Garante per i dati personali - 29/11/2018 - n. 491 art. 1 - Principi generaliPrincipi generali
1. Le presenti norme sono volte a contemperare i diritti fondamentali della persona con il diritto dei cittadini all´informazione e con la liberta' di stampa. 2. In forza dell´art. 21 della Costituzione, la professione giornalistica si svolge senza autorizzazioni o censure. In quanto condizione essenziale per l´esercizio del diritto dovere di cronaca, la raccolta, la registrazione, la conservazione e la diffusione di notizie su eventi e vicende relativi a persone, organismi collettivi, istituzioni, costumi, ricerche scientifiche e movimenti di pensiero, attuate nell´ambito dell´attivita' giornalistica e per gli scopi propri di tale attivita', si differenziano nettamente per la loro natura dalla memorizzazione e dal trattamento di dati personali ad opera di banche dati o altri soggetti. Su questi principi trovano fondamento le necessarie deroghe previste dal considerando 153 e dall'art. 85 del regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 (di seguito «regolamento») e dal decreto legislativo 30 giugno, 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali, di seguito «Codice»), cosi' come modificato dal decreto legislativo 10 agosto 2018, n. 101. InquadramentoAi sensi del Capo IX del Regolamento n. 2016/679 (“GDPR”), gli Stati membri possono prevedere deroghe ed esenzioni ai fini del trattamento effettuato a scopi giornalistici o di espressione accademica, artistica o letteraria; tali esenzioni possono essere sostanzialmente ricondotte, al Capo II Principi: in relazione ai diritti dell'interessato, al trasferimento di dati personali verso paesi terzi e alle specifiche situazioni di trattamento dei dati, qualora siano necessarie per conciliare il diritto alla protezione dei dati personali e la libertà d'espressione e di informazione. Nell'ordinamento italiano, con il d.lgs. n. 101/2018, il legislatore ha affidato al Garante, nell'osservanza del principio di rappresentatività e tenendo conto delle raccomandazioni del Consiglio d'Europa sul trattamento dei dati personali, il compito di promuovere regole deontologiche per i trattamenti previsti dalle disposizioni di cui agli artt. 6, §. 1, lett. c) ed e); e 9) § 4; – ed al capo IX del GDPR – nella specie, libertà di espressione e di informazione. I trattamenti considerati dalle regole deontologiche, rientrano tra le seguenti ipotesi di liceità indicate all'art. 6 del GDPR: compito di interesse pubblico o connesso all'esercizio di pubblici poteri, di cui è investito il titolare o necessario per adempiere un obbligo legale, nonché trattamenti di dati genetici, biometrici o dati relativi alla salute. Il 29 novembre 2018 il Garante, ai sensi dell'art. 20, comma 4, del d.lgs. n. 101/2018, verificata la conformità al Regolamento delle disposizioni del “Codice di deontologia relativo al trattamento dei dati personali nell'esercizio dell'attività giornalistica”, ha disposto che le regole indicate nell'allegato 1 del provvedimento, di seguito “Regole”, che ne forma parte integrante, siano pubblicate come “Regole deontologiche relative al trattamento dei dati personali nell'esercizio dell'attività giornalistica”, e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana. Contestualmente ha disposto la trasmissione delle predette Regole al Ministero della giustizia per riportarle nell'Allegato A) al Codice. Il Garante in pratica ha proceduto a fare chiarezza nelle more dell'avvio delle consultazioni. Difatti nel predetto provvedimento il Garante, valutata la conformità delle “Regole” al GDPRauspica un aggiornamento delle stesse ai sensi degli artt. 2-quatere136 Cod. privacy. Tornando alle prescrizioni previste dall'art. 136 Cod. privacy – dedicato alle finalità giornalistiche ed altre manifestazioni del pensiero – quest'ultimo prevede che le diposizioni previste nel titolo XII del predetto Cod. privacy si applichino, ai sensi dell'art. 85 del Regolamento, al trattamento: a) effettuato nell'esercizio della professione di giornalista e per l'esclusivo perseguimento delle relative finalità; b) effettuato dai soggetti iscritti nell'elenco dei pubblicisti o nel registro dei praticanti di cui agli artt. 26 e 33 l. n. 69/1963; c) finalizzato esclusivamente alla pubblicazione o diffusione anche occasionale di artt., saggi e altre manifestazioni del pensiero anche nell'espressione accademica, artistica e letteraria. Si ribadisce che con il d.lgs. n. 101/2018, il diritto italiano ha confermato uno strumento normativo, secondo quanto consentito dal Regolamento (UE), che andrà adottato attraverso una procedura cooperativa con i soggetti interessati, ovvero consultazione pubblica per almeno sessanta giorni. L'ambito soggettivo delineato dal Cod. privacy appare ampliato (Bolognini, Pelino). Con il termine anche occasionale si è voluto fare rientrare, nelle garanzie ed esenzioni previste per l'attività giornalistica, anche l'attività di quanti pur non rivestendo “la qualifica di giornalista professionista, né di pubblicista iscritto al relativo Albo professionale”, effettuano trattamenti per finalità giornalistica all'interno di blog (in questo senso Ciccia Messina). Le Regole dovranno essere aggiornate secondo il procedimento indicato agli artt. 2-quater e 136 del Codice, ovvero andranno sottoposte a consultazione pubblica per almeno sessanta giorni, e conclusa la fase delle consultazioni, andranno nuovamente approvate dal Garante e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana. L'ambito di applicazione materiale, sempre con riferimento a quanto previsto dall'art. 136 Cod. privacy, è relativo alla possibilità di trattare le categorie particolari di dati e i dati relativi a condanne penali e reati, cui agli artt. 9 e 10 del Regolamento anche senza il consenso dell'interessato, purché nel rispetto delle regole deontologiche di cui all'art. 139. Le disposizioni del legislatore italiano confermano, anche con la riforma del Codice privacy del 2018, un approccio regolatorio “di terza generazione” che dovrebbe implicare – come già fu per i codici di deontologia e buona condotta allegati A del codice, previsti in generale dal suo art. 12 e, a monte, dall'art. 27 della Direttiva 95/46/CE, norme queste ultime oramai abrogate – il coinvolgimento e la consultazione dei cosiddetti stakeholder (“portatori di interesse” nella fase di formazione delle regole che possono impattare su determinati ambiti e settori). Potrebbe pertanto essere utile aprire la partecipazione, anche ai “cittadini, il pubblico più in generale, a prescindere dall'essere portatori di interessi più o meno qualificati nelle materie da regolare” (in questo senso, Bolognini, in Bolognini, Pelino). L'Autorità, con il Provvedimento di valutazione della conformità del codice deontologico di cui in narrativa, ha ricordato che il Titolo XII del Codice in materia di protezione dei dati personali, così come modificato dall'art. 12 del d.lgs. n. 101/2018, ha ridefinito l'ambito oggettivo del trattamento, includendovi anche quello effettuato nel contesto di attività di manifestazione del pensiero in campo accademico e letterario. L'Autorità inoltre ha precisato che il rispetto delle Regole costituisce condizione essenziale per la liceità e la correttezza del trattamento (art. 2-quater, comma 4, del codice). Inoltre il Garante ha ovviamente chiarito che, ai sensi del provvedimento, i richiami alla l. n. 675/1996 ed alla Direttiva 95/46/CE contenuti in alcune disposizioni del codice deontologico di cui è stata verificata la conformità, debbano intendersi riferiti alle corrispondenti disposizioni del Regolamento e del Codice in materia di protezione dei dati personali, come modificato dal d.lgs. n. 101/2018. Eventuali modifiche normative rilevanti nella disciplina di specie – quali l'inclusione dei dati genetici e dei dati biometrici fra le categorie di dati particolari – debbono essere prese in considerazione per determinare la compatibilità delle disposizioni esistenti con il quadro normativo attuale. Considerazioni generaliIl codice deontologico del 1998 (di seguito “codice”) è stato il frutto della collaborazione tra Garante della privacy e Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti e rappresenta uno dei primi atti importanti del Garante, che promosse l'iter per la sua approvazione nel maggio del 1997, appena un paio di mesi dopo la sua costituzione. Il testo venne composto da 13 articoli, scritti con stile chiaro e sintetico. Un vero vademecum del buon giornalista, libero e indipendente ma nello stesso tempo rispettoso della dignità e dei diritti delle persone, poiché “il diritto di cronaca e il correlativo diritto dei cittadini a essere informati costituiscono una precondizione per la democraticità delle società contemporanee” (cfr. Paissan, edizione 2012). Il codice – da ora le “Regole” – costituisce una norma dell'ordinamento giuridico generale, e ad essa devono adeguarsi tutti coloro che esercitino funzioni informative mediante mezzi di comunicazione di massa; pertanto, il suo rispetto verrà garantito dai diversi organi pubblici ed ovviamente anche dall'Ordine, per quanto riguarda le sanzioni disciplinari applicabili ai soli iscritti. “Come Allegato A, il codice è qualcosa di più di una norma secondaria: ha sostanzialmente il rango di una norma primaria!” (così Rodotà richiamato da Falcone). Quanto indicato allora da Stefano Rodotà andrebbe confermato anche per le Regole. Il rispetto delle disposizioni contenute nelle Regole costituisce condizione essenziale per la liceità e correttezza del trattamento dei dati personali e, “in caso di violazione delle sue prescrizioni, il Garante può vietare il trattamento ovvero disporre il blocco o imporre sanzioni”. Sempre in caso di violazione delle norme delle Regole, l'Ordine dei giornalisti può avviare, dal canto suo, procedimenti disciplinari nei confronti degli iscritti. L'art. 2 della l. n. 69/1963 sancisce, infatti, che la libertà d'informazione e di critica è un diritto insopprimibile dei giornalisti, limitato tuttavia dall'osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui. Il GDPR conferma la necessità di una considerazione particolare al trattamento per le finalità giornalistiche, al considerando 153, richiede agli Stati membri di conciliare le norme che disciplinano la libertà di espressione e di informazione, con il diritto alla protezione dei dati personali, prevedendo esenzioni e deroghe, per conciliare il diritto alla protezione dei dati personali e il diritto alla libertà d'espressione e di informazione sancito nell'art. 11 della Carta. In particolare il diritto di informare è legittimo, e quindi può anche prevalere sul diritto alla riservatezza, se l'utilità sociale dell'informazione è di un interesse pubblico, si persegue la ricerca della verità, la forma della esposizione sia corretta e frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca dei fatti esposti. Come indicato al considerando 4, GDPR il diritto alla protezione dei dati di carattere personale non è una prerogativa assoluta, ma va considerato alla luce della sua funzione sociale e va contemperato con altri diritti fondamentali, in ossequio al principio di proporzionalità. Nel caso di specie, vanno bilanciate la libertà di espressione garantita dall'art. 21 Costituzione italiana, nonché dall'art. 2 della l. n. 69/1963, e l'attività del giornalista, attraverso qualunque strumento di comunicazione sia svolta, con i limiti volti alla salvaguardia di altri diritti inviolabili, quali la riservatezza, l'identità personale e la protezione dei dati personali. (In questo senso T.U. dei doveri del giornalista). Tale bilanciamento è tra l'altro divenuto ancor più attuale in relazione al tema della riproposizione di informazioni personali in ambito giornalistico a distanza di tempo. In casi del genere il bilanciamento degli interessi a cura del titolare del trattamento risulta più complesso, in quanto da un lato l'opinione ha il diritto di continuare ad interrogarsi su notizie che possono ancora avere rilevanza, mentre i soggetti interessati hanno invece necessità di essere tutelati rispetto a pregiudizi conseguenti alla notorietà di informazioni non più attuali rese note per il tramite dei motori di ricerca. Sul tema estrema rilevanza ha rivestito la sentenza della Corte Giustizia UE (Grande Sezione) 13 maggio 2014 n. 317, nella causa Google Spain (Google Spain. C-131/12, Google Spain SL, Google Inc. contro Agencia Española de Protección de Datos (AEPD), Mario Costeja González). La Corte di Giustizia si è pronunciata in seguito al ricorso di un cittadino spagnolo che aveva richiesto la rimozione, prima al gestore del sito e poi a Google, di alcuni dati personali pubblicati in poche righe del giornale “LaVanguardia Editiones SL” e da lui ritenuti non più attuali. Il reclamo presentato all'AEPD è stato parzialmente accolto: nella parte in cui era diretto contro Google Spain e Google Inc. La predetta sentenza ha rappresentato una “pietra miliare” nella materia del diritto di internet, in particolare riguardo la tutela dei dati personali dei cittadini, dimostrando così il loro diritto a vedere “deindicizzati” i riferimenti alla loro persona qualora questi dovessero rappresentare una lesione della personalità. Principi generali di deontologia relativi al trattamento dei dati personali nell'esercizio dell'attività giornalistica.All'art. 1 delle Regole, vengono rappresentati i principi generali, con qualche rettifica atta ad adeguare i riferimenti normativi. Recita il primo capoverso: le presenti norme sono volte a contemperare i diritti fondamentali della persona con il diritto dei cittadini all'informazione e con la libertà di stampa; mentre al paragrafo 2 si delinea immediatamente quello che può essere considerato il nocciolo fondante delle Regole ovvero, che in forza dell'art. 21 della Costituzione, la professione giornalistica si svolge senza autorizzazioni o censure. Grazie al lavoro di analisi di conformità della Autorità, viene specificato secondo paragrafo che su questi principi trovano fondamento le necessarie deroghe previste dal considerando 153 e dall'art. 85 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016 (di seguito “Regolamento/GDPR”) e dal d.lgs. n. 196/2003 (Codice in materia di protezione dei dati personali, di seguito “Codice”), così come modificato dal d.lgs. n. 101/2018. Entrando nel merito la disciplina sulla privacy prevede, oltre ad un regime di favore, anche dei limiti peculiari per le attività aventi finalità giornalistiche, che tengono conto delle caratteristiche e delle peculiarità dell'attività di informazione. L'art. 137 comma 3 del Codice in materia di protezione dei dati personali chiarisce, infatti, che, in caso di diffusione o di comunicazione dei dati per le finalità di giornalismo, restano fermi i limiti del diritto di cronaca a tutela dei diritti della persona e, in particolare, quello dell'essenzialità dell'informazione riguardo a fatti di interesse pubblico. A tale riguardo possiamo fare riferimento a quelli che sono stati ritenuti i tre principi-cardine di un corretto esercizio del diritto di cronaca: verità (anche solo putativa), continenza della forma espositiva, pertinenza o interesse sociale alla notizia. Dall'insieme di questi tre elementi si ricava un concetto di essenzialità dell'informazione, al quale il giornalista deve attenersi, sia con riferimento ai contenuti sia con riferimento allo stile di esposizione dei fatti (Cass. n. 5259/1984). L'essenzialità della informazione viene violata “quando il giornalista divulga dati sovrabbondanti rispetto al fatto di cronaca in sé, quali ad esempio l'anno di nascita, il luogo di residenza, la composizione del nucleo familiare, la professione del coniuge della vittima” (così Falcone). Dalla libertà di informazione ne discende che, come condizione essenziale per l'esercizio di cronaca, sia le banche dati, sia tutte le attività di trattamento dei dati personali, si differenziano nettamente per la loro natura da quanto previsto per altre banche dati o attività effettuate da altri soggetti. Sul tema merita inoltre di essere menzionata la recente Censura della Cassazione alla Corte di Appello di Milano, in merito ricorso proposto dal noto presentatore Paolo Bonolis e dalla moglie, che si erano sentiti lesi da un articolo pubblicato su un noto settimanale che faceva riferimento allo stato di salute dei familiari del conduttore. Secondo la Suprema Corte “aderendo alla tesi propugnata dalla Corte territoriale, non si sarebbe in presenza di un «bilanciamento» tra i diritti fondamentali della persona ed il diritto dei cittadini all'informazione e la libertà di stampa, ma di un «seppellimento» del diritto alla riservatezza a totale vantaggio dell'altro (Cass. pen. n. 16145/08). Nel merito del principio della essenzialità della informazione si ritiene infine opportuno citare il Provvedimento del garante per la protezione dati personali che ha dichiarato che non viola il principio della essenzialità della informazione in relazione a fatti di interesse pubblico rilevante la pubblicazione delle generalità complete dei soggetti imputati in un procedimento penale, a condizione che delle evoluzioni del caso e del mutamento di status dei medesimi venga dato appropriato rilievo (GPDP n. 70 del 9 aprile 2020). Mentre in merito al principio di pertinenza merita di essere citata la presente massima della Corte di Cassazione Civile secondo la quale, il giornalista che fornisce dettagli relativi alla vita privata di persone che non sono legati al fatto principale può essere condannato per violazione della privacy (Cass. n. 22741/2021). I giornalisti non devono chiedere il consenso per pubblicare dati. Nel momento in cui i giornalisti raccolgono notizie, gli obblighi informativi sono notevolmente ridotti rispetto alla regola generale. È infatti sufficiente dichiarare la propria identità, la propria professione e lo scopo che si sta perseguendo, a meno che il disvelamento della propria attività non metta a repentaglio la stessa incolumità del giornalista o renda impossibile svolgere la propria funzione informativa (così Paissan). Il punto è ovviamente rilevantissimo, in quanto tale adempimento può in concreto frustrare lo svolgimento dell'attività giornalistica (così (Pelino, in Bolognini, Pelino). Le obbligatorie precauzioni, seppur ridotte rispetto ad altre ipotesi di trattamento dei dati personali, partono prima del momento della pubblicazione della notizia che contiene un dato personale. Già a monte, nella fase in cui il giornalista cerca la notizia, l'attività di raccolta dell'informazione pone la necessità di un attento bilanciamento degli interessi. Si è pronunciata in questo senso recentemente la S. Corte di Cassazione, che ha confermato illegittimità delle riprese effettuate nei confronti di un notaio a fini di cronaca, dichiarata dal Tribunale di Roma, ritenendo di fatto che il trattamento per fini giornalistici può essere fatto senza il consenso, ma pur sempre con modalità che garantiscano il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali e non in modo occulto e con raggiri (Cass. I, n. 18006/2018). Inoltre, anche come una notizia è stata cercata non è indifferente nel valutare la legittimità o meno della successiva pubblicazione. Il rispetto della verità sostanziale dei fatti nonché i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede costituiscono un dovere deontologico primario per i professionisti del settore, pertanto eventuali notizie che risultino inesatte vanno rettificate prontamente e riparati gli eventuali errori. Banche dati di uso redazionale e tutela degli archivi personali dei giornalistiL'art. 2 delle Regole riporta alcune disposizioni armonizzate. In primis nell'indicare i limiti agli obblighi di informativa dei giornalisti indicando le regole di uso e conservazione delle banche dati di uso redazionale e tutela degli archivi personali dei giornalisti. L'art. 2 fa pertanto riferimento agli artt. 13 e 14 del Regolamento – mentre conferma che, il giornalista che raccoglie notizie, rende note la propria identità, la propria professione e le finalità della raccolta salvo che ciò comporti rischi per la sua incolumità o renda altrimenti impossibile l'esercizio della funzione informativa, evita artifici e pressioni indebite. Fatta palese tale attività, il giornalista non è tenuto a fornire ulteriori elementi dell'informativa. Il giornalista può conservare i dati raccolti per tutto il tempo necessario al perseguimento delle finalità proprie della sua professione e dovrà improntare i suoi comportamenti ai principi della lealtà e della buona fede. Il giornalista deve essere e deve apparire corretto. I cittadini hanno il diritto di conoscere e di “correggere” tutto ciò li riguarda e che viene conservato sulla propria persona negli archivi redazionali. L'archivio personale del giornalista è inviolabile e tutelato, per quanto concerne le fonti delle notizie, ai sensi dell'art. 2 l. n. 69/1963 e dell'art. 14, § 5, lett. d), del Regolamento, nonché dell'art. 138 del codice. A fronte delle importanti novità introdotte dal GDPR anche le imprese editoriali saranno tenute a rispettare i fondamenti di liceità del trattamento, nonché a riportare i contenuti essenziali della informativa. Inoltre, si ritiene che l'editore, in qualità di titolare del trattamento, dovrà valutare (ipotesi altamente probabile) se è obbligato a designare il Responsabile della protezione dei dati, specie se trattasi di un gruppo. In quest'ultima ipotesi, potrà essere nominato un unico responsabile della protezione dei dati, a condizione che sia facilmente raggiungibile da ciascuno stabilimento. I dati di contatto del Responsabile della protezione dei dati andranno sempre resi noti. Ovviamente come già anticipato nei paragrafi precedenti, nella materia in discussione sono ammesse deroghe ai diritti riconosciuti dal regolamento, con particolare riferimento al diritto alla cancellazione/oblio, ai sensi dell'art. 83. Ragionevolmente non dovrebbe rientrare tra le deroghe diritto di accesso alle interviste, poiché come già precisato diversi anni orsono dalla Autorità, “anche un'intervista o un colloquio, quindi, come qualsiasi altra dichiarazione, opinione, o manifestazione del pensiero proveniente dall'interessato (uno scritto, un saggio, un articolo, ecc.), costituiscono informazioni che riguardano la sua persona e come tali “dati personali”, essendo del tutto irrilevante la forma in cui sono trattate o gli eventuali supporti che le contengono. Ne consegue che l'interessato ha pieno diritto di ottenere dall'editore di un quotidiano e dal giornalista autore dell'articolo la comunicazione, in una forma chiaramente intelligibile (es.: attraverso riproduzione su supporto sonoro o cartaceo), della registrazione di una propria intervista rilasciata al giornale e poi divenuta oggetto dell'articolo. (Massimario 1997-2001. I principi affermati dal Garante nei primi cinque anni di attività) [doc. web n. 40029]]. Con riferimento al valore degli archivi online e alla durata della conservazione, la Corte Europea dei diritti dell'Uomo ha rilevato come questi abbiano un ruolo fondamentale nelle società contemporanee. La libertà di informazione difatti non può limitarsi ad informazioni di stretta attualità, ma altresì dovrà garantire la messa a disposizione durevole di materiale d'archivio. Difatti se si imponesse alle testate giornalistiche di cancellare o modificare tutte le informazioni del passato o se si impedisse al pubblico di cercarle, si potrebbe arrivare al paradosso di cancellare la Storia, perché se si imponesse la cancellazione di notizie e informazioni presenti negli archivi online delle testate, ciò potrebbe avere un effetto dissuasivo e incidere negativamente sulla loro libertà di espressione e di stampa (CEDU, 28 giugno 2018, M.L. e W.W. c. Germania, ric. 60798/10 e 65599/10). Mentre con riferimento al diritto di oblio, e alle testate on line, il Garante per la protezione dei dati personali, ha riconosciuto tra l'altro la necessità di garantire, a salvaguardia dell'attuale identità sociale del soggetto coinvolto, la “contestualizzazione e l'aggiornamento della notizia già di cronaca che lo riguarda, e cioè il collegamento della [stessa] ad altre informazioni successivamente pubblicate, concernenti l'evoluzione della vicenda, che possano completare o financo radicalmente mutare il quadro evincentesi dalla notizia originaria, a fortiori se trattasi di fatti oggetto di vicenda giudiziaria, che costituisce anzi emblematico e paradigmatico esempio al riguardo” (GPDP 20 ottobre 2016, n. 430) [doc. web n. 5690019]. Merita in fine di essere ricordata anche la Dichiarazione dei Diritti di Internet, art. 11, 2 comma, la quale recita: “Il diritto all'oblio non può limitare la libertà di ricerca e il diritto dell'opinione pubblica a essere informata, che costituiscono condizioni necessarie per il funzionamento di una società democratica”. Tale diritto può essere esercitato dalle persone note o alle quali sono affidate funzioni pubbliche solo se i dati che le riguardano non hanno alcun rilievo in relazione all'attività svolta o alle funzioni pubbliche esercitate. Tutela del domicilioL'art. 3 delle Regole resta invariato e ribadisce ai giornalisti l'obbligo del rispetto della inviolabilità del domicilio. La tutela del domicilio e degli altri luoghi di privata dimora si estende ai luoghi di cura, detenzione o riabilitazione, nel rispetto delle norme di legge e dell'uso corretto di tecniche invasive. Viene ad esempio puntualizzato dalla Corte di Cassazione che il diritto di cronaca può costituire scriminante per gli eventuali reati commessi con la pubblicazione e la diffusione della notizia e non per quelli compiuti al fine di procacciarsi la notizia: sarebbe davvero singolare, ad esempio, se un giornalista potesse introdursi, con la violenza e contro la volontà del dominus, all'interno di una abitazione privata allo scopo di intervistare un soggetto – sia pure di grande rilevanza pubblica e giornalistica – che si trovi in quel luogo, senza per ciò rispondere dei delitti di violenza privata e di violazione di domicilio, Sezione prima penale (Cass. Ud. 07/04/2016) n. 27984/2016. Nessuno può essere, ad esempio, fotografato (ricorrendo anche ai teleobiettivi) mentre è in casa propria, in ospedale o in carcere. L'Ufficio del Garante ha già condannato “l'uso di tecnologie invasive della riservatezza o che facilitano comportamenti sleali, ad esempio: uso di teleobiettivi o di microfoni unidirezionali, captazione di conversazioni private (così CSM, Incontro di studi sul tema “Magistratura e mass media” Roma, 9-11 dicembre 2004). Il predetto principio in considerazione dell'inviolabilità del domicilio previsto dalla Costituzione (art. 14) cerca di bilanciare l'uso di tecniche aggressive, come il teleobiettivo, con la tutela della privata dimora. L'appartenenza all'Ordine dovrebbe determinare negli iscritti, sia che raccontino i fatti con le parole sia che raccontino gli stessi fatti con le immagini, il rispetto massimo delle norme deontologiche poste a tutela della dignità delle persone, valore costituzionale che anima la legge professionale e la normativa sulla privacy. L'art. 2 l. n. 69/1963 sancisce, infatti, che la libertà d'informazione e di critica è un diritto insopprimibile dei giornalisti, limitato tuttavia dall'osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui. Le sanzioni disciplinari previste dalla l. n. 69/1963, si applicano però solo ai soggetti iscritti all'albo dei giornalisti e mai a coloro che esercitino occasionalmente attività pubblicistica, ai quali comunque si rivolge il codice di deontologia in esame. Pertanto, colui che, esercitando occasionalmente un'attività pubblicistica, leda un diritto altrui in violazione delle disposizioni del codice deontologico suddetto è soggetto esclusivamente all'intervento del Garante e non a quello dell'Ordine. L'adozione di provvedimenti disciplinari è, infatti, espressione del potere di vigilanza dell'Ordine dei giornalisti sulla condotta e sul decoro dei propri iscritti (in questo senso Valeria Falcone). Da considerare inoltre che l'inviolabilità del domicilio è tutelato dal codice penale, che all'art. 615-bis c.p. punisce il reato di interferenze illecite, impedendo la diffusione all'esterno delle forme di manifestazione del pensiero avvenute in privato o di notizie/immagini riservate per essersi estrinsecate o formate nel luogo di dimora o di abitazione della persona. In fine, a latere del tema di cui in discussione, merita un cenno la recente riforma di cui al d.lgs. n. 216/2017, che ha cercato di colmare una lacuna emersa nel sistema penale previgente a tutela della riservatezza, offesa dall'impiego di strumenti captativi a carattere tecnologico. A seguito di tale riforma è stata istituita la nuova fattispecie penale di cui all'art. 617-septies c.p. Si tratta di una particolare norma diretta a tutelare la riservatezza delle riprese audiovisive e delle registrazioni delle comunicazioni (immagini, suoni, conversazioni telefoniche o telematiche) senza che vi sia stato il consenso degli interessati, avvenute quindi in maniera fraudolenta e realizzate con mezzi insidiosi, (microfoni o telecamere nascoste), per diffonderne il contenuto con lo scopo di recare nocumento alla reputazione dei medesimi soggetti. Uniche eccezioni alla fattispecie-reato di nuova introduzione sono previste allorché tali registrazioni o riprese siano utilizzate nell'ambito di un procedimento giudiziario e/o amministrativo a tutela del diritto di difesa degli interessati o quando le stesse siano giustificate dal c.d. diritto di cronaca inteso come diritto alla pubblica conoscenza per effetto della rilevanza del fatto e dei soggetti coinvolti, sempre nei limiti del principio della continenza. Il reato in esame, in maniera coerente con l'impianto della legge di delega, è comunque perseguibile a querela della persona offesa (Relazione Illustrativa del Ministero delle Giustizia allo schema di d.lgs.). Il Garante rappresenta infine nella propria relazione annuale 2019, che si sono presentate nuove occasioni di riflessione sul tema dell'uso di strumenti di registrazione audio e video a fini giornalistici a seguito di reclami presentati all'Autorità nel 2019, con particolare riguardo a delle doglianze formulate in relazione all'identificabilità dei reclamanti, protagonisti di alcuni servizi televisivi aventi lo scopo di denunciare talune condotte irregolari, suscettibili di assumere anche rilevanza penale, tenute dagli stessi, nel contesto più generale di denuncia del fenomeno del lavoro nero e/o sommerso e delle assunzioni irregolari (provv. 24 ottobre 2019, n. 201, doc. web n. 9207828) nonché delle azioni di discriminazione e di contrasto all'integrazione sociale degli immigrati (provv. 20 giugno 2019, n. 141, doc. web n. 9123578). L'Autorità nei predetti casi ha rilevato che i servizi oggetto dei reclami non contrastano con le disposizioni citate in quanto si riferivano a i atti di cronaca connessi a un temi di particolare interesse pubblico e di attualità. RettificaAltrettanto invariato rispetto le precedenti prescrizioni del Codice l'art. 4 delle Regole, che disciplina l'obbligo di rettifica. Il giornalista corregge senza ritardo errori e inesattezze, anche in conformità al dovere di rettifica nei casi e nei modi stabiliti dalla legge. Con riferimento all'art. 8 l. n. 47/1948 sulla stampa, disposizioni sulla stampa, diffamazione, reati attinenti alla professione e processo penale, il direttore responsabile o il vice direttore è tenuto a far inserire gratuitamente nel giornale o periodico da lui diretto le dichiarazioni e le rettifiche dei soggetti cui siano stati attribuiti atti, pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità o, comunque, contrari alla verità. La rettifica deve essere pubblicata non oltre due giorni da quello in cui è avvenuta la richiesta e va collocata nella medesima pagina che ha riportato la notizia cui si riferisce. Essa, inoltre, deve avere le medesime caratteristiche tipografiche dell'articolo contestato. Qualora tale termine non sia rispettato il soggetto interessato può, con provvedimento d'urgenza, chiedere al giudice civile che sia ordinata la pubblicazione. Le rettifiche o le dichiarazioni devono far riferimento allo scritto che le ha determinate e devono essere pubblicate nella loro interezza, purché contenute nelle trenta righe tipografiche. La rettifica era già, per il giornalista, un dovere l'art. 2 l. n. 69/1963 impone di “rettificare le notizie che risultino inesatte e di riparare gli eventuali errori”. Il tema della veridicità delle informazioni pone ovvi collegamenti con il tema di diffamazione a mezzo stampa così come previsto dall'art. 8 l. n. 47/1948. Più volte la Cassazione si è espressa in merito: perché il diritto di critica assuma valenza scriminante è peraltro necessario che venga esercitato entro precisi limiti, individuati essenzialmente: nel limite dell'interesse pubblico alla conoscenza di fatti e di opinioni; nel limite della continenza espressiva e in quello della verità dei fatti posti a fondamento della critica (Cass. Pen. n. 37226/2017). La scriminante putativa dell'esercizio del diritto di cronaca è quindi ipotizzabile solo qualora, pur non essendo obiettivamente vero il fatto riferito, il cronista abbia assolto all'onere di esaminare, controllare e verificare quanto oggetto della sua narrativa, al fine di vincere ogni dubbio, non essendo sufficiente l'affidamento riposto in buona fede sulla fonte (Cass. N. 51619/2017). Il diritto di critica, tra l'altro anche nei confronti della magistratura, è stato ribadito più volte dalla Corte di Cassazione penale (Cass. Pen. V, n. 43403/2009; Cass. Pen. V, n. 25138/2007), poiché la stampa e i mass-media vengono ritenuti “mezzi di espressione della libertà di opinione che, negli ordinamenti democratici, rappresentano veri e propri cani da guardia della democrazia”, richiamando così la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo che, nell'affermare il principio di libertà di espressione, definisce i giornali “watch-dog” della democrazia e delle istituzioni giudiziarie (Corte EDU, 6 maggio 2003, n. 48898, in Cass. Pen., 2003, 3562). In altri termini, l'esercizio del diritto di critica postula, per avere efficacia scriminante, oltre al rispetto del limite della continenza, che venga stigmatizzato un fatto obiettivamente vero nei suoi elementi essenziali, o ritenuto tale per errore assolutamente scusabile (Cass. Pen. V, n. 48267/2003). Diritto all'informazione e dati personaliAll'art. 5 delle Regole viene considerato il diritto alla informazione e conseguentemente su fatti di interesse pubblico. Nel presente articolo vengono estese le esenzioni previste per il trattamento dei dati personali ai fini di giornalismo, anche alle nuove categorie particolari di dati – ai sensi dell'art. 9 del GDPR. Il giornalista nel raccogliere dati personali atti a rivelare origine razziale ed etnica, convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, opinioni politiche, adesioni a partiti, sindacati, associazioni o organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché dati genetici, biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, nonché dati atti a rivelare le condizioni di salute e la sfera sessuale, deve garantire il diritto all'informazione su fatti di interesse pubblico, nel rispetto dell'essenzialità dell'informazione, evitando riferimenti a congiunti o ad altri soggetti non interessati ai fatti. Secondo quanto precisò S. Rodotà: il Garante non ha mai ceduto alla tentazione di farsi custode di una particolare etica o del semplice buon gusto, anche quando a ciò lo sollecitavano un'opinione pubblica preoccupata e persino autorevoli giornalisti. Ma è dovere nostro ricordare che, al di là della stessa legge sulla privacy, esistono norme di legge e regole deontologiche, liberamente adottate dai giornalisti, che impongono un particolare rispetto per taluni soggetti, in primo luogo i minori, gli ammalati, le vittime di violenze sessuali (così S. Rodotà). Nel secondo capoverso delle Regole viene inoltre confermato che, in relazione a dati riguardanti circostanze o fatti resi noti direttamente dagli interessati o attraverso loro comportamenti in pubblico, è fatto salvo il diritto di addurre successivamente motivi legittimi meritevoli di tutela. Essenzialità dell'informazioneResta invariato rispetto le precedenti prescrizioni dell'art. 6 codice deontologico, l'art. 6 delle Regole, che disciplina il principio di essenzialità della informazione. Con essenzialità si intende la divulgazione di notizie di rilevante interesse pubblico o sociale non contrasta con il rispetto della sfera privata quando l'informazione, anche dettagliata, sia indispensabile in ragione dell'originalità del fatto o della relativa descrizione dei modi particolari in cui è avvenuto, nonché della qualificazione dei protagonisti. La sfera privata delle persone note o che esercitano funzioni pubbliche deve essere rispettata se le notizie o i dati non hanno alcun rilievo sul loro ruolo o sulla loro vita pubblica. Pertanto si deve evitare di diffondere informazioni sulla vita privata e familiare, a meno che siano direttamente connesse alla condotta tenuta dal politico o dal rappresentante istituzionale in questione. Sempre in tema di riservatezza, i limiti dell'essenzialità dell'informazione riguardo a fatti di interesse pubblico, che circoscrivono la possibilità di diffusione dei dati personali nell'esercizio dell'attività giornalistica, comportano il dovere di evitare riferimenti alla vita privata dei congiunti del soggetto interessato dai detti fatti, se non aventi attinenza con la notizia principale e se del tutto privi di interesse pubblico (Cass., Sez. 6 – 1, ord. n. 22741/2021). In merito alla presunta lesione del principio della essenzialità della informazione l'Autorità ha valutato le richieste provenienti dagli eredi di una persona deceduta a causa di Covid-19 che, lamentando l'avvenuta divulgazione di informazioni particolarmente delicate sullo stato di salute del de cuius. Tuttavia nel caso in esame, tuttavia, alla luce del fatto che il defunto era persona nota nell'ambito locale di riferimento, corrispondente all'area geografica di diffusione della testata giornalistica, e del fatto che la finalità dell'articolo, come desumibile anche dalle parole utilizzate, fosse essenzialmente riconducibile all'intento di commemorare il defunto e informare della sua scomparsa la collettività di riferimento, il Garante ha ritenuto che non fosse stato travalicato il principio di essenzialità dell'informazione, tenuto conto del fatto che all'interno dell'articolo era contenuto solo un breve accenno alle ragioni che avevano determinato il ricovero e la successiva morte del de cuius, senza fornire dati di dettaglio, in conformità con quanto previsto dall'art. 10 delle regole deontologiche (provv. 29 aprile 2021, n. 180, doc. web n. 9688429). Al secondo capoverso, si rappresenta che i commenti e opinioni del giornalista appartengono alla libertà di informazione nonché alla libertà di parola e di pensiero costituzionalmente garantita a tutti. La sfera privata delle persone note o che esercitano funzioni pubbliche dovrà essere rispettata, invece, se le notizie o i dati non hanno alcun rilievo sul loro ruolo o sulla loro vita pubblica. Difatti il lavoro del giornalista è da intendersi come quell'attività «di lavoro intellettuale diretta alla raccolta, commento ed elaborazione di notizie attraverso gli organi di informazione, in cui il giornalista si pone quale mediatore intellettuale tra il fatto e la sua diffusione» (Cass. S.U., n. 1867/2020). In questo senso gli organi di informazione hanno il diritto di pubblicare anche notizie negative o critiche sui politici e sui rappresentanti delle istituzioni; ipotesi che trova sponda anche nel diritto alla satira, che assolve il fine di garantire il pluralismo democratico e la libertà di discussione politica. Quanto ai limiti del diritto di cronaca, si richiama in primo luogo la giurisprudenza concernente la diffamazione a mezzo stampa. I caratteri della notizia, che garantiscono al giornalista di non incorrere nelle sanzioni penali e civili previste per l'offesa della reputazione altrui, sono, in particolare, la verità, l'interesse pubblico e la correttezza formale (in questo senso Falcone). Tutela del minoreL'art. 7 delle Regole conferma senza modifiche quanto previsto dal Codice: al fine di tutelare la personalità del minore, il giornalista non pubblica i nomi dei minori coinvolti in fatti di cronaca, né fornisce particolari in grado di condurre alla loro identificazione. Al terzo comma viene precisato che il diritto del minore alla riservatezza deve essere sempre considerato come primario rispetto al diritto di critica e di cronaca; qualora, tuttavia, per motivi di rilevante interesse pubblico e fermo restando i limiti di legge, il giornalista decida di diffondere notizie o immagini riguardanti minori, dovrà farsi carico della responsabilità di valutare se la pubblicazione sia davvero nell'interesse oggettivo del minore, secondo i principi e i limiti stabiliti dalla “Carta di Treviso”. La Carta di Treviso, è un codice deontologico varato ed approvato nel 1990 dall'Ordine dei giornalisti e dalla Fnsi di intesa con Telefono Azzurro e con Enti e Istituzioni della Città di Treviso – trae ispirazione dai principi e dai valori della nostra Carta costituzionale, dalla Convenzione dell'Onu del 1989 sui diritti dei bambini e dalle Direttive europee. La stessa costituisce un codice di condotta che può dar luogo a responsabilità disciplinare dei giornalisti e rappresenta un vademecum indispensabile per i giornalisti che divulgano notizie sui minori. Tra l'altro il 6 luglio 2021 il Consiglio dell'Ordine dei giornalisti ha deliberato un nuovo testo della Carta, il quale ha ottenuto la presa d'atto dell'Autorità garante per la protezione dei dati personali. Ad esempio la suddetta Carta prescrive che va garantito l'anonimato del minore coinvolto in fatti di cronaca, anche non aventi rilevanza penale, ma lesivi della sua personalità, come autore, vittima o teste; tale garanzia viene meno allorché la pubblicazione sia tesa a dare positivo risalto a qualità del minore e/o al contesto familiare e sociale in cui si sta formando. Si evidenzia che con il l nuovo testo della Carta “È stato rafforzato il rispetto dell'anonimato, grazie a una più accurata precisazione degli elementi ritenuti in grado di portare all'identificazione del minorenne anche in assenza della pubblicazione della sua identità o successivamente a essa.” La tutela dei minori e dei soggetti deboli è contemplata, altresì, dalla Carta dei doveri del giornalista, approvata l'8 luglio 1993 dal Consiglio nazionale Ordine giornalisti e dalla Federazione nazionale Stampa italiana. In caso di pubblicazione di un'immagine di un minore, i giornalisti sono, quindi, tenuti a rispettare le regole sancite dalle suddette Carte deontologiche, il cui principio cardine è quello di evitare la pubblicazione di foto o immagini che possano portare con facilità all'identificazione del minore. Al riguardo merita inoltre di essere citata la Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia, approvata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 e ratificata in Italia con l. n. 176/1991, che sancisce che in tutti gli atti relativi ai minori, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l'interesse superiore del minore deve essere considerato preminente (art. 3). Tale Convenzione sancisce, inoltre, che nessun fanciullo può essere sottoposto ad interferenze arbitrarie o illegali nella sua vita privata, nella sua famiglia, nella sua casa o nella sua corrispondenza, né a lesioni illecite del suo onore e della sua reputazione. Ogni fanciullo ha diritto ad essere tutelato dalla legge contro tali interferenze o atteggiamenti lesivi (art. 16). Pertanto l'esercizio dell'attività giornalistica se riguarda la diffusione di notizie concernenti un minore deve sempre avvenire nel rispetto di determinati limiti e, segnatamente, in quello della essenzialità dell'informazione, la cui valutazione è affidata all'apprezzamento del giudice di merito censurabile soltanto ove lo stesso sia affetto dai vizi di motivazione (Cass. pen. III, n.7504/2014). Su questo tema tra l'altro si è di recente pronunciato il Tribunale di Milano, che, con una sentenza del novembre 2017, ha avuto modo di ribadire l'illegittima pubblicazione delle immagini di alcuni bambini intenti a giocare in una strada di un paesino calabrese (Trib. Milano I, 22 novembre 2017). In conclusione ove il giornalista illegittimamente pubblica immagini di minori sia lui stesso che l'editore presumibilmente saranno ritenuti responsabile della violazione. Sta pertanto alla responsabilità del giornalista e dell'editore farsi carico della responsabilità di valutare se la pubblicazione sia davvero nell'interesse oggettivo del minore, secondo i principi e i limiti stabiliti dalla “Carta di Treviso”. Tutela della dignità delle personeNon vengono introdotte modifiche neanche all'art. 8 delle Regole, in materia di tutela la dignità delle persone. Recita il primo capoverso che salva l'essenzialità dell'informazione, il giornalista non fornisce notizie o pubblica immagini o fotografie di soggetti coinvolti in fatti di cronaca lesive della dignità della persona, né si sofferma su dettagli di violenza, a meno che ravvisi la rilevanza sociale della notizia o dell'immagine. Al secondo capoverso viene chiarito che, salvo rilevanti motivi di interesse pubblico o comprovati fini di giustizia e di polizia, il giornalista non riprende né produce immagini e foto di persone in stato di detenzione senza il consenso dell'interessato. Mentre al terzo capoverso del Codice si dice che le persone non possono essere presentate con ferri o manette ai polsi, salvo che ciò sia necessario per segnalare abusi. Merita fare cenno a quanto disposto di recente dal Garante in relazione a quanto pubblicato da alcune testate a carattere nazionale, anche televisive, che ha censurato la diffusione di informazioni in grado di rendere identificabile, sia pure indirettamente, la vittima di una violenza sessuale avvenuta nel mese di luglio in una città dell'Emilia Romagna. L'Autorità ha ravvisato l'esternazione di troppi dettagli legati agli eventi di violenza, e dette informazioni sono contrarie sia alla norma sulla protezione dei dati, sia al Codice penale, che accordano una particolare tutela alle vittime di questo tipo di reati (Garante per la protezione dei dati personali, (GPDP 29 novembre 2018, n. 490 [web n. 9065807]; GPDP 29 novembre 2018, n. 480 [web n. 9065800], GPDP 29 novembre 2018, n. 487 [web n. 9065782], GPDP 29 novembre 2018, n. 488 [web n. 9065793], GPDP 29 novembre 2018, n. 486 [web n. 9065775]). Il Garante ha ricordato che in caso di inosservanza del divieto, il titolare del trattamento e l'editore, possono incorrere anche nelle nuove sanzioni amministrative introdotte dal Regolamento europeo. In merito al rispetto della dignità delle persone è particolarmente rilevante citare il d.lgs. n. 188/2021, che ha introdotto un articolato sistema di tutele del diritto dell'indagato o dell'imputato a non essere indicato“pubblicamente come colpevole” finché non ne sia definitivamente accertata la responsabilità penale, unitamente a nuove modalità di gestione del rapporto tra giustizia e informazione. Tutela del diritto alla non discriminazioneL'art. 9. delle Regole, tutela il diritto alla non discriminazione senza riportare modifiche.Nell'esercitare il diritto dovere di cronaca, il giornalista è tenuto a rispettare il diritto della persona alla non discriminazione per razza, religione, opinioni politiche, sesso, condizioni personali, fisiche o mentali. Tra l'altro il diritto alla non discriminazione si muove nel pieno rispetto di quanto indicato all'art. 21 della Carta dei diritti fondamentali della Unione europea, nonché nell'art. 2 del Trattato della Unione europea. È auspicabile che tale principio, possa arricchirsi di ulteriori spunti offerti dal Protocollo deontologico concernente richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti detto Carta di Roma. Sul punto, il Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Giornalisti e la Federazione Nazionale della Stampa Italiana, condividendo le preoccupazioni dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR), circa l'informazione concernente richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti; – richiamandosi ai dettati deontologici presenti nella Carta dei Doveri del Giornalista – hanno sottoscritto il predetto un Protocollo deontologico concernente richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti detto Carta di Roma che è stata recepita nel testo unico dei doveri del giornalista ed è in vigore dal 3 febbraio 2016. Tutela della dignità delle persone malateResta invariato anche l'art. 10 delle Regole, dove si prevede che il giornalista, nel far riferimento allo stato di salute di una determinata persona, identificata o identificabile, ne rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza e al decoro personale, specie nei casi di malattie gravi o terminali, e si astiene dal pubblicare dati analitici di interesse strettamente clinico. La pubblicazione è ammessa nell'ambito del perseguimento dell'essenzialità dell'informazione e sempre nel rispetto della dignità della persona se questa riveste una posizione di particolare rilevanza sociale o pubblica. In questi casi, secondo la giurisprudenza, la regola di condotta generale è quella di garantire l'anonimato della persona cui i dati sanitari si riferiscono, così da informare la collettività su fatti di interesse pubblico salvaguardando, altresì, la dignità del malato. Non si ritiene sussistente alcun illecito, qualora i fatti siano riferiti in modo completo per una corretta informazione del pubblico e, tuttavia, non siano riconducibili all'interessato per avere il cronista provveduto a modificare il cognome dell'interessato sì da non renderlo riconoscibile (così, V. Falcone). L'Ufficio del Garante ha, inoltre, più volte evidenziato che il diritto di cronaca, qualora coinvolga aspetti sensibili della vita delle persone e, in particolare, dati di carattere sanitario, non può prescindere dal rispetto di alcuni principi quali il dovere di raccogliere e utilizzare i dati correttamente, con trasparenza e lealtà, per scopi espliciti e secondo un criterio di proporzionalità rispetto ai fini perseguiti. Merita di essere tra l'altro evidenziato un recente provvedimento relativo ad un reclamo con il quale due genitori hanno chiesto la rimozione di un articolo di stampa, diffuso anche mediante il sito internet di un quotidiano, che riportava le generalità, la fotografia e i dati sanitari riguardanti la figlia minore deceduta in ospedale a causa di una malattia. Il Garante nel predetto provvedimento ha ritenuto di accogliere la richiesta, vietando l'ulteriore diffusione delle generalità e delle immagini della minore, considerando questi elementi eccedenti rispetto alle finalità informative dell'articolo, ossia quelle di dare conto di un'indagine svolta dalla Procura della Repubblica competente per l'accerta mento delle responsabilità connesse alla morte di una bambina. Nel caso di specie, la tutela normalmente garantita alla dignità della persona malata, poi deceduta, è stata rafforzata dalla circostanza della minore età dell'interessata, interpretandosi perciò il parametro dell'interesse pubblico in modo particolarmente rigoroso anche a protezione della memoria della defunta e della serenità del suo nucleo familiare (provv. 4 aprile 2019, n. 90, doc. web n. 9113909). Tutela della sfera sessuale della personaAnche l'art. 11 delle Regole, mantiene la medesima diciture, e prevede che il giornalista si astiene dalla descrizione di abitudini sessuali riferite ad una determinata persona, identificata o identificabile. La pubblicazione è ammessa nell'ambito del perseguimento dell'essenzialità dell'informazione e nel rispetto della dignità della persona se questa riveste una posizione di particolare rilevanza sociale o pubblica. Nel riferire fatti di cronaca collegati ad abitudini o orientamenti sessuali di una persona, il giornalista è tenuto quindi a tutelare l'interessato, non solamente mediante l'omissione delle sue generalità, ma anche evitando di divulgare elementi che consentono una sua identificazione anche solo nella cerchia ristretta di familiari e conoscenti. Ciò, in ragione del fatto che le informazioni diffuse possono rivelare aspetti della vita dell'interessato medesimo, eventualmente non noti alla suddetta cerchia di persone (così V. Falcone). Merita attenzione la decisione presa dal Tribunale di Milano contro l'editore del Corriere della Sera, R.C.S. Mediagroup. È stato osservato in relazione alla lesione della privacy della Knox che la pubblicabilità di atti di un processo penale contenenti dati personali di per sé non consente l'indiscriminata pubblicazione del contenuto di quei medesimi atti; il giornalista, cioè, ha comunque il dovere di filtrare il contenuto delle fonti nel rispetto delle norme poste a tutela dei diritti fondamentali dal Codice della privacy e dal codice deontologico. Il giudice ha quindi concluso che fosse stata posta in essere l'illecita diffusione di dati personali sensibili della Knox, concretamente idonea a determinare la lesione della sua riservatezza. Ha pertanto condannato tutti i resistenti in via solidale tra loro a risarcire ad Amanda Knox i danni morali (liquidati in via equitativa) e le spese (Trib. Milano 21 marzo 2014, n. 3967). Si ritiene infine citare una importante sentenza della Cassazione Civile e in merito ad un episodio di abusi domestici. La donna vittima degli abusi citava in giudizio il quotidiano che aveva pubblicato le sue generalità. Il giornalista, nell'articolo, aveva parlato dell'arresto del marito per maltrattamenti e violenza sessuale, indicando il nome e cognome della vittima. La Corte ha pertanto dichiarato che il giudice deve accertare se la pubblicazione delle generalità della persona offesa sia essenziale ai fini dell'informazione. Viene pertanto precisato dalla Suprema Corte che il diritto di cronaca non deve “eccedere” rispetto alla finalità dell'informazione, fornendo i dati della vittima quando non sono essenziali (Cass. Ord. n. 4690/2021). Tutela del diritto di cronaca nei procedimenti penaliModifiche vengono riportate all'art. 12 delle Regole, per il quale viene attualizzata la prescrizione. Il trattamento dei dati relativi a procedimenti penali non si applica il limite previsto dall'art. 10 del Regolamento, nonché dall'art. 2-octies del codice. Le Regole all'art. 12, escludono i limiti legati al trattamento dei dati personali relativi a condanne penali e reati, che ai sensi dell'art. 10 del GDPR dovrebbe avvenire sotto il controllo dell'autorità pubblica o se il trattamento è autorizzato dal diritto dell'Unione o degli Stati membri che preveda garanzie appropriate per i diritti e le libertà degli interessati; parimenti l'art. 2-octies del codice prevede notevoli limitazioni al trattamento di dati relativi a condanne penali e reati che non si applicano per l'attività giornalistica. Al riguardo il cod. privacy novellato ribadisce che nell'ambito della attività giornalistica possono essere trattati i dati personali relativi a circostanze o fatti resi noti direttamente dagli interessati o attraverso loro comportamenti in pubblico. Di fatto una informazione giornalistica può ritenersi lecita quando, pur riferendosi a fatti e condotte private queste abbiano interesse pubblico i dettagli riportati e le circostanze siano contenute nei limiti dell'essenzialità, e vengano evitando spettacolarizzazioni e accanimenti morbosi. Da valutare inoltre anche il rispetto del segreto istruttorio nella cronaca, la Cassazione penale ha anzitutto affermata la «possibilità di fondare una pretesa risarcitoria sul reato di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale previsto all'art. 684 c.p. (che sanziona “chiunque pubblica, in tutto o in parte, anche per riassunto o a guisa di informazione, atti o documenti di un procedimento penale, di cui sia vietata per legge la pubblicazione”), a prescindere dal fatto che vi concorra o meno la diffamazione (Cass. pen. n. 17051/2013). Ad esempio il Garante, rilevato infatti, che il codice di procedura penale: a) vieta la pubblicazione di atti coperti dal segreto o anche solo del loro contenuto); b) vieta anche la pubblicazione di atti non più coperti dal segreto fino alla conclusione delle indagini preliminari o al termine dell'udienza preliminare; c) consente sempre, però, la pubblicazione del contenuto di atti non coperti dal segreto e considera gli atti d'indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria non più coperti dal segreto quando l'imputato ne possa avere conoscenza. Ha prescritto ai titolari del trattamento in ambito giornalistico di conformare con effetto immediato i trattamenti di dati personali relativi alla pubblicazione di trascrizioni di intercettazioni telefoniche a tutti i principi affermati dal medesimo Codice e dall'allegato codice di deontologia per l'attività giornalistica, richiamati nel presente provvedimento (GPDP 27 giugno 2006). Il diritto di cronaca propone anche valutazioni in merito alla attualità e rilevanza della informazione. In questo senso una recente sentenza della corte di cassazione civile, che conclude affermando che l'importanza del bilanciamento dei rapporti tra diritto di cronaca, informazione o manifestazione del pensiero e diritto all'oblio renda ormai “indifferibile” l'individuazione di criteri inequivocabili di riferimento, e per questo rimette alle Sezioni Unite la questione: “Si rimettono pertanto gli atti al Primo Presidente della Corte per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione di massima di particolare importanza, concernente il bilanciamento del diritto di cronaca – posto al servizio dell'interesse pubblico all'informazione – e del c.d. diritto all'oblio – posto a tutela della riservatezza della persona – alla luce del quadro normativo e giurisprudenziale negli ordinamenti interno e sovranazionale” (Cass. III, 28084/2018). Ricorda l'Autorità nella propria relazione annuale 2019, di essere stata chiamata ad affrontare nuovamente il tema del trattamento di dati giudiziari da parte di testate giornalistiche e di siti web, oltreché da parte dei motori di ricerca, attraverso l'individuazione dei principi di un corretto trattamento di quella particolare categoria di dati. Ciò in quanto, senza voler comprimere le esigenze informative connesse a notizie riguardanti rilevanti fatti di cronaca giudiziaria, si è avvertita la necessità di tutelare dei diritti delle persone coinvolte, sia che si tratti di vittime, sia che si tratti di persone sottoposte ad indagine per fatti di reato descritti all'interno degli articoli diffusi online. Sono stati così ribaditi i limiti che gli editori incontrano con riguardo al trattamento di dati afferenti a vicende giudiziarie, tenendo anche conto del fatto che, pur essendo stata prevista dallo stesso RGPD la possibilità di introdurre, in ambito giornalistico, deroghe al regime generale, il legislatore nazionale ha comunque mantenuto un punto fermo vincolando il trattamento delle categorie particolari di dati di cui agli artt. 9 e 10 del RGPD al rispetto delle regole deontologiche di settore. Il travalicamento dei criteri dettati da queste ultime è stato riscontrato con riguardo alla pubblicazione di immagini di persone coinvolte in fatti di cronaca giudiziaria riprese in condizioni di costrizione fisica o comunque in circostanze la cui diffusione è stata ritenuta lesiva della dignità delle medesime. Ciò è avvenuto, ad esempio, in occasione della riscontrata diffusione in rete di un video ritraente le reazioni autolesionistiche di un uomo, in evidente stato di alterazione psico-fisica, filmato all'interno dei locali di un commissariato di polizia: il Garante, rinvenendo nel trattamento così effettuato gli estremi di una violazione delle norme di riferimento (cfr. art. 137, comma 3, del Codice e art. 8, comma 1, delle regole deontologiche). Ad analoga valutazione si è pervenuto a fronte dell'avvenuta diffusione, di immagini ritraenti due persone poste in stato di fermo sono state riprese in evidente stato di costrizione fisica (provv. 25 ottobre 2019, n. 198, doc. web n. 9199034; provv. 31 ottobre 2019, n. 199, doc. web n. 9199046). In entrambi i casi l'Autorità ha ritenuto che il trattamento dei dati riferiti agli individui coinvolti fosse avvenuto con modalità tali da risultare in contrasto con il principio di essenzialità dell'informazione e con quello di rispetto della dignità umana, oltreché con specifiche norme poste dall'ordinamento a tutela delle persone arrestate. L'Autorità, al fine di richiamare il mondo dei media al rispetto delle norme vigenti in materia, ha accompagnato l'adozione dei provvedimenti sopra citati con appositi comunicati stampa finalizzati, a favorire un processo di adeguamento spontaneo ed a richiamare, in generale, l'attenzione dei mezzi di informazione sull'importanza del rispetto di regole che costituiscono, prima di tutto, un baluardo di civiltà. Merita in fine di essere illustrata una importante adeguamento normativo voluto con la cosiddetta riforma Cartabia del processo penale (d.lgs. n. 150/2022) che ha sancito che l'imputato destinatario di una sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere e la persona sottoposta alle indagini destinataria di un provvedimento di archiviazione possono richiedere che sia preclusa l'indicizzazione o che sia disposta la deindicizzazione, sulla rete internet, dei dati personali riportati nella sentenza o nel provvedimento, ai sensi e nei limiti dell'art. 17 del regolamento (UE) n. 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016. Ambito di applicazione, sanzioni disciplinariLe regole confermano in fine l'art. 13 che indica che le presenti norme si applicano ai giornalisti professionisti, pubblicisti e praticanti e a chiunque altro, anche occasionalmente, eserciti attività pubblicistica. Ai sensi del Cod. privacy il Garante per la protezione dei dati personali è l'organo competente ad irrogare le sanzioni, lo stesso dovrà avere cura di valutare caso per caso le violazioni, affinché le sanzioni siano sempre effettive, proporzionate e dissuasive (art. 83, comma 1 GDPR). Andranno tenute in debito conto le circostanze di cui all'art. 83, comma 2 GDPR, ossia la natura, la gravità, la durata della violazione, il carattere doloso o colposo della stessa, le categorie di dati personali interessate dalla violazione, ecc. In alternativa o in aggiunta a queste, il Garante potrà comminare le altre sanzioni previste dall'art. 58, § 2 GDPR. Ad esempio, in caso di violazione minore o se la sanzione pecuniaria costituisse un onere sproporzionato per una persona fisica, potrebbe essere rivolto al trasgressore un ammonimento anziché imposta una sanzione pecuniaria (considerando 148 GDPR) (così Panetta). Mentre le sanzioni disciplinari, di cui al titolo III della l. n. 69/1963, si applicano solo ai soggetti iscritti all'albo dei giornalisti, negli elenchi o nel registro. BibliografiaBolognini, Pelino, Codice privacy tutte le novità del d.lgs. 101/2018, in Il Civilista, Milano, 2018; Ciccia Messina, Il codice privacy in Italia, come cambia dopo il d.lgs. n. 101/2018, in federprivacy.org, 2018; Paissan, T.U. dei doveri del giornalista, in Contributi Garante per la protezione dei dati personali, in garanteprivacy.it, 2012; Falcone, Rapporti tra privacy e giornalismo, in Diritto.it, 29 novembre 2007; Panetta, Gdpr, sanzioni e responsabilità: tutto ciò che c'è da sapere, in Agenda Digitale.it, 11 settembre 2018; S. Rodotà, Discorso relazione annuale, in garanteprivacy.it, 2001. |