Concessione o revoca di un contratto di licenza di marchio europeo in contitolarità: la Corte di Giustizia chiarisce la legge applicabile

17 Luglio 2023

La questione affrontata dalla Corte di Giustizia riguarda le modalità di concessione o di risoluzione di un contratto di licenza d'uso di marchio europeo in comproprietà e, in particolare, se tali fattispecie richiedano una decisione adottata all'unanimità o a maggioranza.

Massima

Le modalità per concedere o risolvere una licenza di utilizzazione di un marchio in comproprietà sono disciplinate dalle norme dello Stato membro in cui è registrato, pertanto la questione se la concessione o la risoluzione di una licenza d'uso di una “firma” nazionale o dell'Unione, in contitolarità, richieda una decisione adottata all'unanimità o a maggioranza dipende dal diritto nazionale applicabile.

Il caso

Nel 2009 la società Legea, in qualità di licenziataria esclusiva dal 1993 del relativo marchio europeo, registrato in contitolarità delle società SW, CQ, ET e VW, conveniva in giudizio quest’ultima dinanzi al Tribunale di Napoli per ottenere la dichiarazione di nullità dei marchi contenenti il segno “Legea” registrati da VW. I marchi erano stati registrati successivamente al 2006, anno in cui VW si era opposta alla prosecuzione del rapporto di licenza esclusiva, contrariamente all’opinione espressa dalle altre tre società che concordavano per la prosecuzione del rapporto.

Con sentenza emessa in data 11 giugno 2014, il Tribunale giudicava l’uso del marchio “Legea” da parte dell’omonima società lecito fino al 2006 – anno in cui VW si era opposta alla prosecuzione all’uso di tale segno – nonché illecito dal momento dell’opposizione alla prosecuzione di tale uso da parte di uno dei contitolari del marchio. La decisione veniva successivamente appellata.

Con successiva sentenza datata 11 aprile 2016, la Corte di Appello di Napoli, in parziale riforma della pronuncia di prime cure, riteneva lecito il comportamento dell’attrice, osservando come non fosse necessario un consenso unanime dei contitolari per la concessione di una licenza di marchio e la relativa prosecuzione del rapporto, essendo sufficiente, nel caso di specie, la volontà di tre dei quattro contitolari del marchio per proseguire il contratto di licenza, nonostante l’opposizione del quarto contitolare.

A seguito di impugnazione da entrambe le Parti, la Corte di Cassazione, interrogandosi sulle modalità di esercizio da parte del singolo soggetto contitolare del marchio, che detiene il diritto di sfruttamento della propria quota in via esclusiva, sospendeva il procedimento per sottoporre alla Corte di Giustizia due questioni pregiudiziali alla decisione della controversia.

Le questioni

Le questioni giuridiche pregiudiziali poste dalla Cassazione alla Corte di Giustizia sono essenzialmente due.

La prima riguarda l'interpretazione dell'art. 10 Dir. UE 2436/2015 e degli artt. 9 e 25 Reg. UE 1001/2017, i quali, nel prevedere allo stesso tempo un diritto di esclusiva in capo al titolare di un marchio UE registrato nonché la possibilità che la titolarità di quello stesso marchio appartenga a più soggetti pro quota, non chiariscono se la concessione a un terzo dell'uso del marchio in via esclusiva, a titolo gratuito e a tempo indeterminato, possa essere decisa a maggioranza dei contitolari oppure sia necessario l'accordo unanime dei contitolari.

In secondo luogo, la Cassazione domanda se, in caso di marchio in contitolarità, uno dei contitolari del marchio dato in concessione a terzi con decisione unanime, a titolo gratuito e a tempo indeterminato, abbia il diritto di esercitare unilateralmente il recesso da tale accordo, anche senza che vi sia accordo con gli altri contitolari.

Le soluzioni giuridiche

Preliminarmente la Corte si soffermava sulla ricevibilità delle questioni pregiudiziali sottoposte: tal giudizio si basa sulla valutazione della necessità e della rilevanza delle questioni sottoposte ai fini della decisione della controversia in discussione. A tal proposito, la Corte riteneva entrambe le questioni poste come pienamente ricevibili, dato che esse erano state esposte in modo sufficientemente chiaro dal giudice del rinvio e apparivano rilevanti per la definitiva decisione della vertenza.

Ciò detto, la Corte continuava riformulando, in parte, le questioni pregiudiziali sottoposte: infatti, considerato che i fatti di causa si riferivano a un arco temporale iniziato nei primi anni ’90, la Corte sottolineava come fossero vigenti a quel tempo, per quanto riguarda i marchi dell’Unione Europea, il Reg. UE 40/1994 e, per quanto riguarda i marchi nazionali, la Dir. 104/1989, che prevedevano regole corrispondenti a quelle contenute negli artt. 9 e 25 Reg. UE 1001/2017 e nell'art. 10 Dir. UE 2436/2015.

La Corte di Giustizia iniziava la propria analisi sottolineando che l’art. 5 Dir. 104/1989 e l’art. 9 Reg. UE n. 40/1994 conferiscono al titolare – sia esso una persona fisica, giuridica, compresa gli enti di diritto pubblico – di un marchio europeo registrato il diritto esclusivo su tale segno. La Corte poi continuava osservando che sempre i due suddetti testi legislativi prevedevano la possibilità che sia il marchio nazionale che quello europeo possano essere oggetto di licenza, esclusiva o non esclusiva, per tutti o parte dei prodotti o servizi per i quali i segni vengono registrati. Allo stesso modo, sebbene la Dir. 104/1989 non contenesse un espresso riferimento alla comproprietà di un marchio nazionale, la Corte osservava come entrambi i suddetti testi legislativi – anche tramite il richiamo alle disposizioni nazionali in materia di contitolarità di marchio – prevedevano che un segno registrato possa appartenere anche a più persone.

Delineati i principi contenuti nei due testi legislativi, la Corte osserva che il Reg. UE 40/1994 – il quale riconosce il diritto di comproprietà di un marchio dell’Unione Europea – non conteneva alcuna previsione relativamente alle condizioni e modalità di utilizzo del marchio da parte dei contitolari. In particolare, non venivano nemmeno previste le modalità di decisione riguardo alla concessione di una licenza d’uso del marchio nonché l’eventuale recesso da tale tipo di contratto.

La Corte dunque, sulla base delle disposizioni contenute nella Dir. 104/1989 e del Reg. 40/194, concludeva che i contitolari di un marchio – sia esso nazionale o dell’Unione Europea – per decidere se solo una maggioranza possa decidere riguardo alla concessione di un diritto di licenza d’uso di tale segno – o per esercitare un diritto di recesso dal contratto concluso – oppure debba esservi una decisione unanime da parte dei contitolari, devono fare riferimento al diritto nazionale applicabile. In altre parole, la Corte con la propria decisione sottolinea come, nell’assenza di una previsione comunitaria che sancisca se sia necessaria l’unanimità o basti la maggioranza semplice (o qualificata) dei contitolari per concedere o revocare la licenza d’uso di un marchio, la questione andrà risolta applicando le disposizioni previste dalla legge nazionale applicabile.

Sulla base di tale principio, la Corte riteneva non necessario rispondere alla seconda questione pregiudiziale posta dalla Cassazione.

Osservazioni

La Corte di Giustizia, pur non rispondendo nel merito alla questione sollevata dalla Corte di Cassazione, rimarca un fatto ormai conosciuto dagli operatori del settore: la normativa europea, oggi come ieri, non contiene una disciplina puntuale sulla contitolarità dei titoli di proprietà industriale e, pertanto, ogni discussione tra i contitolari che abbia ad oggetto le modalità di sfruttamento della propria quota, deve essere risolta alla luce del diritto nazionale applicabile. Ciò nonostante, merita attenzione il chiarimento svolto dalla Corte, in base al quale anche in caso di un diritto di proprietà industriale registrato presso un ufficio europeo – e, dunque, avente efficacia sovranazionale – le relative controversie tra contitolari non possono essere risolte ricorrendo alla legge europea (che nulla prevede sul punto) ma è necessario ricorrere alla legge nazionale.

L'argomento – ossia le regole di gestione di un titolo di proprietà industriale registrato in contitolarità, come nel caso che qui si commenta – è da sempre fonte di accese discussioni sia in dottrina che in giurisprudenza, dato che non solo la normativa europea non prevede nulla in argomento (come osservato anche dalla Corte di Giustizia), ma anche la disciplina nazionale, prevista dal D.Lgs. 30/2005 (c.d. Codice della Proprietà Industriale), non chiarisce i molti dubbi in proposito.

L'art. 6 D.Lgs. 30/2005 prevede infatti che se un diritto di proprietà industriale appartiene a più soggetti, i relativi diritti e facoltà sono regolati, salvo diverso accordo tra le parti, dalle regole contenute dal codice civile in tema di comunione, in quanto compatibili. Le ultime modifiche introdotte nel D.Lgs. 30/2005 – a cui è seguito l'inserimento di un comma 1-bis alla precedente disposizione – hanno previsto una serie di attività che possono essere svolte anche dal singolo contitolare nell'interesse di tutti, ma si tratta di una serie di casi specifici atti soltanto a garantire la sopravvivenza del titolo (come il rinnovo delle registrazioni già concesse di fronte agli uffici competenti), senza che vi sia alcun chiarimento sulle modalità di gestione e sfruttamento del titolo da parte dei contitolari. Il terreno è da sempre luogo di scontro per la natura del concetto stesso di contitolarità riferito a un bene immateriale: si scontrano, infatti, da una parte l'interesse del contitolare a che lo sfruttamento esclusivo della propria quota non venga turbato dagli altri comproprietari e, dall'altra, l'interesse dei contitolari a che la volontà del singolo non vada a intaccare le decisioni relative alla corretta gestione del marchio – quali, ad esempio, la concessione dello stesso in licenza –, che risultano nevralgiche e fisiologiche nella corretta gestione e valorizzazione di un titolo di proprietà industriale.

Vista la delicatezza degli interessi in contrapposizione, per molto tempo gli esperti hanno caldeggiato un intervento legislativo che fornisse una disciplina ad hoc sulla gestione dei diritti di proprietà industriale in contitolarità. Applicare, infatti, la disciplina sulla comunione alle modalità di gestione di un titolo di proprietà industriale si è rivelato, nella pratica, tutt'altro che agevole: a tal proposito si ricordi che la dottrina maggioritaria differenzia il regime di decisione da parte dei contitolari a seconda che le licenze siano esclusive o non esclusive ed in base alla loro durata. In particolare, le licenze non esclusive vengono considerate come atti di ordinaria amministrazione e dunque, secondo quanto previsto dall'art. 1105 c. 2 c.c., possono essere decise a maggioranza semplice (anche se non manca chi sostiene che dovrebbero essere approvate con una maggioranza pari ai due terzi del totale). Le licenze esclusive sarebbero invece atti di straordinaria amministrazione – in quanto in grado, di fatto, di impedire al contitolare lo sfruttamento della propria quota – e dovrebbero essere decise, ai sensi dell'art. 1108 c. 1 c.c., dall'unanimità dei contitolari nel caso in cui esse siano in grado di privare a questi ultimi lo sfruttamento del proprio diritto di marchio. Inoltre, per una parte della giurisprudenza, le licenze di durata ultratriennale sia esclusive che non esclusive sono da accostarsi ai casi di costituzione di diritti reali e di locazioni ultranovennali previsti dall'art. 1108 c. 3 c.c. e, per tale ragione, necessiterebbero l'unanimità dei contitolari per essere concesse.

Atteso che l'obiettivo (per quanto non dichiarato nei relativi testi legislativi) dell'Unione Europea, così come quello della Corte di Giustizia, dovrebbe essere quello di favorire un'armonizzazione, per quanto possibile, dei diversi diritti nazionali, suscita non poche perplessità la posizione assunta dalla Corte nella decisione qui in commento. Infatti la soluzione a cui giunge la Corte, ossia quella di applicare le regole del diritto nazionale anche nel caso di licenze d'uso di diritti di proprietà intellettuale europei, sebbene non sia criticabile da un punto di vista formale (dato che, in effetti, le norme oggi vigenti non contengono disposizioni relative alle modalità di sfruttamento di diritti IP in contitolarità), è foriera di ulteriori problematiche. Nel caso di specie i contitolari del marchio erano tutti soggetti aventi sede legale o residenza in Italia, e dunque l'applicazione della legge italiana per risolvere la controversia (al netto di tutti i dubbi già analizzati) non era in discussione. Si provi, tuttavia, a pensare a un caso in cui i contitolari del marchio europeo abbiano sedi in diversi paesi dell'Unione Europea: a quel punto, in assenza di una pattuizione contrattuale specifica in merito alla legge applicabile, non sarebbe così semplice determinare la legge applicabile al caso, considerato il fatto che la L. 218/95 non prevede casi specifici sulla gestione di diritti di proprietà intellettuale.

Appare, dunque, sicuramente preferibile un intervento del legislatore europeo sul punto, che detti i principi o le regole atte a bilanciare i diversi interessi che vengono in considerazione nel caso in cui il diritto di proprietà industriale sia registrato in contitolarità di più soggetti.

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