Istanza di trattazione orale dell’appello avanzata nel corpo dell’atto di impugnazione

11 Dicembre 2023

L'istanza di trattazione orale del giudizio di appello va trasmessa secondo le ritualità previste dall'art. 23-bis e 24 d.l. n. 137/2020 o può essere avanzata anche solo nell'atto di appello depositato in formato cartaceo nella cancelleria del giudice di primo grado?

Massima 

La richiesta di trattazione orale del giudizio d'appello, contenuta nell'atto di impugnazione, depositato in forma cartacea nella cancelleria del giudice di primo grado, è inammissibile, in quanto non è proponibile la suddetta istanza mediante modalità diverse da quelle indicate negli artt. 23 e 24 d.l. n. 137/2020, conv. in l. n. 176/2020.

Il caso

Un uomo viene condannato in prime cure perché ritenuto colpevole del delitto di atti persecutori in forma aggravata.

Viene avanzato appello, all'interno del quale si richiede la discussione orale del giudizio di secondo grado, ai sensi dell'art. 23-bis del d.l. n. 137/2020, conv. nella l. n. 176/2020.

La competente Corte di Appello, celebra invece il processo d'appello con trattazione scritta. nel merito, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, riduce la pena inflitta, confermandola nel resto.

Interpone ricorso per cassazione l'imputato, per il tramite del suo difensore, deducendo (tra i tanti motivi di gravame) la violazione di legge e la nullità della sentenza, ai sensi dell'art. 178, comma 1, lett. c), c.p.p., per essere stato celebrato il processo in camera di consiglio senza la partecipazione delle parti, anziché mediante trattazione orale e con comparizione dell'imputato in udienza, così come era stato tempestivamente richiesto con l'atto di appello.

La questione

L'istanza di trattazione orale del giudizio di appello va trasmessa secondo le ritualità previste dall'art. 23-bis e 24 d.l. n. 137/2020 o può essere avanzata anche solo nell'atto di appello depositato in formato cartaceo nella cancelleria del giudice di primo grado?

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte, nella sentenza n. 43782/2023, ritiene infondato il ricorso, ritenendo non proponibile la richiesta di trattazione orale diverse da quelle indicate dalla legge, non potendosi ravvisare in questo caso (di istanza tempestiva ma “irrituale”) alcuna lesione del diritto al contraddittorio.

I giudici di legittimità partono proprio dal dato normativo. L'art. 23-bis, comma 4, recita testualmente «La richiesta di discussione orale è formulata per iscritto dal pubblico ministero o da difensore entro il termine perentorio di quindici giorni liberi prima dell'udienza ed è trasmessa alla cancelleria della Corte di appello attraverso i canali di comunicazione, notificazione e deposito rispettivamente previsti dal comma 2. Entro lo stesso termine perentorio e con le medesime modalità l'imputato formula, a mezzo del difensore, la richiesta di partecipare all'udienza».

La chiara lettura della norma – si ritiene in sentenza – impone un requisito di ammissibilità, nel senso che la richiesta presentata con modalità diverse (e quindi anche con l'atto di appello) da quelle espressamente previste precluda il suo accoglimento. La richiesta di trattazione orale va presentata alla cancelleria della Corte di appello e la trasmissione deve avvenire attraverso i canali di comunicazione normativamente previsti per via telematica, di cui all'art. 24 del medesimo d.l..

Tale ultima disposizione propone l'utilizzo di modalità informatiche certificate, come possibilità per le parti di deposito degli atti giudiziari, compresi gli atti di impugnazione, qualsiasi essi siano, perseguendo la finalità di alleggerimento del sistema complessivo di deposito degli atti, muovendosi al contempo nell'ottica della "dematerializzazione" del sistema di deposito, ottica che a ben vedere va oltre le contingenze sanitarie inserendosi nel complessivo disegno della digitalizzazione degli atti che da tempo è nella mente del legislatore e ha trovato ulteriore sbocco nella riforma Cartabia di cui al d.lgs. n. 150/2022 che ha oramai istituzionalizzato l'udienza cartolare e il deposito telematico degli atti e delle stesse impugnazioni, prevedendo tra l'altro a proposito dell'istanza di trattazione orale che essa deve essere presentata entro 15 giorni dalla notificazione del decreto di citazione dell'imputato appellante o dell'avviso della data di udienza fissata per il giudizio di appello in appello.

La sentenza in commento si confronta anche con il precedente arresto che si è pronunciato in termini diametralmente opposti. Più precisamente, Cass. pen., sez. VI, n. 12986/2023, ritiene che la disposizione attualmente in vigore (l'art. 23-bis, comma 4, D.L. n. 137/2020, convertito in L. n. 176/2020, prorogata per tutte le impugnazioni proposte sino al quindicesimo giorno successivo al 31 dicembre 2023) si limita a disporre che la richiesta di trattazione orale sia formulata per iscritto entro il termine perentorio di quindici giorni liberi prima dell'udienza, ritiene ammissibile : «Nessun intento ostruzionistico o dilatarlo può ascriversi, d'altronde e infine, alla formulazione della concreta istanza, chiara e collocata in una posizione di evidenza anche visiva, perché distanziata dai motivi, in calce al testo dell'impugnazione». Di conseguenza, lo svolgimento del processo con rito camerale non partecipato determina una nullità generale a regime intermedio per violazione del contraddittorio – al  difensore viene impedito, in definitiva, di esporre le proprie conclusioni in udienza; né, d'altra parte, egli aveva depositato conclusioni scritte entro i termini previsti (5 giorni antecedenti all'udienza camerale), ritenendo di dover attendere comunicazione della fissazione dell'udienza orale tempestivamente e ritualmente richiesta – deducibile entro la deliberazione della sentenza del grado successivo, e quindi con il ricorso per cassazione.

Sulla stessa lunghezza d'onda si è poi posta Cass. pen., sez. II, n. 33310/2023, affermando, in accoglimento del ricorso «è evidente l'errore in cui è incorsa la Corte d'appello nel negare l'oralità. Pur dovendosi riconoscere che la richiesta di discussione orale formulata in calce all'atto di appello non sia una pratica ricorrente, per ciò solo essa non può essere ritenuta vietata, in assenza di una norma che ne precluda tale modalità. Nella procedura penale non sussiste una disposizione analoga alla previsione dell'art. 121 c.p.c. sulla libertà delle forme che prevede che gli atti del processo, per i quali la legge non richiede forme determinate, possono essere compiuti nella forma più idonea al raggiungimento del loro scopo. Tuttavia, la mancanza di uno specifico divieto, espresso o implicito (come ad esempio nell'eventualità in cui fosse previsto un termine iniziale per la formulazione dell'istanza di discussione orale) implica che il timing della domanda può essere lasciato alla libera scelta della parte».

Si contrappone a tale orientamento l'odierna Cassazione n. 43782/2023: «Ritenere l'istanza in argomento possa essere contenuta - anche - nell'atto di appello si risolve quindi in una forzatura della previsione normativa che fa espresso riferimento ad una istanza ad hoc dotata di una propriafisionomia anche con riguardo alle sue modalità di inoltro e al suo destinatarioe finisce con lo snaturare la sequenza procedimentale che discende dalla impostazione che il legislatore ha inteso dare al particolare sistema introdotto, ancorando tra l'altro la stessa tempestività della sua presentazione alla data già fissata per l'udienza da celebrare con ordinario contraddittorio cartolare, e soprattutto va a sminuire la ratio ad essa sottesa».

Peraltro, nel caso di specie non è ravvisabile un ragionevole affidamento da parte della difesa dell'imputato nella celebrazione orale del processo in quanto le conclusioni rassegnate per iscritto dal Procuratore generale trasmesse al difensore unitamente al ruolo di udienza: «Anzi, avendo avuto in tal modo la difesa definitivamente contezza della trattazione cartolare e quindi del mancato accoglimento delle sue richieste, ben avrebbe potuto - e dovuto essa formulare eccezione al riguardo rappresentando la circostanza al Collegio giudicante e non riservarsi la questione col ricorso per cassazione. A ciò si aggiunga che l'utilizzo di una modalità di trasmissione diversa da quella prevista dalla legge avrebbe comportato, quanto meno, l'onere, per la parte che si sia vista di fatto rigettata l'istanza in tal modo presentata, di rappresentare tempestivamente, rectius immediatamente, la circostanza».

Ed invero, pur a voler ravvisare la nullità rilevata in ricorso, i giudice di nomofilachia  ritiene che nel caso di specie operi la sanatoria di cui all'art. 182, comma 2, primo inciso, c.p.p., dal momento che la parte, venuta oramai definitivamente a conoscenza della trattazione cartolare attraverso la comunicazione degli atti suindicati, avrebbe potuto - e dovuto - formulare l'eccezione di nullità, mediante una memoria scritta, in quella fase processuale e non attendere inoperosa la celebrazione di un processo che essa riteneva nullo per poi svolgere l'eccezione col ricorso per cassazione. Una tale interpretazione soddisfa il contemperamento del diritto di difesa con l'esigenza della ragionevole durata del processo. Sicché si deve concludere che, essendo stato la relativa eccezione proposta solo con il ricorso per cassazione deve ritenersi tardiva, e quindi sanata da nullità.

Osservazioni

La decisione in commento ritiene che la richiesta di trattazione orale proposto nell'atto di appello depositato in formato cartaceo è tempestiva ma “irrituale”. Pertanto – qualora dovesse farsi strada questo più recente orientamento – che si contrappone a quello precedente (cristallizzato nelle sentenze n. 12986 e 33310 del 2023) – occorre fare attenzione perché, anche se non è prevista alcuna specifica sanzione processuale nel corpo degli artt. 23-bis e 24 d.l. n. 137/2020, si consiglia di rispettare i canali di trasmissione telematica nel richiedere la discussione orale (a mezzo PEC inviata nella cancelleria del giudice d'appello) per non vedersi aperte le porte dell'inammissibilità.

Inoltre, se al legale dell'imputato siano trasmesse le conclusioni scritte del PG egli deve eccepire subito, con memoria scritta, nello stesso giudizio di appello, la nullità.

Su quest'ultimo punto, non convince l'odierna sentenza laddove ritiene che, in questi casi, si rientri nell'alveo dell'art. 182, comma 2, prima parte, c.p.p., ovvero «Quando la parte vi assiste, la nullità di un atto deve essere eccepita prima del suo compimento ovvero, se ciò non è possibile, immediatamente dopo» (e non invece nella seconda parte del comma 2, che richiama i termini di sollevazione dell'eccezione previsti negli artt. 180 e 181, pertanto entro la deliberazione della sentenza del grado successivo).

La questione è di enorme rilievo pratico: nell'ottica recepita dalla Suprema Corte, l'eccezione proposta solo con il ricorso per cassazione deve ritenersi tardiva e la sentenza rimane intatta. Nella diversa prospettiva (non può ritenersi che l'imputato abbia assistito alla nullità) invece, viene travolta la sentenza impugnata.

Siamo sicuri che l'avvocato “assiste” (dovremmo dire, semmai, telematicamente) all'atto sol perché gli vengono comunicate via PEC le conclusioni del PG (ipotesi tutt'altro che infrequente, soprattutto laddove la richiesta di trattazione non venga inviata dal difensore anche alla Procura Generale e la cancelleria della Corte di appello non inoltri tempestivamente la suddetta richiesta)?

L'imminente messa a regime del processo penale telematico dimostra come anche il regime “classico” delle nullità verrà messo a dura prova e avrà bisogno di aggiustamenti e rivisitazioni.

Infine, del tutto diversa dalla fattispecie odierna è il caso in cui l'istanza di trattazione orale viene stata avanzata tempestivamente (nei 15 giorni liberi antecedenti l'udienza; si ricorda, invece, che se il difensore ha chiesto la trattazione orale oltre i termini e c'è stato un rinvio non è affetto da nullità lo svolgimento con rito camerale: così Cass. pen., sez. V, n. 19376/2023), ritualmente (a mezzo PEC, utilizzando uno degli indirizzi a ciò deputati formalmente dal Ministero della Giustizia, nel suddetto provvedimento attuativo del Direttore Generale dei Sistemi Informativi Automatizzati) ma la difesa del ricorrente – a differenza dell'odierna fattispecie – non ha ricevuto alcuna comunicazione in merito della trattazione del giudizio di secondo grado e la sentenza d'appello venne emessa col rito cartolare, in camera di consiglio, ai sensi dell'art. 23-bis cit., dunque senza l'intervento delle parti.

In questi casi, dunque, il difensore dell'imputato non ha potuto concludere in udienza né ha depositato proprie conclusioni scritte, avendo richiesto la trattazione orale del processo. Deve ritenersi che si sia verificata un'ipotesi di lesione dei diritti di difesa dell'imputato, al cui difensore è stato impedito, in definitiva, di esporre le proprie conclusioni in udienza; né, d'altra parte, egli aveva depositato conclusioni scritte entro i termini previsti (5 giorni antecedenti all'udienza camerale), ritenendo di dover attendere comunicazione della fissazione dell'udienza orale tempestivamente e ritualmente richiesta. Si è, pertanto, determinata una violazione del diritto al contraddittorio, tutelato dall'art. 111 Cost. e dall'art. CEDU, e, conseguentemente, una nullità di ordine generale ex art. 178 c.p.p., comma 1, lett. c, e art. 180 c.p.p., verificatasi nel corso del giudizio, che può essere utilmente dedotta entro la deliberazione della sentenza del grado successivo, e quindi con il ricorso per cassazione (cfr. Cass. pen., sez. V, n. 44646/2021; sez. II, n. 35243).

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