Interpretazione del contratto e volontà delle parti

19 Settembre 2023

La Cassazione ritorna a chiarire come debba applicarsi il criterio interpretativo principale della “intenzione delle parti”.

Massima

Ai fini dell'interpretazione del contenuto di un contratto, il giudice deve – in via primaria - applicare il criterio prioritario previsto dall'art. 1362 c.c., nel senso che deve, pur dovendo basarsi – in via primaria - sulle espressioni letterali, ricostruire la comune volontà delle parti che abbiano inteso trasfondere nel suo contenuto, verificando la coerenza tra i due aspetti e ricorrendo, se necessario e in caso di equivocità, anche all'ausilio di indici esterni rivelatori di una possibile diversa intenzione.

Il caso

Tre fratelli, comproprietari in pari quota di un immobile, si accordavano, mediante la stipula di una scrittura privata, per l’alienazione della quota di uno di essi in favore degli altri due, nella misura della metà ciascuno. Successivamente, con separata scrittura privata, uno dei due fratelli, comproprietari al 50% del bene, cedeva ogni suo diritto all’altro. Quest’ultimo, nell’incertezza del tipo di negozio da ultimo concluso e dei relativi effetti giuridici, conveniva in giudizio gli eredi del germano cedente (nelle more deceduto) proprio per far accertare che, con la intervenuta convenzione, le parti avevano inteso concludere una compravendita delle quote in comproprietà (invocando, in subordine, la declaratoria di acquisto per usucapione del bene stesso).

Il Tribunale adito rigettava la suddetta domanda con sentenza che veniva confermata all’esito del giudizio di appello, ritenendo che, in effetti, i due citati contratti si sarebbero dovuti qualificare come preliminari, anziché definitivi, poiché, sulla base di plurimi indici ermeneutici, le due convenzioni concretavano due distinte pattuizioni ad effetti obbligatori, anziché due contratti di vendita con effetti reali ed immediatamente traslativi, non potendosi desumere una tale configurabilità sulla scorta dell’effettiva volontà esternata dai contraenti.     

La questione

L’instaurata controversia poneva la questione di verificare se, a fronte di un contenuto contrattuale asseritamente chiaro e tale, quindi, da non lasciare dubbi interpretativi sul piano letterale, fosse necessario o meno ricorrere anche alla valorizzazione di altri indici esterni e a quello del comportamento delle parti anche successivo alla conclusione dei contratti al fine dell’inquadramento della loro natura giuridica.

La soluzione giuridica

Con la segnalata ordinanza la Corte di legittimità ha accolto il ricorso per cassazione rilevando che la sentenza impugnata non aveva ricostruito, in modo ermeneuticamente corretto, la volontà delle parti, tenendo conto che dal contenuto letterale dei due contratti la rispettiva intenzione fosse sufficientemente chiara, oltre ad evidenziare l’erroneità del riferimento, nella pronuncia di secondo grado, ad elementi esterni inconferenti al fine della ricostruzione della effettiva ed esatta citata volontà.

Osservazioni

L'ordinanza in esame, pur nella sua essenzialità, intende ribadire quali siano le condizioni ed il procedimento logico-giuridico da osservare per l'applicazione del criterio ermerneutico principale fissato dall'art. 1362 c. 1 c.c.

In via generale, occorre premettere che, in materia di interpretazione del contratto, i criteri ermeneutici di cui all'art. 1362 e s. c.c. sono governati da un principio di gerarchia interna in forza del quale i canoni strettamente interpretativi prevalgono su quelli interpretativi-integrativi, tanto da escluderne la concreta operatività quando l'applicazione dei primi risulti da sola sufficiente a rendere palese la "comune intenzione delle parti stipulanti".

Costituisce, poi, principio pressoché pacifico che, ai sensi dell'art. 1362 c.c., il dato testuale del contratto, pur importante, non può essere ritenuto decisivo ai fini della ricostruzione della volontà delle parti, giacché il significato delle dichiarazioni negoziali può ritenersi acquisito solo al termine del processo interpretativo, che non può arrestarsi al tenore letterale delle parole, ma deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore, anche quando le espressioni appaiano di per sé chiare, atteso che un'espressione prima facie chiara può non risultare più tale se collegata ad altre espressioni contenute nella stessa dichiarazione o posta in relazione al comportamento complessivo delle parti; ne consegue che l'interpretazione del contratto, da un punto di vista logico, è un percorso circolare che impone all'interprete, dopo aver compiuto l'esegesi del testo, di ricostruire in base ad essa l'intenzione delle parti e quindi di verificare se quest'ultima sia coerente con le restanti disposizioni del contratto e con la condotta delle parti medesime.

Ed è proprio in relazione a quest'ultimo aspetto che è stato chiarito come l'art. 1362 c.c., allorché nel comma 1 prescrive all'interprete di indagare quale sia stata la comune intenzione delle parti senza limitarsi al senso letterale delle parole, non svaluta l'elemento letterale del contratto ma, al contrario, intende ribadire che, qualora la lettera della convenzione, per le espressioni usate, riveli con chiarezza ed univocità la volontà dei contraenti e non vi sia divergenza tra la lettera e lo spirito della convenzione, una diversa interpretazione non è ammissibile (v. Cass. 26 aprile 2023, n. 10967, Cass. 22 agosto 2019 n. 21576).

In altri termini, nella materia della interpretazione del contratto, il principio in claris non fit interpretatio rende superfluo qualsiasi approfondimento interpretativo del testo contrattuale quando la comune intenzione dei contraenti sia chiara, non essendo a tal fine però sufficiente la chiarezza lessicale in sé e per sé considerata, sicché detto principio non trova applicazione nel caso in cui il testo negoziale sia chiaro, ma non coerente con ulteriori ed esterni indici rivelatori della volontà dei contraenti.

Comunque, in senso più ampio, la giurisprudenza di legittimità (tra le altre, Cass. 10 maggio 2016 n. 9380, Cass. 9 dicembre 2014 n. 25840) ha inteso sostenere che nell'interpretazione del contratto, il carattere prioritario dell'elemento letterale non deve essere inteso in senso assoluto, atteso che il richiamo nell'art. 1362 c.c. alla comune intenzione delle parti impone di estendere l'indagine ai criteri logici, teleologici e sistematici, anche laddove il testo dell'accordo sia chiaro ma incoerente con indici esterni rivelatori di una diversa volontà dei contraenti; pertanto assume valore rilevante anche il criterio logico-sistematico di cui all'art. 1363 c.c., che impone di desumere la volontà manifestata dai contraenti da un esame complessivo delle diverse clausole aventi attinenza alla materia in contesa, tenendosi, altresì, conto del comportamento, anche successivo, delle parti. 

In ogni caso va precisato che, al fine dell'interpretazione di una clausola contrattuale controversa, solo la lettura dell'intero testo contrattuale consente una corretta comprensione della convenzione e suo tramite della comune intenzione delle parti, mentre l'enucleazione di singole parole può comportare lo stravolgimento del significato della clausola con particolare riferimento alle pattuizioni limitative dell'efficacia del negozio che, in presenza di un processo ermeneutico frammentato, possono amplificare o ridurre la portata dell'accordo. 

E' interessante sottolineare che, allo scopo dell'esecuzione della ricostruzione ermeneutica delle clausole contrattuali, non assume rilievo la circostanza che queste ultime siano state redatte da un tecnico del diritto, quale è il notaio rogante, dovendo tale interpretazione essere condotta tenendo in considerazione la volontà delle parti e non quella del notaio che ha proceduto alla stipula.

E' opportuno ricordare che le norme in tema di interpretazione dei contratti di cui all'art. 1362 e s. c.c., in ragione del rinvio ad esse operato dall'art. 1324 c.c., si applicano anche ai negozi unilaterali, nei limiti della compatibilità con la particolare natura e struttura di tali negozi, sicché, mentre non può aversi riguardo alla comune intenzione delle parti ma solo all'intento proprio del soggetto che ha posto in essere il negozio, resta fermo il criterio dell'interpretazione complessiva dell'atto.

Di non poca importanza è porre in risalto il principio in base al quale, a differenza dell'attività di interpretazione del contratto, che è diretta alla ricerca della comune volontà dei contraenti e integra un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, l'attività di qualificazione giuridica è finalizzata a individuare la disciplina applicabile alla fattispecie e, affidandosi al metodo della sussunzione, è suscettibile di verifica in sede di legittimità non solo per ciò che attiene alla descrizione del modello tipico di riferimento, ma anche per quanto riguarda la rilevanza qualificante attribuita agli elementi di fatto accertati e le implicazioni effettuali conseguenti.

Si è a tal proposito specificato (ad esempio, Cass. 10 aprile 2019 n. 9996) che il procedimento di qualificazione giuridica consta di due fasi, delle quali la prima - consistente nella ricerca e nella individuazione della comune volontà dei contraenti - è un tipico accertamento di fatto riservato al giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità solo per vizi di motivazione in relazione ai canoni di ermeneutica contrattuale di cui all'art. 1362 e s. c.c., mentre la seconda - concernente l'inquadramento della comune volontà nello schema legale corrispondente - risolvendosi nell'applicazione di norme giuridiche - può formare oggetto di verifica e riscontro in sede di legittimità sia per quanto attiene alla descrizione del modello tipico della fattispecie legale, sia per quanto riguarda la rilevanza qualificante degli elementi di fatto così come accertati, sia infine con riferimento alla individuazione delle implicazioni effettuali conseguenti alla sussistenza della fattispecie concreta nel paradigma normativo.

Infine, va ribadito il consolidato principio secondo cui, con riferimento all'interpretazione del contratto, il sindacato di legittimità non può investire il risultato interpretativo in sé, che appartiene all'ambito dei giudizi di fatto riservati al giudice di merito, ma afferisce solo alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica e della coerenza e logicità della motivazione addotta, con conseguente inammissibilità di ogni critica alla ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca in una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto da questi esaminati.

Guida all'approfondimento

  • L. Bigliazzi Geri, L’interpretazione del contratto, Milano, 2013;
  • M. D’Auria, Il rilievo giuridico del metodo letterale nell’interpretazione contrattuale, Riv. dir. civ. 2014, 273;
  • R. Brogi, Contratto in genere, atto e negozio giuridico, Interpretazione, Criterio letterale, Comune intenzione delle parti, Foro it. 2015, I, 2159;
  • M. Pennasilico, Contratto e intepretazione. Lineamenti di ermeneutica contrattuale, Torino, 2018.

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