Contratto di prestazione artistica: onere della prova e "principio di non dispersione" tra primo grado e appello
06 Marzo 2024
Massima Il principio di “non dispersione (o di acquisizione) della prova”, operante anche per i documenti - prodotti sia con modalità telematiche sia in formato cartaceo -, comporta che il fatto storico in essi rappresentato si ha per dimostrato nel processo, costituendo fonte di conoscenza per il giudice e spiegando un’efficacia che non si esaurisce nel singolo grado di giudizio, né può dipendere dalle successive scelte difensive della parte che li abbia inizialmente offerti in comunicazione. Il giudice d’appello ha il potere-dovere di esaminare un documento ritualmente prodotto in primo grado nel caso in cui la parte interessata ne faccia specifica istanza nei propri scritti difensivi, mediante richiamo di esso nella parte argomentativa dei motivi formulati o delle domande ed eccezioni riproposte, illustrando le ragioni, trascurate dal primo giudice, per le quali il contenuto del documento acquisito giustifichi le rispettive deduzioni. […] È inammissibile per carenza di interesse il ricorso incidentale condizionato allorché proponga censure che non sono dirette contro una statuizione della sentenza di merito bensì a questioni su cui il giudice di appello non si è pronunciato ritenendole assorbite, atteso che in relazione a tali questioni manca la soccombenza che costituisce il presupposto dell'impugnazione, salva la facoltà di riproporre le questioni medesime al giudice del rinvio, in caso di annullamento della sentenza. Il caso La controversia è sorta innanzi al Tribunale di Roma a seguito dell’atto di citazione da parte di una società organizzatrice di eventi nei confronti del Comune dell’Aquila e dell’Istituzione Perdonanza Celestiniana per ottenere il pagamento dei compensi pattuiti per l’organizzazione di uno spettacolo nel quale si è esibita la cantante Carmen Consoli. Il Tribunale capitolino ha rigettato l’eccezione di incompetenza territoriale proposta dal Comune dell’Aquila e, nel merito, ha condannato quest’ultimo al pagamento in favore della società attrice della somma di € 50.000. La parte soccombente ha proposto appello evidenziando il mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte della società organizzatrice di eventi per non aver depositato il contratto avente ad oggetto l’erogazione della prestazione artistica. La Corte di appello di Roma ha accolto il gravame ritenendo che il mancato deposito del fascicolo di parte del primo grado di giudizio contenente gli allegati e le prove documentali poste a sostegno delle proprie domande inibisse la possibilità di vagliare la sussistenza del diritto azionato in primo grado. Secondo la ricostruzione operata dal giudice dell’impugnazione l’omessa (ri)allegazione dei documenti su cui si fondava la pretesa della società organizzatrice costituiva un inadempimento ascrivibile alla parte appellata. Pertanto il procedimento doveva essere deciso allo stato degli atti, comportando il rigetto della domanda per difetto di prova. La questione La questione in esame è la seguente: Il giudice di secondo grado può basare il proprio convincimento su documenti ritualmente prodotti nel giudizio di primo grado nonostante questi ultimi non siano poi (ri)presentati in sede di appello? Le soluzioni giuridiche La risposta a tale quesito si dirama in almeno due direzioni. La prima, quella condivisa dalla Corte di appello di Roma, è quella che considera i due giudizi totalmente autonomi sotto il profilo probatorio. Da ciò ne consegue che gli elementi di prova fatti valere in primo grado possono generare effetti anche in secondo grado soltanto a condizione che vengano nuovamente prodotti. L'appellante subisce quindi le conseguenze della mancata restituzione del fascicolo dell'altra parte allorquando esso contenga documenti a lui favorevoli che non ha avuto cura di produrre in copia. In tal caso si ritiene che il giudice di appello sia legittimato a rigettare l'impugnazione in quanto impossibilitato all'esame di fatti allegati ma non dimostrati in secondo grado. La seconda tesi, quella condivisa della Corte di Cassazione, fa leva sul principio di “non dispersione” della prova, in forza del quale i fatti storici rappresentati nei documenti prodotti sia con modalità telematiche che cartacee possono fondare il convincimento del giudice anche in secondo grado. La loro efficacia non si esaurisce quindi nel primo grado di giudizio, avendo una valenza anche nei gradi successivi laddove l'appellante (o l'appellato) ne faccia specifico riferimento negli scritti difensivi. Secondo la ricostruzione in parola, il giudice di appello ha la facoltà di fondare il proprio convincimento su documenti in formato cartaceo, anche se non rintracciabili nei fascicoli delle parti, valutandone il contenuto che sia stato trascritto o indicato nella decisione oggetto di impugnazione, o in un altro provvedimento o atto del procedimento. Peraltro, il giudice, se lo ritiene necessario, può altresì richiedere alla parte interessata di fornire specifici documenti che sono stati acquisiti in prima istanza, una volta che la parte abbia adempiuto gli obblighi procedurali. La Suprema Corte ha quindi accolto il ricorso per cassazione presentato dalla società organizzatrice di eventi nelle parti in cui si denunciava la violazione dell'art. 342 c.p.c., l'apparente motivazione della sentenza, nonché l'omesso esame del parziale pagamento dell'ente locale quale fatto decisivo. I suddetti vizi hanno determinato l'annullamento della sentenza di secondo grado e il rinvio della causa alla Corte di appello di Roma in diversa composizione. Osservazioni La decisione si conforma al recentissimo orientamento in materia di prova documentale espresso dalle Sezioni Unite (Cass. SU 16 febbraio 2023 n. 4835), la quale a sua volta segue il filone interpretativo affermato con Cass. 10 luglio 2015 n. 14475. Con essa si intende preservare l'efficacia in appello di prove documentali prodotti in primo grado, ritenendole definitivamente acquisite alla causa. La sola condizione affinché possa operare il suddetto principio di “non dispersione” della prova è che la parte alleghi il fatto in un enunciato descrittivo pur senza la necessità di invocarne il riesame. In tal modo, il fatto dimostrato nel documento presentato in primo grado può rientrare nell'attica logica del giudice d'appello e della conseguente sentenza, in conformità all'art. 2697 c.c. La sentenza delle Sezioni Unite risolve il conflitto interpretativo riguardo all'art. 342 c.p.c. scartando così la posizione alternativa che ammetteva l'automatico rigetto dei motivi di appello qualora fosse mancante il documento di prova impugnato (Cass. 8 febbraio 2013 n. 3033 e Cass. 23 dicembre 2005 n. 28498). In tal modo si previene un'ingiustificata inversione dell'onere probatorio, situazione che potrebbe verificarsi qualora l'appellante fosse obbligato a presentare il documento depositato dalla parte avversaria, ma non più disponibile perché ad esempio ritirato o non restituito. Ad ogni modo, la rilevanza della decisione in commento sarà alquanto ridimensionata – se non proprio svanita – con la piena affermazione del processo civile telematico (dunque al termine degli ibridi analogico-telematico) dal momento che la creazione di un unico fascicolo digitale fa venir meno la separazione tra fascicolo di parte e fascicolo di ufficio e con esso il rischio di ritiro dei documenti probatori.
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