Mutuo contratto per l’acquisto dell’azienda e applicabilità degli artt. 2558 e 2560 c.c.
07 Giugno 2023
Massima Sia l'art. 2558 sia l'art. 2560 c.c., riguardano l'esercizio dinamico dell'impresa. Il finanziamento erogato al fine di consentire al mutuatario, contestualmente alla stipulazione del contratto di finanziamento, l'acquisto di una azienda, esula da quest'ambito, inerendo all'attività finalizzata all'organizzazione dell'impresa, e pertanto è estraneo alla sfera di applicazione degli artt. 2558 e 2560 c.c. in tema di successione nei contratti e nei debiti da essi scaturenti. Il caso Una società di sub-servicing chiede, quale sub-mandataria e sub-servicer di altro soggetto (a propria volta mandatario e servicer del titolare del credito), l'ammissione al passivo di un fallimento per l'importo del credito erogato al mutuatario per consentirgli di acquistare una azienda, successivamente ceduta ad altra società, anch'essa fallita. Il Tribunale respinge l'istanza, e successivamente anche l'opposizione, escludendo l'applicabilità dell'art. 2558 c.c., poiché la prestazione contrattualmente dedotta (cioè la corresponsione della somma oggetto del finanziamento) era stata integralmente eseguita; e, per altro verso, escludendo altresì l'applicabilità dell'art. 2560 c.c., poiché il debito di restituzione della somma finanziata non è inerente all'esercizio dell'azienda, ma funzionale all'acquisto dell'azienda stessa, e quindi atto prodromico irrilevante ai fini del fenomeno successorio disciplinato dall'art. 2560 c.c. Avverso il provvedimento hanno proposto ricorso principale il titolare del credito e il servicer. La questione La questione in esame è la seguente: in ipotesi di un contratto di finanziamento stipulato al fine di acquistare una azienda (che venga, effettivamente, acquistata contestualmente alla stipulazione del contratto di finanziamento, e alla erogazione del finanziamento stesso), siamo di fronte a un contratto e a un debito ricadenti nel fenomeno successorio disciplinato dagli artt. 2558 e 2560 c.c.? Oppure, al contrario, siamo di fronte a una ipotesi non ricadente nell'ambito applicativo delle predette previsioni? Le soluzioni giuridiche La pronuncia in esame risulta assai interessante e particolarmente preziosa sotto il profilo applicativo. Al vaglio della Suprema Corte vengono, in realtà, sottoposte due distinte questioni (l'applicabilità alla fattispecie dell'art. 2558 c.c. e dell'art. 2560 c.c.), entrambe esaminate (quantomeno implicitamente) nel merito, ancorché la Corte individui un'ulteriore e assorbente ragione di inapplicabilità delle due previsioni al caso di specie, e cioè l'esclusione del contratto in esame dal novero dei contratti inerenti l'esercizio dell'azienda. Ma andiamo con ordine. La Suprema Corte implicitamente conferma, seguendo un consolidato orientamento giurisprudenziale, che il regime fissato dall'art. 2560 c. 2 c.c. si applica ai debiti in sé soli considerati, e non anche quando i debiti si ricolleghino a posizioni contrattuali non ancora definite, in cui il cessionario sia subentrato a norma dell'art. 2558 c.c. (Cass. 16 giugno 2004 n. 11318). Considerazione che, evidentemente, porta alla conclusione che, nel caso di specie, la norma in questione risulti inapplicabile. Quanto all'esaurimento del rapporto contrattuale, la posizione della Cassazione è netta nel confermare l'inapplicabilità alla fattispecie dell'art. 2558 c.c. “in quanto una delle prestazioni scaturenti dal contratto del quale di discute, ossia quella dell'odierna ricorrente, è stata integralmente eseguita”. La Corte conferma il consolidato orientamento secondo cui la nozione di “esaurimento del rapporto contrattuale” vada riferita alla fonte del credito, riprendendo la storica sentenza Cass. 3 ottobre 2011 n. 20154, in cui la Suprema Corte aveva statuito che “La linea di demarcazione fra contratti esauriti e non esauriti va posta con riferimento alla funzionalità del contratto all'esercizio dell'attività connessa all'acquisto dell'azienda”. In applicazione di tale principio, la Corte aveva statuito (sempre in Cass. 3 ottobre 2011 n. 20154) che la pendenza di una controversia sulle obbligazioni derivanti dal contratto, e rimaste inadempiute, non implicherebbe che il rapporto contrattuale sia ancora in atto, come nel caso in cui la conclusione del contratto ha lasciato in capo alle parti, o a una di esse, delle ragioni di credito; mentre, in ipotesi in cui residuino domande di esatto adempimento, di garanzia per vizi o di risoluzione per inadempimento (in tal senso: Cass. 21 ottobre 2019 n. 26808, Cass. 30 marzo 2018 n. 8055, Cass. 11 agosto 1990 n. 8219), l'esaurimento del rapporto contrattuale si avrebbe solo alla completa definizione del relativo contenzioso, “con la conseguenza” – così testualmente Cass. 21 ottobre 2019 n. 26808 – “che il cessionario dell'azienda assume la posizione di successore e titolo particolare nel diritto controverso, ai sensi ed agli effetti dell'art. 111 c.p.c.”. Tuttavia, prosegue la Suprema Corte, tali questioni sono irrilevanti ai fini della decisione, perché il contratto di cui si discute non è inerente all'esercizio dell'azienda. Riprendendo l'orientamento che traccia una netta distinzione tra gli atti di organizzazione, e gli atti dell'organizzazione, la Corte conferma che la titolarità statica dell'azienda si distingue rispetto all'esercizio dinamico dell'impresa (v. Cass. 11 marzo 2019 n. 6968, Cass. 26 settembre 2018 n. 23157, che ribadiscono l'assunzione della qualifica di imprenditore, ai fini civilistici, anche in caso di titolarità del compendio aziendale e di un numero di partita IVA, solo in conseguenza dell'esercizio effettivo dell'attività); al punto che, in un precedente arresto giurisprudenziale (Cass. 4 giugno 1997 n. 4986), la Suprema Corte aveva già ammesso la possibilità, in un caso di pluralità di contitolari dell'azienda, che solo uno di essi assuma l'effettiva gestione dell'attività commerciale, e la correlativa veste imprenditoriale, e che gli altri restino estranei alla gestione aziendale, potendo limitarsi a conservare “staticamente” il diritto dominicale spettante pro quota sui beni aziendali. Allo stesso tempo, anche l'assenza di un apparato aziendale non è in sé decisiva al fine di poter escludere l'esercizio dell'attività aziendale, ravvisando - nel caso del mercante d'arte che acquisti, per la rivendita, numerose opere d'arte, e svolga attività promozionali - l'effettivo esercizio dell'attività d'impresa anche nel compimento di atti preparatori, purché permettano di individuare l'oggetto dell'attività e il suo carattere commerciale (Cass. 13 agosto 2004 n. 15769). Definiti i contorni dell'attività che possa definirsi “attività di impresa”, la sentenza in commento definisce individua i contratti d'azienda in quelli “aventi ad oggetto il godimento di beni aziendali non appartenenti all'imprenditore e da lui acquisiti per lo svolgimento dell'attività imprenditoriale”, nonché in “quelli d'impresa, i quali, pur non avendo ad oggetto beni aziendali, comunque attengono all'organizzazione dell'impresa, come nei casi, in via esemplificativa, dei contratti di somministrazione, dei contratti di assicurazione e di quelli di appalto (in termini, fra le più recenti, Cass. 11 giugno 2018 n. 15065)”. In definitiva, la sentenza in commento ribadisce la netta distinzione tra attività organizzativa (prodromica all'attività di impresa, ed evidentemente estranea, - sotto il profilo funzionale – all'attività di impresa) e l'attività di produzione organizzata (che – sotto il profilo funzionale – costituisce l'essenza della attività di impresa), confermando che, in caso di cessione di azienda, “gli obblighi che si trasferiscono in capo all'acquirente sono quelli che il venditore si è assunto in quanto imprenditore (Cass. 12 aprile 2001 n. 5495)”, e concludendo che l'art. 2558 c.c. non è applicabile alla fattispecie in quanto il contratto di mutuo in esame non può dirsi inerente all'esercizio dell'azienda, perché è volto all'acquisizione di essa. Principio di diritto da cui discendono rilevanti conseguenze di natura processuale e probatoria. Spetta infatti a chi invochi la responsabilità solidale del cedente l'onere di provare che il contratto da cui origini il debito di cui si chiede il pagamento risulti ancora ineseguito, e sia effettivamente qualificabile come contratto attinente all'attività di impresa, in quanto “funzionalmente dedicato” all'attività di impresa. Il provvedimento in esame risulta assai importante, soprattutto sotto il profilo pratico, per la grande chiarezza espositiva e per avere preso posizione in modo netto su alcune questioni dai risvolti applicativi sovente spinosi, e rappresenta un utile riferimento per quanti con il tema della responsabilità solidale e sussidiaria del cedente di azienda debbono confrontarsi tanto in chiave “prognostica”, per redigere le clausole contrattuali relative al passaggio di debiti e crediti dell'azienda ceduta, tanto in chiave “patologica”, quando si è chiamati a difendersi in giudizio in azioni quasi sempre avviate parecchi anni dopo i fatti e quasi sempre nel contesto di una procedura fallimentare. La decisione ripropone in termini chiari e cogenti:
In una prospettiva applicativa, il provvedimento in commento potrà costituire senz'altro un valido riferimento nella fase preparatoria e preliminare (ad esempio, nella fase di due diligence che solitamente prelude all'acquisto di un'azienda), per “catalogare” – e magari dare l'opportuna evidenza anche ai fini contrattuali - i contratti di organizzazione, per i quali il rischio di solidarietà è più remoto, rispetto a quelli funzionalmente dedicati all'attività di impresa. Per approfondire
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