viene monetizzato il ritardo e dall'altro lato si ottiene un forte disincentivo per l'amministrazione nel proseguire l'inottemperanza.

La trattazione del ricorso in ottemperanza in camera di consiglio consente una definizione generalmente celere del giudizio; non si può tuttavia escludere che si renda necessario proporre una istanza cautelare, per la quale si rinvia alla formula “Ricorso con contestuale istanza cautelare”.

Nella formula è inserita anche la richiesta di trasmissione della sentenza che decide(rà) il ricorso alla competente Procura della Corte dei Conti per il danno erariale causato, in modo da rendere maggiormente consapevole l'amministrazione del rischio che corre sottraendosi agli obblighi conformativi di un giudicato, in quanto il danno grave che integra l'elemento soggettivo della responsabilità amministrativo contabile è facilmente integrato nelle ipotesi in cui consapevolmente non si dà esecuzione ad una pronuncia del giudice.

Esecuzione e cognizione nel giudizio di ottemperanza

Il giudizio di ottemperanza ha natura mista di esecuzione e di cognizione: ciò perché spesso la regola posta dal giudicato amministrativo è una regola implicita, elastica, incompleta, che spetta al giudice dell'ottemperanza completare ed esplicitare. Non a caso si è efficacemente parlato del giudizio di ottemperanza come prosecuzione del giudizio di merito, diretto ad arricchire, pur rimanendone condizionato, il contenuto vincolante della sentenza amministrativa.

Rientra, quindi, a pieno titolo tra i compiti del Giudice dell'ottemperanza dare un contenuto concreto all'obbligo della ripristinazione risolvendo i molti problemi possibili al riguardo.

Non è questo, del resto, l'unico momento di cognizione del giudizio di ottemperanza: ulteriori spazi cognitori si aprono in relazione alle sopravvenienze di fatto o di diritto rispetto al giudicato e alle domande accessorie quali interessi, rivalutazione e risarcimento del danno.

Sotto questo profilo, il giudizio di ottemperanza presenta senz'altro caratteristiche differenti rispetto all'esecuzione forzata disciplinata dal libro III del codice di procedura civile e connotata dall'esistenza del titolo esecutivo: come è stato bene osservato, qui la cognitio è normalmente estranea perché il titolo esecutivo pone a disposizione di chi ne è il possessore una posizione di preminenza che non soggiace più ad alcun controllo.

Il giudice amministrativo, cioè, in sede di giudizio di ottemperanza, può esercitare cumulativamente, ove ne ricorrano i presupposti, sia poteri sostitutivi che poteri ordinatori e cassatori e può, conseguentemente, integrare l'originario disposto della sentenza con statuizioni che ne costituiscono non mera «esecuzione» ma «attuazione» in senso stretto, dando luogo al cosiddetto giudicato a formazione progressiva.

Anche le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. S.U., n. 376/1999) e l'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (Cons. St., Ad. plen., n. 7/1989) hanno ritenuto che il giudice dell'ottemperanza, in caso di sentenze del giudice amministrativo – diversamente da quanto accade in caso di sentenze rese dal giudice di un altro ordine – ha il potere di integrare il giudicato, nel quadro degli ampi poteri, tipici della giurisdizione estesa al merito (e idonei a giustificare anche l'emanazione di provvedimenti discrezionali), che in tal caso egli può esercitare ai fini dell'adeguamento della situazione al comando rimasto inevaso.

Peraltro, il confine tra cognizione ed esecuzione è stato reso mobile anche in senso inverso, essendo stato previsto che «In caso di accoglimento del ricorso il giudice, nei limiti della domanda: dispone le misure idonee ad assicurare l'attuazione del giudicato e delle pronunce non sospese, compresa la nomina di un commissario ad acta, che può avvenire anche in sede di cognizione con effetto dalla scadenza di un termine assegnato per l'ottemperanza» (art. 34; v. formula “Richiesta misure esecutive in sede di cognizione”).

Tempi e modalità di attuazione della sentenza possono oggi essere, quindi, fissati già dal giudice della cognizione.

Ottemperanza e competenza

L'art. 113 ha mantenuto il sistema previgente che attribuisce la competenza sull'ottemperanza relativa alle sentenze del giudice amministrativo allo stesso giudice che ha emanato la sentenza amministrativa da ottemperare.

Per le sentenze di altre giurisdizioni e per i lodo arbitrali la competenza spetta al T.A.R. nella cui circoscrizione ha sede il giudice che ha emesso la sentenza di cui è chiesta l'ottemperanza.

La competenza è del tribunale amministrativo regionale anche per i suoi provvedimenti confermati in appello con motivazione che abbia lo stesso contenuto dispositivo e conformativo dei provvedimenti di primo grado.

La giurisprudenza riconosce, infatti, la competenza funzionale in unico grado del Consiglio di Stato, quale giudice dell'esecuzione del giudicato, ogniqualvolta l'amministrazione si deve adeguare a statuizioni rese per la prima volta in appello, anche se la sentenza di primo grado è stata confermata con integrazione e modifiche della motivazione, e cioè qualora dalla motivazione della decisione di secondo grado emergesse un autonomo contenuto precettivo, quanto al contenuto e alle modalità dell'ottemperanza (Cons. St., Ad. plen., n. 4/2001).

Dall'art. 113 si può trarre un principio di preferenza per il giudice amministrativo di primo grado, che provvede sia per le decisioni da lui direttamente adottate, sia per i provvedimenti confermati in appello con lo stesso contenuto dispositivo e conformativo, con la conseguenza che la competenza in materia del Consiglio di Stato è del tutto residuale (Cons. St. IV, n. 2183/2013).

Resta fermo che si tratta di competenza di natura funzionale e inderogabile, come ribadito dall'art. 14, comma 3, del Codice. La competenza per il giudizio di ottemperanza ha carattere funzionale ed inderogabile e pertanto può essere eccepita senza le forme del regolamento di competenza ed essere anche rilevata d'ufficio dal giudice (Cons. St. IV, n. 3926/2000).

In caso di competenza del Consiglio di Stato la formula andrà adattata.

Le decisioni eseguibili in sede di ottemperanza

L'art. 112 c.p.a. ha ricompresso nell'ambito dell'unica definizione di giudizio di ottemperanza l'azione per conseguire l'attuazione di diverse tipologie di decisioni, emesse nei confronti della p.a. e, in particolare di:

a) sentenze del giudice amministrativo passate in giudicato;

b) sentenze esecutive e altri provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo;

c) sentenze passate in giudicato, e altri provvedimenti ad esse equiparati, del giudice ordinario, al fine di ottenere l'adempimento dell'obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato;

d) delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati per i quali non sia previsto il rimedio dell'ottemperanza, al fine di ottenere l'adempimento dell'obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi alla decisione;

e) lodi arbitrali esecutivi divenuti inoppugnabili al fine di ottenere l'adempimento dell'obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato.

Il ricorso in ottemperanza non è utilizzabile per l'esecuzione delle pronunce di rigetto, anche in mancanza di un'espressa regola che circoscriva l'ottemperanza alle sole decisioni di accoglimento (anche al solo fine di ottenere chiarimenti sulle modalità di tale ottemperanza), in quanto sono solo le statuizioni preordinate ad una pronuncia di accoglimento a far nascere per l'Amministrazione destinataria un obbligo di ottemperanza; viceversa, la pronunce di rigetto lasciano invariato l'assetto giuridico dei rapporti precedente alla radicazione del giudizio (Cons. St. VI, n. 1675/2013; principio ora posto in dubbio da Cons. St., Ad. plen., n. 2/2017). Va inoltre escluso che sulle sentenze processuali o di rito possa formarsi il giudicato sostanziale, in quanto l'attitudine all'accertamento sostanziale del rapporto è propria ed esclusiva delle sentenze di merito.

Il giudicato

L'art. 112 c.p.a. stabilisce che il giudizio di ottemperanza può essere proposto avverso le sentenze del g.a. passate in giudicato. Al giudicato amministrativo è senz'altro riferibile la nozione di giudicato formale contenuta nell'art. 324 c.p.c.

A norma dell'art. 324 c.p.c. – con enunciazione valida anche nel processo amministrativo ex art. 39 c.p.a. – si definisce passata in giudicato la sentenza avverso la quale non sono più ammessi mezzi impugnazione. L'art. 327 del medesimo codice, a sua volta, dispone che, prescindendo dall'ipotesi della notificazione alla controparte, la sentenza non può essere oggetto di impugnazione dopo che siano trascorsi sei mesi dalla pubblicazione (il termine di un anno è stato così ridotto dall'art. 46, comma 17, l. n. 69/2009) (Cons. St., Ad. plen., n. 24/2012).

La sentenza passa in giudicato quando contro di essa non siano esperibili gli ordinari mezzi di impugnazione (appello, ricorso in cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione, revocazione nei casi previsti da nn. 4 e 5 dell'art. 395 c.p.c.). Tale stato di immodificabilità non è però assoluto, in quanto le sentenze passate in cosa giudicata formale possono essere impugnate con i mezzi di impugnazione straordinari (revocazione per i motivi di cui ai nn. 1, 2, 3 e 6, revocazione del pubblico ministero ex art. 397 c.p.c., opposizione di terzo); tuttavia, l'esperibilità di tali gravami straordinari non impedisce il passaggio in giudicato.

Il giudicato sostanziale (art. 2909 c.c.) – che, in quanto riflesso di quello formale (art. 324 c.p.c.), fa stato ad ogni effetto fra le parti per l'accertamento di merito, positivo o negativo, del diritto controverso – si forma su tutto ciò che ha costituito oggetto della decisione, compresi gli accertamenti di fatto, i quali rappresentano le premesse necessarie e il fondamento logico giuridico della pronuncia, spiegando, quindi, la sua autorità non solo nell'ambito della controversia e delle ragioni fatte valere dalle parti (c.d. giudicato esplicito), ma estendendosi necessariamente agli accertamenti che si ricollegano in modo inscindibile con la decisione, formandone il presupposto, così da coprire tutto quanto rappresenta il fondamento logico-giuridico della pronuncia. Pertanto, l'accertamento su un punto di fatto o di diritto costituente la premessa necessaria della decisione divenuta definitiva, quando sia comune ad una causa introdotta posteriormente, preclude il riesame della questione, anche se il giudizio successivo abbia finalità diverse da quelle del primo e a condizione che i due giudizi abbiano identici elementi costitutivi dell'azione (soggetti, causa petendi, petitum), secondo l'interpretazione della decisione affidata al giudice del merito ed insindacabile in sede di legittimità, ove immune da vizi logici e giuridici (Cass., n. 9685/2003).

Con riferimento al piano sostanziale, le sentenze del giudice amministrativo possono contenere statuizioni di annullamento dell'atto, che eliminano l'atto anche erga omnes e ulteriori statuizioni che vincolano (conformano) il successivo riesercizio dell'attività amministrativa valide solo fra le parti del giudizio.

Effetti erga omnes sono riconosciuti in caso di inscindibilità dell'atto o del rapporto (Cons. St. IV, n. 6512/2000; ad es., in caso di annullamento della delibera che istituisce una commissione di concorso, Cons. St. IV, n. 162/1994), di annullamento di atti normativi (Cons. St. VI, n. 6473/2010), di annullamento di provvedimenti tariffari (Cons. St. VI, n. 585/1993), mentre in presenza di atti a contenuto plurimo, ma scindibili (es., prescrizioni contenute in un piano regolatore) l'efficacia erga omnes non si verifica.

Diverso è il potere discrezionale dell'amministrazione di estendere erga omnes gli effetti di un giudicato reso inter partes (Cons. St. V, n. 2820/2011 e Cons. St. V, n. 2951/2011).

Giudicato e diritto dell'U.E.

Il principio del giudicato è stato messo in discussione nei casi in cui sussiste la diversa esigenza di garantire il rispetto del diritto comunitario.

La più decisa presa di posizione della Corte di giustizia a favore della natura recessiva del giudicato nazionale si trova nella famosa sentenza Lucchini (Corte giustizia UE 18 luglio 2007, C-119/05). In tale arresto, occupandosi specificamente di una fattispecie concernente un contributo pubblico erogato ad un'impresa privata in esecuzione di giudicato nazionale formatosi in violazione delle norme del diritto dell'Unione in materia di aiuti di Stato (violazione accertata da una decisione della Commissione europea anteriore al giudicato stesso), la Corte ha affermato che il diritto comunitario osta all'applicazione di una disposizione del diritto nazionale, come l'art. 2909 del c.c. italiano, volta a sancire il principio dell'autorità di cosa giudicata, nei limiti in cui l'applicazione di tale disposizione impedisce il recupero di un aiuto di Stato erogato in contrasto con il diritto comunitario e la cui incompatibilità con il mercato comune è stata dichiarata con decisione della Commissione divenuta definitiva.

Successivamente, tuttavia, la Corte di Giustizia (Corte giustizia CE, II, 3 settembre 2009, Fallimento Omniclub) ha attenuato la portata della decisioni Lucchini, affermando che il diritto comunitario non impone ad un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono autorità di cosa giudicata ad una decisione, anche quando ciò permetterebbe di porre rimedio ad una violazione del diritto comunitario da parte di tale decisione. Ciò in quanto, al fine di garantire sia la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, sia una buona amministrazione della giustizia, è importante che le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l'esaurimento delle vie di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per questi ricorsi non possano più essere rimesse in discussione (CGCE, 30 settembre 2003, causa C-224/01, Köbler).

I rapporti tra giudicato nazionale e primato del diritto euro-unitario sono stati recentemente ribaditi dalla Corte di Giustizia nella sentenza pregiudiziale interpretativa 10 luglio 2014, C-213/03 (pronunciata su una questione pregiudiziale sollevata dal Consiglio di Stato con ordinanza della Quinta Sezione, 10 aprile 2013, n. 1962), con cui sono stati ribaditi i seguenti principi:

a) al fine di garantire tanto la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici quanto una buona amministrazione della giustizia, è importante che le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l'esaurimento dei mezzi di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per tali ricorsi non possano più essere rimesse in discussione (sentenze Kapferer, C-234/04, punto 20; Commissione/Lussemburgo, C-526/08, punto 26, e ThyssenKrupp Nirosta/Commissione, C-352/09 punto 123);

b) pertanto, il diritto dell'Unione non impone a un giudice nazionale di disapplicare le norme procedurali interne che attribuiscono forza di giudicato a una pronuncia giurisdizionale, neanche quando ciò permetterebbe di porre rimedio a una situazione nazionale contrastante con detto diritto (v., in tal senso, sentenze Eco Swiss, C-126/97, punti 46 e 47; Kapferer, punti 20 e 21; Fallimento Olimpiclub, punti 22 e 23; Asturcom Telecomunicaciones, C-40/08, punti da 35 a 37, nonché Commissione/Slovacchia, C-507/08, punti 59 e 60);

c) il diritto dell'Unione non esige, dunque, che, per tener conto dell'interpretazione di una disposizione pertinente di tale diritto offerta dalla Corte posteriormente alla decisione di un organo giurisdizionale avente autorità di cosa giudicata, quest'ultimo ritorni necessariamente su tale decisione.

d) La sentenza Lucchini (C-119/05), non è atta a rimettere in discussione l'analisi sopra svolta. Infatti, è stato in una situazione del tutto particolare, in cui erano in questione principi che disciplinano la ripartizione delle competenze tra gli Stati membri e l'Unione europea in materia di aiuti di Stato, che la Corte ha statuito, in sostanza, che il diritto dell'Unione osta all'applicazione di una disposizione nazionale, come l'art. 2909 del codice civile italiano, che mira a consacrare il principio dell'intangibilità del giudicato, nei limiti in cui la sua applicazione impedirebbe il recupero di un aiuto di Stato concesso in violazione del diritto dell'Unione e dichiarato incompatibile con il mercato comune da una decisione della Commissione europea divenuta definitiva.

e) Qualora le norme procedurali interne applicabili prevedano la possibilità, a determinate condizioni, per il giudice nazionale di ritornare su una decisione munita di autorità di giudicato, per rendere la situazione compatibile con il diritto nazionale, tale possibilità deve essere esercitata, conformemente ai principi di equivalenza e di effettività, e sempre che dette condizioni siano soddisfatte, per ripristinare la conformità della situazione oggetto del procedimento principale alla normativa dell'Unione in materia di appalti pubblici di lavori.

Inoltre, è stata posta la questione se l'interpretazione da parte del giudice amministrativo di una norma di diritto interno in termini contrastanti con il diritto dell'Unione Europea (e senza procedere al rinvio pregiudiziale), secondo quanto risultante da una pronunzia della Corte di Giustizia successivamente intervenuta, dia luogo alla violazione di un «limite esterno» della giurisdizione, rientrando in uno di quei «casi estremi» in cui il giudice adotta una decisione anomala o abnorme, omettendo l'esercizio del potere giurisdizionale per errores in iudicando o in procedendo che danno luogo al superamento del limite esterno.

La Cassazione si è espressa in senso affermativo in quei casi in cui la violazione rileva sotto il profilo dell'indebito diniego di accesso alla giustizia, mantenendo fermo l'orientamento tradizionale negativo negli altri casi; in sostanza, il controllo del limite esterno della giurisdizione – che l'art. 111, ottavo comma, Cost., affida alla Corte di cassazione – non include il sindacato sulle scelte ermeneutiche del giudice amministrativo, suscettibili di comportare errori in iudicando o in procedendo per contrasto con il diritto dell'Unione europea, salva l'ipotesi, «estrema», in cui l'errore si sia tradotto in una interpretazione delle norme europee di riferimento in contrasto con quelle fornite dalla Corte di Giustizia Europea, sì da precludere l'accesso alla tutela giurisdizionale dinanzi al giudice amministrativo» (Cass. S.U., n. 2242/2015; Cass. S.U., n. 3915/2016; Cass. S.U., n. 14043/2016; Cass. S.U., n. 6891/2016, che richiama in motivazione gli analoghi principi precedentemente espressi da Cass. S.U., n. 2403/2015). In questi «casi estremi» continuano le Sezioni Unite si impone la cassazione della sentenza amministrativa «indispensabile per impedire che il provvedimento giudiziario, una volta divenuto definitivo ed efficace, esplichi i suoi effetti in contrasto con il diritto comunitario, con grave nocumento per l'ordinamento europeo e nazionale e con palese violazione del principio secondo cui l'attività di tutti gli organi dello Stato deve conformarsi alla normativa comunitaria» (riscontro di vizi che riguardano l'essenza della funzione giurisdizionale e non il modo del suo esercizio).

In contrasto con tale soluzione che attribuisce rilievo al caso delle c.d. sentenze “abnormi” o “anomale” ovvero ad uno “stravolgimento”, a volte definito radicale, delle “norme di riferimento”, vedi Corte cost., n. 6/2018, secondo cui attribuire rilevanza al dato qualitativo della gravità del vizio è, sul piano teorico, incompatibile con la definizione degli ambiti di competenza e, sul piano fattuale, foriero di incertezze, in quanto affidato a valutazioni contingenti e soggettive; tra i vizi denunciabili con il predetto rimedio sono ricomprese le sole ipotesi di difetto assoluto ovvero di difetto relativo di giurisdizione mentre non sono tali le questioni attinenti al rispetto dei principi di primazia del diritto comunitario, di effettività della tutela, del giusto processo e dell'unità funzionale della giurisdizione, né il sindacato sugli errores in procedendo o in iudicando.

L'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (cfr. Cons. St., Ad. plen., n. 11/2016), occupandosi dei rapporti tra giudicato a formazione progressiva e diritto comunitario, ha precisato che la preminente esigenza di conformità al diritto comunitario rileva anche in sede di ottemperanza, essendo dovere del giudice dell'ottemperanza interpretare la sentenza portata ad esecuzione e delinearne la portata dispositiva e conformativa evitando di desumere da essa regole contrastanti con il diritto dell'Unione. Secondo l'Adunanza plenaria, «la dinamicità e la relativa flessibilità che spesso caratterizza il giudicato amministrativo nel costante dialogo che esso instaura con il successivo esercizio del potere amministrativo permettono al giudice dell'ottemperanza nell'ambito di quell'attività in cui si sostanzia l'istituto del giudicato a formazione progressiva non solo di completare il giudicato con nuove statuizioni “integrative”, ma anche di specificarne la portata e gli effetti al fine di impedire il consolidamento di effetti irreversibili contrari al diritto sovranazionale». «Il giudizio di ottemperanza può rappresentate in quest'ottica una opportunità ulteriore offerta dal sistema processuale anche per evitare che dal giudicato possano trarsi conseguenze anticomunitarie che darebbero vita a quei «casi estremi» in cui, richiamando gli insegnamenti delle Sezioni Unite, la sentenza diventa «abnorme» e supera i limiti esterni del potere giurisdizionale».

Sempre sui rapporti tra diritto comunitario e giudicato, va segnalata anche la giurisprudenza comunitaria secondo cui la P.A. ha l'obbligo di riesaminare un atto amministrativo adottato in violazione del diritto comunitario, anche quando esista ormai un giudicato che abbia escluso l'illegittimità del provvedimento medesimo. Si fa riferimento, anzitutto, alla sentenza CGCE, 13 gennaio 2004, n. 453 Kuhne &; Heitz, la cui portata è stata attenuata da Corte Giust. 1° febbraio 2008, C-2/06, Kempter.

Giudicato e CEDU

La questione della stabilità del giudicato si è posta, sia pure in termini parzialmente diversi, anche per il giudicato nazionale contrastante con la CEDU (in particolare con la sentenze della Corte EDU che, esauriti i mezzi di ricorso interni contro la sentenza, ravvisano nel giudicato nazionale una violazione della Convenzione).

La questione è stata affrontata dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (ordinanza 4 marzo 2015, n. 2), la quale ha sollevato questione di legittimità di costituzionalità degli artt. 106 del Codice del processo amministrativo e 395 e 396 c.p.c., in relazione agli artt. 117 comma 1, 111 e 24 della Costituzione, nella parte in cui non prevedono un diverso caso di revocazione della sentenza quando ciò sia necessario, ai sensi dell'art. 46, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell'uomo.

La Corte costituzionale ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 106 del Codice e degli artt. 395 e 396 c.p.c., nella parte in cui non prevedono un diverso caso di revocazione della sentenza quando ciò sia necessario, ai sensi dell'art. 46, par. 1, della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, per conformarsi ad una sentenza definitiva della Corte europea dei diritti dell'uomo (Corte cost., n. 123/2017, seguita poi da Cons. St., Ad. plen., n. 12/2017).

Le sentenze del giudice ordinario

L'art. 112 c.p.a. conferma l'esperibilità del giudizio per conseguire l'esecuzione dei giudicati del giudice ordinario, nonché di quei giudici speciali per i quali non sia previsto il rimedio dell'esecuzione davanti ad essi.

A differenza di quel che accade per le sentenza del G.A., presupposto indispensabile per instaurare il giudizio di ottemperanza è che la sentenza del giudice ordinario sia passata in giudicato.

In genere si ritiene che non sussiste alcun rapporto di pregiudizialità tra il giudizio di revocazione e quello di ottemperanza, che peraltro è possibile sulla base dell'art. 112 anche per le sentenze non definitive emesse dal giudice amministrativo; il problema può porsi in termini diversi per il giudizio di ottemperanza per sentenze di altre giurisdizioni: in quanto caso l'art. 112 richiede il giudicato e la pendenza di un giudizio di revocazione straordinaria, che non impedisce il formarsi del giudicato, potrebbe essere ritenuto pregiudiziale rispetto al giudizio di ottemperanza.

È ammissibile il ricorso per l'ottemperanza rispetto ad un decreto ingiuntivo, in ragione dell'assimilazione del medesimo, dichiarato esecutivo per mancata opposizione nei termini, alla sentenza passata in giudicato. Detto principio elaborato dalla giurisprudenza è ora recepito dal c.p.a. che, all'art. 112, stabilisce che l'azione di ottemperanza può essere proposta per conseguire l'attuazione anche dei provvedimenti del giudice ordinario equiparati alle sentenze passate in giudicato (T.A.R. Calabria (Catanzaro) II, 7 febbraio 2011, n. 164). Nel processo amministrativo il decreto ingiuntivo non opposto, in quanto definisce la controversia al pari della sentenza passata in giudicato, essendo impugnabile solo con la revocazione o con l'opposizione di terzo nei limitati casi di cui all'art. 656 c.p.c., ha valore di cosa giudicata anche ai fini della proposizione del ricorso per l'ottemperanza previsto dagli art. 37, l. n. 1034/1971 e art. 27 n. 4 r.d. n. 1054/1924 ed ora dell'art. 112 comma 2 lett. c), c.p.a.; ma condizione essenziale perché il ricorso per l'ottemperanza possa essere proposto anche per l'esecuzione del decreto ingiuntivo non opposto, di cui agli artt. 633 e ss. c.p.c., è che lo stesso sia stato dichiarato esecutivo ai sensi dell'art. 647 c.p.c. (Cons. St. V, n. 1609/2015).

Lo strumento dell'ottemperanza di sentenze del giudice ordinario presuppone sempre che vi sia la necessità di ottenere l'adempimento da parte di una pubblica amministrazione e non può essere applicato anche alle società c.d. in house; infatti, l'equiparazione dei soggetti privati alla Pubblica Amministrazione sussiste: – nelle singole ipotesi in cui sia la legge ad effettuare tale equiparazione; – nella misura in cui il soggetto privato sia preposto all'esercizio di attività amministrative ed in relazione, naturalmente, a tale attività. Nessuna norma effettua l'equiparazione in via generale tra società in house e Pubblica Amministrazione e atteso che gli atti per i quali si chiede l'ottemperanza riguardano pacificamente la gestione di incarichi e le relative conseguenze patrimoniali, rispetto alle quali non v'è dubbio che l'ente convenuto eserciti poteri e facoltà di matrice privatistici, deve essere esclusa l'esperibilità dell'azione di ottemperanza ex art. 112, comma 2, lett. c), c.p.a. nei confronti di un soggetto privato che non è in alcun modo equiparabile, per l'attività in concreto in rilievo, alla Pubblica Amministrazione (Cons. St. V, n. 502/2015).

Le sentenze della Corte dei Conti

Già prima dell'entrata in vigore del Codice, il giudizio di ottemperanza era stato riconosciuto come azionabile anche per l'esecuzione delle decisioni giurisdizionali della Corte dei conti (Cons. St. IV, n. 29/1991).

I lodi arbitrali

L'art. 112 c.p.a. ha introdotto la possibilità di utilizzare l'azione di ottemperanza per conseguire l'esecuzione dei lodi arbitrali esecutivi divenuti inoppugnabili.

Al riguardo v. la formula “Ricorso per ottemperanza per lodo arbitrale ex art. 112 lett. e).”

Le decisioni rese sui ricorsi straordinari al Capo dello Stato

Il Codice del processo amministrativo non aveva preso posizione espressa sull'ammissibilità dell'ottemperanza in relazione alle decisioni sui ricorsi straordinari al Capo dello Stato, per le quali l'orientamento prevalente negava la possibilità di ottenere l'esecuzione della decisione di accoglimento nei confronti dell'amministrazione inadempiente, attraverso il giudizio amministrativo di ottemperanza.

Secondo l'impostazione classica, infatti, la decisione del ricorso straordinario non è una pronuncia giurisdizionale.

Dopo un ampio dibattito svoltosi in dottrina e contrastanti pronunce della giurisprudenza, la Cassazione, mutando il proprio precedente orientamento, ha affermato che il giudizio di ottemperanza è ammissibile in relazione al decreto che abbia accolto il ricorso straordinario (Cass. S.U., n. 2065/2011). Secondo le Sezioni Unite. la decisione su ricorso straordinario è un provvedimento che, pur non essendo formalmente giurisdizionale, risulta suscettibile di tutela mediante il giudizio d'ottemperanza. In tema di ricorsi amministrativi, l'evoluzione del sistema normativo – di cui sono indici significativi, da un lato, l'art. 69 l. n. 69/2009, laddove prevede l'incidente di costituzionalità da parte del Consiglio di Stato chiamato ad esprimere il parere sul ricorso straordinario ed abolisce la facoltà del Ministro di discostarsi dal parere del Consiglio di Stato, e, dall'altro lato, l'art. 112 c.p.a., che, alla lettera b, prevede l'azione di ottemperanza per le sentenze esecutive e degli altri provvedimenti esecutivi del g.a. – conduce a configurare la decisione resa su ricorso straordinario come provvedimento che, pur non essendo formalmente giurisdizionale, è tuttavia suscettibile di tutela mediante il giudizio di ottemperanza; tale evoluzione va estesa alla decisione resa dal Presidente della Regione siciliana, in quanto l'analogia del procedimento che lo regola sottende un'identità di natura e di funzione con il ricorso straordinario al Capo dello Stato (v. anche Cass. S.U., n. 9183/2012; in senso conforme Cons. St., Ad. plen., n. 18/2012; Cons. St., Ad. plen., n. 9/2013).

La ritenuta ammissibilità dell'ottemperanza delle decisioni rese sui ricorsi straordinari al Capo dello Stato completa il processo di assimilazione dell'istituto al ricorso giurisdizionale e colma un vuoto (o comunque una difficoltà) di tutela.

Il principio è applicabile retroattivamente ad eccezione delle ipotesi, oggi non più possibili, di decisioni di ricorso straordinario rese su una controversia conoscibile dal giudice civile e da questi disapplicabili (Cass. III, n. 20054/2013).

Premessa l'ammissibilità del ricorso in ottemperanza per le decisioni rese su ricorso straordinario al Capo dello Stato, era stato posto il problema se la fattispecie va sussunta nell'art. 112, comma 2, lett. b), come sembra affermare la Cassazione o nella lett. d), come sembra indicare il dato letterale (altri provvedimenti equiparati alle sentenze); la questione rileva ai fini della competenza ex art. 113 c.p.a.: nel primo caso la competenza è del Consiglio di Stato, nel secondo è del T.A.R.

La tesi della Cassazione poteva non sembrare coerente con il dato letterale, in quanto la lett. «b» del comma 2 dell'art. 112 c.p.a. non menziona affatto (nemmeno mediatamente) i decreti sui ricorsi straordinari: che non possono essere assimilati ai provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo.

La questione è stata risolta nel senso della competenza del Consiglio di Stato, in base alla considerazione secondo cui il decreto presidenziale che recepisce il parere del Consiglio di Stato, pur non essendo, in ragione della natura dell'organo e della forma dell'atto, un atto formalmente e soggettivamente amministrativo, sia estrinsecazione sostanziale di funzione giurisdizionale che culmina in una decisione caratterizzata dal crisma dell'intangibilità, propria del giudicato, all'esito di una procedura in unico grado incardinata sulla base del consenso delle parti e rientra nel novero dei provvedimenti del giudice amministrativo di cui alla lett. b) dell'art. 112, comma 2, ne consegue che il ricorso per l'ottemperanza deve essere proposto, ai sensi dell'art. 113, comma 1 dinanzi allo stesso Consiglio di Stato, nel quale si «identifica il giudice che ha emesso il provvedimento della cui ottemperanza si tratta (Cons. St., Ad. plen., n. 9/2013).

L'inadempimento della P.A. quale presupposto per agire in ottemperanza

Primo presupposto del giudizio di ottemperanza è l'esistenza di una decisione da eseguire e il secondo presupposto è l'inadempimento della P.A.

Si deve considerare che il soggetto cui compete dare esecuzione alle decisioni del giudice amministrativo è la stessa pubblica amministrazione, nei cui confronti viene infatti rivolto l'ordine, contenuto in tutte le sentenze del g.a.: «Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'Autorità amministrativa».

Solo nel caso in cui l'amministrazione non dia esecuzione, o non dia corretta esecuzione, o non dia completa esecuzione alla sentenza, scatta la necessità di attivare il giudizio di ottemperanza.

L'inadempimento, quindi, non consiste necessariamente in un comportamento omissivo, ma può essere integrato anche da un comportamento commissivo, non conforme al giudicato.

È oggi prevalsa la tesi maggiormente in linea con il principio dell'effettività della tutela giurisdizionale, secondo cui tutti gli atti di violazione o elusione del giudicato devono essere contestati innanzi al giudice dell'ottemperanza.

Sui rapporti tra azione di ottemperanza e azione di annullamento in relazione ai nuovi atti emessi dall'amministrazione, vedi la formula “Ricorso in ottemperanza con domanda di annullamento proposta in via subordinata”.

Rivalutazione, interessi ed ottemperanza

Interessi e rivalutazione non possono essere chiesti per la prima volta in sede di ottemperanza, considerato che si tratta di domanda accessoria di cognizione, che va articolata nel giudizio di cognizione e che, nel giudizio di ottemperanza, possono essere chiesti solo gli accessori maturati dopo la sentenza di cui si chiede l'esecuzione (l'art. 112, comma 3, codifica del resto un principio immanente all'ordinamento; Cons. St. VI, n. 3371/2014).

Pertanto, in sede di giudizio di ottemperanza, se il giudicato non contiene alcuna condanna alla corresponsione degli accessori sul credito, l'Amministrazione, in sede di esecuzione della sentenza, non è tenuta a corrisponderli (Cons. St. V, n. 1497/2016).

Ottemperanza e prescrizione

Il termine di prescrizione per l'azione di ottemperanza è decennale (art. 114: «l'azione si prescrive con il decorso di dieci anni dal passaggio in giudicato della sentenza») e l'introduzione di un termine di decadenza per l'azione di nullità (art. 31, comma 4, c.p.a.) non riguarda gli atti (nulli) violativi o elusivi del giudicato, trattandosi di actio iudicati assoggettata al termine di prescrizione decennale, che può essere interrotto anche con un atto stragiudiziale volto a conseguire quanto spetta in base al giudicato (Cons. St., Ad. plen., n. 24/2020).

L'art. 114 c.p.a. pone un termine di sessanta giorni per la contestazione degli atti del commissario ad acta ad opera delle parti del giudizio di ottemperanza, ma tale termine non incide sulla prescrizione trattandosi di atti adottati dal commissario appunto nell'ambito di un giudizio di ottemperanza già instaurato.

Legittimazione

La legittimazione attiva ad agire in ottemperanza spetta alle parti del giudicato da eseguire, cui sono equiparati i loro rappresentanti e successori.

Notificazione

L'eliminazione della diffida è stata accompagnata dalla codificazione della necessità della notificazione del ricorso in ottemperanza.

Si ricorda che il citato art. 90 del reg. del 1907 si limitava a stabilire che la segreteria dava immediata comunicazione del ricorso «al Ministero competente», il quale, entro venti giorni dalla ricevuta comunicazione, può trasmettere le sue osservazioni alla segreteria stessa.

Successivamente, la Corte Costituzionale, con le sentenze n. 441/2005 e n. 100/2006, ha ritenuto infondata la questione di legittimità costituzionale della norma nella parte in cui non prescrive che il ricorso per il giudizio d'ottemperanza debba essere previamente notificato all'amministrazione resistente, in riferimento agli art. 24, comma 2 e 111, comma 2, Cost., rilevando che la disposizione impugnata deve applicarsi oggi nel senso che, se sia stata omessa la notifica, il testo integrale del ricorso deve essere comunicato d'ufficio all'amministrazione resistente, in tempo utile per consentirle di articolare le sue difese. Era da tempo, comunque, diffusa la prassi della notificazione del ricorso in ottemperanza e il Codice ha correttamente recepito tale prassi, prevedendo la necessari notificazione, peraltro indispensabile anche a seguito dell'arricchimento della possibilità di proporre domande in sede di ottemperanza.

È, quindi, oggi necessaria la notificazione del ricorso all'amministrazione inadempiente o ai soggetti equiparati (per il concetto di equiparazione vedi l'art. 7, comma 2 del Codice) e alle altre parti del giudizio definito con la sentenza da ottemperare, dovendo intendersi per tali i soli soggetti controinteressati.

La modifica apportata dal decreto correttivo al comma 2 dell'art. 114, chiarisce che il provvedimento del giudice (e, dunque, non la sola sentenza) di cui si chiede l'ottemperanza va depositato e non anche notificato.

Lo svolgimento del giudizio in camera di consiglio

La disciplina del giudizio di ottemperanza è racchiusa nelle disposizioni dettate dagli artt. 112-115 c.p.a. e ad esse, in linea generale, non si applicano le disposizioni dell'esecuzione civile stabilite dal c.p.c. (Cons. St. V, n. 1766/2017).

Ai sensi dell'art. 87, comma 2, lett. d), il giudizio si svolge in camera di consiglio.

La stessa norma aggiunge che la camera di consiglio è fissata d'ufficio alla prima udienza utile successiva al trentesimo giorno decorrente dalla scadenza del termine di costituzione delle parti intimate. Nella camera di consiglio sono sentiti i difensori che ne fanno richiesta.

La trattazione in pubblica udienza non costituisce motivo di nullità della decisione.

La trattazione del ricorso in ottemperanza con il rito in camera di consiglio comporta l'applicazione dell'art. 87, che prevede che tutti i termini processuali sono dimezzati rispetto a quelli del processo ordinario, salvo quelli relativi alla notificazione del ricorso introduttivo, del ricorso incidentale e dei motivi aggiunti (art. 87, comma 3). Dunque: a) il ricorso introduttivo, incidentale e i motivi aggiunti devono essere depositati entro 15 giorni decorrenti dall'ultima notificazione; b) la camera di consiglio è fissata d'ufficio alla prima udienza utile successiva al trentesimo giorno decorrente dalla scadenza del termine di costituzione delle parti intimate (60 giorni dalla notifica) La Camera di Consiglio viene fissata alla prima udienza utile successiva al trentesimo giorno decorrente dalla scadenza del termine di costituzione delle parti intimate (30 giorni dal perfezionamento nei propri confronti della notificazione del ricorso). Non occorre la domanda di fissazione (art. 87, comma 3, secondo cui la camera di consiglio è fissata «d'ufficio»); le parti possono produrre documenti fino a venti giorni prima della camera di consiglio, memorie fino a quindici giorni liberi prima e presentare repliche fino a dieci giorni liberi prima (termini di cui all'art. 73 dimezzati).

La decisione è assunta con sentenza in forma semplificata (art. 74 del Codice); qualora si chieda l'esecuzione di un'ordinanza, il Giudice provvede con ordinanza (art. 114, comma 5).

La giurisdizione estesa al merito

La riduzione delle ipotesi di giurisdizione di merito del giudice amministrativo non ha riguardato il giudizio di ottemperanza, che continua a costituire il principale caso di giurisdizione estesa al merito.

La giurisdizione estesa al merito è giustificata dall'attribuzione di pieni poteri al giudice amministrativo per consentire l'attuazione del giudicato, in modo da potersi sostituire – anche attraverso la nomina di un commissario ad acta – all'amministrazione.

Le impugnazioni delle sentenze di ottemperanza

In passato era stata riconosciuta una limitata appellabilità delle sentenze rese in sede di ottemperanza, con l'esclusione delle sole sentenze che contengono misure di mera attuazione del giudicato (Cons. St. VI, n. 5353/2004).

Il Codice si limita a fare un rinvio ai termini delle impugnazioni previsti dal Libro III e ciò comporta che il principio è quella della impugnabilità delle decisioni.

Quanto al rito da seguire in appello, è preferibile optare per il procedimento in camera di consiglio (è, infatti, previsto che «Le disposizioni di cui al presente Titolo si applicano anche alle impugnazioni avverso i provvedimenti giurisdizionali adottati dal giudice dell'ottemperanza»); tale soluzione era dubbia a normativa vigente e il Consiglio di Stato aveva finora oscillato nel trattare in camera di consiglio o in udienza pubblica gli appelli avverso le sentenze che pronunciano su un ricorso in ottemperanza. Ora il Codice è più chiaro nell'indicare il rito camerale (Cons. St. V, n. 5440/2014).

Quanto ai termini per la proposizione delle impugnazioni, la giurisprudenza ha riconosciuto l'applicazione dei termini dimezzati previsti dall'art. 87 per i procedimenti in camera di consiglio. La notifica e il deposito dell'appello di una sentenza resa su un giudizio di ottemperanza, in quanto procedimento che segue il rito della Camera di consiglio, è assoggettata ai termini ordinari dimezzati, la cui inosservanza comporta la sua irricevibilità (Cons. St. V, n. 4631/2016; Cons. St. V, n. 5246/2013).

Altra questione è la possibilità di proporre ricorso in Cassazione avverso sentenze di ottemperanza per questioni di giurisdizione.

Le decisioni del Consiglio di Stato in sede di giudizio di ottemperanza sono soggette al sindacato delle Sezioni Unite della Corte di cassazione sul rispetto dei limiti esterni della propria potestà giurisdizionale, tenendo presente che in tal caso è attribuita al giudice amministrativo una giurisdizione anche di merito. Al fine di distinguere le fattispecie nelle quali il sindacato è consentito da quelle nelle quali è inammissibile, è decisivo stabilire se oggetto del ricorso è il modo con cui il potere di ottemperanza è stato esercitato (limiti interni della giurisdizione) oppure se sia in discussione la possibilità stessa, in una determinata situazione, di fare ricorso al giudizio di ottemperanza (limiti esterni della giurisdizione); ne consegue che, ove le censure mosse alla decisione del Consiglio di Stato riguardino l'interpretazione del giudicato, l'accertamento del comportamento tenuto dall'Amministrazione e la valutazione di conformità di tale comportamento rispetto a quello che si sarebbe dovuto tenere, gli errori nei quali il giudice amministrativo può eventualmente incorrere, essendo inerenti al giudizio di ottemperanza, restano interni alla giurisdizione stessa e non sono sindacabili dalla Corte di cassazione. (Fattispecie in tema di giudizio di ottemperanza conseguente ad annullamento di una delibera del Consiglio superiore della magistratura di conferimento di incarico direttivo di un ufficio giudiziario; Cass. S.U., n. 736/2012).

Con particolare riferimento ai limiti esterni nel giudizio di ottemperanza, è stato precisato che è necessario stabilire se quel che viene in questione è il modo in cui il potere giurisdizionale di ottemperanza è stato esercitato dal giudice amministrativo, attenendo ciò ai limiti interni della giurisdizione (non sindacabili dalla Cassazione), oppure il fatto stesso che un tal potere a detto giudice non spettava; in particolare, quando l'ottemperanza sia stata invocata denunciando comportamenti elusivi del giudicato o manifestamente in contrasto con esso, afferiscono ai limiti interni della giurisdizione gli eventuali errori imputati al giudice amministrativo nell'individuazione degli effetti conformativi del giudicato medesimo, nella ricostruzione della successiva attività dell'amministrazione e nella valutazione di non conformità di questa agli obblighi derivanti dal giudicato; trattandosi, invece, dei limiti esterni di detta giurisdizione quando è posta in discussione la possibilità stessa, nella situazione data, di far ricorso alla giurisdizione di ottemperanza (Cass. S.U., n. 5058/2017, che ha anche scansionato le fasi logiche del giudizio di ottemperanza: a) interpretazione del giudicato al fine di individuare il comportamento doveroso per la pubblica amministrazione in sede di esecuzione; b) accertamento del comportamento in effetti tenuto dalla medesima amministrazione; c) valutazione della conformità del comportamento tenuto dall'amministrazione rispetto a quello imposto dal giudicato).

L'esecuzione davanti al giudice ordinario

L'art. 115 del Codice disciplina il formarsi del titolo esecutivo e il rilascio di estratto del provvedimento giurisdizionale con formula esecutiva.

La formula esecutiva e l'esecuzione nelle forme del c.p.c. è quindi possibile, in via alternativa all'ottemperanza, solo per i provvedimenti emessi dal giudice amministrativo che dispongono il pagamento di somme di denaro.

È stabilito che le pronunce del giudice amministrativo che costituiscono titolo esecutivo sono spedite, su richiesta di parte, in forma esecutiva e che i provvedimenti emessi dal giudice amministrativo che dispongono il pagamento di somme di denaro costituiscono titolo anche per l'esecuzione nelle forme disciplinate dal Libro III del codice di procedura civile e per l'iscrizione di ipoteca.

L'esecuzione nelle forme del c.p.c. è, quindi, prevista come alternativa rispetto al ricorso in ottemperanza, ma è limitata al pagamento di somme, e non ad altri obblighi, anche di fare, derivanti dal giudicato.

L'apposizione della formula esecutiva non è tuttavia necessari ai fini del giudizio di ottemperanza.

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