Mandato per risoluzione arbitrale alle commissioni di conciliazione ex art. 412 c.p.c.

Antonio Lombardi

Inquadramento

L'arbitrato nelle controversie di lavoro, quale strumento di risoluzione delle controversie alternativo alla giurisdizione è rimedio di natura facoltativa, alternativo rispetto al ricorso giurisdizionale. Presupposto indispensabile per la deferibilità in arbitri di una controversia ricompresa nel novero dell'art. 409 c.p.c. è la natura disponibile dei diritti.

Il primo modello arbitrale codicistico, di natura irrituale, è quello disciplinato dall'art. 412, comma 1, c.p.c., che configura una fattispecie secondo grado, poiché si innesta per germinazione sul procedimento conciliativo tenuto ex art. 410 c.p.c. dinanzi alle Commissioni di conciliazione.

Formula

MANDATO PER LA RISOLUZIONE ARBITRALE ALLA COMMISSIONE DI CONCILIAZIONE

ART. 412 C.P.C.

Alla Commissione di Conciliazione istituita presso la Direzione Provinciale del Lavoro di ....

I sottoscritti

...., nato a ...., il ...., residente in ...., via .... n. ...., domiciliato nel Comune di ...., cap ...., C.F. ...., rappresentato dall'Avv. ...., del Foro di ...., presso il cui studio in ...., alla via ...., elegge domicilio, di seguito il Lavoratore

...., in persona del legale rappresentante pro tempore sig. .... con sede legale nel Comune di ...., C.F. .... e Partita IVA ...., rappresentata dall'Avv. .... del Foro di ...., presso il cui studio in ...., alla via ...., elegge domicilio, di seguito la Società

PREMESSO CHE

in data .... stipulavano contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, con inquadramento del lavoratore al livello .... CCNL ....;

nel corso del rapporto di lavoro insorgeva tra di loro controversia, lamentando il Lavoratore il mancato pagamento delle seguenti voci retributive ....;

conseguentemente, le parti ricorrevano alla Commissione in indirizzo affinché esperisse, secondo le disposizioni di cui all'art. 31 della l. n. 183/2010, il previo tentativo di conciliazione;

nel corso del tentativo di conciliazione le parti addivenivano ad una soluzione concordata in ordine alla spettanza delle seguenti voci .... riconoscendo al Lavoratore il credito di complessivi Euro .... così analiticamente articolato ...., residuando controversia tra le stesse in ordine alla spettanza ed alla quantificazione dell'ulteriore voce ....;

è, pertanto, intenzione delle parti affidare alla Commissione di conciliazione il mandato a risolvere in via arbitrale la residua controversia;

tanto allegato e premesso rivolgono rispettosa istanza alla Commissione di conciliazione, alla quale conferiscono mandato per la risoluzione della residua controversia specificando che:

1) il lodo dovrà intervenire nel termine di giorni sessanta dal conferimento del mandato, spirato il quale l'incarico deve intendersi revocato;

2) le norme invocate dalle parti a sostegno delle loro pretese risultano essere le seguenti:

Artt. .... c.c., art. ...., l. n. .... per il Lavoratore

Artt. .... c.c., art. ...., l. n. .... per la Società

3) in caso di accertamento del diritto, e difficoltà nella quantificazione del credito, la Commissione potrà decidere secondo equità, nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento e dei principi regolatori della materia, anche derivanti da obblighi comunitari.

4) Il lodo emanato a conclusione dell'arbitrato, sottoscritto dagli arbitri e autenticato, produrrà tra le parti gli effetti di cui all'art. 1372 e all'art. 2113, comma 4, c.c. e sarà impugnabile ai sensi dell'art. 808-ter.

INFORMATIVA AI SENSI DELL'ART. 13 DEL D.LGS. N. 196/2003

“I dati personali di cui alla presente istanza sono richiesti obbligatoriamente ai fini del procedimento di cui all'art. 410 c.p.c. Gli stessi non saranno diffusi, ma potranno essere comunicati soltanto a soggetti pubblici per l'eventuale seguito di competenza. L'interessato potrà esercitare i diritti di cui all'art. 7 del d.lgs. n. 196/2003. Il responsabile del trattamento è il responsabile dell'Area competente per il procedimento”.

Luogo e data ....

Firme dei richiedenti ....

Commento

L'arbitrato nel diritto del lavoro

L'arbitrato nelle controversie di lavoro, quale strumento di risoluzione delle controversie alternativo alla giurisdizione, originariamente contemplato nel corpo normativo codicistico dall'art. 412 c.p.c., è stato oggetto di profonda revisione, ad opera della legislazione speciale successiva, in particolare della l. n. 183/2010, che ha dato luogo ad un sistema profondamente disorganico, caratterizzato da una pletora di fattispecie arbitrali di concorrente applicazione, minandone di fatto l'efficacia.

La legge ha, innanzitutto, innovato l'art. 412 c.p.c., provvedendo altresì alla sostituzione degli artt. 412-ter e quater, introdotti dal d.lgs. n. 80/1998, disciplinanti altre modalità di arbitrato e conciliazione. Ha, poi, esteso l'istituto della certificazione delle clausole arbitrali ad opera degli organi di certificazione di cui all'art. 76 d.lgs. n. 276/2003, prevedendo la possibilità, per tali organi, di istituire camere arbitrali per la definizione delle controversie di lavoro. Ha, infine, operato l'unificazione dell'istituto arbitrale per le controversie di lavoro pubblico, che risultano ora assoggettate alla disciplina dettate per le controversie di lavoro privato.

Restano, inoltre, tutt'ora vigenti specifiche procedure arbitrali contemplate in altre leggi speciali, quale quella relativa all'impugnativa di sanzioni disciplinari di cui all'art. 7, commi 6 e 7 della l. n. 300/1970, nonché la possibilità di adire la procedura arbitrale prevista nella disciplina codicistica generale dell'istituto, nei limiti di cui agli artt. 806 e 829 c.p.c., che non sono stati toccati dalla l. n. 183/2010, né dalla recente riforma di cui al d.lgs. n. 149/2022, che ha significativamente modificato l'istituto arbitrale.

Ciò che certamente accomuna tutte le fattispecie arbitrali di diritto del lavoro è la facoltatività del rimedio, ovvero la sua natura alternativa rispetto al ricorso giurisdizionale ex art. 414 c.p.c., del quale non costituisce condizione di procedibilità, in linea con la generale impronta della l. n. 183/2010, che ha generalizzato la facoltatività degli alternative dispute resolutions, residuando sporadiche fattispecie obbligatorie.

Presupposto indispensabile per l'esperimento di procedura arbitrale è la natura disponibile dei diritti. L'art. 147 disp. att. c.p.c., esclude espressamente l'arbitrabilità rituale o irrituale delle controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie, che saranno prive di efficacia vincolante, sostanziale e processuale.

L'individuazione della categoria dei diritti indisponibili è frutto dell'articolata elaborazione giurisprudenziale in merito all'art. 2113 c.c.

Sinteticamente, sui diritti di natura patrimoniale va operata la distinzione tra diritti già acquisiti al patrimonio del lavoratore, da considerarsi pienamente disponibili, e diritti non ancora entrati nel suo patrimonio, facenti parte della categoria di diritti indisponibili (Cass. sez. lav., n. 12346/1993. V., in punto di indisponibilità del diritto del lavoratore all'irriducibilità della retribuzione Cass. sez. lav., n. 9591/2023). Non risultano, invece, disponibili e, per traslato, arbitrabili, i diritti di natura retributiva o risarcitoria correlati alla lesione di diritti fondamentali della persona (Cass. sez. lav., n. 24078/2021), quali il diritto alla retribuzione minima ex art. 36 Cost. o il diritto alla salute di cui all'art. 32 Cost., o ancora alla parità di trattamento, ai sensi dell'art. 3 Cost., rilevante nelle controversie nelle quali si deducano profili di discriminazione.

Quanto alle controversie nelle quali di discute della risoluzione del contratto di lavoro, devono ritenersi pacificamente indisponibili quelle aventi ad oggetto la durata del contratto a termine, stabilita dalla legge (Cass. sez. lav., n. 6664/2022). Per la rilevante categoria delle impugnative dei licenziamenti, e per le altre cause risolutive (ad es. dimissioni del lavoratore), merita menzione l'art. 31, comma 10, l. n. 183/2010, che prevede, in materia di pattuizioni di clausole compromissorie, l'esclusione delle controversie relative alla risoluzione del contratto di lavoro. L'enunciato va, tuttavia, limitato alla fattispecie arbitrale di riferimento registrandosi, ad esempio, la possibilità di devolvere in arbitri, ai sensi dell'art. 7, commi 6 e 7, l. n. 300/1970, le controversie in tema di sanzioni disciplinari nelle quali, come si vedrà, rientrano pacificamente quelle di natura espulsiva, come i licenziamenti soggettivi.

Laddove le parti abbiano devoluto in arbitri la controversia di lavoro tra essi pendente, nell'eventuale giudizio incardinato potrà essere sollevata l'eccezione di compromesso o di convenzione arbitrale, rituale o irrituale, avente natura di eccezione di merito (e non di competenza) in senso stretto e proprio, soggetta alle preclusioni e decadenze proprie del rito del lavoro (Cass. sez. lav., n. 4542/2006).

L'arbitrato dinanzi alle C ommissioni di conciliazione ex art. 412 c.p.c.

Il primo modello arbitrale codicistico delineato dalla riforma di cui alla l. n. 183/2010 è quello disciplinato dall'art. 412, comma 1, c.p.c., che configura una fattispecie di ADR (alternative dispute resolution) di secondo grado, poiché si innesta per germinazione sul procedimento conciliativo tenuto ex art. 410 c.p.c. dinanzi alle Commissioni di conciliazione.

L'esito non risolutivo del tentativo dinanzi alle commissioni potrebbe, difatti, dipendere dalla necessità di dirimere una o più questioni sulle quali le parti non sono addivenute alla composizione bonaria. In questo caso, in qualunque fase del procedimento dinanzi alle commissioni o, in caso di mancata riuscita, al suo termine, le parti indicheranno l'eventuale soluzione parziale, sulla quale concordano, eventualmente determinando il credito che spetta al lavoratore, affidando alla Commissione di conciliazione il mandato a risolvere in via arbitrale le questioni residue.

Il contenuto minimo e quello facoltativo del mandato sono disciplinati dal secondo alinea della disposizione, che impone l'indicazione non soltanto del termine di emanazione del lodo, che non può superare i sessanta giorni dal conferimento del mandato, spirato il quale l'incarico deve intendersi revocato, ma altresì gli elementi fondamentali della controversia, ivi incluse le norme invocate. Le parti potranno, con comune determinazione, conferire alla commissione la facoltà di decidere secondo equità, nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento e dei principi regolatori della materia, anche derivanti da obblighi comunitari.

La necessità di indicazione degli elementi essenziali della controversia, ivi incluse le argomentazioni in diritto e le norme giuridiche di cui si invoca l'applicazione trova la sua ratio nella matrice paragiurisdizionale del procedimento, che prevede la devoluzione al conciliatore non soltanto della facoltà di comporre la lite, ma la risoluzione di questioni che, non di rado, presuppongono il governo di nozioni giuridiche.

Il giudizio di equità, sulla cui base il collegio può, ove espressamente autorizzato dalle parti, decidere la res controversa, è di natura integrativa, e non sostitutiva delle regole del diritto, come chiaramente emerge dalla necessità di rispettare non soltanto i principi generali dell'ordinamento, ma anche quelli regolatori della materia, nazionali o sovranazionali.

Pertanto, il giudizio equitativo della Commissione di conciliazione, adita in sede arbitrale, non soltanto dovrà rendere la compiuta motivazione in relazione ai parametri utilizzati, che realizzano la necessaria intelaiatura di legittimità e sono costituiti da criteri valutativi collegati ad emergenze verificabili, o comunque logicamente apprezzabili, ragionevoli e pertinenti al tema della decisione (così Cass. II, n. 28075/2021), ma dovrà rispettare i fondamentali principi di diritto che regolano la materia, la cui violazione potrà essere eventualmente fatta valere in sede di impugnazione.

Il lodo, emanato a conclusione dell'arbitrato, sottoscritto dalla Commissione arbitrale e autenticato dal presidente del collegio, ha natura dichiaratamente irrituale; esso produce tra le parti gli effetti della determinazione contrattuale di cui all'art. 1372 c.c. e beneficia dell'assetto di validità di cui all'art. 2113, comma 4, c.c.

Quanto al regime di impugnabilità, il comma 4 dell'art. 412 c.p.c. rinvia alla disciplina dell'art. 808-ter c.p.c., che prevede un'impugnativa a critica vincolata sulla base dei motivi indicati dal comma 2 (la giurisprudenza, tuttavia, valorizza la natura negoziale dell'atto arbitrale, ritenendone l'annullabilità per vizi del consenso ex art. 1427 c.c., cfr. Cass. sez. lav., n. 14431/2015; in senso conforme Trib. Novara, sez. lav., 15 novembre 2018, n. 245), individuando, quale organo funzionalmente competente a decidere delle impugnazioni, il tribunale, in funzione di giudice del lavoro, nella cui circoscrizione è collocata la sede arbitrale.

Il ricorso per impugnativa del lodo è soggetto al termine decadenziale di trenta giorni, decorrenti dalla notificazione alle parti del provvedimento (ovvero dal giorno in cui è stata effettuata la notificazione a istanza di parte - in quanto atto idoneo a esprimere la volontà della parte di porre fine alla fase arbitrale e di fare decorrere i termini per l'impugnazione sia verso il notificando che per il notificante - e non dal giorno della comunicazione integrale del lodo a cura della cancelleria, Cass. sez. lav., n. 21259/2017).

Il tribunale decide con sentenza, avverso la quale sarà proponibile ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c. Il tribunale non dovrà limitarsi al giudizio rescindente atteso che, come sostenuto dalla Cassazione (Cass. II, n. 6648/1994), risorge in capo alle parti il potere di esercitare le azioni derivanti dal contratto, temporaneamente abdicate per effetto della devoluzione conciliativa e, successivamente, arbitrale con la conseguenza che, in applicazione dell'art. 830 cpv. c.p.c., una volta eventualmente provveduto alla caducazione del lodo, definirà anche il merito della controversia.

Decorso il termine per l'impugnazione, ovvero se le parti hanno comunque dichiarato per iscritto di accettare la decisione arbitrale, o ancora se il ricorso è stato respinto dal tribunale, il lodo potrà essere depositato nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è la sede dell'arbitrato per l'apposizione del decreto di esecutività del giudice, previa verifica della regolarità formale dell'atto e della non manifesta contrarietà a ordine pubblico e buon costume.

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