È possibile regolarizzare il deposito della sentenza priva di attestazione di conformità entro la data d'udienza?

31 Luglio 2024

In tema di ricorso per Cassazione, ove il controricorrente, costituitosi tempestivamente, eccepisca l'avvenuto deposito per via telematica, da parte del ricorrente, della copia della sentenza impugnata priva della necessaria attestazione di conformità, il ricorrente può regolarizzare il deposito entro l'udienza di discussione o l'adunanza in camera di consiglio, così evitando la pronuncia di improcedibilità.

Questo il principio di diritto sancito dalla Suprema Corte di Cassazione con l'ordinanza in oggetto, pronunciata nel corso di un procedimento per accertare il diritto di una donna a percepire l'assegno divorzile.

Fatti di causa avanti il Tribunale

Il marito proponeva ricorso per ottenere lo scioglimento del matrimonio, rappresentando che i coniugi nel 2008 si erano separati consensualmente rinunciando reciprocamente ad ogni forma di assistenza e/o mantenimento, avendo adeguati redditi propri.

La moglie si costituiva in giudizio e, in via riconvenzionale, chiedeva il riconoscimento di un assegno divorzile di € 4.000,00 mensili, o della maggiore o minore somma ritenuta di giustizia, con decorrenza dalla data della domanda.

Il Tribunale, dopo aver emesso la sentenza sullo status, rimetteva la causa in istruttoria per trattare le questioni di natura economica. Esperita l'istruttoria, il Tribunale poneva a carico del marito l'obbligo di corrispondere alla moglie un assegno divorzile pari a € 1.500,00 mensili, a decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza di divorzio.

Fatti di causa avanti la Corte d'appello

Avverso la suddetta sentenza l'uomo proponeva appello chiedendo il rigetto della domanda riconvenzionale avanzata dalla moglie.

La Corte territoriale, in riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda volta all'attribuzione dell'assegno divorzile, escludendone la spettanza, seguendo quell'orientamento giurisprudenziale precedente alla sentenza delle Sezioni Unite del 2018, che valutava soltanto la funzione assistenziale dell'assegno, nella specie esclusa in ragione della ritenuta indipendenza economica della donna.

Primo procedimento in Cassazione

La donna, allora, proponeva ricorso per Cassazione che veniva accolto e la decisione veniva cassata e rinviata alla Corte d'appello in diversa composizione per la definizione del giudizio.

Riassunzione del procedimento innanzi alla Corte d'appello

La donna riassumeva il giudizio insistendo per il riconoscimento di un assegno divorzile nella misura di € 4.000,00 mensili o comunque superiore ad € 1.500,00 mensili mentre l'ex marito chiedeva il rigetto delle domande ovvero in via subordinata la riduzione dell'importo dell'assegno.

La Corte d'appello accoglieva l'impugnazione e poneva a carico dell'ex marito il pagamento in favore della ex moglie di un assegno divorzile determinato in € 1.500,00 mensili, a decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza di scioglimento del matrimonio civile, con rivalutazione annuale secondo gli indici ISTAT.

Funzione perequativa-compensativa dell'assegno divorzile

La Corte rilevava che dall'esame della documentazione acquisita in grado di appello, prima e dopo il giudizio di legittimità, emergeva che la ex moglie, sia durante il matrimonio che dopo, aveva mantenuto integra la propria capacità di lavoro e di produrre reddito, sì da escludere la spettanza dell'assegno divorzile con funzione assistenziale. La Corte aveva, invece, ritenuto spettante l'assegno in relazione alla funzione perequativo-compensativa, valutata in ottemperanza a quanto stabilito dalla pronuncia della Suprema Corte che aveva cassato la prima decisione della Corte territoriale. Alla luce di tali elementi, la Corte territoriale confermava le conclusioni raggiunte dal Tribunale di Ancona di riconoscimento all'ex moglie di un assegno divorzile.

Avverso tale pronuncia l'ex marito proponeva ricorso per Cassazione.

Eccezione di improcedibilità: sentenza impugnata priva di attestazione di conformità

La ex moglie nel difendersi eccepiva l'improcedibilità del ricorso, in ragione del mancato deposito, nel termine previsto dall'art. 369 c.p.c., della copia della sentenza impugnata, certificata conforme secondo le previsioni di legge.

In particolare, la ex moglie rilevava che il ricorrente aveva stampato la sentenza dopo averla scaricata dal fascicolo informatico; attestato la conformità della stampa alla copia informatica con dichiarazione redatta in calce alla copia analogica della sentenza, munendola di sottoscrizione analogica; scansionato il plico ottenuto, depositandolo con modalità telematica senza attestazione di conformità del documento digitale depositato insieme alla copia analogica.

Deposito di sentenza con attestazione di conformità prima dell'udienza

A fronte di tale eccezione, il ricorrente provvedeva a depositare, prima dell'adunanza fissata in camera di consiglio, la sentenza impugnata in formato digitale munita di attestazione di conformità.

La Suprema Corte affermava che il ricorrente aveva regolarizzato gli atti provvedendo a depositare, prima della data fissata per l'adunanza camerale, una copia digitale della stessa sentenza impugnata, attestando ai sensi di legge che l'atto era conforme alla copia digitale presente nel fascicolo informatico di cancelleria dal quale era stato estratto e, pertanto, respingeva l'eccezione proposta in ragione del principio per il quale nel procedimento per Cassazione il ricorrente può regolarizzare il deposito della sentenza impugnata priva della necessaria attestazione di conformità, depositandola entro l'udienza di discussione o l'adunanza in camera di consiglio, così evitando la pronuncia di improcedibilità.

Conclusioni

Nel merito, invece, la Suprema Corte accoglieva unicamente un motivo dell'ex marito e rinviava alla Corte d'appello di Ancona in diversa composizione per un nuovo esame sulla misura dell'assegno.

(tratto da: dirittoegiustizia.it)

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