Ricorso per costituzione di collegio arbitrale per l'impugnativa delle sanzioni disciplinari ex art. 7, l. 300/1970InquadramentoL'arbitrato nelle controversie di lavoro, quale strumento di risoluzione delle controversie alternativo alla giurisdizione è rimedio di natura facoltativa. Presupposto indispensabile per la deferibilità in arbitri di una controversia ricompresa nel novero dell'art. 409 c.p.c. è la natura disponibile dei diritti. Ulteriore fattispecie arbitrale è quella prevista dallo Statuto dei lavoratori in tema di sanzioni disciplinari (art. 7, commi 6 e 7, l. n. 300/1970), avente natura facoltativa, come certificato dall'espressa salvezza della facoltà di adire l'autorità giudiziaria. FormulaRICHIESTA DI RISOLUZIONE ARBITRALE DAVANTI ALLA COMMISSIONE DI CONCILIAZIONE All'Ufficio Provinciale del Lavoro di .... e p.c. A .... (datore di lavoro) Raccomandata a.r. Oggetto: Richiesta costituzione Collegio di Conciliazione ed Arbitrato Il sottoscritto ...., nato a ...., il ...., residente in ...., via .... n. ...., domiciliato nel Comune di ...., cap ...., C.F. ...., rappresentato dall'Avv. ...., del Foro di ...., presso il cui studio in ...., alla via ...., elegge domicilio; ESPONE Che in data .... riceveva provvedimento di contestazione disciplinare degli addebiti, ed all'esito dell'invio di lettera di discolpa, gli veniva comminata la sanzione pari a ....; che tale sanzione deve ritenersi illegittimamente comminata, in virtù delle seguenti ragioni di fatto e di diritto .... e, pertanto, ne chiede la revoca o, in subordine, la derubricazione in sanzione meno afflittiva; che, pertanto, intendendo adire la Direzione Provinciale del Lavoro per la costituzione del Collegio di Conciliazione ed Arbitrato, ai sensi dell'art. 7 della l. n. 300/1970, nomina come arbitro il sig. ...., domiciliato in ...., via ...., n. ...., tel. ...., e-mail .... ed invita la controparte a nominare il proprio arbitro, rimettendosi, per quanto attiene alla nomina del terzo arbitro, alle determinazioni del Direttore della Direzione Provinciale del Lavoro. Cita come testimoni sul fatto allegato: il sig. ....; il sig. ..... La presente controversia ha valore indeterminato. Luogo e data .... Firma .... CommentoL'arbitrato nel diritto del lavoro L'arbitrato nelle controversie di lavoro, quale strumento di risoluzione delle controversie alternativo alla giurisdizione, originariamente contemplato nel corpo normativo codicistico dall'art. 412 c.p.c., è stato oggetto di profonda revisione, ad opera della legislazione speciale, in particolare della l. n. 183/2010, che ha dato luogo ad un sistema profondamente disorganico, caratterizzato da una pletora di fattispecie arbitrali di concorrente applicazione, minandone di fatto l'efficacia. La legge ha, innanzitutto, innovato l'art. 412 c.p.c., provvedendo altresì alla sostituzione degli artt. 412-ter e quater, introdotti dal d.lgs. n. 80/1998, disciplinanti altre modalità di arbitrato e conciliazione. Ha, poi, esteso l'istituto della certificazione delle clausole arbitrali ad opera degli organi di certificazione di cui all'art. 76, d.lgs. n. 276/2003, prevedendo la possibilità per tali organi di istituire camere arbitrali per la definizione delle controversie di lavoro. Ha, infine, operato l'unificazione dell'istituto arbitrale per le controversie di lavoro pubblico, che risultano ora assoggettate alla disciplina dettate per le controversie di lavoro privato. Restano, inoltre, tutt'ora vigenti specifiche procedure arbitrali contemplate in altre leggi speciali, quale quella relativa all'impugnativa di sanzioni disciplinari contemplata dall'art. 7, commi 6 e 7 della l. n. 300/1970, nonché la possibilità di adire la procedura arbitrale prevista nella disciplina codicistica generale dell'istituto, nei limiti di cui agli artt. 806 e 829 c.p.c., che non sono stati toccati dalla l. n. 183/2010, né dalla recente riforma di cui al d.lgs. n. 149/2022, che ha significativamente modificato l'istituto arbitrale. Ciò che certamente accomuna tutte le fattispecie arbitrali di diritto del lavoro è la facoltatività del rimedio, ovvero la sua natura alternativa rispetto al ricorso giurisdizionale ex art. 414 c.p.c., del quale non costituisce condizione di procedibilità, in linea con la generale impronta della l. n. 183/2010, che ha generalizzato la facoltatività degli alternative dispute resolutions, residuando sporadiche fattispecie obbligatorie. Presupposto indispensabile per l'esperimento di procedura arbitrale è la natura disponibile dei diritti. L'art. 147 disp. att. c.p.c., esclude espressamente l'arbitrabilità rituale o irrituale delle controversie in materia di previdenza e di assistenza obbligatorie, che saranno prive di efficacia vincolante, sostanziale e processuale. L'individuazione della categoria dei diritti indisponibili è frutto dell'articolata elaborazione giurisprudenziale in merito all'art. 2113 c.c. Sinteticamente, sui diritti di natura patrimoniale va operata la distinzione tra diritti già acquisiti al patrimonio del lavoratore, da considerarsi pienamente disponibili, e diritti non ancora entrati nel suo patrimonio, facenti parte della categoria di diritti indisponibili (Cass. sez. lav., n. 12346/1993. V., in punto di indisponibilità del diritto del lavoratore all'irriducibilità della retribuzione Cass. sez. lav., n. 9591/2023). Non risultano, invece, disponibili e, per traslato, arbitrabili, i diritti di natura retributiva o risarcitoria correlati alla lesione di diritti fondamentali della persona (Cass. sez. lav., n. 24078/2021), quali il diritto alla retribuzione minima ex art. 36 cost. o il diritto alla salute di cui all'art. 32 cost., o ancora alla parità di trattamento, ai sensi dell'art. 3 cost., rilevante nelle controversie nelle quali si deducano profili di discriminazione. Quanto alle controversie nelle quali di discute della risoluzione del contratto di lavoro, devono ritenersi pacificamente indisponibili quelle aventi ad oggetto la durata del contratto a termine, stabilita dalla legge (Cass. sez. lav., n. 6664/2022). Per la rilevante categoria delle impugnative dei licenziamenti, e per le altre cause risolutive (ad es. dimissioni del lavoratore), merita menzione l'art. 31, comma 10, l. n. 183/2010, che prevede, in materia di pattuizioni di clausole compromissorie, l'esclusione delle controversie relative alla risoluzione del contratto di lavoro. L'enunciato va, tuttavia, limitato alla fattispecie arbitrale di riferimento registrandosi, ad esempio, la possibilità di devolvere in arbitri, ai sensi dell'art. 7, commi 6 e 7, l. n. 300/1970, le controversie in tema di sanzioni disciplinari nelle quali, come si vedrà, rientrano pacificamente quelle di natura espulsiva, come i licenziamenti soggettivi. Laddove le parti abbiano devoluto in arbitri la controversia di lavoro tra essi pendente, nell'eventuale giudizio incardinato potrà essere sollevata l'eccezione di compromesso o di convenzione arbitrale, rituale o irrituale, avente natura di eccezione di merito (e non di competenza) in senso stretto e proprio, soggetta alle preclusioni e decadenze proprie del rito del lavoro (Cass. sez. lav., n. 4542/2006). L'arbitrato irrituale per l'impugnazione delle sanzioni disciplinari Ulteriore fattispecie arbitrale è quella prevista dallo Statuto dei lavoratori in tema di sanzioni disciplinari (art. 7, commi 6 e 7, l. n. 300/1970), avente natura facoltativa, come certificato dall'espressa salvezza della facoltà di adire l'autorità giudiziaria. Il lavoratore, al quale sia stata applicata una sanzione disciplinare, può promuovere, nei venti giorni successivi, anche per mezzo dell'associazione alla quale sia iscritto ovvero conferisca mandato, la costituzione, tramite l'ufficio provinciale del lavoro e della massima occupazione, di un Collegio di conciliazione ed arbitrato, composto da un rappresentante di ciascuna delle parti e da un terzo membro scelto di comune accordo o, in difetto di accordo, nominato dal direttore dell'Ufficio del lavoro. L'arbitrato in commento è, dunque, per espressa previsione legislativa, funzionale all'impugnazione di sanzioni disciplinari comminate al lavoratore. La questione interpretativa prevalente è rappresentata dalla possibilità di impugnare, con tale mezzo, l'eventuale sanzione espulsiva irrogata al lavoratore (id est il licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo) ovvero se, nonostante il silenzio della norma, il giudizio arbitrale sia consentito solo con riferimento alle sanzioni di natura conservativa. La posizione prevalente, in dottrina (C. P unzi, L'arbitrato in materia di lavoro: fonti e impugnazioni, in Mass. Giur. l av., 5/2010, 354) e giurisprudenza (Cass. sez. lav., n. 7719/2016; Cass. sez. lav., n. 19786/2010), è nel senso di consentire il ricorso alla Commissione di conciliazione e arbitrato anche con riferimento ai licenziamenti disciplinari, in aderenza con la lettera della legge, che non distingue tra natura conservativa o espulsiva della sanzione disciplinare. I venti giorni successivi alla sanzione disciplinare, nell'ambito dei quali il lavoratore può promuovere il giudizio arbitrale, devono intendersi decorrenti dalla comunicazione o notificazione della sanzione, in termini di conoscenza legale e non effettiva. Una volta attivata la procedura, l'Ufficio del lavoro provvederà ad invitare il datore di lavoro il quale, da tale momento, avrà dieci giorni per decidere se aderire o meno alla procedura arbitrale. Il comma 7 elabora un meccanismo di coazione del datore di lavoro a aderire alla soluzione arbitrale individuando uno spatium deliberandi di dieci giorni, decorrenti dall'invito dell'ufficio del lavoro, decorsi invano i quali la sanzione disciplinare sarà tamquam non esset. Le due alternative per evitare la caducazione della sanzione sono, dunque, rappresentate dall'adesione alla procedura arbitrale, o dalla proposizione di un ricorso giurisdizionale per accertamento della legittimità della sanzione disciplinare (in proposito, si veda Trib. Roma, sez. lav., 1° marzo 2017, n. 1942), che dovrà tuttavia essere predisposto e depositato in giudizio in un termine decadenziale (per la qualificazione del termine di dieci giorni come decadenziale anche rispetto all'impugnativa giurisdizionale, cfr. Cass. sez. lav., n. 14352/2015) particolarmente esiguo, che rende maggiormente appetibile, se non addirittura necessitata, la scelta di aderire alla procedura arbitrale. Sia in caso di attivazione della procedura arbitrale, che in caso di proposizione di azione di accertamento da parte del datore di lavoro, la sanzione disciplinare rimarrà sospesa, sino alla pronuncia del collegio o alla definizione del giudizio. Trattasi di fattispecie di temporanea ineseguibilità, limitata alle sanzioni relative alle infrazioni, singolarmente considerate, oggetto di procedura arbitrale, che potranno tuttavia essere valutate unitariamente dal giudice, in sede di verifica della legittimità del licenziamento irrogato al lavoratore, nel quale le stesse siano state oggetto di valorizzazione a titolo di recidiva (Cass. sez. lav., n. 7719/2016). La procedura non è definita dalla disposizione, dovendosi fare riferimento a quanto stabilito dagli artt. 412 e 412-quater c.p.c., stante l'analoga natura di procedimenti arbitrali irrituali. La domanda introduttiva dovrà, pertanto, contenere una compiuta delineazione dei fatti e delle norme di diritto che si ritengano applicabili, così come la memoria di adesione del datore di lavoro conterrà, oltre che la nomina dell'arbitro di parte, controallegazioni e controdifese. Il collegio potrà esperire tentativo di conciliazione, se del caso redigendo verbale, sottoscritto dalle parti e dal collegio, sentire liberamente il lavoratore e, laddove ritenuto opportuno, assumere le prove indicate dall'art. 816-ter c.p.c. e, laddove i fatti non siano controversi ovvero all'esito della fase istruttoria, pronunciare il lodo, regolamentando le spese di procedura, con riferimento sia a quelle legali che ai compensi dei membri del collegio arbitrale. Il regime di impugnazione del lodo, secondo la giurisprudenza (Cass. sez. lav., n. 19182/2013), è quello dettato dall'art. 412-quater c.p.c., che fa rinvio ai vizi di cui all'art. 808-ter c.p.c. Alla natura di arbitrato irrituale consegue, inoltre, l'impugnabilità per vizi della manifestazione della volontà negoziale (cfr. Trib. Novara, sez. lav., 15 novembre 2018, n. 245) e non anche per nullità, ai sensi dell'art. 829 c.p.c. e l'insindacabilità delle valutazioni di merito affidate alla discrezionalità degli arbitri, mentre rimane salvo il controllo dell'autorità giudiziaria sia sull'esistenza di vizi idonei ad inficiare la determinazione degli arbitri per alterata percezione o falsa rappresentazione dei fatti, sia sull'osservanza delle disposizioni inderogabili di legge ovvero di contratti o accordi collettivi (Trib. Cosenza, sez. lav., 5 marzo 2020, n. 505). |