IMU (ex ICI): questioni processuali ricorrenti

Domenico Chindemi
05 Maggio 2023

Vengono evidenziate le principali questioni processuali che vengono proposte nei giudizi in tema di ICI e le soluzioni offerte dalla giurisprudenza. Tra le eccezioni sostanziali ricorrenti vengono esaminati: mancanza di motivazione dell'atto impositivo, l'obbligo di preventiva denuncia, la necessarietà della denuncia di variazione e con riferimento alle sanzioni, il cumulo giuridico, l'asserita illegittimità della riscossione affidata a concessionari, la riscossione frazionata.
Motivazione atto impositivo

In tema di ICI, l'obbligo di allegazione all'atto impositivo, o di riproduzione al suo interno, di ogni altro atto dal primo richiamato, previsto dall'art. 7 della Legge 27 luglio 2000 n. 212, avendo la funzione di rendere comprensibili le ragioni della decisione, riguarda i soli atti necessari per sostenere quelle ragioni intese in senso ampio, non limitate cioè alle considerazioni di diritto, ma comprensive anche dei presupposti di fatto, per cui sono esclusi dall'obbligo dell'allegazione gli atti irrilevanti a tal fine e gli atti (quelli a contenuto normativo, anche se secondario, quali le delibere o i regolamenti comunali) giuridicamente noti per effetto ed in conseguenza dell'avvenuto espletamento delle formalità di legge relative alla loro pubblicazione (tra le tante: Cass., Sez. V, 17 ottobre 2008, n. 25731; Cass., Sez. V, 25 luglio 2012, n. 13105; Cass., Sez. VI-V, 3 novembre 2016, n. 22254; Cass., Sez. V, 21 novembre 2018, n. 30052; Cass., Sez. V, 16 luglio 2019, nn. 18989 e 18991; Cass., Sez. V, 4 novembre 2020, nn. 24536 e 24537; Cass., Sez. V, 21 gennaio 2021, n. 1177).

Per la motivazione degli avvisi di accertamento, l'obbligo dell'amministrazione finanziaria di allegare gli atti menzionati nell'avviso di accertamento (ex art. 7 della Legge 27 luglio 2000, n. 212) va inteso in necessaria correlazione con la finalità "integrativa" delle ragioni che, per l'amministrazione emittente, sorreggono l'atto impositivo, secondo quanto dispone l'art. 3, comma 3, della Legge 7 agosto 1990 n. 241, considerato che il contribuente ha diritto di conoscere tutti gli atti il cui contenuto viene richiamato per integrare tale motivazione, ma non il diritto di conoscere il contenuto di tutti quegli atti cui si faccia rinvio nell'atto impositivo, e soltanto perché ad essi si operi un riferimento, ove la motivazione sia già sufficiente (e il richiamo ad altri atti abbia, pertanto, mero valore "narrativo"), oppure se, comunque, il contenuto di tali ulteriori atti (almeno nella parte rilevante ai fini della motivazione dell'atto impositivo) sia già riportato nell'atto noto. Peraltro, in caso di impugnazione dell'avviso di accertamento sotto tale profilo, non basta che il contribuente dimostri l'esistenza di atti a lui sconosciuti cui l'atto impositivo faccia riferimento, occorrendo la prova che almeno una parte del contenuto di quegli atti, non riportata nell'atto impositivo, sia necessaria ad integrarne la motivazione (ex multis: Cass., Sez. V, 15 settembre 2017, nn. 21401 e 21402; Cass., Sez. V, 27 luglio 2018, n. 19950; Cass., Sez. V, 3 dicembre 2019, n. 31467; Cass., Sez. V, 9 luglio 2020, n. 14579; Cass., Sez. V, 19 novembre 2021, nn. 35640 e 35643).

Spesso la relativa eccezione viene disattesa in quanto il contribuente ha dimostrato, con la proposizione del ricorso introduttivo del giudizio, di avere avuto piena conoscenza dei presupposti dell'atto impositivo, dei quali puntualmente ha contestato la fondatezza, senza pregiudizio per il diritto di difesa.

Legittimazione ad impugnare

Gli atti attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati hanno rilievo giuridico nei soli confronti dei soggetti intestatari della relativa partita, come desumibile dall'art. 74 della l. n. 342/2000, che prevede la notificazione dei summenzionati atti esclusivamente nei confronti di tali soggetti ai fini della decorrenza della relativa efficacia.

Conseguentemente, la legittimazione all'impugnazione del provvedimento di attribuzione della rendita catastale ad un immobile spetta esclusivamente all'intestatario della partita.

Né a diversa conclusione può condurre la circostanza che in determinate circostanze, espressamente previste dall'art. 3, comma 2, del d.lgs n. 504/1992, tale soggetto non coincida con il soggetto passivo dell'imposta, atteso che quest'ultimo ha un interesse di mero fatto a contestare il classamento e l'attribuzione della rendita sulla cui base viene calcolata l'ICI.

Notifica a mezzo posta

A seguito dell'abrogazione dell'art. 11, comma 1, d.lgs. 504/1992 per effetto della l. n. 296/2006, il regime applicabile alla notifica dei tributi locali non è mutato, atteso che l'art. 1, comma 161, l. n. 296/2006 ha confermato la possibilità di procedere alla notifica a mezzo posta mediante raccomandata A/R, in tema di ICI, per la notifica degli avvisi di accertamento e di liquidazione.

L'art. 1, comma 161, della legge 296/2006 prevede che gli enti locali, relativamente ai tributi di propria competenza, procedono alla rettifica delle dichiarazioni incomplete o infedeli o dei parziali o ritardati versamenti, nonché all'accertamento d'ufficio delle omesse dichiarazioni o degli omessi versamenti, notificando al contribuente, anche a mezzo posta con raccomandata con avviso di ricevimento, un apposito avviso motivato. Nel caso l'ente territoriale opti per la notifica a mezzo posta deve, conseguentemente, escludersi l'applicabilità degli artt. 137 e seguenti c.p.c., atteso l'indiscutibile tenore letterale della norma speciale.

Va anche rilevato che, in caso di notificazione a mezzo del servizio postale, la mancata apposizione della relata di notifica sull'originale o sulla copia consegnata al destinatario, ai sensi dell'art. 3 della legge n. 890/1982, comporta, non l'inesistenza, ma la mera irregolarità della notificazione, atteso che la fase essenziale del procedimento notificatorio è costituita dall'attività dell'agente postale, mentre quella dell'ufficiale giudiziario (o di colui che sia autorizzato ad avvalersi di tale mezzo di notifica) ha il solo scopo di fornire al richiedente la notifica la prova dell'avvenuta spedizione e l'indicazione dell'ufficio postale al quale è stato consegnato il plico; conseguentemente, qualora sia allegato l'avviso di ricevimento ritualmente completato, l'omessa apposizione della relata integra un semplice vizio, che non può essere fatto valere dal destinatario, non essendo tale adempimento previsto nel suo interesse (Cass. n. 9493 del 22/04/2009; Cass. n. 12010 del 22/05/2006; Cass., SS.UU., n. 7821 del 19/07/1995 ).

Non è richiesta, poi, nella notifica a mezzo del servizio postale, l'indicazione delle generalità del messo responsabile della procedura notificatoria, il numero del registro cronologico ed il sigillo dell'ufficio incaricato delle notificazioni, essendo richiesto il mero invio di raccomandata con ricevuta di ritorno da parte dell'ufficio e la sottoscrizione del destinatario sulla cartolina di ricevimento.

Già l'abrogato art. 11 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 prevedeva il ricorso al servizio postale, con invio di lettera raccomandata con avviso di ricevimento. Il legislatore quando ha voluto che le notificazioni, in materia tributaria, fossero eseguite ai sensi degli artt. 137 e seguenti c.p.c., lo ha espresso in modo chiaro (Cass. Sez. V, n. 21309/2010; Cass. Sez. V, n. 270/2012); ne consegue che la facoltà di provvedere direttamente alla notifica degli atti al contribuente mediante spedizione a mezzo del servizio postale consente di avvalersi di una modalità di notificazione semplificata, alla quale, pertanto, non si applicano le disposizioni della l. n. 890/1982 concernenti le sole notificazioni effettuate a mezzo posta tramite gli ufficiali giudiziali (Sez. V, n. 9111/2012).

Sospensione necessaria del giudizio

Tra la controversia che oppone il contribuente all'Agenzia del territorio in ordine all'impugnazione della rendita catastale attribuita ad un immobile e la controversia, che oppone lo stesso contribuente al Comune, avente ad oggetto l'impugnazione della liquidazione dell'ICI gravante sull'immobile cui sia stata attribuita la rendita contestata, sussiste un rapporto di pregiudizialità che impone la sospensione del secondo giudizio, ai sensi dell'art. 295 c.p.c., fino alla definizione del primo con autorità di giudicato, in quanto la decisione sulla determinazione della rendita si riflette necessariamente, condizionandola, sulla decisione sulla liquidazione dell'imposta (cfr. Cass. nn. 421/14, 13082/06, 26380/06, 9203/07).

Litisconsorzio tra coeredi

In caso di successione mortis causa di una pluralità di eredi nel lato passivo del rapporto obbligatorio, ed azione per il pagamento di un debito ereditario, il debito del de cuius si fraziona "pro quota" tra gli aventi causa, sicché il rapporto che ne deriva non è unico e inscindibile e, in caso di giudizio instaurato per il pagamento del debito ereditario, non sussiste, neppure sotto il profilo della dipendenza di cause, litisconsorzio necessario tra gli eredi del defunto, né in primo grado, né nella fase di gravame (Cass. Sez. 6 - 2, n. 8487 del 29/04/2016).

Infatti, in tema di responsabilità per i debiti ereditari tributari, in mancanza di norme speciali che vi deroghino, si applica la disciplina comune di cui agli artt. 752 e 1295 c.c., in base alla quale gli eredi rispondono dei debiti in proporzione delle loro rispettive quote ereditarie, dovendosi escludendo l'applicabilità dell'art. 65 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, che prevede la responsabilità solidale dei coeredi soltanto relativamente ai debiti del de cuius per il mancato pagamento delle imposte sui redditi, dell'art. 36 del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, che stabilisce la solidarietà dei coeredi con riferimento alla sola imposta di successione. (Cass. Sez. 5, n. 22426 del 22/10/2014).

Il coerede convenuto per il pagamento di un debito ereditario ha, comunque, l'onere di indicare al creditore questa sua condizione di coobbligato passivo, entro i limiti della propria quota, con la conseguenza che, integrando tale dichiarazione gli estremi dell'istituto processuale della eccezione propria, la sua mancata proposizione consente al creditore di chiedere legittimamente il pagamento per l'intero. (Cass. Sez. 3, n. 15592 del 12/07/2007).

Legittimazione concessionario di area demaniale

Superando la precedente normativa e interpretazione giurisprudenziale secondo cui il provvedimento amministrativo di concessione ad aedificandum su un area demaniale poteva in astratto dare luogo sia ad un diritto di natura reale, riconducibile alla proprietà superficiaria, sia ad un diritto di natura personale, l'art. 18 della l. n. 388/2000, modificando l'art. 3, comma 2, del d.lgs. n. 504/1992 ha esteso la soggettività passiva dell'imposta ai concessionari di aree demaniali precedentemente non soggetti all'imposta.

Riconosciuta, infatti, dall'art. 18 cit. la soggettività d'imposta del concessionario, la questione se il diritto in capo al concessionario dipenda da concessione ad effetti reali o ad effetti obbligatori diventa irrilevante, in quanto il diritto in capo al concessionario è sempre tassabile ai fini ICI, proprio perché il concessionario è divenuto soggetto di imposta. Si può, pertanto, affermare che la individuazione legislativa del concessionario quale soggetto d'imposta a norma del predetto art. 18, a datare dalla data di applicabilità della nuova disciplina, rende il concessionario obbligato non solo sostanziale ma anche formale, senza più necessità di accertare se la concessione che gli attribuiva il diritto di costruire immobili sul demanio avesse effetti reali (con la conseguenza della tassabilità degli immobili ai fini ICI in capo al concessionario) o obbligatori (con la diversa conseguenza della intassabilità).

Giudicato esterno

Le sentenze con le quali si accertano il contenuto e l'entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d'imposta fanno stato con riferimento alle imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi solo per quanto attengono a quegli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi di imposta (ad es. le qualificazioni giuridiche preliminari all'applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumono carattere tendenzialmente permanente, mentre non possono avere alcuna efficacia vincolante quando l'accertamento relativo ai diversi anni si fondi su presupposti di fatto potenzialmente mutevoli (Cass. n. 20029/2011 e Cass. n. 18907/2011).

In materia tributaria, il giudicato relativo ad un singolo periodo di imposta è idoneo a far stato in periodi successivi o antecedenti, limitatamente a situazioni relative a “qualificazioni giuridiche” o ad altri eventuali “elementi preliminari” rispetto ai quali possa dirsi sussistente un interesse protetto avente carattere di durevolezza nel tempo, non estendendosi detto vincolo a tutti i punti che costituiscono antecedente logico della decisione, ed in particolare alla valutazione delle prove ed alla ricostruzione dei fatti (Cass. n. 13897/2008; Cass. n. 13079/2012, Cass. n. 14610/2016).

Con specifico riferimento all'ICI ed alle relative agevolazioni, si è affermato che “il giudicato esterno, formatosi tra le stesse parti, relativamente alla qualità d'imprenditore agricolo del contribuente, così consentendogli di beneficiare della prevista agevolazione, investe un elemento costitutivo della fattispecie a carattere tendenzialmente permanente e comune ai vari periodi di imposta, sicché i suoi effetti si estendono, con riguardo al tributo riferito al medesimo bene, alle altre annualità, cronologicamente ed immediatamente successive, dovendosi presumere anche per esse, salvo prova contraria, la sussistenza della medesima qualità” (Cass. n. 23032/2015).

Se i presupposti dell'agevolazione fanno riferimento agli elementi costitutivi della fattispecie, quale la qualifica di coltivatore diretto, accertata da un giudicato formatosi in un altro giudizio, tendenzialmente permanente e comune ai vari periodi di imposta, può trovare applicazione il giudicato esterno su tale circostanza.

Obbligo di denuncia

La normativa ICI collega la titolarità passiva dell'imposta direttamente al proprietario, o ai titolari di altri diritti reali, e su costoro, quindi, grava l'onere della prova diretta all'esenzione dal pagamento dell'imposta e cioè la carenza del possesso che costituisce una condizione di fatto.

Si è affermato che «pur se il catasto è preordinato a fini essenzialmente fiscali, il diritto di proprietà, al pari degli altri diritti reali, non può - in assenza di altri e più qualificanti elementi ed in considerazione del rigore formale prescritto per tali diritti - essere provato in base alla mera annotazione di dati nei registri catastali, che hanno in concrete circostanze soltanto il valore di semplici indizi. Tuttavia, l'intestazione di un immobile ad un determinato soggetto fa sorgere comunque una presunzione de facto sulla veridicità di tali risultanze» (Cass. n. 14420/2010) ponendo a carico del contribuente l'onere di fornire la prova contraria.

Il Comune, una volta rilevata dalle risultanze catastali la titolarità dell'immobile in capo ad un soggetto, può chiedere al medesimo il pagamento dell'imposta, ove il contribuente non vinca il valore indiziario dei dati contenuti nei registri catastali, dando adeguata dimostrazione di quanto diversamente sostenuto al riguardo; non risulta, diversamente superata la presunzione di veridicità delle risultanze catastali.

Nella ipotesi di immobile inagibile, inabitabile e comunque di fatto inutilizzato, l'imposta va ridotta al 50 per cento, ai sensi del d.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 8, comma 1, e qualora dette condizioni di inagibilità o inabitabilità - accertabili dall'ente locale o comunque autocertificabili dal contribuente - permangano per l'intero anno, il trattamento agevolato deve estendersi a tutto il relativo arco temporale, nonché per i periodi successivi, ove sussistano le medesime condizioni di fatto» (Cass. n. 12015/2015; Cass. n. 13230/2005).

Lo stato di inagibilità o inabitabilità e, comunque, la inutilizzazione di fatto per mancanza di funzionalità dell'immobile che esclude il pagamento dell'ICI in misura integrale può ritenersi esistente anche se il contribuente non ha presentato richiesta di usufruire del beneficio della riduzione del 50% prevista dal D.Lgs. n. 504/1992, art. 8, comma 1, essendo sufficiente, a sostegno della pretesa riduzione dell'imposta, anche in sede giudiziale, la produzione di idonea documentazione.

Vi è, invece, contrasto di giurisprudenza sulla necessità della denuncia di variazione.

Secondo un primo orientamento la disciplina prevista per l'omessa presentazione della denuncia di variazione dell'area ai fini ICI di cui al D.Lgs. n. 504/1992, art. 10, comma 4, deve trovare applicazione anche quando il Comune abbia acquisito una precedente conoscenza "di fatto" della modificazione dell'area" (Cass. n. 15235/2012).

Nel caso di costruzione preesistente, demolita e poi ricostruita trova applicazione l'art. 5 comma sesto del d.lgs. 504/1992 (che riferisce la base imponibile ai fini Ici al valore dell'area e non alla rendita catastale) a condizione che sia stata presentata dal contribuente specifica istanza al riguardo all'Agenzia del territorio, all'inizio o nel corso della demolizione e fino all'ultimazione del nuovo edificio.

In forza di tale orientamento «l'obbligo, posto dall' art. 10, comma 4, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, di denunciare il possesso ovvero di dichiarare le variazioni degli immobili dichiarati incidenti sulla determinazione dell'imposta, non cessa allo scadere del termine fissato dal legislatore con riferimento all' "inizio" del possesso (e per gli immobili posseduti al primo gennaio 1993, con la scadenza del "termine di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all' anno 1992"), ma permane finché la dichiarazione (o la denuncia di variazione) non sia presentata, e l'inosservanza determina, per ciascun anno di imposta, un'autonoma violazione punibile ai sensi del comma 1 dell'art. 14 dello stesso decreto» (Cass. n. 932 del 2009, n. 8849/2010). La S.C. ha, poi chiarito che : “poiché la presentazione della dichiarazione produce effetto (in mancanza di variazioni) anche per gli anni successivi e tale effetto può ovviamente verificarsi solo in presenza e non in assenza di una dichiarazione, la violazione del relativo obbligo non ha natura istantanea e non si esaurisce con la mera violazione del primo termine fissato dal legislatore, sicché, ove la dichiarazione sia stata omessa in relazione ad un'annualità d'imposta, l'obbligo non viene meno in relazione all'annualità successiva ed ogni annualità deve essere sanzionata ex art. 14, comma 1” (Cass. n. 14399 del 2017). Ferma restando l'applicabilità delle sanzioni per ciascuna annualità di protrazione dell'omessa denuncia, e fino a regolare adempimento, va riconosciuta - trattandosi di violazione della stessa indole ed ascrivibile ad una medesima reiterata condotta - la continuazione, applicabile pure in materia di Ici.

Si è in proposito stabilito che “In tema d'ICI, l'omessa denuncia dell'immobile deve essere sanzionata per tutte le annualità per cui si protrae in quanto, ai sensi dell'art. 10, comma 1, del d.lgs n. 504/1992, a ciascuno degli anni solari corrisponde un'autonoma obbligazione che rimane inadempiuta non solo per il versamento dell'imposta ma anche per l'adempimento dichiarativo, fermo restando che, trattandosi di violazioni della stessa indole commesse in periodi d'imposta diversi, si applica la sanzione base aumentata dalla metà al triplo, secondo l'istituto della continuazione ex art. 12, comma 5, del d. lgs. n. 472/1997”. (Cass.n. 18230/16).

Altro orientamento ritiene non necessaria la richiesta del contribuente poiché, tenuto conto del principio di collaborazione e buona fede che deve improntare i rapporti tra ente impositore e contribuente, a quest'ultimo non può essere chiesta la prova di fatti già documentalmente noti al Comune (Cass. sez. V, 10/6/2015, n. 12015; Cass. n. 13822/2018; Cass. n. 28541/2019, in motiv., per le ipotesi di inagibilità dell'edificio).

Peraltro, deve trattarsi di documentazione che consenta una adeguata conoscenza in capo all'Ente locale; ad esempio, dal mero rilascio della concessione edilizia e dalla dichiarazione di inizio lavori non si può evincere l'epoca della completa demolizione del fabbricato, né tali comunicazioni possono costituire prova della conoscenza dello stato dell'immobile e dell'area (Cass. n. 7982/2019).

Con la legge finanziaria per il 2002, infatti, con un obiettivo di semplificazione dell'attività dei contribuenti, l'obbligo di presentare la denuncia di variazione Ici è stato abolito. e ripristinato, relativamente a taluni atti, sono con d.l. n. 223/2006.

L'art. 37, comma 53, del d.l. n. 223/2006, convertito nella legge n. 248/2006, successivamente, ha previsto che “Resta fermo l'obbligo di presentazione della dichiarazione nei casi in cui gli elementi rilevanti ai fini dell'imposta dipendano da atti per i quali non sono applicabili le procedure telematiche previste dall'art. 3-bis del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 463, concernente la disciplina del modello unico informatico”.

Con successivo Decreto del Ministero dell'Economia del 12/05/2009 è stato approvato il modello di dichiarazione agli effetti ICI che deve essere utilizzato in tutti gli altri casi in cui gli elementi rilevanti ai fini dell'imposta comunale sugli immobili non sono acquisibili da parte dei comuni attraverso la consultazione della banca dati catastale (art. 1, comma 2, del decreto 12/05/2009). Tra gli elementi da dichiarare, secondo il modello allegato al decreto citato, non è previsto il valore di mercato delle aree fabbricabili, perché gli eventuali atti di vendita sono conosciuti dal Comune, preventivamente, al momento della richiesta del certificato di destinazione urbanistica da allegare al contratto di vendita e, successivamente, al momento della trascrizione dell'atto presso la Conservatoria immobiliare, trasmesso con il modello unico informatico in cui il Comune ha libero accesso.

La variazione del valore di mercato delle aree fabbricabili, pertanto, non deve essere oggetto di dichiarazione al Comune, essendo relativa a dati che l'ente locale può agevolmente prelevare dall'Anagrafe tributaria (Banca dati catastale).

Peraltro, la variazione del valore di mercato può essere accertata sulla base di dati che potrebbero anche non essere conosciuti dal contribuente, come, per esempio, le compravendite di immobili di proprietà di terzi.

Riscossione affidata a concessionari e legittimazione processuale

A seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, che disciplina la potestà regolamentare delle Province e dei Comuni in materia di entrate, anche tributarie ed, in particolare, dell'art. 52, comma 5, sono stati dettati, tra l'altro, i criteri cui devono essere informati i regolamenti per l'accertamento e la riscossione dei tributi locali prevedendo espressamente alle lett. b)1) e b)2) le categorie di soggetti terzi cui, su base convenzionale, l'ente locale può trasferire il relativo potere.

Qualora il Comune, in applicazione del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 52 che regola la potestà regolamentare generale - affidi (ritenendo ciò "più conveniente sotto il profilo economico o funzionale") il servizio di accertamento e riscossione delle imposte locali, mediante apposita convenzione, ai soggetti terzi indicati nelle norme suddette, il potere di accertamento del tributo spetta al soggetto concessionario e non al Comune (Cass. n. 15079/2004; Cass. n. 6772 e 20852/2010).

In tale materia, dunque, al Comune spetta in via esclusiva la potestà impositiva, che si esprime nella determinazione dell'an e del quantum della tariffa, mentre al soggetto terzo affidatario del servizio, in forza di specifica convenzione, può essere affidata per intero l'attività di gestione e di recupero del tributo sicché il potere attribuito al gestore può estendersi, oltre i limiti del ruolo di mero adiectus solutionis causa ex art. 1188 c.c., anche all'attività di emissione degli avvisi di accertamento.

La S.C. ha già avuto occasione di chiarire che «In tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), qualora il Comune, in applicazione dell'art. 52 d.lgs. 15 dicembre 1997 n. 446, che regola la potestà regolamentare generale delle Province e dei Comuni in materia di entrate, anche tributarie, affidi il servizio di accertamento e riscossione della tassa, mediante apposita convenzione, ai soggetti terzi indicati nella suddetta norma, il potere di accertamento del tributo spetta non già al Comune, ma al soggetto concessionario, al quale è pertanto attribuita anche la legittimazione processuale per le relative controversie, la cui sopravvenienza nel corso del giudizio gli attribuisce i poteri di intervento e di autonoma impugnazione previsti dall'art. 111 c.p.c.» (Cass. sez. trib. n. 20852 del 2010; Cass. sez. trib. n. 6772/2010).

Richiesta di riscossione frazionata

In tema di contenzioso tributario, la disposizione di cui al comma 1 dell'art. 68 del d.lgs. n. 546/1992, riguardante il pagamento dei tributi in pendenza del processo, facendo riferimento ai soli "casi in cui è prevista la riscossione frazionata del tributo", non si applica a quella concernente l'imposta comunale sugli immobili (ICI), in quanto per tale tributo il pagamento frazionato, già previsto dall'art. 15 del d.P.R. n. 602/1973 (poi abrogato dall'art. 37 del d.lgs. n. 46/1999) per altri tipi d'imposta, non trova applicazione (Cass. n. 15473/2010; Cass. n. 7831/2010; Cass. n. 19015/2015; Cass. n. 8554/2016, in motiv.; Cass. n. 22495 e n. 22494/2017, in motiv.).

Atto impositivo firmato a stampa

In materia di formazione degli atti amministrativi informatici, la disposizione di cui all'art. 3 del d.Lgs. n. 39/1993 ha una formulazione della massima ampiezza, cosicché le relative disposizioni sono applicabili a tutti i provvedimenti dei quali sia effettivamente configurabile una formazione con tecniche informatiche automatizzate - e cioè quando il tenore del provvedimento dipende da precisi presupposti di fatto e non sussiste l'esercizio di un potere discrezionale - dovendosi pertanto ritenere che la sostituzione della firma autografa con la mera indicazione del nominativo del responsabile sia ammessa tanto per i provvedimenti della fase esattiva che per quelli inerenti la fase impositiva (Cass. n. 15448 del 15/10/2003).

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