Domanda di mediazione per il recesso da associazione in partecipazioneInquadramentoIl d.lgs. n. 149/2022, in attuazione della delega contenuta nella l. n. 206/2021, ha apportato molteplici modifiche alla normativa sulla mediazione nelle controversie civili e commerciali vertenti su diritti disponibili, contenuta nel d.lgs. n. 28/2010. In ordine alla relativa disciplina transitoria (sulla quale ha inciso anche la l. n. 197/2022) può distinguersi tra: a) norme non modificate dalla riforma (artt. 1, 10, 18, 19, 21, 22, 23, 24); b) norme modificate o sostituite o introdotte dal d.lgs. n. 149/2022, applicabili ai procedimenti instaurati dal 30 giugno 2023 (artt. 4 comma 3, 5, da 5-bis a 5-sexies, 6, 7, 8, da 15-bis a 15-undecies, 16, 16-bis, 17, 20); c) norme modificate o sostituite o introdotte dal d.lgs. n. 149/2022, applicabili ai procedimenti instaurati successivamente al 28 febbraio 2023 (artt. 2, 3, 4 salvo il comma 3, 8-bis, 9, 11, 11-bis, 12, 12-bis, 13, 14, 15). La riforma, in particolare, ha ampliato il novero delle ipotesi in cui la mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale, aggiungendo – alle già previste controversie in materia di condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari - anche le controversie, instaurate a partire dal 30 giugno 2023, in materia di associazione in partecipazione, consorzio, franchising, opera, rete, somministrazione, società di persone e subfornitura (art. 5, comma 1, d.lgs. n. 28/2010). Occorre poi rammentare l'ulteriore fattispecie prevista dal comma 6-ter dell'art. 3 d.l. n. 6/2020, conv., con modif., in l. n. 13/2020, introdotto dal d.l. n. 28/2020, conv., con modif., in l. n. 70/2020, inerente alla controversia in materia di obbligazioni contrattuali in cui il rispetto delle misure di contenimento della pandemia da Covid-19 possa essere valutato ai sensi del comma 6-bis dello stesso art. 3. Il procedimento di mediazione non costituisce, invece, condizione di procedibilità della domanda (art. 5, comma 6, d.lgs. n. 28/2010): a) nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione ex artt. 648 e 649 c.p.c.; b) nei procedimenti per convalida di licenza o sfratto, fino al mutamento del rito di cui all'art. 667 c.p.c.; c) nei procedimenti di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, di cui all'art. 696-bis c.p.c.; d) nei procedimenti possessori, fino alla pronuncia dei provvedimenti di cui all'art. 703, comma 3, c.p.c.; e) nei procedimenti di opposizione o incidentali di cognizione relativi all'esecuzione forzata; f) nei procedimenti in camera di consiglio; g) nell'azione civile esercitata nel processo penale; h) nell'azione inibitoria di cui agli artt. 37 e 140-octies d.lgs. n. 206/2005 (Codice del consumo). L'accesso alla mediazione è disciplinato dal novellato art. 4 d.lgs. n. 28/2010, che prevede la necessità di depositare apposita domanda presso un organismo sito nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia. La domanda può essere anche proposta congiuntamente dalle parti. La formula in esame è modellata sulla domanda di recesso dall'associazione in partecipazione, che rientra, ex art. 5, comma 1, d.lgs. n. 28/2010, tra le controversie assoggettate a mediazione obbligatoria. Rimangono fuori dalla mediazione gli apporti consistenti in una prestazione di lavoro subordinato da parte di una persona fisica, come si desume dal comma 2 dell'art. 2549 c.c., trattandosi in tal caso di rapporto di lavoro subordinato, non assoggettato né assoggettabile a mediazione ex art. 23 d.lgs. n. 28/2010. Invece, le varianti dell'associazione in partecipazione previste dall'art. 2554 c.c., ossia la cointeressenza propria (partecipazione ad utili e perdite senza corrispettivo dell'apporto) e impropria (partecipazione ai soli utili in cambio dell'apporto), rientrano nel novero delle materie di mediazione obbligatoria, dal momento che presentano le stesse caratteristiche di rapporti di durata, elevata componente fiduciaria ed asimmetria di posizioni contrattuali. FormulaORGANISMO [1] DI MEDIAZIONE .... [2] DOMANDA [3] DI MEDIAZIONE (ART. 4 D.LGS. N. 28/2010) [4] Il/La sottoscritto/a ...., nato/a a ...., prov. ...., il ...., C.F. ...., residente in ...., prov. ...., cap ...., via ...., n. ...., tel. ...., e-mail ...., PEC ...., fax ...., cell. .... [5], doc. identità ...., (A) in proprio (B) quale titolare o legale rappresentante dell'ente/impresa/società/associazione .... [6], con sede in ...., prov. ...., cap ...., via .... n. ...., C.F./P.I. ...., tel. ...., e-mail ...., PEC ...., fax ...., cell. ..... (C) quale rappresentante con mandato a conciliare per conto di [7] Nome .... Cognome .... /Ente-Impresa ...., nato/a a .... il .... residente/con sede in ...., prov. ...., cap ...., via ...., n. ...., tel. ...., fax ...., cell. ...., e-mail ..... Assistito/a dal seguente difensore con specifica procura allegata [8]: Avv. ...., nato/a a ...., il ...., con studio in ...., prov. ...., cap ...., via .... n. ...., tel. ...., fax ...., cell. ...., e-mail ...., PEC ...., CHIEDE di avviare una procedura di mediazione exd.lgs. n. 28/2010 nei confronti del/la sig./ra ...., residente in ...., prov. ...., cap ...., via ...., n. ...., tel. ...., fax ...., cell. ...., e-mail ...., PEC ...., C.F. ..... O dell'Ente/Impresa/Società ...., con sede in ...., prov. ...., cap ...., via ...., n. ...., tel. ...., fax ...., cell. ...., e-mail ...., PEC ...., C.F./P.I. ..... IN RELAZIONE ALLA CONTROVERSIA DI MEDIAZIONE OBBLIGATORIA (art. 5, comma 1, d.lgs. n. 28/2010) in materia di ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE [9], del valore indicativo di Euro .... [10], come di seguito prospettata [11]: domanda di recesso dell'associato dal contratto di associazione in partecipazione stipulato in data ...., con restituzione del valore dell'apporto [12] . (eventuale: chiede che la procedura si svolga presso .... [13]) (eventuale: chiede che la procedura si svolga in modalità telematica [14]) (eventuale: dichiara di disporre/non disporre di firma digitale [15]) (eventuale: l'istante dichiara di non essere tenuto/a a versare l'indennità di mediazione, essendo stato/a ammesso/a, come da provvedimento allegato, al patrocinio a spese dello Stato exartt. 15-bis e ss. d.lgs. n. 28/2010). SI ALLEGA LA SEGUENTE DOCUMENTAZIONE: a) copia del documento d'identità in corso di validità; b) copia del codice fiscale; c) visura camerale aggiornata; d) copia dell'atto costitutivo/statuto; e) copia della documentazione attestante il potere a conciliare del rappresentante legale della persona giuridica o dell'ente; f) copia della procura sostanziale a conciliare al rappresentante o all'avvocato; g) copia del provvedimento del giudice (se mediazione delegata); h) copia della clausola di mediazione (se presente); i) copia attestante il pagamento delle spese di avvio del procedimento di mediazione; j) copia del provvedimento di ammissione anticipata al patrocinio a spese dello Stato; k) copia del contratto di associazione in partecipazione; l) documentazione attestante l'apporto conferito; m) ulteriore documentazione ..... N.B.: si devono segnalare, per iscritto, i documenti che l'istante intende eventualmente riservare all'attenzione del solo mediatore [16] . Il/la sottoscritto/a .... dichiara di avere letto e compreso il Regolamento ed il Tariffario dell'Organismo adito e di accettare entrambi integralmente [17] ; dichiara, altresì, di essere a conoscenza che l'art. 4, comma 1, d.lgs. n. 28/2010 dispone che la domanda di mediazione deve essere presentata presso un Organismo di mediazione nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia, e di avere scelto codesto Organismo di Mediazione avendo preso atto di tale disposizione. Dichiara, infine, di non aver presentato presso altro Organismo di mediazione analoga domanda relativa alla stessa controversia [18] . Luogo e data .... Firma .... Firma Avv. .... CONSENSO AL TRATTAMENTO DEI DATI PERSONALI Il/La sottoscritto/a, nel trasmettere i propri dati all'Organismo di mediazione ...., acconsente al loro trattamento da parte dello stesso Ente, per l'adempimento degli obblighi civili e fiscali inerenti all'organizzazione ed all'espletamento del tentativo di conciliazione richiesto; dichiara, inoltre, di essere debitamente informato/a dei propri diritti ai sensi dell'art. 13 del Regolamento UE n. 2016/679. Luogo e data .... Firma .... Firma Avv. .... [1]Solo un organismo iscritto al Ministero della Giustizia è legittimato a gestire una mediazione exd.lgs. n. 28/2010. L'art. 3d.m. n. 150/2023 (in vigore dal 15 novembre 2023) disciplina l'istituzione presso il Ministero del registro degli organismi abilitati a svolgere la mediazione e della sezione speciale del predetto registro per gli organismi ADR. [2]Ai sensi dell'art. 4, comma 1, d.lgs. n. 28/2010, la competenza spetta all'organismo sito nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia. Ne consegue che occorre tener conto delle regole dettate, in tema di competenza territoriale, dagli artt. 18 e ss. c.p.c. Per approfondimenti si rinvia al commento della presente formula. [3]Il d.lgs. n. 149/2022, per indicare l'atto con cui si incardina il procedimento di mediazione, ha sostituito, al citato art. 4, il sostantivo “istanza” (di mediazione) con “domanda”: secondo la Relazione illustrativa, la modifica sarebbe stata giustificata proprio per evitare la confusione fra la domanda (relativa al contenuto dell'atto introduttivo del procedimento di mediazione) e l'istanza (relativa al documento contenente la domanda), attesa la inutilità pratica di mantenere tale distinzione. [4]Il contenuto minimo della domanda di mediazione è disciplinato dall'art. 4, comma 2, d.lgs. n. 28/2010. Per approfondimenti si rinvia al commento della presente formula. [5]È opportuno indicare il maggior numero possibile di informazioni affinché l'organismo possa, stante l'informalità della procedura, usare tutti i modi possibili per contattare le parti. [6]Quasi tutti gli organismi richiedono di allegare la visura camerale aggiornata attestante la rappresentanza. [7]Per la delega l'art. 8, comma 4, d.lgs. n. 28/2010 non richiede una forma particolare, sicché valgono i principi generali del codice civile in forza dei quali la forma deve corrispondere a quella richiesta ex lege per l'atto che il delegato potrà/dovrà sottoscrivere. Per approfondimenti si rinvia al commento della presente formula. Per il testo delle procure sostanziali si rinvia alle formule dalla n. 203 alla n. 206. [8]Le parti devono necessariamente essere assistite dai rispettivi avvocati nella mediazione obbligatoria ex art. 5, comma 1, ed in quella demandata dal giudice ex art. 5-quater d.lgs. n. 28/2010. Per il testo della procura si rinvia alle formule nn. 200 e 201. [9]Per quanto attiene all'individuazione delle controversie rientranti nella mediazione obbligatoria, si veda il paragrafo “Inquadramento”. [10]Ai sensi dell'art. 29 d.m. n. 150/2023 (che ha abrogato, a decorrere dal 15 novembre 2023, il precedente d.m. n. 180/2010), la domanda di mediazione contiene l'indicazione del suo valore in conformità ai criteri previsti dagli artt. da 10 a 15 c.p.c. Quando tale indicazione non è possibile, la domanda indica le ragioni che ne rendono indeterminabile il valore. In base al valore così determinato vanno calcolati i costi della mediazione. Ai sensi dell'art. 28 del medesimo d.m. n. 150/2023, per il primo incontro le parti sono tenute a versare all'organismo di mediazione un importo a titolo di indennità, oltre alle spese vive. L'indennità comprende le spese di avvio del procedimento di mediazione e le spese di mediazione comprendenti il compenso del mediatore previste dai commi 4 e 5 del medesimo art. 28, calcolate per scaglioni in base al valore della lite. Sono altresì dovute e versate le spese vive, diverse dalle spese di avvio, costituite dagli esborsi documentati effettuati dall'organismo per la convocazione delle parti, per la sottoscrizione digitale dei verbali e degli accordi quando la parte è priva di propria firma digitale e per il rilascio delle copie dei documenti previsti dall'art. 16, comma 4, del predetto d.m. Quando il primo incontro si conclude senza la conciliazione e il procedimento non prosegue con incontri successivi, sono dovuti esclusivamente gli importi di cui ai commi 4 e 5. Quando il primo incontro si conclude con la conciliazione sono, altresì, dovute le ulteriori spese di mediazione calcolate in conformità all'art. 30, comma 1, stesso d.m. Quando la mediazione è condizione di procedibilità della domanda o quando è demandata dal giudice, l'indennità di mediazione è ridotta di un quinto, e sono ridotte di un quinto le ulteriori spese di mediazione. [11]Breve descrizione dell'oggetto e delle ragioni della domanda. Non trattandosi di un atto giudiziario, non sono richieste particolari indicazioni (richieste istruttorie, conclusioni, etc.), ma occorre una corretta descrizione dell'oggetto della domanda, sia al fine di far comprendere alla controparte il tema della mediazione, sia al fine di inibire eventuali decadenze e/o di interrompere la prescrizione. Per approfondimenti si rinvia al commento della presente formula. [12]In caso di scioglimento del rapporto, l'associato matura il credito alla restituzione del valore dell'apporto, diminuito delle eventuali perdite e aumentato degli eventuali utili maturati fino a quel momento e non ancora percepiti; il contratto può, peraltro, prevedere che l'apporto sia restituito in natura (Cass. n. 10496/2020; Cass. n. 3075/1952). Ciò, tuttavia, vale solo qualora l'apporto sia stato in denaro o sia consistito nel trasferimento della proprietà di un bene; se, invece, l'apporto è stato di godimento ovvero d'opera, nulla spetta all'associato se non venne originariamente pattuito il valore dell'apporto stesso (Trib. Milano 30 dicembre 1982, in F. pad. 83, 555, con riferimento ad obbligazioni di fare o non fare). Invece, l'aumento di valore di un'impresa o di un'azienda conferita dall'associante spetta, alla cessazione del rapporto, all'associante stesso, rimasto titolare esclusivo dell'impresa o dell'azienda, anche se l'aumento di valore sia stato realizzato, almeno in parte, con l'attività esplicata dall'associato (Cass. n. 5329/1989). [13]Qualora il regolamento di procedura dell'organismo scelto abbia più sedi operative oppure preveda la possibilità di far svolgere gli incontri in luoghi diversi. Cfr. art. 22 d.m. n. 150/2023. [14]L'art. 8-bis d.lgs. n. 28/2010, inserito dal d.lgs. n. 149/2022, disciplina la mediazione in modalità telematica. [15]Requisito importante, in particolar modo per alcune formalità (sottoscrizione del verbale) nella mediazione online. Cfr. art. 8-bis d.lgs. n. 28/2010. [16]L'art. 9, comma 2, d.lgs. n. 28/2010 prevede che il mediatore è tenuto alla riservatezza nei confronti delle altre parti anche rispetto alle dichiarazioni rese e alle informazioni acquisite nel corso delle sessioni separate eventualmente svolte, salvo consenso della parte dichiarante o dalla quale provengono le informazioni. [17]Prima di scegliere un organismo e presentare domanda di mediazione, è opportuno leggere attentamente il suo regolamento, che può differenziarsi per più aspetti da quello di altri organismi. L'accettazione del regolamento può essere espressa nella domanda oppure in un secondo momento, ma, in ogni caso, prima dell'avvio della procedura da parte dell'organismo. [18]Al fine di prevenire questioni di litispendenza. CommentoPremessa L'associazione in partecipazione, come statuito dall'art. 2549 c.c., è il contratto con cui l'associante attribuisce all'associato una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un determinato apporto. Nel caso in cui l'associato sia una persona fisica, l'apporto non può consistere, nemmeno in parte, in una prestazione di lavoro, altrimenti si configurerebbe un rapporto di lavoro subordinato. Non è, però, sempre agevole comprendere se il rapporto di lavoro sia riconducibile al contratto di associazione in partecipazione con apporto di prestazione lavorativa da parte dell'associato ovvero al contratto di lavoro subordinato con retribuzione collegata agli utili: a tal fine è necessaria un'indagine del giudice di merito volta a cogliere la prevalenza, alla stregua delle modalità di attuazione del concreto rapporto, degli elementi che caratterizzano i due contratti, tenendo conto, in particolare, che il primo implica l'esistenza per l'associato di un rischio di impresa, configurabile pure laddove le parti abbiano escluso la partecipazione alle perdite, poiché in tal caso l'eventuale assenza di utili determina l'assenza di compensi, necessariamente correlati all'andamento economico dell'impresa (Cass. n. 26273/2020). Il contratto di associazione in partecipazione, che si qualifica per il carattere sinallagmatico fra l'attribuzione da parte di un contraente (associante) di una quota di utili derivanti dalla gestione di una sua impresa e di un suo affare all'altro (associato) e l'apporto da quest'ultimo conferito, non determina la formazione di un soggetto nuovo e la costituzione di un patrimonio autonomo, né la comunanza dell'affare o dell'impresa, i quali restano di esclusiva pertinenza dell'associante, sicché soltanto l'associante fa propri gli utili e subisce le perdite, senza alcuna partecipazione diretta ed immediata dell'associato, che può unicamente pretendere, una volta che l'affare sia concluso con esito positivo, la liquidazione ed il pagamento di una somma di denaro corrispondente all'apporto ed alla quota spettante degli utili (Cass. n. 12816/2016). Ancorché la disciplina dell'art. 2552 c.c. sia derogabile, l'associante non può restare esonerato da ogni perdita, ossia dal rischio di impresa, in contrasto con l'art. 2549 c.c. (Cass. n. 20189/2015). L'autonomia che, di regola, si accompagna alla titolarità esclusiva dell'impresa e della gestione da parte dell'associante trova, tuttavia, limite sia nell'obbligo del rendiconto ad affare compiuto o del rendiconto annuale della gestione che si protragga per più di un anno, ex art. 2552, comma 3, c.c., sia, in corso di durata del rapporto, nel dovere generale di esecuzione del contratto secondo buona fede, che si traduce nel dovere specifico di portare a compimento l'affare o l'operazione economica entro il termine ragionevolmente necessario a tale scopo; ne consegue che, alla stregua dei principi generali sulla risoluzione dei contratti sinallagmatici per inadempimento, applicabili all'associazione in partecipazione, l'inerzia o il mancato perseguimento da parte dell'associante dei fini cui l'attività d'impresa o di gestione dell'affare è preordinata determina un inadempimento che, quando si protragga oltre ogni ragionevole limite di tolleranza, può, secondo l'apprezzamento del giudice del merito, dar luogo all'azione di risoluzione del contratto, secondo le regole indicate negli artt. 1453 e 1455 c.c. (Cass. n. 20159/2022). In sostanza, la natura sinallagmatica del contratto di associazione in partecipazione rende applicabile la disciplina della risoluzione per inadempimento, che richiede una valutazione di gravità degli addebiti, da effettuarsi alla luce del complessivo comportamento delle parti, dell'economia generale del rapporto e del principio di buona fede nell'esecuzione del contratto sancito dall'art. 1375 c.c., che, per l'associante, si traduce, nel dovere di portare a compimento l'impresa o l'affare nel termine ragionevolmente necessario. Alla pronuncia di risoluzione consegue, oltre all'effetto liberatorio per le prestazioni ancora da eseguire, anche quello restitutorio per quelle già eseguite, con obbligo, per l'associante, di restituire l'apporto ricevuto dall'associato, non essendo l'associazione in partecipazione riconducibile alla categoria dei contratti ad esecuzione continuata (Cass. n. 10496/2020; Cass. n. 22521/2011). Nel caso di fallimento dell'associante, che determina lo scioglimento dell'associazione ai sensi dell'art. 77 l. fall., l'associato ha diritto di far valere nel passivo del fallimento il credito per quella parte dei conferimenti che non è assorbita dalle perdite a suo carico, costituendo elemento essenziale del contratto, come si evince dall'art. 2549 c.c., la pattuizione a favore dell'associato di una prestazione correlata agli utili di impresa e non ai ricavi, i quali ultimi rappresentano in se stessi un dato non significativo circa il risultato economico effettivo dell'attività di impresa (Cass. n. 19937/2017). Si è, altresì, precisato che gli utili dovuti in forza del contratto di associazione in partecipazione costituiscono un'obbligazione di valuta, cui è applicabile il principio nominalistico, e non sono suscettibili, quindi, di rivalutazione monetaria (Cass. n. 13649/2013). Una figura particolare dell'associazione in partecipazione è il contratto di cointeressenza, disciplinato dall'art. 2554 c.c. Si distingue tra cointeressenza propria ed impropria. La prima – espressione del potere dell'imprenditore di organizzare liberamente i fattori produttivi per l'esercizio dell'impresa, ivi compreso il rischio d'impresa, di cui il profitto costituisce l'esatto corrispondente – è un contratto sinallagmatico, aleatorio, di natura parassicurativa, col quale il cointeressato assume l'obbligo di rifondere parte delle perdite (non ancora esistenti), mentre il cointeressante assume l'obbligo di corrispondere parte degli utili; alla stipulazione del contratto, dunque, nessuno dei soggetti coinvolti iscrive crediti e/o debiti verso la controparte, ma le parti si limitano ad assumere un impegno reciproco, cosicché l'iscrizione di un debito o di un credito è un fattore che consegue soltanto al realizzarsi dell'evento dedotto in contratto (maggiore perdita o minore utile e viceversa), non quale effetto diretto dell'accordo (Cass. n. 7514/2023). La cointeressenza impropria, invece, si qualifica per il carattere sinallagmatico fra l'attribuzione da parte di un contraente (associante) di una quota di utili derivanti dalla gestione di una sua impresa all'altro (associato) e l'apporto che quest'ultimo, senza partecipare alle perdite, conferisce per lo svolgimento di quell'impresa. Ne consegue l'applicabilità delle norme dettate per i contratti a prestazioni corrispettive, tra cui gli artt. 1460 e 1220 c.c. (Cass. n. 8955/2014). In relazione alla formula in commento, il diritto di recesso, nel contratto di associazione in partecipazione agli utili dell'impresa o di uno o più affari, deve riconoscersi a ciascuno dei contraenti ove manchi la previsione del termine di durata del rapporto, con la conseguenza che l'istituto del recesso unilaterale, a norma del comma 2 dell'art. 1373 c.c., è applicabile sia al contratto sopra richiamato che ai rapporti di cointeressenza agli utili senza partecipazione alle perdite (Cass. n. 4473/1993; Cass. n. 3568/1978). Al contrario, il contratto di associazione in partecipazione per un periodo di tempo determinato non è un contratto basato sull'elemento della fiducia e, pertanto, non è consentito il recesso unilaterale anticipato (Cass. n. 13649/2013). Il diritto di recesso può ritenersi tacitamente esercitato solo in relazione ad atti o comportamenti incompatibili con la prosecuzione del rapporto stesso, come, da parte dell'associato, la richiesta di restituzione dell'apporto, e non anche, pertanto, in relazione ad istanze, ancorché sfocianti in contestazioni giudiziarie, che investano la fase di esecuzione del contratto, quale quella dell'associato di partecipare agli utili annuali di esercizio (Cass. n. 1476/1982). La competenza La domanda di mediazione va depositata da una delle parti presso un organismo di mediazione, iscritto nel registro presso il Ministero della Giustizia (cfr. art. 22 d.m. n. 150/2023, in vigore dal 15 novembre 2023), sito nel luogo del giudice territorialmente competente per la controversia. In relazione alla formula in esame occorre, quindi, tener conto delle regole dettate dagli artt. 18-20 c.p.c. in tema di competenza territoriale. In particolare, per quanto attiene ai fori ex art. 20 c.p.c., luogo previsto per l'adempimento della obbligazione nascente dai rapporti di associazione in partecipazione, e avente per oggetto il pagamento della somma a carico dell'associato per quota perdite, deve ritenersi il domicilio dell'associato stesso (Cass. n. 1309/1964). Si è, altresì, precisato che la pattuita partecipazione dell'associato, il cui apporto abbia un contenuto patrimoniale, ai ricavi dell'impresa gestita in associazione, ancorché non sia perfettamente assimilabile alla partecipazione agli utili come previsto dall'art. 2549 c.c., non altera il tipo contrattuale sicché è ravvisabile pur sempre un'associazione in partecipazione e non già né un contratto atipico, né un contratto di lavoro subordinato, atteso che la variabilità del fatturato comporta da una parte il diritto dell'associato al rendiconto e, d'altra parte, la presenza di un suo rischio patrimoniale incompatibile con la subordinazione; né è ravvisabile un rapporto di parasubordinazione, che richiede che l'apporto dell'associato consista esclusivamente nella propria attività lavorativa e che, quindi, non è ravvisabile quando tale apporto abbia un contenuto patrimoniale. Consegue, quindi, che la lite avente ad oggetto tal genere di contratto rientra nella competenza del giudice civile ordinario (Cass. n. 3936/1997). In generale, la controversia fra associante ed associato in partecipazione rientra nella previsione dell'art. 409, n. 3, c.p.c. e spetta di conseguenza alla cognizione del giudice del lavoro, qualora l'apporto dell'associato si sia risolto in un'attività personale e continuativa di collaborazione in favore dell'associante, senza conferimento di capitali né ingerenza nella gestione dell'impresa o partecipazione alle perdite della gestione medesima, restando esclusa la predetta competenza quando associante ed associato si siano trovati in posizione paritaria per quanto riguarda il conferimento di capitali, i poteri di gestione tecnica, amministrativa e commerciale, nonché la partecipazione agli utili ed alle perdite (Cass. n. 5693/1991; Cass. n. 1046/1981). Ovviamente la previsione di corrispondenza tra luogo dell'organismo di mediazione e luogo del giudice competente va intesa nel senso di collegare la localizzazione dell'organismo al foro della controversia e non viceversa, a pena, diversamente, della distorsione delle regole processuali sulla competenza (Cass. n. 17480/2015). In particolare, secondo la circolare ministeriale del 27 novembre 2013, l'individuazione dell'organismo va fatta tenendo conto del luogo ove lo stesso ha la sede principale o le sedi secondarie che si trovino nell'ambito di qualunque Comune della circoscrizione del tribunale territorialmente competente a conoscere la controversia, purché tali sedi siano state regolarmente comunicate al Ministero della Giustizia ed indicate nel provvedimento di iscrizione. In caso di più domande relative alla stessa controversia (ossia aventi identità di parti, petitum e causa petendi), la mediazione si svolge davanti all'organismo territorialmente competente presso il quale è stata presentata la prima domanda. Per determinare il tempo della domanda si ha riguardo alla data del deposito. La competenza dell'organismo è, però, derogabile dalle parti (negli stessi limiti previsti dall'art. 28 c.p.c. per la deroga alla competenza territoriale dell'autorità giudiziaria: Trib. Milano 29 ottobre 2013, in D&G 2013), le quali possono, con domanda congiunta, rivolgersi ad altro organismo scelto di comune accordo (art. 4, comma 1, d.lgs. n. 28/2010). Ogni organismo è astrattamente legittimato, salvo limitazioni del proprio regolamento, ad occuparsi di tutte le controversie conciliabili, ovvero di tutte quelle che vertono su diritti disponibili. Non vi è, quindi, una previsione normativa di competenze per materia e/o per valore degli organismi di mediazione. La domanda di mediazione presentata unilateralmente dinanzi all'organismo che non ha competenza territoriale non produce effetti, sicché, nel caso di mediazione obbligatoria, deve ritenersi non verificata la condizione di procedibilità (Trib. Torino 10 giugno 2022, n. 2577; Trib. Foggia 19 luglio 2021, n. 1831; Trib. Milano 26 febbraio 2016), salvo che la parte invitata spontaneamente vi aderisca. La parte invitata può anche aderire alla mediazione e, nel contempo, eccepire l'incompetenza territoriale dell'organismo adito. La mancata adesione e partecipazione alla mediazione non può, invece, condurre ad un tacito accordo di deroga al criterio di competenza, per cui l'accordo per comportamento concludente può ravvisarsi solo nel caso di partecipazione senza eccezione (App. Napoli 9 gennaio 2023, n. 36). È, altresì, possibile che la competenza territoriale sia derogata attraverso una clausola di mediazione apposta al contratto. Per quanto attiene, invece, all'ipotesi in cui nel contratto sia inserita una clausola arbitrale, è controverso se il contraente che attivi il procedimento di mediazione possa vedersi opposta l'eccezione di compromesso: secondo la preferibile opinione dottrinale, la risposta deve essere negativa, in quanto la clausola arbitrale costituisce una deroga alla competenza dell'autorità giudiziaria, e non a quella del mediatore, e considerato il principio di precedenza della procedura di mediazione su quella di arbitrato, desumibile dall'art. 5-sexies d.lgs. n. 28/2010, secondo cui “...se il tentativo...non risulta esperito, il giudice o l'arbitro, su eccezione di parte...”. In ogni caso, il contraente del contratto di associazione in partecipazione (in cui sia presente una clausola arbitrale) che sia stato chiamato in mediazione, se non potrà sollevare formale eccezione di compromesso, sarà libero di non aderire alla procedura di mediazione, senza che da tale sua mancata partecipazione possano derivare, nel successivo procedimento arbitrale, le conseguenze che l'art. 12-bis del medesimo d.lgs. riconduce alla mancata partecipazione al procedimento di mediazione obbligatoria, stante la non completa equiparazione della procedura arbitrale al giudizio ordinario (M. Marinaro, Diritto della mediazione civile e commerciale, 2023, 36 e 37). Il contenuto della domanda La domanda di mediazione deve indicare l'organismo, le parti, l'oggetto e le ragioni della pretesa (art. 4, comma 2). È fondamentale che tali elementi siano ben individuati e che vi sia esatta corrispondenza tra gli stessi e quelli posti a base della domanda giudiziale successivamente proposta, perché solo in tal caso il giudice potrà considerare assolta la condizione di procedibilità, potranno realizzarsi gli effetti che sulla prescrizione e la decadenza produce la domanda di mediazione ex art. 8, comma 2, d.lgs. n. 28/2010 e la controparte potrà valutare, soppesando i rischi connessi all'instaurazione della lite, l'opportunità di un accordo stragiudiziale (Cass. n. 23072/2022; Trib. Roma 28 febbraio 2023, n. 3333; App. Milano 5 maggio 2022, in DeJure). In sostanza, il fattore idoneo a delineare oggettivamente la pretesa fatta valere in sede di mediazione – sulla cui base verificare la coincidenza con la domanda proposta in sede giudiziale – è dato esclusivamente dai fatti allegati, sui quali le parti siano state effettivamente chiamate a conciliarsi. Il predetto principio è stato ribadito da Trib. Roma 13 giugno 2023, n. 9450 (in IUS – Il processo civile, con nota di R. Nardone), secondo cui, affinché si possa considerare assolta la condizione di procedibilità, gli accadimenti narrati in fase di mediazione devono essere corrispondenti e simmetrici a quelli che saranno poi esposti in fase processuale, dovendo la domanda di mediazione includere tutti e gli stessi elementi fattuali, almeno quelli principali, del futuro giudizio. Ciò anche in considerazione del rilievo per cui il contenuto della previsione normativa di cui al comma 2 dell'art. 4 d.lgs. n. 28/2010 è “praticamente equivalente” a quello dell'art. 125 c.p.c., concernente, in generale, i contenuti minimi di qualunque atto introduttivo di un procedimento giudiziale. In particolare, per quanto attiene alle “ragioni della pretesa”, con tale locuzione può intendersi, in un procedimento deformalizzato come quello di mediazione, l'allegazione di una situazione ingiusta per la quale si prospetti una futura azione di merito, con il riferimento, tuttavia, a tutti e gli stessi elementi fattuali che saranno invocati nel giudizio contenzioso. Occorre, quindi, l'individuazione della situazione ritenuta ingiusta dal punto di vista di parte istante e per la quale potrebbe poi essere promossa un'azione. Ad es., in un caso affrontato dal Tribunale di Verona (ord. 11 febbraio 2020) – in ambito di mediazione obbligatoria in tema di contratto di intermediazione finanziaria – non erano stati esplicitati i profili di inadempimento addebitati alla parte invitata, con la conseguenza che non poteva ritenersi assolta la condizione di procedibilità. Non è, invece, richiesta anche l'indicazione degli “elementi di diritto”, come nel caso della citazione ex art. 163 c.p.c. o del ricorso ex art. 414 c.p.c. Oltre agli elementi indicati dal citato art. 4, va riportata nella domanda di mediazione ogni altra informazione utile alla gestione del procedimento: ad es., il valore della controversia determinato ai sensi del codice di procedura civile ai fini della determinazione dell'indennità (spese di avvio e spese di mediazione: artt. 28 e ss. d.m. n. 150/2023) spettante all'organismo di mediazione, l'eventuale allegazione di documenti, la presenza di rappresentanti o tecnici della parte, la dichiarazione di accettazione del regolamento dell'organismo, etc. Legittimazione L'onere di attivare il procedimento di mediazione è posto a carico della parte che ha interesse al processo e che ha il potere di iniziarlo (Trib. Ascoli Piceno 12 novembre 2019 e App. L'Aquila 9 ottobre 2019, entrambi in DeJure). Già prima della recente riforma, le Sezioni Unite, sanando il contrasto giurisprudenziale generatosi sul punto, avevano statuito che, nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria ai sensi dell'art. 5 d.lgs. n. 28/2010, i cui giudizi vengano introdotti con richiesta di decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, l'onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta, sicché, ove essa non si attivi, alla pronuncia di improcedibilità consegue la revoca del decreto ingiuntivo (Cass. S.U., n. 19596/2020; conformi Cass. n. 159/2021, Cass. n. 12896/2021, Cass. n. 11598/2022). Tale soluzione è stata recepita dalla riforma Cartabia (d.lgs. n. 149/2022), che ha introdotto l'art. 5-bis nel d.lgs. n. 28/2010, secondo cui, peraltro, “il giudice alla prima udienza provvede sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione se formulate e, accertato il mancato esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all'articolo 6. A tale udienza, se la mediazione non è stata esperita, dichiara l'improcedibilità della domanda giudiziale proposta con il ricorso per decreto ingiuntivo, revoca il decreto opposto e provvede sulle spese”. Per quanto attiene all'estensione dell'obbligo di mediazione alle domande ulteriori rispetto a quella principale, deve rilevarsi che l'art. 5, comma 2, d.lgs. n. 28/2010 fa riferimento al procedimento di mediazione come condizione di procedibilità della “domanda giudiziale”, ossia della domanda introduttiva del giudizio, cosicché, secondo parte della dottrina e della giurisprudenza di merito, restano escluse la domanda riconvenzionale del convenuto, la reconventio reconventionis formulata dall'attore, l'intervento in giudizio del terzo effettuato volontariamente ex art. 105 c.p.c. o su istanza di parte ex art. 106 c.p.c. o per volontà del giudice ex art. 107 c.p.c. Invero, secondo tale tesi, un'interpretazione estensiva della locuzione “domanda giudiziale” deve essere scongiurata, in ossequio ad un elementare principio di ragionevolezza, atteso che l'esperimento di una pluralità di procedimenti di mediazione in corso di causa per ciascuna domanda giudiziale successiva a quella introduttiva del giudizio comporterebbe un notevole allungamento dei tempi processuali, in contrasto con le finalità deflattive del d.lgs. n. 28/2010 (Trib. Pavia 23 gennaio 2023, n. 88; Trib. Taranto 2 maggio 2019; Trib. Roma 18 gennaio 2017; Trib. Mantova 14 giugno 2016). Altra parte della giurisprudenza di merito, invece, partendo dal rilievo dell'autonomia della domanda riconvenzionale rispetto a quella principale, ed al fine di evitare una ingiustificata disparità di trattamento tra l'attore ed il convenuto, ritiene anche la domanda riconvenzionale assoggettata all'obbligo della mediazione, se ovviamente rientrante tra le materie previste dal comma 1 dell'art. 5 d.lgs. n. 28/2010 (Trib. Napoli Nord 8 febbraio 2023; Trib. Reggio Calabria 30 marzo 2021; Trib. Verona 21 febbraio 2017; Trib. Bari 28 novembre 2016; Trib. Roma, sez. dist. Ostia, 15 marzo 2012; Trib. Como, sez. dist. Cantù, 2 febbraio 2012; Trib. Firenze 14 febbraio 2012). La questione è stata risolta, a seguito di rimessione della stessa con rinvio pregiudiziale ex art. 363-bis c.p.c. da parte del Trib. Roma, da Cass. S.U., n. 3452/2024, secondo cui la condizione di procedibilità prevista dall'art. 5 d.lgs. n. 28/2010 sussiste per il solo atto introduttivo del giudizio e non per le domande riconvenzionali, fermo restando che al mediatore compete di valutare tutte le istanze e gli interessi delle parti ed al giudice di esperire il tentativo di conciliazione, per l'intero corso del processo e laddove possibile. A questa soluzione le Sezioni Unite sono giunte osservando, tra l'altro, che la mediazione, più che accertamento di diritti, è “contemperamento di interessi”, con semplicità di forme e rapidità di trattazione, anche senza verifiche fattuali: è una sorta di “esperimento” finalizzato ad un accordo negoziale, che va certamente tentato, nella prospettiva assunta dal legislatore, ma prima di intraprendere la causa in funzione di scongiurare la originaria iscrizione a ruolo, e che non avrebbe senso diluire e prolungare oltre misura. Diversamente opinando, la mediazione obbligatoria dovrebbe – per coerenza – essere estesa ad ogni altra domanda fatta valere in giudizio, diversa ed ulteriore rispetto a quella inizialmente introdotta dall'attore: non solo, quindi, la domanda riconvenzionale, ma anche la c.d. reconventio reconventionis, la domanda proposta da un convenuto verso l'altro, oppure da e contro terzi interventori, volontari o su chiamata. In tal caso, potrebbero esperirsi tante successive mediazioni non simultanee, con una assai poco efficiente gestione separata dei conflitti, che difficilmente condurrebbe ad un proficuo ed unitario accordo fra tutte le parti; mentre il processo necessariamente vedrebbe una trattazione disordinata e disarticolata, in attesa dell'esperimento di tanti tentativi di conciliazione stragiudiziali. In ogni caso, spetta al mediatore, nel diligente adempimento del suo incarico professionale, esortare le parti a mettere ogni profilo “sul tappeto”, ivi comprese altre richieste del convenuto, e ciò ai sensi dell'art. 8, comma 3, d.lgs. n. 28/2010, secondo cui “il mediatore si adopera affinché le parti raggiungano un accordo amichevole di definizione della controversia”, ossia dell'intera lite tra di loro. Lo svolgimento del procedimento di mediazione Ai sensi del novellato comma 1 dell'art. 8 d.lgs. n. 28/2010, “All'atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell'organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti, che deve tenersi non prima di venti e non oltre quaranta giorni dal deposito della domanda, salvo diversa concorde indicazione delle parti. La domanda di mediazione, la designazione del mediatore, la sede e l'orario dell'incontro, le modalità di svolgimento della procedura, la data del primo incontro e ogni altra informazione utile sono comunicate alle parti, a cura dell'organismo, con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione...”. Dal momento in cui la predetta comunicazione perviene a conoscenza delle parti (conformemente al principio ex art. 1334 c.c. in tema di atti recettizi), la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale e impedisce la decadenza per una sola volta. Al fine di evitare che eventuali lentezze procedurali dell'organismo di mediazione possano danneggiare gli interessi delle parti che ricorrono alla mediazione, il d.lgs. n. 149/2022 ha introdotto (al comma 2 del predetto art. 8) la previsione secondo cui la parte che presenta la domanda può provvedere autonomamente alla comunicazione della stessa alla controparte, al fine di avvalersi dell'effetto interruttivo della prescrizione o dell'impedimento della decadenza, senza esonero dagli obblighi di comunicazione che continuano a gravare sull'organismo di mediazione. Per quanto attiene alle modalità di partecipazione delle parti, la giurisprudenza di legittimità ha statuito che, nel procedimento di mediazione obbligatoria, è necessaria la comparizione personale delle parti, assistite dal difensore, pur potendo le stesse farsi sostituire da un loro rappresentante sostanziale, dotato di apposita procura speciale, in ipotesi coincidente con lo stesso difensore che le assiste (Cass. n. 8473/2019, secondo cui, peraltro, la procura sostanziale non può identificarsi con la procura alle liti ex art. 83 c.p.c., né può essere autenticata dal difensore). Tali principi sono stati in gran parte recepiti dal legislatore delegato, il quale, al comma 4 del citato art. 8, ha statuito che “Le parti partecipano personalmente alla procedura di mediazione. In presenza di giustificati motivi, possono delegare un rappresentante a conoscenza dei fatti e munito dei poteri necessari per la composizione della controversia. I soggetti diversi dalle persone fisiche partecipano alla procedura di mediazione avvalendosi di rappresentanti o delegati a conoscenza dei fatti e muniti dei poteri necessari per la composizione della controversia. Ove necessario, il mediatore chiede alle parti di dichiarare i poteri di rappresentanza e ne dà atto a verbale”. Per quanto attiene al contenuto della procura sostanziale conferita dalla parte al proprio avvocato o ad un terzo, si rinvia alle formule dalla n. 203 alla n. 206. Nei casi di mediazione obbligatoria, nonché quando la mediazione è demandata dal giudice, le parti devono essere necessariamente assistite dai rispettivi avvocati (art. 8, comma 5). Il procedimento si svolge senza formalità presso la sede dell'organismo di mediazione o nel luogo indicato dal regolamento di procedura dell'organismo (art. 8, comma 3). La mediazione, tuttavia, può svolgersi anche in modalità telematica, ossia con collegamento audiovisivo da remoto (art. 8-bis d.lgs. n. 28/2010, introdotto dal d.lgs. n. 149/2022). Al primo incontro, il mediatore espone la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione, e si adopera affinché le parti raggiungano un accordo di conciliazione (art. 8, comma 6). Quando l'esperimento del procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale, la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l'accordo di conciliazione (art. 5, comma 4): a tale conclusione era già pervenuta anche la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 13029/2022; Cass. n. 18068/2019; Cass. n. 8473/2019). Per quanto attiene alle conseguenze processuali della mancata partecipazione, senza giustificato motivo, al primo incontro del procedimento di mediazione, si veda l'art. 12-bis d.lgs. n. 28/2010, inserito dal d.lgs. n. 149/2022. Il procedimento di mediazione ha una durata non superiore a tre mesi, prorogabile di ulteriori tre mesi dopo la sua instaurazione e prima della sua scadenza con accordo scritto delle parti. Tale termine decorre dalla data di deposito della domanda di mediazione o dalla scadenza del termine fissato dal giudice per il deposito della stessa e non è soggetto a sospensione feriale. Se pende il giudizio, le parti comunicano al giudice la proroga del termine (art. 6 d.lgs. n. 28/2010, sostituito dal d.lgs. n. 149/2022). In ogni caso, il superamento del termine di durata massima non comporta l'improcedibilità della domanda giudiziale successivamente proposta, a pena di configurare una decadenza processuale normativamente non prevista, che frustrerebbe l'interesse delle parti a proseguire nelle trattative senza dover instaurare la lite giudiziale con sopportazione dei relativi costi (Trib. Napoli 6 aprile 2023, n. 3680; Trib. Torino 17 febbraio 2023, n. 709). Rapporti tra mediazione obbligatoria e tutela cautelare ante causam Non agevole risulta il coordinamento tra mediazione obbligatoria e tutela cautelare ante causam di natura conservativa, atteso che, nell'ipotesi in cui sia stato concesso il provvedimento d'urgenza richiesto (ad es., un sequestro conservativo a garanzia del credito per la restituzione dell'apporto), il ricorrente è tenuto non solo ad instaurare il giudizio di merito entro un termine perentorio (non superiore a 60 giorni, ex art. 669-octies c.p.c.), ma anche ad esperire il preventivo tentativo di mediazione (che ha una durata massima di 3 mesi, all'esito dei quali, anche in assenza di proroga, è senz'altro decorso il termine per l'introduzione del giudizio di merito). In dottrina sono state prospettate tre soluzioni: 1) il termine per il giudizio di merito decorre dal momento in cui, esaurita la mediazione, la domanda giudiziale è divenuta procedibile, in applicazione analogica di quanto previsto dall'art. 669-octies c.p.c. in relazione alle controversie individuali relative a rapporti di lavoro con pubbliche amministrazioni; 2) il termine per il giudizio di merito inizia a decorrere dalla concessione del cautelare, ma rimane sospeso nel caso in cui la mediazione sia instaurata e fino a quando non sia conclusa; 3) il giudizio di merito deve essere instaurato in ogni caso entro il termine perentorio previsto dalla normativa cautelare di cui all'art. 669-octies c.p.c., salva la possibilità di sanare il vizio di procedibilità attraverso il rinvio dell'udienza al fine di consentire la presentazione della domanda di mediazione o la conclusione del relativo procedimento se già iniziato, come previsto dal comma 2 dell'art. 5 d.lgs. n. 28/2010. Di recente la Suprema Corte (Cass. n. 28695/2023), affrontando per la prima volta la questione in esame, ha statuito che la parte che abbia domandato ed ottenuto la concessione di un sequestro giudiziario relativo a una controversia rientrante nelle ipotesi di mediazione obbligatoria, pur dovendo iniziare il giudizio di merito nel termine perentorio di cui all'art. 669-octies, comma 1, c.p.c., non è esonerata dall'esperimento del procedimento di mediazione; allorché il convenuto eccepisca tempestivamente l'improcedibilità della domanda per il mancato esperimento del procedimento di mediazione e il giudice erroneamente ritenga che la mediazione non doveva essere esperita, la conseguente nullità può essere fatta valere mediante appello; in tal caso, il giudice d'appello, dichiarata la nullità della sentenza, non potendo disporre la rimessione al primo giudice, è tenuto ad assegnare alle parti il dovuto termine per la presentazione della domanda di mediazione, per poi accertare se la condizione di procedibilità sia stata soddisfatta e trattare la causa nel merito, ovvero, in mancanza, dichiarare l'improcedibilità della domanda giudiziale (Cass. n. 12896/2021). Non si pongono, invece, particolari problemi per quanto attiene alla tutela cautelare ante causam di natura anticipatoria (ad es., quella di cui all'art. 700 c.p.c. oppure la denunzia di nuova opera o danno temuto), atteso che, in tale ipotesi, l'introduzione del giudizio di merito è solo facoltativa e non subordinata al rispetto di alcun termine perentorio. |