Accertamento dell'inesistenza del contratto e azione di ingiustificato arricchimento
05 Ottobre 2023
Massima La sentenza, che abbia dichiarato l'inesistenza del contratto, se in negativo esclude che l'avente diritto possa nuovamente esercitare l'azione contrattuale, in positivo accerta la sussistenza del presupposto della sussidiarietà (cioè dell'indisponibilità di un rimedio alternativo a quello contrattuale), che deve ricorrere per l'esperibilità dell'azione di ingiustificato arricchimento: in tal caso, l'azione di cui all'art. 2041 c.c. è proponibile proprio in quanto il danneggiato, non esistendo il contratto, ha a disposizione soltanto detta azione per far valere il suo diritto all'indennizzo per il pregiudizio subito Il caso Tizio prende in locazione da Caio (cui subentrano gli eredi in corso di cause) un complesso aziendale esercente l’attività di dancing, ma – a seguito di un crollo dell’immobile dove l’attività di dancing viene esercitata – l’immobile viene dichiarato inagibile. Terminati i lavori di ripristino, la proprietà concede nuovamente a Tizio in affitto l’azienda. Dopo qualche tempo, la proprietà conviene in giudizio Tizio lamentando il mancato pagamento dei canoni e chiedendo la risoluzione del contratto di affitto per grave inadempimento. Tizio si costituisce chiedendo in via principale il rigetto della domanda avversaria (essendo intervenuto accordo che gli avrebbe consentito di decurtare dal canone le spese sostenute, prima della stipulazione del contratto, per il riavvio dell’azienda concessa in affitto) e in via riconvenzionale l’accertamento del diritto al rimborso delle spese e la compensazione dei relativi importi con quelli relativi ai canoni insoluti, formulando, nel corso del processo di primo grado, in relazione alla medesima vicenda fattuale, anche domanda di arricchimento senza causa. Il Tribunale di La Spezia accoglie la domanda di risoluzione per grave inadempimento e dichiara inammissibile per tardività la domanda riconvenzionale. Avverso la sentenza Tizio propone appello avanti la Corte d'Appello di Genova, la quale conferma sostanzialmente la sentenza di primo grado statuendo, tra le altre cose, che l’originaria domanda proposta da Tizio non conteneva anche una domanda di arricchimento senza causa e dichiarava inammissibile, in quanto nuova, la domanda di arricchimento senza causa proposta per la prima volta nel giudizio di appello. Tizio ripropone la domanda di arricchimento senza causa in un nuovo giudizio, convenendo gli eredi di Caio, e questa volta il Tribunale di La Spezia accoglie la domanda, condannano la proprietà al pagamento di un importo a titolo di indennizzo per ingiustificato arricchimento. La proprietà propone appello avanti la Corte di Appello di Genova, la quale, in riforma della sentenza di primo grado, rigetta la domanda proposta da Tizio condannandolo al rimborso delle spese di lite. Tizio propone ricorso per cassazione con tre motivi, lamentando:
La proprietà resiste con controricorso, mentre il Procuratore Generale ha presentato note chiedendo il rigetto del ricorso. La questione La Suprema Corte affronta un caso di azione di ingiustificato arricchimento proposta dopo che una prima azione (di tipo contrattuale) è stata rigettata in ragione dell’accertamento dell’inesistenza del titolo contrattuale posto a fondamento dalla domanda. Tale caso, precisa la Suprema Corte, è affatto diverso dai numerosi casi (oggetto di decisioni di segno opposto da parte della stessa Suprema Corte) in cui l’azione di ingiustificato arricchimento venga proposta dopo che l’azione contrattuale è stata respinta per qualsiasi altra ragione, di rito o di merito, diversa dall’inesistenza del titolo. In questo ultimo caso, infatti, la proposizione di una azione di ingiustificato arricchimento in un separato giudizio è preclusa poiché l’attore disponeva di una azione contrattuale per far valere la sua pretesa, che, tuttavia, è stata poi respinta per ragioni di rito o di merito (ma, in ogni caso, diversa dall’inesistenza del titolo). Al contrario, argomenta la Corte, nei casi in cui l’azione contrattuale è stata rigettata per inesistenza del titolo, sarebbe contraddittorio sostenere che la proposizione di una azione, che presuppone la non esistenza di un contratto, possa essere impedita da una pronuncia che abbia per l’appunto dichiarato la non esistenza di un contratto; d’altronde, se al rigetto del rimedio contrattuale (determinato dall’accertamento dell’inesistenza del titolo) conseguisse l’improponibilità del rimedio sussidiario (cioè l’azione di ingiustificato arricchimento), si finirebbe per privare gli interessati di qualsiasi strumento processuale per ottenere il rimborso del pregiudizio subito. Le soluzioni giuridiche La Corte accoglie il ricorso, ritenendo fondati tutti e tre i motivi, con una articolata decisione in cui, proprio allo scopo di evidenziare la diversità del caso di specie rispetto ai numerosi casi in cui la Corte ha adottato decisione di segno opposto, si premura, in primo luogo, di offrire un “corretto inquadramento della fattispecie”, ricordando che:
Ebbene, a fronte di tali premesse, la Corte giunge alla conclusione che:
Tuttavia, nel caso di specie, non ricorre nessuna delle esigenze:
In definitiva, conclude la Cassazione, nel caso di specie, l’azione di cui all'art. 2041 c.c., ben lungi dal configurarsi come strumento per aggirare l’operatività di norme imperative, si configura anzi come unico strumento, a disposizione del ricorrente per eliminare il pregiudizio che asserisce di aver subito. Osservazioni Il caso in esame rappresenta un caso piuttosto peculiare (e, presumiamo, infrequente), che tuttavia – oltre a costituire un precedente certamente spendibile in casi analoghi – offre qualche interessante spunto di riflessione per le argomentazioni che la Suprema Corte spende sull’esigenza di tutela nei casi in cui manchi uno strumento di effettiva tutela, non solo nel caso in cui il rapporto contrattuale sia inesistente per mancanza o impossibilità di prova, ma anche – e, verrebbe da dire, soprattutto – in tutti quei casi in cui la vicenda sottostante non sia configurabile in termini di rapporto contrattuale. La realtà che ci circonda offre numerosi casi di relazioni che sono certamente inquadrabili come relazioni giuridicamente rilevanti, ma che difficilmente possono essere inquadrabili in termini contrattuali. Si pensi, ad esempio, alle forme di collaborazione nella gestione di eventi e/o profili sulle piattaforme dei c.d. social media, attorno ai quali vi sono rilevanti interessi di natura economica, e che faticano a trovare una adeguata collocazione in termini di rapporto contrattuale (si pensi, ad esempio, alla cooperazione di più soggetti ad eventi cd “social” che generino un ritorno economico a favore di uno solo, o solo alcuni, tra i soggetti che hanno concorso a quell’evento). Certamente, il provvedimento in esame può costituire un prezioso supporto nella “costruzione” di un rimedio, laddove l’autonomia negoziale delle parti nulla ha previsto e laddove il legislatore non abbia (quantomeno, non ancora) previsto un rimedio di legge. |