Il contributo ha ad oggetto la fattispecie della cessione del credito futuro. Prendendo le mosse dagli elementi caratterizzanti del negozio, se ne approfondiranno gli snodi più problematici, su cui si registrano contrasti giurisprudenziali. In particolare, si tratteranno le connesse questioni (i) della individuazione del momento traslativo (se necessariamente differito, poiché ancorato alla venuta ad esistenza del credito, ovvero anticipabile e in che misura), e (ii) della conseguente legittimazione del cessionario nei confronti del debitore ceduto, cui la cessione sia immediatamente notificata ex art. 1265 c.c. Si esaminerà infine la connessa, specifica questione della opponibilità della cessione al fallimento del creditore cedente.
Premessa
La recente pronuncia della Suprema Corte (Cass. 14 febbraio 2024 n. 4085) offre l'occasione per esaminare la fattispecie della cessione del credito futuro, e metterne a fuoco le caratteristiche strutturali, talora oggetto di ricostruzioni giurisprudenziali non uniformi e implicanti divergenti ricadute applicative.
Nel caso oggetto della richiamata ordinanza, il debitore ceduto si doleva dell'erroneità della sentenza d'appello, la quale aveva riconosciuto, riformando la decisione di primo grado e prestando adesione alla più recente giurisprudenza di legittimità, la validità della cessione di un credito futuro di fonte determinata.
Ancorché riferita a un credito eventuale, alla cessione avrebbe cioè dovuto attribuirsi efficacia traslativa immediata, e non differita al momento in cui il credito fosse venuto ad esistenza; sicché, secondo la ratio decidendi assunta dalla Corte territoriale, il pagamento al cedente eseguito dal debitore dopo la notifica della cessione non era opponibile alla cessionaria, e non liberava il ceduto, in conformità alla regola dettata dall'art. 1264 c. 1 c.c. (benché alla data della cessione il credito non fosse ancora sorto).
Anelando alla cassazione della pronuncia d'appello, il ricorrente (debitore ceduto) ha invocato il principio del c.d. prospective overruling, sostenendo che:
al momento della sentenza di primo grado, l'orientamento di legittimità deponeva per l'effetto traslativo differito della cessione del credito futuro (al momento del sorgere del credito medesimo);
il mutamento del quadro giurisprudenziale, recepito dalla Corte d'appello, era da ascriversi a Cass. 10 dicembre 2018 n. 31896, che aveva escluso la portata meramente obbligatoria della cessione di crediti futuri;
la tutela dell'affidamento, che il ricorrente aveva riposto nella regula iuris desumibile dall'indirizzo giurisprudenziale anteriore, ne giustificava la riaffermazione nel caso di specie.
Come intuibile, la Suprema Corte ha ravvisato l'inammissibilità della censura, essendo noto che il principio (impropriamente) richiamato dal ricorrente vale a neutralizzare “i mutamenti imprevedibili della giurisprudenza di legittimità su norme regolatrici del processo” (così l'ordinanza in esame, con richiamo a Cass. SU 12 febbraio 2019 n. 4135), mentre nel caso di specie il debitore lamentava un revirement (attribuito a Cass. 10 dicembre 2018 n. 31896) avente ad oggetto la disciplina sostanziale.
La pronuncia Cass. 14 febbraio 2024 n. 4085non prende quindi posizione sul tema qui oggetto d'indagine, e coerentemente neppure conferma se il dedotto contrasto giurisprudenziale (nella specie diacronico) sussista, e in quali termini eventualmente si dispieghi. La questione, con i suoi risvolti problematici, resta quindi - per così dire - in filigrana, e tuttavia se ne colgono l'attualità e rilevanza.
Con il presente contributo, si procederà a:
introdurre la fattispecie della cessione del credito futuro, esaminandone i tratti peculiari;
svolgere una ricognizione di alcune significative pronunce giurisprudenziali di legittimità, in relazione ai profili più delicati della fattispecie, oggetto di orientamenti non omogenei (in particolare per quanto attiene alla individuazione del momento traslativo), con le conseguenti ricadute pratiche (specie in punto di legittimazione anche processuale del cessionario), ricercandone l'inquadramento più persuasivo;
esaminare la connessa, specifica questione della opponibilità della cessione al fallimento del creditore-cedente.
Cessione ex art. 1260 c.c. e credito futuro: struttura della fattispecie
Come premesso, conviene dapprima soffermarsi sulle caratteristiche salienti della cessione del credito, quale negozio giuridico a causa variabile, disciplinato dall'art. 1260 e s. c.c. Si tratta dello strumento negoziale con cui si realizza il trasferimento di un credito, da un soggetto (cedente) a un altro (cessionario) che, per effetto della cessione, ne diviene titolare, e così legittimato a pretendere il pagamento dal debitore (ceduto).
In ordine alla variabilità della causa, è noto che la cessione del credito può assolvere a diverse funzioni: a seconda dei casi, cioè a seconda del concreto programma negoziale, si avrà cessione a causa di vendita (e così verso il corrispettivo di un prezzo, pagato dal cessionario), di donazione (qualora la cessione avvenga per spirito di liberalità), di pagamento (c.d. cessione solvendi causa), di garanzia, talora anche di finanziamento.
Ai fini che qui rilevano, conviene altresì evidenziare che la cessione del credito è contratto consensuale, che si perfeziona in virtù del consenso delle parti; e che, almeno quando abbia ad oggetto un credito già esistente, è negozio ad efficacia reale, ai sensi dell'art. 1376 c.c., sicché l'effetto traslativo si produce, omisso medio, in conseguenza dell'accordo (c.d. principio consensualistico).
L'efficacia reale della cessione implica che il cessionario divenga immediatamente titolare attivo del rapporto obbligatario, a prescindere dalla notifica della cessione al debitore ceduto o dalla sua accettazione.
In questo senso l'art. 1264 c. 1 c.c., laddove stabilisce (per vero, un poco impropriamente) che la cessione “ha effetto” verso il debitore ceduto quando questi l'abbia accettata o gli è stata notificata, non attiene al risultato traslativo, già verificatosi ai sensi dell'art. 1376 c.c., bensì al profilo liberatorio, nella prospettiva del debitore ceduto (in altri termini, all'opponibilità della cessione). Dopo la notifica o accettazione, infatti, quest'ultimo non sarà liberato se paga al cedente; di contro, il pagamento al cedente, avvenuto (dopo la cessione ma) prima della notifica, ha effetto liberatorio per il debitore ignaro della cessione, e ciò in ossequio a esigenze di tutela dell'affidamento nell'apparenza giuridica.
D'altro canto, come prevede l'art. 1264 c. 2 c.c., anche prima della notifica il pagamento al cedente non è liberatorio, se il cessionario prova che il debitore era a conoscenza della cessione. In quest'ipotesi, l'esigenza di tutela dell'affidamento del debitore viene chiaramente meno, e riprende vigore la regola generale di cui all'art. 1188 c.c., per cui il pagamento “deve essere fatto al creditore” (vale a dire il cessionario, che acquista immediatamente il credito ai sensi dell'art. 1376 c.c.). Dagli stessi principii di cui agli artt. 1376 e 1188 c.c. discende, specularmente, la naturale efficacia liberatoria del pagamento, che il ceduto effettui al cessionario anche anteriormente alla notifica (in tal modo egli avrà pagato al suo effettivo creditore, estinguendo l'obbligazione (su tali questioni, cfr. Cass. 19 febbraio 2019 n. 4713).
Così richiamati alcuni tratti essenziali della disciplina della cessione, è da chiedersi se anche il credito futuro, che ancora non è venuto ad esistenza, possa costituire oggetto di cessione, al pari del credito già sorto e attuale che faccia parte del patrimonio del cedente.
La risposta è certamente affermativa, solo a considerare che:
ex art. 1346 c.c., l'oggetto del contratto deve essere (non necessariamente determinato ma almeno) “determinabile”, sicché anche il credito futuro, purché soddisfi tale requisito, potrà divenire oggetto del negozio di cessione;
l'art. 1378 c.c. stabilisce che “la prestazione di cose future può essere dedotta in contratto, salvi i particolati divieti della legge” (non constando nella specie divieti tout-court alla cessione di crediti futuri);
ai sensi dell'art. 1472 c.c., “nella vendita che ha per oggetto una cosa futura, l'acquisto della proprietà si verifica non appena la cosa viene ad esistenza” (la norma, che presuppone la configurabilità della vendita di cosa futura, è pianamente applicabile alla fattispecie della cessione del credito, frequentemente conclusa proprio venditionis causa);
l'art. 3 L. 52/1991, in materia di factoring, rubricato “Cessione di crediti futuri e di crediti in massa”, contiene un esplicito riconoscimento normativo, prevedendo che: “I crediti possono essere ceduti anche prima che siano stipulati i contratti dai quali sorgeranno” (primo comma); “I crediti esistenti o futuri possono essere ceduti anche in massa” (secondo comma); “La cessione in massa dei crediti futuri può avere ad oggetto solo crediti che sorgeranno da contratti da stipulare in un periodo di tempo non superiore a ventiquattro mesi” (terzo comma); “La cessione dei crediti in massa si considera con oggetto determinato, anche con riferimento a crediti futuri, se è indicato il debitore ceduto, salvo quanto prescritto nel comma 3” (quarto comma).
Al riguardo, anche per consolidata giurisprudenza “è ben noto che la cessione di credito può riguardare anche crediti futuri, purché determinati o determinabili”, come conferma la stessa disciplina del factoring appena richiamata (cfr., e multis, Cass. 2 ottobre 2023 n. 27690, Cass. 31 marzo 2021 n. 8869).
Ciò premesso, conviene altresì precisare cosa si intenda esattamente per credito futuro. Invero, anche nell'elaborazione giurisprudenziale, non sempre emerge con nettezza la distinzione tra credito futuro e credito solo incerto (poiché sub iudice, ma che, se esistente, è già sorto); si registrano così alcune pronunce che richiamano i principi in tema di cessione del credito futuro, in relazione però a controversie attinenti a crediti (tipicamente risarcitori, di fonte contrattuale o aquiliana) controversi, ma non propriamente futuri.
Ebbene, futuro è il credito che non è venuto ad esistenza nel patrimonio del creditore, in quanto non ancora perfezionatasi la relativa fattispecie costitutiva; mentre è attuale e non futuro il credito la cui fattispecie costitutiva sia già realizzata, e che sia quindi parte del patrimonio del suo titolare, benché contestato e sottoposto ad accertamento giurisdizionale.
La distinzione è stata valorizzata anche dalla Suprema Corte, laddove ha affermato - cassando la decisione di merito - che “Il credito che nasce da un fatto illecito è in realtà un credito attuale, non già futuro né una mera aspettativa di credito, la quale peraltro, essendo una situazione giuridica anche essa (non essendo cioè una mera aspettativa di fatto) ben potrebbe costituire oggetto di una cessione”; ciò in quanto “il credito derivante da fatto illecito sorge nel momento in cui il fatto si è compiuto, altro essendo il suo accertamento e la sua liquidazione, che non rendono futuro il credito per il fatto che lo seguono temporalmente” (Cass. 31 marzo 2021 n. 8869). Ed è precisamente in quest'ottica che va riguardata, secondo tale pronuncia, la stessa elaborazione giurisprudenziale in tema di cedibilità di crediti risarcitori da sinistro stradale (in tale fattispecie, oggetto di frequente contenzioso, viene cioè in rilievo la cessione di crediti semmai incerti, non futuri).
La sottolineatura non resta confinata al piano astratto: alcuni dei più delicati profili che interessano la cessione del credito futuro (ad. es., l'individuazione del momento in cui si realizza l'effetto traslativo, il suo oggetto e i conseguenti riflessi sulla legittimazione processuale) perdono di criticità qualora non si tratti di credito vero nomine futuro, bensì già esistente ma controverso, in attesa di riconoscimento giudiziale.
Segue: l'efficacia traslativa della cessione del credito (propriamente) futuro, nelle diverse vedute della giurisprudenza
Su questi presupposti, conviene addentrarsi nell'esame dei cennati profili, in relazione alla fattispecie della cessione di crediti futuri, nella delineata esatta accezione.
La prima questione dirimente, oggetto di inquadramenti non uniformi nella giurisprudenza della Suprema Corte, attiene all'efficacia della cessione.
Come evidenziato in premessa, laddove sia trasferito un credito che già esiste nel patrimonio del cedente, il negozio assume effetto reale, sicché per il principio consensualistico (art. 1376 c.c.) il cessionario acquista immediatamente il credito ceduto.
Quando invece il suo oggetto è un credito futuro, che per definizione non fa ancora parte del patrimonio del cedente (il quale vanta semmai una situazione soggettiva c.d. di aspettativa), secondo la ricostruzione tradizionale, la cessione integra un contratto a effetti traslativi differiti. L'effetto reale non si realizza cioè in virtù del semplice accordo, ma si produrrà in un momento necessariamente successivo, quando il credito verrà ad esistenza. Al fondo di tale assunto sta il dato obiettivo per cui, al momento della cessione, il credito - quale situazione giuridica attiva, fondativa della pretesa alla prestazione del debitore, soggetto passivo del rapporto obbligatorio - non esiste attualmente in capo al dante causa, e neppure può essere alienato.
Tale impostazione echeggia in una serie di precedenti di legittimità, secondo cui "la natura consensuale del contratto di cessione di credito comporta che esso si perfeziona per effetto del solo consenso dei contraenti, cedente e cessionario, ma non anche che dal perfezionamento del contratto consegua sempre il trasferimento del credito dal cedente al cessionario, in quanto, nel caso di cessione di un credito futuro, il trasferimento si verifica soltanto nel momento in cui il credito viene ad esistenza e, anteriormente, il contratto, pur essendo perfetto, esplica efficacia meramente obbligatoria” (Cass. 31 agosto 2005 n. 17590, richiamata da Cass. n. 17 gennaio 2012 n. 551, che ha respinto la tesi della ricorrente per cui la cessione del credito, pur futuro, produrrebbe l'immediato trasferimento della posizione attiva del rapporto al cessionario, divenendo questi il solo legittimato a pretendere la prestazione).
In quest'ottica, la differita efficacia traslativa (desumibile dall'esplicito dettato dell'art. 1472 c. 1 c.c.) si accompagna alla - altrettanto differita - legittimazione sostanziale e processuale del cessionario, ascrivendosi portata meramente obbligatoria alla cessione, nella fase anteriore al sorgere del credito. Anche la più recente Cass. 28 febbraio 2020 n. 5616, trattando della opponibilità al fallimento del cedente (v. infra), ha rilevato che, in caso di cessione di credito futuro, “il previsto effetto traslativo non potrebbe comunque verificarsi prima dell'effettivo sorgere del credito”.
Una diversa traiettoria ermeneutica è stata presa da Cass. n. 31896/2018; nella specie, con tale pronuncia, la Suprema Corte ha cassato la sentenza d'appello, che aveva negato legittimazione attiva al cessionario di un credito risarcitorio da responsabilità contrattuale (connessa a investimenti in prodotti finanziari derivati), poiché subordinato all'esito di un'azione giudiziale (comprensiva della domanda risarcitoria) non ancora promossa nei confronti della banca responsabile.
A ben vedere, nella vicenda all'esame della Corte non veniva in rilievo un credito propriamente futuro, bensì un credito risarcitorio incertus an, ma che, se riconosciuto esistente, era sorto al momento dell'illecito, quindi prima della cessione (v. sopra, Cass. 31 marzo 2021 n. 8869); la riconduzione all'ipotesi del credito controverso, ma attuale, varrebbe perciò a disinnescare le criticità che interessano la cessione del credito futuro (è la stessa sentenza a chiarire che, in quel caso, “il credito, anche se non determinato ma determinabile era esistente”).
In ogni caso, nel suo percorso argomentativo, sempre Cass. 10 dicembre 2018 n. 31896:
ha richiamato l'orientamento in virtù del quale “il danneggiato da un sinistro stradale può cedere il proprio credito risarcitorio a un terzo […], non trattandosi di un diritto strettamente personale e non esistendo al riguardo diretti o indiretti divieti normativi” sicché “detto terzo è legittimato ad agire, in vece del cedente, in sede giudiziaria per l'accertamento della responsabilità dell'altra parte e per la condanna di questa” (Cass. 13 maggio 2009 n. 11095); nonché il principio (Cass. 21 aprile 1986 n. 2812) per cui “l'obbligazione risarcitoria, anche quando il diritto al risarcimento sia conseguenza di inadempimento contrattuale, non ha natura accessoria rispetto all'obbligazione contrattuale rimasta inadempiuta, bensì si configura come una obbligazione autonoma, con la conseguenza che il relativo credito può costituire oggetto di cessione” (per vero, anche a tale riguardo, dovrebbe trattarsi di crediti al più controversi, ma non futuri, secondo quanto evidenziato sopra);
ha ritenuto che proprio l'arresto di cui a Cass. n. 2812/1986 avrebbe “consentito di abbandonare il precedente orientamento interpretativo, che sosteneva il principio della mera obbligatorietà della cessione dei cediti futuri e il trasferimento della res solo al momento della nascita del credito (Cass. 1364/1960), mentre detta nascita costituirà soltanto una condizione di efficacia per la sua esazione, onde la possibilità della sua immediata notificazione, ai sensi dell'art. 1265 cod. civile”;
ha sottolineato che non esiste alcuna norma che vieti “la disponibilità dei diritti futuri perché meramente eventuali, bastando che, nel negozio dispositivo, sia individuata o sia determinata (o determinabile) la fonte dei crediti perché automaticamente siano ricompresi nella vicenda traslativa quelli che da tale fonte deriveranno”;
ha conclusivamente affermato il principio di diritto per cui “la cessione dei crediti futuri, anche di quelli aventi causa risarcitoria, è possibile senza che rilevi la probabilità della venuta in essere del credito ceduto”.
Quel che emerge dalla motivazione adottata da Cass. 10 dicembre 2018 n. 31896 è una esplicita deviazione dal paradigma della cessione meramente (e provvisoriamente) obbligatoria, ad effetto traslativo differito. Secondo tale differente impostazione, la nascita del credito integra piuttosto e “soltanto una condizione di efficacia per la sua esazione”, con possibilità di immediata notifica al ceduto (oltre, si desume, al trasferimento della legittimazione al cessionario, già al momento della cessione).
Il testuale riferimento alla mera condizione d'efficacia per l'”esazione” pare alludere al profilo dell'esigibilità del credito, per converso prospettando una efficacia (non solo obbligatoria) ma reale immediata, quanto alla situazione giuridica soggettiva oggetto di cessione.
Sul punto, occorre anche notare che la massima ufficiale tratta da Cass. 10 dicembre 2018 n. 31896, testualmente richiamata dalle successive Cass. 31 marzo 2021 n. 8869 e Cass. 2 ottobre 2023 n. 27690, non sembra perfettamente aderire al richiamato passaggio motivazionale.
Il principio di diritto è stato invero massimato nei termini che seguono: “La cessione dei crediti futuri, ivi compresi quelli aventi causa risarcitoria, non ha natura meramente obbligatoria e vi si può procedere - quando nel negozio dispositivo sia individuata la fonte, oppure la stessa sia determinata o determinabile - senza che rilevi la probabilità della venuta in essere del credito ceduto, non esistendo una norma che vieta la disponibilità dei diritti futuri perché meramente eventuali, con la conseguenza che la venuta in essere del credito futuro integra un requisito di efficacia della cessione, ma non della sua validità”.
Senonché, un conto è affermare - come in massima - che la venuta ad esistenza del credito si riflette sull'efficacia della cessione (cioè sul risultato traslativo), il che dovrebbe rimandare all'impostazione tradizionale; altro conto è ritenere - con Cass. 10 dicembre 2018 n. 31896 - che ciò condizioni unicamente l'esazione del credito e non anche il “trasferimento della res”.
In conclusione, una possibile interpretazione coerenziatrice
Così tratteggiati i principali snodi della fattispecie, si può tentare di individuarne l'inquadramento più armonico.
In primo luogo, risulta decisivo stabilire se il credito, di cui le parti hanno inteso disporre, sia propriamente futuro.
Infatti, come già osservato, se il credito è incerto nell'an e nel quantum, ma pur sempre attuale e rimesso all'accertamento giurisdizionale tipicamente dichiarativo (come avviene nel frequente caso di cessione di diritti risarcitori da illecito aquiliano o contrattuale), la cessione spiegherà efficacia immediatamente traslativa, con la connessa legittimazione (di talché, se il diritto sia già stato dedotto in giudizio dal cedente, troverà applicazione l'art. 111 c.p.c.).
Qualora, invece, il credito sia davvero futuro perché non ancora sorto, allora pare arduo negare che l'effetto traslativo - del credito quale autonomo bene giuridico - sia differito, non potendosi trasferire ciò che non fa parte del patrimonio del cedente; lo stesso art. 1472 c.c. riconosce espressamente che nella vendita di cosa futura l'acquisto “si verifica non appena la cosa viene ad esistenza”. Ed è appena il caso di sottolineare che la questione non attiene certo alla validità del negozio (essendo sufficiente, a tal fine, che l'oggetto della cessione sia determinabile), bensì appunto all'efficacia reale dell'atto.
D'altro canto, la tesi della portata “meramente obbligatoria” della cessione del credito futuro non pare del tutto condivisibile, posto che il cedente non è tenuto ad alcuna prestazione per procurare al cessionario l'acquisto del diritto, che si realizzerà ipso iure al momento della sua venuta ad esistenza (in virtù del consenso già espresso con l'atto negoziale).
Avuto riguardo al diritto di credito di futura insorgenza, la cessione dovrebbe quindi integrare un negozio ad effetto (non obbligatorio ma) pur sempre reale, benché differito.
Nondimeno, se il trasferimento della situazione giuridica sostanziale, nella sua pienezza, potrà verificarsi solo al compiersi della relativa fattispecie costitutiva, alla cessione può attribuirsi efficacia traslativa immediata, per quel che attiene:
alla situazione di aspettativa di credito (cfr. Cass. 31 marzo 2021 n. 8869, che ne ammette espressamente la cedibilità) e
alla legittimazione processuale, rispetto a quel credito atteso (intesa quale titolarità del c.d. diritto di azione).
In conseguenza del negozio di cessione del credito, pur futuro, il cessionario si trova in una posizione di aspettativa, assimilabile a quella dell'acquirente sotto condizione sospensiva (l'insorgenza del diritto è l'evento cui resta subordinata l'efficacia traslativa).
In questa prospettiva, il cessionario dovrebbe dirsi fin da subito legittimato al compimento di atti conservativi (art. 1356, comma 1, c.c.), a tutela del credito atteso.
Inoltre, laddove l'ordinamento ammette la domanda di condanna in futuro, il medesimo cessionario ben potrebbe azionare in giudizio il credito di futura insorgenza (si pensi alla cessione di crediti aventi ad oggetto canoni di locazione, che possono essere oggetto d'ingiunzione ai sensi dell'art. 664 c. 1 c.p.c. anche se “da scadere fino all'esecuzione dello sfratto”); e se la relativa azione sia già stata avviata dal cedente, potrà trovare applicazione anche in questo caso l'art. 111 c.p.c.
La legittimazione attiva del cessionario non resta perciò subordinata al trasferimento pleno iure del credito, ma può ritenersi anticipata, in quanto correlata all'aspettativa di diritto di cui gode l'acquirente, e comunque in tutte le ipotesi in cui si ammette la tutela preventiva di una situazione giuridica non ancora perfetta, ma destinata a entrare nel patrimonio di un soggetto. Cosicché, per effetto della cessione del credito futuro, il cessionario sarà legittimato, anche processualmente, a compiere tutti (e soli) quegli atti che spettavano al cedente.
Per quanto attiene alla notifica della cessione al debitore, pare coerente ritenere che vi si potrà procedere immediatamente, conseguendo l'effetto tipico dell'opponibilità al ceduto di cui all'art. 1265 c.c.; eseguita la notifica, pertanto, il debitore non sarà liberato se - una volta che il credito sia venuto ad esistenza - avrà pagato al cedente.
Postilla sull'opponibilità della cessione al fallimento del cedente
All'esito del presente approfondimento, occorre trattare dell'opponibilità della cessione del credito futuro al fallimento del cedente, brevemente illustrando le coordinate tracciate dalla giurisprudenza di legittimità.
Il primo presupposto affinché il cessionario possa opporre l'acquisto al fallimento del suo dante causa è che il credito, qualificabile come futuro al momento della cessione, sia venuto ad esistenza prima della dichiarazione di fallimento. Se, al contrario, la dichiarazione di fallimento precedesse il sorgere del credito, questo rimarrebbe “acquist[o] alla procedura ai sensi dell'art. 44, comma 1, legge fall.” - oggi art. 144 D.Lgs. 14/2019 (c.d. codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, in breve "CCII") - “posto che il previsto effetto traslativo non potrebbe comunque verificarsi prima dell'effettivo sorgere del credito” (così Cass. 28 febbraio 2020 n. 5616).
In secondo luogo, per l'opponibilità al fallimento del cedente (ovvero, nell'esecuzione singolare, al creditore del cedente, che abbia pignorato il credito oggetto di cessione), è richiesto che la notifica della cessione al debitore ceduto, o la sua accettazione, abbia data certa anteriore alla sentenza dichiarativa di fallimento, ai sensi dell'art. 45 L.Fall. ora art. 145 CCII (ovvero anteriore al pignoramento, ai sensi dell'art. 2914 n. 2 c.c.).
Fermi tali presupposti di legge, per consolidata giurisprudenza occorre poi distinguere tra due ‘tipologie' di crediti futuri, in particolare tra:
crediti c.d. “eventuali in concreto”, cioè futuri ma probabili, poiché relativi un rapporto già esistente;
crediti c.d. “eventuali in astratto”, cioè aleatori, poiché relativi a un rapporto non ancora esistente e - a sua volta - solo potenziale.
Sul rilievo che la cessione di crediti futuri ma probabili vada assimilata a quella di crediti attuali (salvo il differimento dell'effetto reale), la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che ai fini opponibilità sia sufficiente l'anteriorità della notifica (o accettazione) rispetto al fallimento del cedente/al pignoramento del credito, e non anche che la notifica sia successiva al sorgere del credito (cfr. Cass. 26 ottobre 2022 n. 15141).
Viceversa, laddove si tratti di crediti eventuali in astratto, per l'opponibilità della cessione occorre che la notifica o accettazione sia (non solo anteriore al fallimento/pignoramento, ma) anche successiva alla venuta ad esistenza del credito; la necessità che la notifica/accettazione seguano il momento in cui si realizza l'effetto traslativo risiede, secondo la richiamata giurisprudenza, proprio nella sua maggiore incertezza.
Guida all’approfondimento
S. TROIANO, La cessione dei crediti futuri, Padova 1999
M. C. DI MARTINO, L’efficacia della cessione di crediti futuri nei confronti del fallimento del cedente, in Banca Borsa Titoli di Credito, fasc. 2, 2018, pag. 249
G. FINAZZI, Cessione del credito, in Trattato delle obbligazioni, L. GAROFALO e M. TALAMANCA (diretto da), La circolazione del credito, t. I, Cessione, factoring, cartolarizzazione, R. ALESSI e V. MANNINO (a cura di), Padova 2008
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Sommario
Segue: l'efficacia traslativa della cessione del credito (propriamente) futuro, nelle diverse vedute della giurisprudenza
In conclusione, una possibile interpretazione coerenziatrice