Il concorso del terzo nel delitto di usura1. Bussole di inquadramentoIl delitto di usura Il delitto di usura è disciplinato dall'art. 644 c.p., che al comma 1 punisce chiunque si faccia dare o promettere, sotto qualsiasi forma, per sé o per altri, interessi o altri vantaggi usurari, in corrispettivo di una prestazione di denaro o di altra utilità. Ai sensi del comma 2 dell'articolo, la stessa pena è prevista per chi procura a taluno una somma di denaro od altra utilità facendo dare o promettere, a sé o ad altri, un compenso usurario per la mediazione prestata. L'art. 644, comma 3, c.p. stabilisce che sia la legge a individuare il c.d. tasso soglia oltre il quale gli interessi pattuiti sono sempre usurari, laddove il comma 4 della disposizione disciplina i casi di usura c.d. in concreto, che si configura quando gli interessi pattuiti, sebbene inferiori al limite legale, risultino comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità ricevuta dalla persona offesa, alla luce delle concrete modalità del fatto e tenuto conto dei tassi medi praticati per operazioni analoghe. È tuttavia necessario, in questo caso, che essa versi in condizioni di difficoltà economica o finanziaria (c.d. usura soggettiva). Il delitto di usura è inoltre integrato, nella forma della c.d. usura reale, quando la promessa o dazione abbia ad oggetto non già danaro o interessi usurari, bensì di “altri vantaggi” (o “compensi” in caso di mediazione usuraria) che, «avuto riguardo alle concrete modalità del fatto e al tasso medio praticato per operazioni similari, risultano comunque sproporzionati rispetto alla prestazione di denaro o di altra utilità». Anche in questo caso occorre accertare che «chi li ha dati o promessi si trova in condizioni di difficoltà economica o finanziaria». Tanto nella forma pecuniaria, quanto in quella reale, il delitto di usura prevede una condotta alternativa, consistente nel farsi dare o promettere interessi o altri vantaggi usurari. Ai fini del perfezionamento del delitto è dunque sufficiente che il reo e la persona offesa abbiano pattuito la corresponsione di interessi o altri vantaggi usurari, non essendo invece richiesta l'effettiva dazione degli stessi. La Corte di Cassazione ha infatti evidenziato che la fattispecie penale di usura presenta una condotta a schema duplice e alternativo, consistente nella pattuizione o dazione di interessi o vantaggi usurari, da parte della persona offesa in favore del reo. Ne consegue, secondo i giudici di legittimità, che «qualora alla promessa segua – mediante la rateizzazione degli interessi convenuti – la dazione effettiva di essi, questa non costituisce un post factum penalmente non punibile, ma fa parte a pieno titolo del fatto lesivo penalmente rilevante e segna, mediante la concreta e reiterata esecuzione dell'originaria pattuizione usuraria, il momento consumativo “sostanziale” del reato» (Cass. I, n. 11055/1998). Secondo tale impostazione, che ha trovato seguito nei successivi pronunciamenti della Corte (Cass. II, n. 26553/2007; Cass. II, n. 34910/2008; Cass. II, n. 42322/2009), occorre tenere distinto il momento di perfezionamento del reato – che coincide con l'integrazione di tutti gli elementi costitutivi cc.dd. essenziali della fattispecie penale – da quello della consumazione, da individuarsi nel momento in cui l'offesa al bene giuridico tutelato raggiunge la sua massima intensità. 2. Questioni e orientamenti giurisprudenziali
Domanda
Risponde di concorso nel delitto di usura il terzo estraneo all'accordo usurario che si sia limitato a riscuotere gli interessi dalla persona offesa?
Orientamento tradizionale della Corte di Cassazione La riscossione degli interessi usurari costituisce un post factum non punibile rispetto alla conclusione del patto usurario, con esclusione del concorso del terzo riscossore nel delitto di usura L'originaria impostazione seguita dalla Corte di Cassazione in ordine alla natura giuridica del delitto di usura era nel senso di qualificare la fattispecie come reato istantaneo ad effetti permanenti. A tale soluzione conseguiva che i pagamenti successivi alla pattuizione di interessi usurari costituivano post facta non punibili, in quanto semplici effetti di un reato istantaneo consumatosi già con la pattuizione (Cass. II, 1935, Belfiore ; Cass. II, 1984, Perna ; Cass. II, 1988, Mascioli ; Cass. II, 1990, Di Rocco). La condotta del terzo, intervenuta solo successivamente al perfezionamento del patto usurario, che determina la sussistenza del delitto di usura, si colloca, secondo tale impostazione, in un momento successivo al reato. Il soggetto estraneo a tale accordo, che si limiti a riscuotere le somme dovute a titolo di interessi usurari dalla persona offesa non potrebbe apportare alcun contributo utile alla commissione del reato, già perfezionatosi, con conseguente esclusione della sua responsabilità in concorso con l'autore del patto usurario. Orientamento più recente della Corte di Cassazione Il soggetto terzo all'accordo usurario che provveda alla riscossione degli interessi usurari concorre nel delitto di usura A seguito della riforma del reato di usura, intervenuta con legge n. 108/1996, la giurisprudenza di legittimità ha mutato il proprio orientamento in ordine alla natura del delitto di usura, escludendo che si tratti di una fattispecie istantanea ad effetti permanenti. I giudici di legittimità hanno valorizzato, in questo senso, il disposto dell'art. 644-ter c.p., ai sensi del quale «la prescrizione del reato di usura decorre dal giorno dell'ultima riscossione sia degli interessi che del capitale». Secondo la Corte, infatti, alla luce della novella, qualora alla promessa di interessi usurari segua, mediante la rateizzazione degli interessi convenuti, la dazione effettiva di essi, «questa non costituisce un post factum penalmente non punibile, ma fa parte a pieno titolo del fatto lesivo penalmente rilevante e segna, mediante la concreta e reiterata esecuzione dell'originaria pattuizione usuraria, il momento consumativo “sostanziale” del reato, realizzandosi, così, una situazione non necessariamente assimilabile alla categoria del reato eventualmente permanente, ma configurabile secondo il duplice e alternativo schema della fattispecie tipica del reato, che pure mantiene intatta la sua natura unitaria e istantanea, ovvero con riferimento alla struttura dei delitti cosiddetti a condotta frazionata o a consumazione prolungata» (Cass. I, 1998, D'Agata e altri; Cass. II, n. 41045/2005). Di conseguenza, secondo i giudici di legittimità, «colui il quale riceve l'incarico di recuperare il credito usurario e riesce ad ottenerne il pagamento concorre nel reato punito dall'articolo 644 C.P., in quanto con la sua azione volontaria fornisce un contributo causale alla verificazione dell'elemento oggettivo di quel delitto» (Cass. II, n. 41045/2005; Cass. II, n. 1757/2011; Cass. II, n. 40380/2015). Difatti, pur essendosi già perfezionato al momento dell'accordo usurario, il delitto non ha ancora determinato, in tale stadio, la sua massima offesa, aggravata progressivamente da ogni successiva dazione degli interessi pattuiti; nella fase esecutiva dell'accordo, pertanto, ogni condotta causalmente rilevante, che abbia contribuito alla realizzazione dell'offesa – come nel caso della riscossione delle somme – interviene in costanza di delitto ed è quindi destinata ad assumere rilievo sul piano del concorso di persone nel reato, ex art. 110 c.p. 3. Azioni processualiUlteriori attività difensive Per la fattispecie in esame si possono esperire le seguenti ulteriori attività difensive: Memoria difensiva al pubblico ministero (art. 367); Richiesta di riesame di un'ordinanza che applica una misura coercitiva (art. 309); Ricorso per cassazione contro ordinanze cautelari personali (art. 311); Richiesta di riesame di un'ordinanza che applica una misura cautelare reale (artt. 322 e 324); Appello contro un'ordinanza in materia cautelare reale (art. 322-bis); Istanza di revoca del sequestro preventivo al pubblico ministero (art. 321, comma 3); Ricorso per cassazione contro ordinanze cautelari reali (art. 325); Richiesta di scarcerazione per estinzione della misura custodiale (art. 306); Mandato per svolgere attività investigativa preventiva a seguito di un sequestro (artt. 96, 327-bis e art. 391-nonies); Conferimento incarico al consulente tecnico a svolgere investigazioni difensive (art. 327-bis); Memoria difensiva al pubblico ministero (art. 367); Richiesta di presentazione spontanea per rilasciare dichiarazioni (art. 374); Memoria difensiva (art. 419, comma 2); Richiesta di giudizio abbreviato (art. 438, comma 1); Richiesta di perizia (art. 220). ProcedibilitàIl delitto di usura è sempre procedibile d'ufficio. Improcedibilità delle impugnazioni (e prescrizione del reato) Per il delitto di usura, nella sua forma non circostanziata, il termine-base di prescrizione è pari a dieci anni (cfr. art. 157 c.p.), aumentabile, in presenza del sopravvenire di eventi interruttivi, fino ad un massimo di dodici anni e sei mesi (cfr. artt. 160 e 161 c.p.), oltre i periodi di sospensione (cfr. artt. 159 e 161 c.p.). Il termine prescrizionale risente dell'aumento di pena, fino alla metà, determinato dalle circostanze ad effetto speciale di cui al comma 5 dell'art. 644 c.p., con conseguente aumento del termine-base di prescrizione in quello di quindici anni e del relativo termine massimo in diciotto anni e nove mesi (cfr. artt. 160 e 161 c.p.). In merito all'individuazione del dies a quo della prescrizione, l'art. 644-ter c.p. dispone che la prescrizione del reato di usura decorre dal giorno dell'ultima riscossione sia degli interessi che del capitale, con conseguente consumazione prolungata del reato in esame, che coincide con l'ultima dazione di danaro. La Corte di Cassazione ha, al riguardo, precisato che il delitto debba intendersi perfezionato con la mera pattuizione degli interessi o vantaggi usurari, stante la previsione di una condotta alternativa (“si fa dare o promettere”) di cui al comma 1 dell'art. 644 c.p. (Cass. II, n. 11837/2003). A partire dal 1° gennaio 2020 (cfr. art. 2, comma 3, l. n. 134/2021), per tutti i casi di usura costituiscono causa di improcedibilità dell'azione penale ex art. 344-bis c.p.p., la mancata definizione: – del giudizio di appello entro il termine di due anni; – del giudizio di cassazione entro il termine di un anno; salva proroga per un periodo non superiore ad un anno nel giudizio di appello ed a sei mesi nel giudizio di cassazione quando il giudizio d'impugnazione risulta particolarmente complesso in ragione del numero delle parti o del numero o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare; salva sospensione nei casi previsti dall'art. 344-bis, comma 6, c.p.p.; salva diversa modulazione dei predetti termini in applicazione della normativa transitoria (cfr. art. 2, commi 4 e 5, l. n. 134/2021). Misure precautelari e cautelari Arresto e fermo Con riguardo al delitto si usura, comunque circostanziato: – è consentito l'arresto facoltativo in flagranza di reato (art. 380 c.p.p.); – è consentito il fermo (art. 384 c.p.p.). Misure cautelari personali Il delitto di usura, punito con la pena detentiva della reclusione da due a dieci anni, consente l'applicazione di misure cautelari coercitive (artt. 281-286-bis c.p.p.), riservate ai soli delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni; in caso di delitto di usura è applicabile anche la misura della custodia cautelare in carcere, poiché l'art. 280, comma 2, c.p.p. consente l'applicazione della predetta misura ai soli delitti per i quali la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni. Competenza, forme di citazione a giudizio e composizione del tribunale Competenza Per il delitto di usura è competente per materia il tribunale (cfr. art. 6 c.p.p.), che decide in composizione collegiale (art. 33-bis, lett. c), c.p.p.). Citazione a giudizio Per il delitto di usura si procede con udienza preliminare. Composizione del tribunale Il processo per il delitto di usura si svolgerà sempre dinanzi al tribunale in composizione collegiale, ai sensi dell'art. 33-bis, lett. c), c.p.p. 4. ConclusioniL'evoluzione che si è registrata in giurisprudenza in ordine alla qualificazione del delitto di usura quale reato a consumazione prolungata o frazionata ha determinato, quale principale corollario, l'estensione temporale della condotta criminosa fino al momento dell'ultima dazione di interessi. Tale impostazione consente dunque di assegnare rilevanza, a titolo di concorso nel reato, a tutte le condotte intervenute fino a tale momento, quand'anche poste in essere da soggetti estranei all'accordo usurario, purché tuttavia agiscano nella consapevolezza di ricevere interessi usurari. Il prolungarsi della consumazione del reato successivamente all'accordo originario determina inoltre la possibilità di applicare al delitto l'eventuale normativa sfavorevole intanto sopravvenuta. Ogni successiva dazione di interessi, volontariamente ricevuta dall'autore della condotta originaria di usura, in proprio ovvero in concorso con il terzo riscossore, determina infatti uno spostamento in avanti della consumazione del reato, sicché la norma penale sfavorevole intervenuta nelle more non potrà considerarsi sopravvenuta al fatto. Manca invece una disciplina espressa dell'individuazione del locus commissi delicti del reato, che tuttavia può desumersi per analogia dal disposto del comma 3 dell'art. 8 c.p.p. La disposizione citata prevede infatti che «Se si tratta di reato permanente, è competente il giudice del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione». La ratio della norma va individuata nell'esigenza di evitare che il reo possa scegliere il luogo in cui sarà perseguito per il reato commesso, incardinando la competenza territoriale in quello ove ha avuto origine la condotta criminosa. Pur non trattandosi di un reato permanente, il delitto di usura presenta le medesime esigenze sottese all'art. 8, comma 3, c.p.p., con conseguente possibilità di ravvisare una eadem ratio e fare applicazione analogia della norma. |