Impugnative “parallele” dell’AGCM e del privato: nozione di parte, litisconsorzio e limiti soggettivi del giudicato

30 Agosto 2024

Nella pronuncia in commento il Consiglio di Stato, nel decidere un appello proposto dall'AGCM, ha affrontato importanti questioni processuali e sostanziali inerenti a una gara per l'affidamento dei servizi di recapito e di gestione della corrispondenza, adottando una soluzione di merito opposta rispetto a quella già resa nel giudizio instaurato da un operatore privato avverso i medesimi atti.

Massime

La notificazione dell'appello a un soggetto rimasto estraneo al processo di primo grado e nei cui confronti non è stata proposta alcuna domanda vale come mera denuntiatio litis e non come vocatio in ius, sicché il destinatario della notifica non acquista la qualità di parte.

Il giudicato di rigetto non è opponibile in un processo ancora pendente avente a oggetto i medesimi atti di una procedura di affidamento, in quanto solo l'effetto di annullamento pone un problema di inscindibilità e, dunque, di possibili effetti ultra partes del giudicato.

Nei casi di gara avente a oggetto plurimi lotti - allorquando il motivo articolato dall'AGCM consista nella illegittimità della attribuzione di un indebito vantaggio concorrenziale a favore di un'impresa incumbent in un certo settore e sia quindi calibrato su questa specifica posizione e sugli effetti derivanti dagli atti di gara - l'accoglimento di tale domanda determina l'automatica caducazione del provvedimento di aggiudicazione in relazione ai soli lotti nei quali tale vantaggio si è effettivamente realizzato.

Nell'attuale assetto del mercato dei servizi postali è illegittima una disciplina di gara che impone obblighi di copertura diretta dei lotti nelle percentuali dell'80% su base nazionale e del 100% su base ragionale con divieto di fare ricorso al fornitore del servizio universale, giacché essa preclude o, comunque, riduce in modo drastico la possibilità di partecipazione di operatori postali diversi da Poste Italiane s.p.a., in tal modo comprimendo il confronto concorrenziale tra gli operatori e non consentendo, di fatto, alla stazione appaltante di scegliere in funzione del miglior risultato possibile nell'affidamento e nell'esecuzione dei contratti.

Il caso

L'affidamento del servizio di recapito della corrispondenza da parte dell'Inps e le contestazioni, in separati giudizi, dell'AGCM e di un operatore privato

L'AGCM aveva impugnato dinanzi al Tar del Lazio la lettera di invito con cui l'Inps aveva indetto un appalto, suddiviso in 21 lotti, per l'affidamento dei “servizi di recapito e di gestione della corrispondenza non automatizzata della Direzione generale, delle Direzioni regionali e di coordinamento metropolitano”, prospettando la sussistenza di possibili previsioni discriminatorie nei confronti degli operatori postali diversi da Poste italiane s.p.a.

Il Tribunale aveva respinto il ricorso, richiamando le motivazioni della sentenza n. 11164 del 12 agosto 2022, resa nel giudizio parallelamente introdotto dalla F.G. s.r.l. avverso gli atti della medesima gara; pronuncia ove il giudice di prime cure aveva già osservato che le regole della procedura (in particolare quelle sulle soglie di copertura diretta del servizio da espletare) erano da ritenersi legittime, in quanto espressione del bilanciamento tra tutela della concorrenza e interesse pubblico a una più efficiente organizzazione del servizio postale.

Sia l'AGCM che la F.G. s.r.l. hanno proposto appello avverso le due sentenze del Tar.

Il giudizio introdotto dall'operatore privato (con appello notificato pure all'AGCM, nonostante non fosse stata parte del processo di primo grado) è stato definito per primo con la conferma della sentenza di rigetto resa dal giudice di prime cure (Cons. Stato, sez. V, 19 giugno 2023, n. 6013). Quello instaurato dall'AGCM, dopo una iniziale rimessione all'Adunanza plenaria per il possibile contrasto con la sentenza pubblicata all'esito del giudizio parallelo (esitata con la restituzione degli atti alla Sezione), è stato, invece, risolto dalla pronuncia in commento in senso opposto, ossia con l'annullamento degli atti gravati dall'Autorità; e ciò essenzialmente sulla base del rilievo che le regole della gara avevano inibito un effettivo confronto concorrenziale, con pregiudizio anche dell'interesse pubblico a un minore costo del servizio.

La questione

Denuntiatio litis o vocatio in ius, limiti soggettivi del giudicato, limiti dell'effetto caducatorio della pronuncia di annullamento e tutela della concorrenza

La sentenza che si annota affronta plurime questioni di particolare interesse.

Alcune di carattere processuale, e tra queste se ne segnalano tre: quale effetto deve essere attribuito alla notifica del ricorso in appello da parte dell'operatore privato all'AGCM, rimasta estranea al relativo giudizio di primo grado; se il giudicato di rigetto formatosi nel processo introdotto dalla società concorrente sia opponibile all'Autorità nel separato giudizio avente ad oggetto gli atti della medesima procedura di affidamento; se la caducazione della lex specialis comporti l'automatico annullamento dell'aggiudicazione di tutti i lotti oppure soltanto di quelli ove si è effettivamente verificato il vulnus alla concorrenza prospettato dall'AGCM.

Vi è poi la questione di carattere sostanziale: se, alla luce dell'attuale assetto del mercato dei servizi postali, una disciplina di gara che impone obblighi di copertura diretta dei lotti nelle percentuali dell'80% su base nazionale e del 100% su base ragionale precluda, in sostanza, o, comunque, riduca in modo drastico la possibilità di partecipazione di operatori postali diversi da Poste Italiane s.p.a., così da comprimere il confronto concorrenziale tra gli operatori e non consentendo alla stazione appaltante di scegliere in funzione del miglior risultato possibile nell'affidamento e nell'esecuzione dei contratti.

Le soluzioni giuridiche

L'estraneità della pretesa dell'AGCM al giudicato di rigetto formatosi nei confronti dell'operatore economico e la sussistenza di un vulnus alla concorrenza

Nel valutare la possibile incidenza della decisione di rigetto già assunta da altra sezione del Consiglio di Stato sull'appello proposto dalla F.G. s.r.l., il collegio giudicante ha, anzitutto, precisato che l'AGCM, pur risultando destinataria della notifica dell'impugnazione da parte dell'operatore privato, non ha assunto la qualità di parte in quel giudizio. In proposito, ha richiamato la distinzione tra denuntiatio litis e vocatio in ius, osservando che l'assenza di domande nei confronti dell'Autorità (peraltro rimasta estranea al giudizio di primo grado) depone nel senso che la notifica era avvenuta soltanto per rendere edotta l'AGCM dell'autonoma iniziativa assunta dall'operatore economico; tesi corroborata dai seguenti ulteriori rilievi: l'Autorità non sarebbe comunque potuta intervenire in quel giudizio, potendo proporre soltanto (com'è avvenuto) un'autonoma domanda di annullamento ai sensi dell'art. 21-bis della legge 10 ottobre 1990, n. 287; l'AGCM, cointeressata all'annullamento, non ha un interesse riflesso o indiretto rispetto all'azione dell'operatore, giacché la sua azione, a differenza di quella esercitata dal privato, è volta a tutela della libertà di concorrenza e del corretto funzionamento del mercato.

La pronuncia ha inoltre osservato che il giudicato formatosi nei confronti dell'operatore non avrebbe comunque potuto spiegare un effetto preclusivo rispetto alla pretesa dell'AGCM. Al riguardo, dopo avere rammentato le coordinate ermeneutiche offerte dall'Adunanza plenaria con le sentenze n. 4 e n. 5 del 27 febbraio 2019 [il giudicato ha effetto soltanto tra le parti ex art. 2909 c.c., a eccezione dei casi di inscindibilità degli effetti dell'atto o del vizio dedotto: i) annullamento di un regolamento; ii) annullamento di un atto plurimo inscindibile; iii) annullamento di un atto plurimo scindibile, se il ricorso viene accolto per un vizio comune alla posizione di tutti i destinatari; iv) annullamento di un atto che provvede unitariamente nei confronti di un complesso di soggetti], il collegio ha evidenziato che, nel caso di specie, il rigetto della pretesa caducatoria del privato assume portata dirimente per negare la fondatezza dell'exceptio rei iudicatae; solo l'effetto di annullamento pone un problema di inscindibilità e, dunque, di possibili effetti ultra partes del giudicato, perché è solo rispetto ad esso – chiosa la decisione – che viene a crearsi una situazione di incompatibilità logica “che un atto inscindibile possa non esistere più per taluno e continuare ad esistere per altri”.

Ancora, nell'affrontare il tema dell'integrità del contraddittorio rispetto a un operatore risultato aggiudicatario di alcuni lotti, la sentenza ha ricordato che l'annullamento della lex specialis comporta automaticamente la caducazione dell'aggiudicazione (quand'anche non impugnata), ma questo effetto deve comunque essere modellato sulla base dello specifico interesse fatto valere dalla parte ricorrente. Dato che l'AGCM, come sopra riportato, agisce a tutela della libertà di concorrenza e del corretto funzionamento del mercato, coerentemente l'effetto di caducazione deve essere riferito esclusivamente ai lotti ove si è verificato il vulnus concorrenziale dedotto dall'Autorità, con conseguente salvezza di quelli aggiudicati a un operatore diverso dall'incumbent; da qui l'assenza della necessità di estendere il contraddittorio nei confronti dell'altro operatore.

Infine (le questioni affrontate in rito sono anche altre, ma per ragioni di brevità non può darsene conto), la sentenza, contrariamente a quanto ritenuto dalla sezione V nel decidere l'appello proposto dall'operatore, ha ritenuto che la soglia di copertura diretta del servizio del 100%, che interessava anche aree inservibili da parte di operatori diversi da Poste Italiane s.p.a. (le cc.dd. zone EU2), ha precluso un effettivo confronto concorrenziale; ciò in ragione del divieto, previsto dalla lettera di invito, di ricorrere al fornitore del servizio universale per tali zone e perché le “strategie di compensazione”, pure consentite dalle regole della gara (subappalto, costituzione di un r.t.i.), avrebbero postulato, per la specifica struttura del mercato di riferimento, il necessario coinvolgimento di Poste Italiane s.p.a., e dunque proprio di quel concorrente in grado, già da solo, di assicurare la soglia di copertura richiesta dalla lex specialis. Posizione, quella dell'incumbunt, ulteriormente rafforzata in sede di gara dal criterio premiale previsto per l'operatore in grado di garantire una copertura più elevata; criterio giudicato illegittimo non ex se, ma per il fatto di concorrere “alla sostanziale deprivazione del confronto concorrenziale derivante dalle regole di gara, in ragione della struttura del mercato dei servizi postali”.

Osservazioni

Il litisconsorzio unitario

La sentenza affronta, con un ricco corredo motivazionale, una pluralità di questioni, ciascuna delle quali meriterebbe uno specifico approfondimento. Nel presente contributo è possibile svolgere alcune considerazioni soltanto su una tematica che fa da sfondo a diversi punti affrontati in via pregiudiziale dalla pronuncia, ossia se, ed eventualmente in che misura, l'ordinamento effettivamente consenta che la medesima lex specialis risulti dapprima accertata valida per taluno (l'operatore economico soccombente nel contenzioso da esso instaurato) e poi invalida per iniziativa di altri (l'AGCM vittoriosa in appello).

Il problema sorge per una ragione molto semplice: tanto l'operatore economico quanto l'Autorità erano legittimati a impugnare l'atto (per ragioni e interessi diversi), e dunque a dedurre autonomamente in giudizio l'intera situazione sostanziale controversa (le modalità di esercizio del potere di disciplina della gara), senza che fosse necessaria la partecipazione al processo dell'altro.

In una situazione del genere, si potrebbe ragionare in termini di litisconsorzio unitario (o quasi necessario): facoltativo quanto all'instaurazione, nel senso che i più soggetti legittimati non sono parti necessarie del processo; necessario quanto alla prosecuzione, nel senso che se più legittimati esercitano l'azione, allora la regola da affermare all'esito del giudizio deve essere la stessa per tutti. Questa esigenza sorge non tanto per la “natura dell'atto” (secondo la tassonomia indicata dall'Adunanza plenaria nelle sentenze nn. 4-5/2019 cit.), quanto per il rilievo che la legittimazione straordinaria ex lege riconosciuta all'AGCM è bensì parallela a quella del privato destinatario degli effetti dell'azione amministrativa, ma si iscrive nell'ambito della medesima vicenda sostanziale. Esemplificando, sindaci e soci di una società per azioni presentano posizioni e interessi differenziati rispetto a una deliberazione adottata dall'ente; e tuttavia le impugnative presentate da entrambi (tipico caso di litisconsorzio unitario) richiedono la medesimezza dell'esito per una ragione di carattere logico, prim'ancora che giuridico: non è compatibile che la stessa deliberazione possa essere valida per alcuni e invalida per altri.

L'introduzione parallela di più giudizi da parte dei legittimati sembra quindi postulare la necessità di una loro riunione, per evitare un'inutile spendita di attività processuale (celebrazione di più processi attorno alla medesima vicenda sostanziale) e, soprattutto, un potenziale contrasto pratico di giudicati. Tanto perché le cause parallele si presentano avvinte da un nesso di “connessione forte”, che rende obbligatoria la riunione per ragioni di incompatibilità (la medesimezza dell'oggetto e del petitum non tollerano soluzioni divergenti a seconda che si esamini il ricorso proposto dall'una o dall'altra parte del litisconsorzio attivo).

Se ciò non avviene, bisogna chiedersi se il giudicato che si forma per primo sia opponibile nel processo ancora pendente.

Per la sentenza che si annota, l'effetto ultra partes non ricorre se, come nel caso di specie, il giudicato è di rigetto, perché è soltanto nel caso di annullamento dell'atto impugnato che verrebbe a crearsi una situazione di incompatibilità logica “che un atto inscindibile possa non esistere più per taluno e continuare ad esistere per altri”. Si potrebbe però obiettare che la situazione di incompatibilità si è comunque creata: la prima sentenza, adottata dalla sezione V, ha accertato la validità dell'atto; la seconda, all'opposto, resa dalla sezione VI, ne ha disposto l'annullamento.

La ragione potrebbe quindi essere ricercata altrove, ossia ragionando in termini di bilanciamento tra diritto di azione e diritto di difesa al lume del principio del contraddittorio. Quando il giudicato è di rigetto, l'inopponibilità nel processo ancora pendente al legittimato concorrente (nel caso di specie, l'AGCM) si può spiegare osservando che prevale l'esigenza di garantire il diritto di azione di tale parte, ponendola al riparo da una sentenza non satisfattiva resa in sua assenza; la posizione dell'amministrazione resistente è comunque salvaguardata, giacché essa può continuare a difendersi all'interno del processo. Se il giudicato è di accoglimento, invece, l'efficacia ultra partes si spiega perché la sentenza soddisfa anche l'azione del legittimato concorrente (a cui a questo punto poco importa del contraddittorio, risultando vittorioso); l'amministrazione resistente non potrebbe dolersi di tale estensione, giacché comunque ha potuto pienamente spiegare le proprie difese in giudizio.

Se poi si formano comunque due giudicati contrastanti, prevale di norma il secondo (si applica, come noto, lo schema della successione delle leggi nel tempo), a meno che quest'ultimo non venga rimosso facendo ricorso al rimedio della revocazione. Ma ciò può verificarsi, riprendendo le fila del discorso sin qui svolto, soltanto se il secondo giudicato è di rigetto – come precisato, è quello di annullamento che può spiegare efficacia di giudicato anche nei confronti del legittimato concorrente - e sempreché il giudice non abbia pronunciato sulla relativa eccezione.

Guida all'approfondimento

In dottrina si segnala: F.P. LUISO, Diritto processuale civile, Milano, Giuffrè, 2015, vol. 1, cap. 19, 21, 34.8; M. RAMAJOLI, La connessione nel processo amministrativo, Milano, Giuffrè, 2002.

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