Accertamento dell'inesistenza del contratto e azione di ingiustificato arricchimento

05 Ottobre 2023

La Cassazione si è pronunciata in tema di ingiustificato arricchimento (artt. 2041 e 2042 c.c.), indicando i presupposti della relativa azione e fornendo una risposta alla domanda: se il contratto tra le parti viene dichiarato inesistente, è proponibile l’azione di ingiustificato arricchimento? Si approfondisce di seguito la questione.

Massima

La sentenza, che abbia dichiarato l'inesistenza del contratto, se in negativo esclude che l'avente diritto possa nuovamente esercitare l'azione contrattuale, in positivo accerta la sussistenza del presupposto della sussidiarietà (cioè dell'indisponibilità di un rimedio alternativo a quello contrattuale), che deve ricorrere per l'esperibilità dell'azione di ingiustificato arricchimento: in tal caso, l'azione di cui all'art. 2041 c.c. è proponibile proprio in quanto il danneggiato, non esistendo il contratto, ha a disposizione soltanto detta azione per far valere il suo diritto all'indennizzo per il pregiudizio subito

Il caso

Tizio prende in locazione da Caio (cui subentrano gli eredi in corso di cause) un complesso aziendale esercente l’attività di dancing, ma – a seguito di un crollo dell’immobile dove l’attività di dancing viene esercitata – l’immobile viene dichiarato inagibile. Terminati i lavori di ripristino, la proprietà concede nuovamente a Tizio in affitto l’azienda.

Dopo qualche tempo, la proprietà conviene in giudizio Tizio lamentando il mancato pagamento dei canoni e chiedendo la risoluzione del contratto di affitto per grave inadempimento.

Tizio si costituisce chiedendo in via principale il rigetto della domanda avversaria (essendo intervenuto accordo che gli avrebbe consentito di decurtare dal canone le spese sostenute, prima della stipulazione del contratto, per il riavvio dell’azienda concessa in affitto) e in via riconvenzionale l’accertamento del diritto al rimborso delle spese e la compensazione dei relativi importi con quelli relativi ai canoni insoluti, formulando, nel corso del processo di primo grado, in relazione alla medesima vicenda fattuale, anche domanda di arricchimento senza causa.

Il Tribunale di La Spezia accoglie la domanda di risoluzione per grave inadempimento e dichiara inammissibile per tardività la domanda riconvenzionale.

Avverso la sentenza Tizio propone appello avanti la Corte d'Appello di Genova, la quale conferma sostanzialmente la sentenza di primo grado statuendo, tra le altre cose, che l’originaria domanda proposta da Tizio non conteneva anche una domanda di arricchimento senza causa e dichiarava inammissibile, in quanto nuova, la domanda di arricchimento senza causa proposta per la prima volta nel giudizio di appello.

Tizio ripropone la domanda di arricchimento senza causa in un nuovo giudizio, convenendo gli eredi di Caio, e questa volta il Tribunale di La Spezia accoglie la domanda, condannano la proprietà al pagamento di un importo a titolo di indennizzo per ingiustificato arricchimento. La proprietà propone appello avanti la Corte di Appello di Genova, la quale, in riforma della sentenza di primo grado, rigetta la domanda proposta da Tizio condannandolo al rimborso delle spese di lite.

Tizio propone ricorso per cassazione con tre motivi, lamentando:

  • violazione e/o falsa applicazione del combinato disposto di cui agli artt. 2909 e 2041 c.c., poiché è stata erroneamente ritenuta preclusa la riproposizione dell’azione di ingiustificato arricchimento per effetto di un precedente giudicato formatosi nel primo processo, laddove in realtà nel primo processo era stata respinta nel merito una diversa domanda fondata su un titolo contrattuale, mentre la domanda di ingiustificato arricchimento era stata dichiarata inammissibile per tardività, con pronuncia di rito e quindi priva di effetti di giudicato sostanziale;
  • violazione e falsa applicazione degli artt. 2041 e 2042 c.c. poiché è stata erroneamente dichiarata improponibile l’azione di arricchimento senza causa in presenza di un precedente giudicato, ritenendo erroneamente che il rigetto della domanda contrattuale per difetto di prova determina l’improponibilità, anche in separata sede, dell’azione di arricchimento. Secondo la prospettazione di Tizio, non vi è alcuna preclusione tutte le volte in cui la mancata prova riguardi la stessa esistenza del titolo contrattuale posto a fondamento dell’azione esercitata nel primo processo. E questo è il caso in esame, in quanto la domanda di rimborso, fondata sul titolo contrattuale, era stata respinta nel primo processo per non essere stato provata l’esistenza di alcun accordo tra le parti; pertanto, il rigetto della prima domanda, così come formulata nel primo processo, era ed è compatibile con la proposizione nel secondo processo della domanda di arricchimento senza causa;
  • violazione del combinato disposto di cui agli agli artt. 2909 e 1362 e 1363 c.c., nonché degli artt. 2041 e 2042 c.c. perché, a causa di una erronea interpretazione del giudicato reso nel primo processo, è stato applicato il disposto degli artt. 2041 e 2042 c.c. ad una fattispecie concreta alla quale non avrebbe potuto applicarsi il principio della c.d. sussidiarietà dell’azione di arricchimento senza causa. Secondo la prospettazione di Tizio, nel primo giudizio si accertò che gli interventi di ripristino furono da lui realizzati spontaneamente prima della stipulazione del contratto di affitto (e, quindi, a prescindere da qualsiasi obbligo o facoltà derivanti da uno specifico contratto intercorso con i locatori); dunque, in quel processo, non fu provata l’esistenza di alcun accordo in forza del quale lui avrebbe avuto diritto di procedere alla decurtazione del canone di affitto, con la conseguenza che il principio di sussidiarietà dell’azione di arricchimento senza causa, di cui al combinato disposto degli artt. 2041 e 2042 c.c. sarebbe stato applicato ad una fattispecie concreta alla quale comunque tale principio non avrebbe potuto essere applicato.

La proprietà resiste con controricorso, mentre il Procuratore Generale ha presentato note chiedendo il rigetto del ricorso.

La questione

La Suprema Corte affronta un caso di azione di ingiustificato arricchimento proposta dopo che una prima azione (di tipo contrattuale) è stata rigettata in ragione dell’accertamento dell’inesistenza del titolo contrattuale posto a fondamento dalla domanda.

Tale caso, precisa la Suprema Corte, è affatto diverso dai numerosi casi (oggetto di decisioni di segno opposto da parte della stessa Suprema Corte) in cui l’azione di ingiustificato arricchimento venga proposta dopo che l’azione contrattuale è stata respinta per qualsiasi altra ragione, di rito o di merito, diversa dall’inesistenza del titolo.

In questo ultimo caso, infatti, la proposizione di una azione di ingiustificato arricchimento in un separato giudizio è preclusa poiché l’attore disponeva di una azione contrattuale per far valere la sua pretesa, che, tuttavia, è stata poi respinta per ragioni di rito o di merito (ma, in ogni caso, diversa dall’inesistenza del titolo).

Al contrario, argomenta la Corte, nei casi in cui l’azione contrattuale è stata rigettata per inesistenza del titolo, sarebbe contraddittorio sostenere che la proposizione di una azione, che presuppone la non esistenza di un contratto, possa essere impedita da una pronuncia che abbia per l’appunto dichiarato la non esistenza di un contratto; d’altronde, se al rigetto del rimedio contrattuale (determinato dall’accertamento dell’inesistenza del titolo) conseguisse l’improponibilità del rimedio sussidiario (cioè l’azione di ingiustificato arricchimento), si finirebbe per privare gli interessati di qualsiasi strumento processuale per ottenere il rimborso del pregiudizio subito.

Le soluzioni giuridiche 

La Corte accoglie il ricorso, ritenendo fondati tutti e tre i motivi, con una articolata decisione in cui, proprio allo scopo di evidenziare la diversità del caso di specie rispetto ai numerosi casi in cui la Corte ha adottato decisione di segno opposto, si premura, in primo luogo, di offrire un “corretto inquadramento della fattispecie”, ricordando che:

  • nel corso del primo processo di merito, Tizio si era costituito e, in via riconvenzionale, aveva proposto fin da subito domanda di rimborso delle spese sostenute per il riavvio dell'azienda nonché, nel corso del processo e in via subordinata, domanda di ingiustificato arricchimento di cui all'art. 2041 c.c.;
  • all'esito del primo giudizio di merito: i) era risultato pacifico tra le parti l'inesistenza di un titolo contrattuale (essendo stato accertato che le opere di ripristino erano state realizzate da Tizio prima della stipulazione del contratto di affitto, a prescindere da qualsiasi obbligo o facoltà derivanti a uno specifico contratto intercorso con i locatori); ii) era stata rigettata l'azione contrattuale formulata in via riconvenzionale principale, in quanto era stato ritenuto non provata l'esistenza del menzionato accordo per la decurtazione delle spese; iii) era stata dichiarata nuova - e, quindi, inammissibile. l'azione d'ingiustificato arricchimento proposta da Tizio in via subordinata nel corso del processo;
  • Tizio ha successivamente introdotto un secondo giudizio di merito, formulando quella stessa domanda di ingiustificato arricchimento di cui all'art. 2041 c.c. che, nel primo processo, era stata rigettata in rito.

Ebbene, a fronte di tali premesse, la Corte giunge alla conclusione che:

  • è fondato il primo motivo, costituendo ius receptum della Corte il principio per cui la sentenza di rito non produce effetti di giudicato sostanziale e non impedisce la riproposizione della domanda, già respinta per motivi processuali, in un nuovo processo tra le parti. La sentenza impugnata ha ritenuto che la riproposizione in un secondo giudizio della domanda di arricchimento senza causa contro i precedenti locatori al fine di ottenere il rimborso delle spese sostenute prima della stipulazione del contratto di affitto fosse preclusa dal giudicato sostanziale formatosi nel primo processo. Ma in tale primo processo, sulla fattispecie dell’arricchimento senza causa non si era formato alcun giudicato sostanziale, poiché la domanda era stata dichiarata inammissibilità dal giudice di primo grado e tale declaratoria costituiva una mera pronuncia di rito, che non preclude la riproposizione della stessa (e, quindi, l’esame nel merito) in un successivo processo;
  • fondati sono anche il secondo ed il terzo motivo di ricorso, che sottendono entrambi la natura sussidiaria dell’azione di ingiustificato arricchimento affermata dall’art. 2042 c.c. (secondo il quale detta azione “non è proponibile quando il danneggiato può esercitare un’altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subito”). Tale previsione è sottesa ad evitare che: i) attraverso il cumulo delle azioni, possano aversi duplicazioni di tutela; ii) l’avente diritto, mediante l’esercizio dell’azione di ingiustificato arricchimento, possa sottrarsi alle conseguenze del rigetto della diversa azione contrattuale che l’ordinamento gli concede a tutela del diritto; iii) colui che ha fondato il suo diritto su un contratto, che è risultato nullo (per contrarietà a norme imperative o di ordine pubblico), possa comunque coltivare la sua pretesa sia pure attraverso altro titolo.

Tuttavia, nel caso di specie, non ricorre nessuna delle esigenze:

  • non la prima, poiché nel primo processo l’azione contrattuale era stata respinta nel merito;
  • non la seconda, poiché il rigetto era stato giustificato dalla ritenuta inesistenza del titolo contrattuale;
  • non la terza, in quanto nel caso di specie Tizio ha chiesto il rimborso delle spese sostenute per il riavvio dell’azienda prima della stipulazione del contratto di affitto e tale sua pretesa non è preclusa da nessuna norma imperativa o di ordine pubblico.

In definitiva, conclude la Cassazione, nel caso di specie, l’azione di cui all'art. 2041 c.c., ben lungi dal configurarsi come strumento per aggirare l’operatività di norme imperative, si configura anzi come unico strumento, a disposizione del ricorrente per eliminare il pregiudizio che asserisce di aver subito.

Osservazioni

Il caso in esame rappresenta un caso piuttosto peculiare (e, presumiamo, infrequente), che tuttavia – oltre a costituire un precedente certamente spendibile in casi analoghi – offre qualche interessante spunto di riflessione per le argomentazioni che la Suprema Corte spende sull’esigenza di tutela nei casi in cui manchi uno strumento di effettiva tutela, non solo nel caso in cui il rapporto contrattuale sia inesistente per mancanza o impossibilità di prova, ma anche – e, verrebbe da dire, soprattutto – in tutti quei casi in cui la vicenda sottostante non sia configurabile in termini di rapporto contrattuale.

La realtà che ci circonda offre numerosi casi di relazioni che sono certamente inquadrabili come relazioni giuridicamente rilevanti, ma che difficilmente possono essere inquadrabili in termini contrattuali. Si pensi, ad esempio, alle forme di collaborazione nella gestione di eventi e/o profili sulle piattaforme dei c.d. social media, attorno ai quali vi sono rilevanti interessi di natura economica, e che faticano a trovare una adeguata collocazione in termini di rapporto contrattuale (si pensi, ad esempio, alla cooperazione di più soggetti ad eventi cd “social” che generino un ritorno economico a favore di uno solo, o solo alcuni, tra i soggetti che hanno concorso a quell’evento).

Certamente, il provvedimento in esame può costituire un prezioso supporto nella “costruzione” di un rimedio, laddove l’autonomia negoziale delle parti nulla ha previsto e laddove il legislatore non abbia (quantomeno, non ancora) previsto un rimedio di legge.

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