La liquidazione giudiziale dell’impresa concedente l’azienda o un ramo d’azienda non si riflette “per contagio” in capo all’affittuario

02 Agosto 2024

La liquidazione giudiziale della società affittante/concedente il ramo di azienda non comporta, di per sé e in via di automatismo, l'esclusione dell'affittuaria dalla gara per assenza dei requisiti, imponendo solo un approfondimento istruttorio da parte della Stazione appaltante qualora emergano indizi di continuità sostanziale tra le due imprese, al fine di appurare se vi sia o meno una “cesura” tra le due gestioni.

La contestazione. Nell'ambito di una procedura aperta per l'affidamento del servizio di “pulizia disinfestazione e derattizzazione dei luoghi afferenti ai siti comunali” un concorrente censurava, in via giudiziale, l'aggiudicazione ad altro operatore economico, deducendo che quest'ultimo sarebbe stato privo dei requisiti di partecipazione, risentendo (in via di automatismo) della liquidazione giudiziale cui era stata sottoposta la società concedente/affittante, da cui l'aggiudicataria aveva mutuato i requisiti di carattere speciale, in uno alla disponibilità del compendio aziendale da utilizzarsi per l'espletamento del servizio in affidamento.

In altre parole, secondo la prospettazione della ricorrente, il cessionario dell'azienda – nel caso l'aggiudicatario della commessa – come si avvale dei requisiti del cedente sul piano della partecipazione a gare pubbliche, così risentirebbe automaticamente anche delle conseguenze dell'eventuale carenza dei requisiti in capo al medesimo cedente (principio che, per prevalente indirizzo giurisprudenziale, si applicherebbe anche al contratto di affitto di azienda).

I riferimenti normativi: il riferimento all'operatore economico. La questione dedotta si colloca al crocevia di due distinti e articolati corpi normativi, quali sono, da un lato, il “nuovo” Codice dei contratti pubblici di cui al D.lgs. n. 36/2023 e, dall'altro, la disciplina delle procedure concorsuali dettata dal vigente D.lgs. n. 14/2019.

A tal riguardo, va premesso che nel Codice dei contratti pubblici non vi è alcuna specifica previsione che imponga espressamente, sic et simpliciter, l'esclusione dell'operatore economico, affittuario di azienda e/o ramo d'azienda, allorché l'impresa concedente/affittante sia stata medio tempore assoggettata ad una procedura concorsuale.

È pur vero che l'art. 94, co. 5, lett. d) del D.lgs. n. 36/2023 prevede, quale ipotesi di esclusione automatica dalla gara, la sottoposizione (tra l'altro) alla procedura di liquidazione giudiziale; tuttavia tale disposizione si riferisce al solo “operatore economico”, dunque circoscrivendo in capo al soggetto che prende parte alla procedura di appalto l'ambito di operatività della causa di esclusione di cui trattasi.

Tale interpretazione “restrittiva” trova per di più conforto anche nel principio di tassatività delle clausole di esclusione, ora dettato dall'art. 10 del vigente Codice dei contratti pubblici, da leggersi in combinato disposto con i più generali principi - di derivazione comunitaria - di concorrenza e massima partecipazione (anch'essi codificati ed espressamente richiamati nel Libro I del Codice).

L'infondatezza della doglianza: interpretazione tassativa delle cause di esclusione. In sintesi, a fronte di queste premesse, il TAR giudicante ha dedotto, nel caso di specie, che nessun dato normativo induca a ritenere che, di per sé, il fallimento (ora liquidazione giudiziaria) dell'impresa concedente l'azienda/ramo d'azienda si rifletta, per così dire “per contagio”, in capo all'affittuario: sicché il motivo di doglianza dedotto è stato giudicato infondato.

Tale interpretazione risulterebbe corroborata anche dalla disciplina in materia di procedure concorsuali attualmente contenuta nel d. lgs. n. 14/2019, e in particolare, dall'art. 184, co. 1, secondo cui “L'apertura della liquidazione giudiziale nei confronti del concedente non scioglie il contratto di affitto d'azienda, ma il curatore, previa autorizzazione del comitato dei creditori, può recedere entro sessanta giorni […]”. Detta norma, infatti, accorda un termine massimo entro il quale l'organo della procedura può esercitare la facoltà di recesso (trattasi di una sorta di “ius poenitendi”), decorso il quale il contratto conserva (si potrebbe dire “consolida”) i propri effetti: la ratio di fondo è garantire la conservazione dei valori imprenditoriali laddove essi siano inseriti in altro contesto e gestiti da altro soggetto ai fini di un loro proficuo impiego produttivo, e ciò anche nell'interesse della massa dei creditori del soggetto insolvente.

In un'ottica sistematica, e “calando” tale previsione nel contesto di una procedura di evidenza pubblica che veda la partecipazione dell'affittuario dell'azienda, secondo il TAR sarebbe quindi da privilegiarsi un'interpretazione che neghi il verificarsi, in capo al medesimo, di effetti “escludenti” di tipo automatico, sub specie di mancanza ab origine o intervenuta perdita dei requisiti di partecipazione alla gara, altrimenti risultando vanificato l'obiettivo di fondo che la disposizione persegue.

Invece, la Stazione appaltante è tenuta ad operare un approfondimento istruttorio se emergono indizi di continuità sostanziale tra l'impresa affittante/concedente il ramo di azienda (sottoposta a procedura concorsuale) e l'impresa affittuaria/cessionaria.

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