«Bonifico domiciliato»: natura giuridica e conseguenze in caso di errato pagamento
22 Dicembre 2023
Massima L'operazione del c.d. bonifico domiciliato è riconducibile allo schema della delegazione di pagamento, la quale, con riguardo al regime di responsabilità del delegato nei confronti del delegante per l'erronea individuazione del delegatario, è soggetta alla disciplina del mandato, la quale, a sua volta, si correla a quella generale prevista dall'art. 1218 c.c. Tale fattispecie di bonifico, quindi, deve considerarsi debitamente disciplinata dalla legge, non risultando così necessario ricorrere, mediante il procedimento analogico, alla disciplina (di cui all'art. 43 RD. 1736/1933) che regola la responsabilità della banca negoziatrice verso il traente di un assegno non trasferibile, a prescindere dall'assimilazione tra i due istituti. Il caso Nel 2018 una società privata aveva convenuto dinanzi al Giudice di pace di Trieste la società Poste Italiane, sul presupposto di aver con quest'ultima stipulato un contratto di conto corrente (con la previsione dell'obbligo, a carico della stessa, di dare esecuzione ai c.d. bonifici domiciliati disposti elettronicamente da essa attrice), chiese la condanna di Poste Italiane – la quale aveva eseguito il pagamento a favore di persona diversa dal beneficiario, identificata in base ad un documento di identità presumibilmente falso – al risarcimento del danno conseguente all'avvenuta duplicazione del pagamento, che essa attrice aveva dovuto successivamente eseguire in favore dell'effettivo suo creditore. Il citato giudice di pace - ritenendo che nella fattispecie dovesse trovare applicazione la disciplina speciale prevista dall'art. 43 RD 1736/1933 (c.d. legge sugli assegni) – accoglieva la domanda, rilevando che la ravvisata responsabilità dovesse prescindere dalla sussistenza di colpa nell'identificazione del beneficiario del disposto bonifico. Il Tribunale di Trieste, dinanzi al quale aveva proposto appello Poste Italiane, accoglieva il gravame, essendo rimasto comprovato che l'appellante – nell'esecuzione dell'operazione dedotta in giudizio – aveva dimostrato l'inesistenza della sua colpa nell'erronea individuazione del beneficiario, poiché il bonifico era stato disposto in favore di una persona in possesso di apposito documento di identità, nonché della password inviata dalla società appellata al proprio creditore. La questione La segnalata sentenza è particolarmente importante perché si occupa dell'inquadramento giuridico del c.d. bonifico domiciliato, che costituisce una forma di pagamento elettronico oggi molto diffusa nelle transazioni commerciali, ragion per cui la pronuncia di legittimità risolve questo aspetto e, di conseguenza, incentra la propria attenzione anche sui connessi profili di responsabilità civile del soggetto con il quale è stato concluso il contratto di conto corrente “di appoggio” quando l'operazione venga eseguita in favore di persona non legittimata o che abbia utilizzato una falsa identità. La soluzione giuridica Con la decisione in disamina, il giudice di appello – a fronte della sentenza di primo grado che aveva ritenuto che ricorresse la responsabilità della convenuta Poste Italiane – ha ribaltato la sentenza di primo grado, osservando che, sulla premessa che alla controversa fattispecie non potesse estendersi la disciplina contenuta all'art. 43 c. 2 RD 1736/1933, ha ritenuto soggetta la fattispecie medesima al regime della responsabilità contrattuale, statuendo correttamente che, sul piano della ripartizione dell'onere probatorio, gravava su Poste Italiane l'onere di dimostrare, alternativamente, o di avere esattamente adempiuto (pagando al reale beneficiario) o (nell'ipotesi in cui avesse pagato a persona diversa) di avere comunque eseguito la prestazione con la dovuta diligenza (che è quella nascente, ai sensi dell'art. 1176 c. 2 c.c. dalla sua qualità di operatore professionale, tenuto a rispondere del danno anche in ipotesi di colpa lieve), con conseguente non imputabilità dell'inadempimento. Osservazioni Con la pronuncia in discorso la Corte di Cassazione ha ritenuto – in primo luogo – porre riferimento al carattere della responsabilità della banca negoziatrice nel pagamento dell'assegno non trasferibile che venga eseguito ad soggetto non legittimato. A tal proposito ha giustamente evocato l'arresto delle Sezioni unite che – con la sentenza Cass. SU 21 maggio 2018 n. 12477 (poi seguita da altre pronunce conformi) – ha stabilito il principio generale, in base al quale, ai sensi dell'art. 43 c. 2 RD 1736/1933 (c.d. legge assegni), la banca negoziatrice chiamata a rispondere del danno derivato – per errore nell'identificazione del legittimo portatore del titolo – dal pagamento dell'assegno bancario, di traenza o circolare, munito di clausola non trasferibilità a persona diversa dall'effettivo beneficiario, è ammessa a provare che l'inadempimento non le è imputabile, per aver essa assolto alla propria obbligazione con la diligenza richiesta dall'art. 1176 c. 2 c.c. (oltretutto, la giurisprudenza più recente ha chiarito che la prova della diligenza professionale impiegata nell'identificazione della persona presentatasi all'incasso non postula necessariamente la produzione in giudizio del relativo documento d'identità, potendo essere fornita anche per presunzioni: cfr. Cass 4 aprile 2023 n. 25750). Ciò sul presupposto che la responsabilità della banca negoziatrice ha carattere contrattuale da "contatto sociale" e, pertanto, non ha natura di responsabilità oggettiva, la quale è ravvisabile solo laddove difetti un rapporto in senso lato "contrattuale" tra danneggiante e danneggiato, ed il primo sia chiamato a rispondere del fatto dannoso nei confronti del secondo, non per essere con questi entrato in contatto, ma in ragione della particolare posizione rivestita o della relazione che lo lega alla res causativa del danno. Pertanto, la responsabilità della banca non si configura "in ogni caso", anche a prescindere dall'elemento della colpa nell'errore sulla identificazione del prenditore, essendo la debitrice ammessa, nell'ipotesi di tale errore, alla prova liberatoria di avere comunque usato la dovuta diligenza nel procedere all'identificazione medesima. La peculiarità della sentenza qui oggetto di approfondimento consiste nell'aver ritenuto che la suddetta disciplina rinvenibile nell'art. 43 c. 2 RD 1736/1933 costituisce una regolamentazione utilizzabile indirettamente (siccome sostanzialmente assimilabile) per l'individuazione della responsabilità per inadempimento in tema di bonifico domiciliato, poiché quest'ultima deve intendersi, più semplicemente, sottoposta alle regole propriamente codicistiche, incasellandosi il bonifico domiciliato nello schema della delegazione di pagamento, la quale, con riguardo al regime di responsabilità del delegato nei confronti del delegante per l'erronea individuazione del delegatario, è sottoposta del mandato, che, a sua volta, si ricollega a quella generale di cui all'art. 1218 c.c. Sulla base di questa impostazione di fondo la Corte di legittimità ha escluso la responsabilità della debitrice per avere questa dimostrato di aver tenuto una condotta diligente nella identificazione del preteso beneficiario del bonifico domiciliato, pagando - dopo avere compiuto le verifiche previste dalle condizioni generali di contratto - alla persona che aveva esibito un documento di identità con le generalità del reale creditore, e che inoltre era in possesso del codice fiscale e della password per l'incasso, senza potersi pretendere l'esigibilità dalla banca mandataria di "maggiori cautele, ai fini dell'assolvimento dell'obbligo di identificazione secondo gli standard propri del banchiere". Inoltre, la sentenza – pur riallacciandosi alla materia di pagamento di un assegno di traenza non trasferibile in favore di soggetto non legittimato – ha ribadito (stante l'assimilabilità delle discipline) che, al fine di valutare la sussistenza della responsabilità colposa della banca negoziatrice nell'identificazione del presentatore del titolo, la diligenza professionale richiesta deve essere individuata ai sensi dell'art. 1176 c. 2 c.c., che è norma "elastica", da riempire di contenuto in considerazione dei principi dell'ordinamento, come espressi dalla giurisprudenza di legittimità, e dagli "standards" valutativi esistenti nella realtà sociale che, concorrendo con detti principi, compongono il diritto vivente; non rientra in tali parametri la raccomandazione, contenuta nella circolare ABI del 7 maggio 2001 indirizzata agli associati, che segnala l'opportunità per la banca negoziatrice dell'assegno di traenza di richiedere due documenti d'identità muniti di fotografia al presentatore del titolo, perché a tale prescrizione non può essere riconosciuta alcuna portata precettiva, e tale regola prudenziale di condotta non si rinviene negli standard valutativi di matrice sociale ovvero ricavabili dall'ordinamento positivo, posto che l'attività di identificazione delle persone fisiche avviene normalmente tramite il riscontro di un solo documento d'identità personale. Da ultimo (ma con una considerazione rilevante) ha opportunamente precisato che, in mancanza di specifica prescrizione normativa, non può reputarsi esistente una best practice che impone al delegato di pagamento l'estrazione di copia e la conseguente conservazione del documento esaminato in funzione dell'identificazione del delegatario, anche in ragione della necessità di bilanciare le esigenze dell'attività di identificazione con quelle di tutela della riservatezza della persona identificata, che consentono la conservazione della copia riprodotta solo in casi stabiliti selettivamente dalla legge e non oltre il tempo necessario in rapporto alle finalità perseguite.
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