La successione dell’ex socio nei diritti spettanti alla società cancellata in corso di causa

20 Marzo 2024

La pronuncia in esame offre l'occasione per esaminare la sorte delle varie tipologie di sopravvenienze attive in caso di estinzione di una società di persone e, più in particolare, di individuare le condizioni in presenza delle quali si verifica un fenomeno successorio dalla società estinta ai soci.

Massima

In caso di estinzione di una società (di persone o di capitali), rispetto agli elementi patrimoniali attivi residui occorre distinguere, in base al criterio della iscrivibilità a bilancio di liquidazione, tra sopravvivenze «certe», oggetto di successione a favore degli ex soci, ed «incerte», o «mere pretese», destinate a estinguersi per rinuncia. Solo nel primo caso si verifica un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità. Non si trasferiscono invece le mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, né i crediti incerti o illiquidi, la cui inclusione nel bilancio di liquidazione avrebbe richiesto un'attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore dà luogo a una presunzione di rinuncia della società a tali crediti; tale effetto abdicativo è inderogabile e non può quindi essere rimesso alla volontà degli ex soci.

Qualora l'estinzione della società si verifichi nel corso del giudizio di cui quest'ultima sia parte, l'art. 110 c.p.c. trova applicazione unicamente ove sussistano i presupposti del fenomeno successorio, dalla società estinta ai soci; in tale ipotesi, la legittimazione attiva e passiva si trasferisce automaticamente ai soci, e il processo interrotto andrò proseguito o riassunto da parte o nei confronti dei medesimi soci, successori della società.

Il caso

Una società evocava in giudizio la propria controparte di un contratto di somministrazione, chiedendone la risoluzione per inadempimento, la condanna della società convenuta al pagamento della penale contrattuale ovvero al risarcimento dei danni, nonché l'accertamento che nulla era dovuto dall'attrice (committente) a titolo di penale.

A seguito della declinatoria di competenza pronunciata dal giudice adito, la causa veniva riassunta avanti al Tribunale territorialmente competente, su impulso degli ex soci della convenuta, nelle more sciolta e cancellata dal registro delle imprese. Con la citazione in riassunzione, gli ex soci proponevano domande di risoluzione del contratto per inadempimento dell'originaria attrice, e la sua condanna al pagamento della penale contrattuale.

Il Tribunale rigettava le domande degli ex soci per carenza di legittimazione attiva, rilevando che la società originariamente convenuta era stata sciolta senza messa in liquidazione, per «inesistenza di attività da realizzare né passività da estinguere», e che i soci, senza fare riferimento al procedimento ex adverso promosso, si erano limitati a regolare la sorte di eventuali sopravvenienze attive non ancora quantificabili, prevedendone la ripartizione pro quota.

L'impugnazione proposta dagli ex soci era integralmente accolta dalla Corte d'appello. Nel motivare la decisione, il giudice del gravame richiamava il principio giurisprudenziale (v. infra) secondo cui l'estinzione della società (nella specie, una società di persone) dà luogo a un fenomeno successorio, con trasferimento ai soci dei beni e diritti non compresi nel bilancio di liquidazione, ad eccezione delle mere pretese e dei crediti incerti o illiquidi, la cui inclusione in bilancio avrebbe richiesto un'attività ulteriore da parte del liquidatore, il cui mancato esercizio è indice di rinuncia. Nel caso in esame, secondo la Corte territoriale, la presunzione di rinuncia sarebbe stata superata dalla previsione, contenuta nell'atto di scioglimento della società, a tenore della quale «eventuali crediti o debiti, attualmente non quantificabili, saranno rispettivamente a favore e a carico di loro medesimi in proporzione alla quota spettante a ciascuno».

Avverso la sentenza d'appello, la società originaria attrice proponeva ricorso per cassazione, lamentando che la Corte territoriale aveva erroneamente applicato gli artt. 2312 e 2495 c.c., e così ravvisato la successione degli ex soci della convenuta estinta in mere pretese giudiziarie e diritti incerti, tuttavia insuscettibili di trasmissione, senza per contro rilevare il difetto di legittimazione alla prosecuzione del giudizio.

La questione

La questione in esame attiene alla sorte delle sopravvenienze attive -a seconda che si tratti di mere pretese, di crediti certi e liquidi oppure incerti o illiquidi- in caso di estinzione di una società di persone, con particolare riferimento all'ipotesi di estinzione nelle more del giudizio di cui la società sia parte; segnatamente, si tratta di individuare le condizioni in presenza delle quali si verifica un fenomeno successorio dalla società estinta ai soci, con conseguente successione (anche) nel processo ex art. 110 c.p.c.

Le soluzioni giuridiche

Con l'ordinanza in esame, la Corte di cassazione ha accolto il ricorso avverso la sentenza d'appello, per avere quest'ultima disatteso i principi che regolano la trasmissione agli ex soci dei beni, diritti e pretese che facevano capo alla società estinta.

Il percorso motivazionale della Corte prende le mosse dall'art. 2495 c.c., in tema di società di capitali, secondo cui, tra l'altro: “approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese” (primo comma) e “ferma restando l'estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione”.

Tale principio, ad avviso delle Sezioni Unite (Cass. SU 22 febbraio 2010 n. 4060, 40614062), trova applicazione anche per le società di persone, nel senso che la cancellazione implica il venir meno della loro capacità e soggettività (benché con efficacia dichiarativa e non costitutiva come nelle società di capitali).

Senonché, la norma richiamata tratta unicamente delle passività sociali -ammettendo l'azione dei creditori nei confronti degli ex soci, nei limiti di quanto da ciascuno percepito in sede di liquidazione- ma non delle sopravvenienze attive; inoltre, come evidenziato dalla pronuncia in commento, nulla dispone il legislatore rispetto ai processi pendenti di cui sia parte la società, estinta nelle more del giudizio, “né è possibile rinvenire altrove una norma che disciplini in modo diretto la fattispecie”.

E allora quid iuris, in caso di estinzione della società che sia parte di un processo, con riguardo alla legittimazione a coltivare azioni aventi ad oggetto, volta a volta, mere pretese e/o sopravvenienze attive, quali beni o crediti di varia natura?

È questa la fattispecie, che vede intrecciati profili sostanziali e processuali, sulla quale si è soffermata la pronuncia in esame.

In proposito, la Corte ha richiamato i precedenti delle Sezioni Unite (Cass. SU 12 marzo 2013 n. 6070, 6071 e 6072), secondo cui, ove alla cancellazione dal registro delle imprese (e conseguente estinzione) di società di persone o di capitali, “non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta”, si realizza un fenomeno successorio, in forza del quale:

i. l'obbligazione della società non si estingue, ciò che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nel limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, "pendente societate", fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali”;

ii.i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarità o comunione indivisa”;

iii. restano escluse della vicenda successoria le “mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio” e i “crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un'attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato, a favore di una più rapida conclusione del procedimento estintivo”.

Al fondo di tali principii, come evidenziato dalla Corte, vi è la tutela di un duplice interesse: da un lato, la salvaguardia dei creditori sociali, in presenza di debiti certi ed esigibili (ciò che costituisce la ratio della previsione ai sensi dell'art. 2495 c. 2 c.c., in tema di passività residue); dall'altro, la certezza dei rapporti giuridici, favorita dalla rapida definizione dell'iter estintivo della società (ciò che ispira la regola elaborata in tema di attività residue).

In particolare per quanto attiene alla fattispecie oggetto d'indagine, il criterio che vale a distinguere gli elementi patrimoniali attivi attratti al fenomeno successorio in favore degli ex soci, da quelli che invece restano intrasmissibili, consiste nella relativa iscrivibilità a bilancio di liquidazione.

Nella prospettiva adottata dalle Sezioni Unite e condivisa dall'ordinanza in commento, occorre cioè distinguere, alla luce del suddetto criterio, tra:

(a) sopravvenienze certe, che si trasmettono agli ex soci, e

(b) sopravvenienze incerte o mere pretese, “destinate ad estinguersi per rinuncia con l'estinzione della società”.

In questo quadro, è utile rimarcare che, secondo tali coordinate giurisprudenziali:

  • le c.d. mere pretese non si trasmettono agli ex soci, anche qualora già azionate dalla società, estintasi pendente iudicio; rispetto a tali situazioni soggettive, non vi sarà in ogni caso successione nel processo ai sensi dell'art. 110 c.c. (v. infra);
  • neppure si trasmettono agli ex soci i crediti incerti e illiquidi, se il liquidatore non abbia posto in essere quell'attività ulteriore (giudiziale o stragiudiziale) che ne avrebbe consentito l'iscrizione a bilancio, e il cui mancato esercizio implica una rinuncia della società a tali crediti, con esclusione della legittimazione ‘postuma' in capo agli ex soci.

Se ne desume, a contrario, che ove il liquidatore abbia invece espletato quell'attività di impulso, vòlta a concretizzare e rendere liquidi tali crediti (ad es., promuovendo l'iniziativa giudiziale in nome e per conto della società, anteriormente alla cancellazione), e tale da consentirne l'iscrizione a bilancio, verrà meno la presunzione di rinuncia. Pertanto, intervenuta l'estinzione della società in corso di causa, rispetto a tali diritti potrà esservi successione ai sensi dell'art. 110 c.c.

Sul terreno processuale, come anticipato, nell'ipotesi sub (a) troverà applicazione l'art. 110 c.p.c., in virtù del quale la legittimazione (attiva e passiva) “si trasferisce automaticamente […] ai soci, che, per effetto della vicenda estintiva, divengono partecipi della comunione in ordine ai beni residuati dalla liquidazione o sopravvenuti alla cancellazione, e, se ritualmente evocati in giudizio, parti di questo, pur se estranei ai precedenti gradi del processo” (Cass. 6 giugno 2012 n. 9110; in senso conforme, tra le altre, Cass. 4 agosto 2017 n. 19580). Sicché, quando sia fatto constare l'evento estintivo, il processo dovrà essere interrotto, e proseguito o riassunto da parte o nei confronti dei soci, successori della società.

Viceversa, nell'ipotesi in cui sub iudice siano situazione soggettive intrasmissibili, sarà giocoforza escludere il meccanismo successorio ex 110 c.p.c., con conseguente impossibilità per i soci (appunto privi di legittimazione) di impugnare l'eventuale sentenza di rigetto delle domande proposte dalla società ormai estinta, ovvero di avvantaggiarsi della pronuncia favorevole (Cass. 29 luglio 2016 n. 15782).

Ebbene, nel fare applicazione della regula iuris che disciplina il fenomeno successorio tra la società estinta e i suoi soci, la pronuncia in commento ne ha sottolineato la cogenza, escludendo chiaramente che “la rinuncia alle sopravvivenze «incerte» possa essere rimessa alla volontà potestativa degli (ex) soci”.

L'ordinanza premette infatti che, nella vicenda in esame, l'atto di scioglimento riservava ai soci la ripartizione di “eventuali crediti o debiti, attualmente non quantificabili”: ma una simile clausola (neppure perspicua, ben potendo interpretarsi in senso restrittivo, come riferita ad elementi patrimoniali attivi, non ancora venuti ad esistenza al momento della redazione del bilancio di liquidazione) non varrebbe a derogare all'intrasmissibilità delle sopravvenienze incerte, fondata sul criterio della (non) iscrivibilità a bilancio.

In questo senso, resta dirimente il rilievo per cui, nel caso di specie, il credito azionato in giudizio dagli ex soci “discendeva dalla verifica giudiziale dell'asserito inadempimento della committente; credito da inadempimento che, al momento dello scioglimento, la società ben avrebbe potuto far valere, e invece non ha inteso azionare, così tacitamente ma inequivocamente rinunciandovi” (testualmente la pronuncia in commento).

In definitiva, ad avviso della Corte, l'esigenza di tutela degli interessi in gioco impone ai soci di procedere all'estinzione della società “solo dopo aver concretizzato tutte le possibili potenziali situazioni giuridiche attive, altrimenti quelle definite «mere pretese» si devono considerare rinunciate per sempre”.

Osservazioni

L'ordinanza in commento si inserisce nel solco del consolidato orientamento di legittimità, relativo ai presupposti della trasmissibilità agli ex soci delle situazioni giuridiche (nelle specie attive) di cui era titolare la società estinta, e della connessa legittimazione processuale.

Dopo aver tracciato una ricognizione dei principi affermati dalla Suprema Corte, anche a Sezioni Unite, la pronuncia ne ha svolto un'utile precisazione, occasionata dalle peculiarità della concreta fattispecie. È stato cioè ben sottolineato che tali principii -proprio perché posti a presidio di interessi generali- non sono derogabili dall'autonomia privata: la disciplina del fenomeno successorio resta quindi sottratta alla -eventualmente difforme- volontà dei soci.

Il criterio discretivo prescelto quale condizione della successione, vale a dire l'iscrivibilità a bilancio degli elementi patrimoniali attivi, è quello che maggiormente soddisfa le esigenze di certezza dei rapporti giuridici, appunto sottese all'affermazione dei principii in esame.

In quest'ottica, la recente ordinanza ha rimarcato, da un lato, che le c.d. mere pretese non si trasmettono mai agli ex soci, anche qualora già attivate in giudizio (cosicché non potrà mai darsi successione nel processo ai sensi dell'art. 110 c.p.c.); dall'altro, che per i crediti incerti o illiquidi occorre -prima della cancellazione- una iniziativa giudiziale o stragiudiziale del liquidatore, tale da consentirne l'iscrivibilità, altrimenti presumendosi iuris et de iure la rinuncia da parte della società, con conseguente impossibilità di successione.

Nella fattispecie la Corte ha coerentemente escluso la trasmissione agli ex soci del credito risarcitorio da inadempimento, trattandosi di credito incerto - poiché dipendente dal necessario accertamento giudiziale -, che la società, benché avesse potuto, non aveva mai azionato (neanche in via riconvenzionale) prima della cancellazione; con la conseguente presunzione assoluta di rinuncia a quel credito, neppure iscrivibile a bilancio.

In una prospettiva più ampia, quel che si ricava è la peculiarità della vicenda successoria, che a certe condizioni può dispiegarsi in caso di estinzione della società. A venire in rilievo è cioè un fenomeno successorio -per così dire- attenuato, non pienamente assimilabile al paradigma della successione in universum ius, quale si verifica mortis causa per le persone fisiche. E l'attenuazione ben si spiega alla luce delle esigenze di certezza dei rapporti giuridici, specie nei riguardi dei terzi, che informa la disciplina delle società commerciali per tutto il corso dell'attività sociale e così, coerentemente, fino alla fase estintiva.

Del resto, che si tratti di una vicenda successoria sui generis è confermato, anche per quanto attiene alle passività sociali, dall'art. 2495 c. 2 c.c., per cui il socio risponde delle passività nei limiti di quanto riscosso in base al bilancio di liquidazione (e ciò a ulteriore riprova della decisività, a questi fini, delle risultanze bilancistiche).

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