Eccesso di potere giurisdizionale nella sfera del legislatore: configurabile solo in caso di creazione normativa e non nell'applicazione analogica di norme esistenti

Redazione Scientifica Processo amministrativo
30 Agosto 2024

L'eccesso di potere giurisdizionale, per invasione della sfera riservata al legislatore, è configurabile solo allorché il giudice abbia applicato non la norma esistente, ma una norma da lui creata, esercitando un'attività di produzione normativa che non gli compete, ma non invece quando, ritenendo sussistente una lacuna normativa, abbia applicato per analogia una norma esistente nell'ordinamento, rientrando tale attività nel compito interpretativo che gli è proprio.

Il titolare di un'impresa agricola  individuale  ricorreva per la cassazione della sentenza del Consiglio di Stato, che aveva confermato la decisione del TAR per la Lombardia adito per l' annullamento della ordinanza del Comune, che aveva disposto “la decadenza, l'annullamento e l'inefficacia” dei permessi di costruire , del certificato di agibilità e delle DIA, nonché la demolizione delle opere eseguite. Il ricorrente per il rilascio dei titoli edilizi aveva sottoscritto un atto d'impegno unilaterale, garantendo il mantenimento della destinazione dei vari manufatti al servizio dell'attività agricola, subordinatamente all'accertamento del mantenimento dei requisiti. Dopo la verifica del Comune della perdita dei requisiti per la revoca da parte della Provincia della qualifica di imprenditore agricolo , ingiungeva, per sopravvenuta abusività delle opere realizzate, la demolizione, ai sensi dell'art. 31 d.P.R. n. 380/2001. Il ricorrente lamentava che il Consiglio di Stato avrebbe illegittimamente creato la regula iuris per individuare la sanzione , assimilando per analogia l'ipotesi della decadenza del permesso di costruire, cioè la perdita di efficacia del provvedimento ex nunc, non  contemplata dal d.P.R. n. 380/2001, alla diversa ipotesi di annullamento del titolo edilizio, illegittimo   ab origine, prevista testualmente dall'art. 38 d.P.R. n. 380/2001, per cui l'attività interpretativa  avrebbe trasmodato in attività creativa e, quindi, in una invasione della sfera riservata al legislatore.

Al riguardo le Sezioni Unite sulla base della propria consolidata giurisprudenza hanno chiarito che se il giudice amministrativo ha compiuto un'attività ricostruttiva del sistema interpretando la norma in un certo senso, l'eventuale errore commesso non potrà trasmodare in eccesso di potere sindacabile dalle Sezioni Unite. Pertanto, la negazione in concreto di tutela alla situazione soggettiva azionata, determinata dall' erronea interpretazione delle norme sostanziali nazionali o dei principi del diritto europeo del giudice amministrativo, non concreta eccesso di potere giurisdizionale per omissione o rifiuto di giurisdizione, tale da giustificare il ricorso alla CGUE ai sensi dell'art. 111, comma ottavo, Cost. Tale condizione si verifica invece quando il giudice speciale affermi che la situazione soggettiva azionata è, in astratto, priva di tutela per difetto assoluto o relativo di giurisdizione . Invero,  non si determina una violazione dei limiti esterni della giurisdizione le volte in cui il giudice speciale od ordinario individui una regula iuris attraverso l'attività di interpretazione , anche analogica , del quadro delle norme che gli è propria.

Infatti, le Sezioni Unite hanno chiarito i limiti del proprio sindacato che non deve essere rapportato    alla gravità o intensità del presunto errore di interpretazione, che resta entro i limiti interni della giurisdizione amministrativa, in ragione della opinabilità della distinzione tra errore più grave, rivelatore della volontà di sostituire la legge, ed errore meno grave, ossia la semplice violazione di legge (Cass., sez. un., n. 31103/2018; n. 31023/2019). In particolare, con riguardo alle decisioni del Consiglio di Stato, l' eccesso di potere giurisdizionale   potrebbe ravvisarsi solo a condizione di poter distinguere un'attività di produzione normativa, inammissibilmente esercitata dal giudice, da un'attività interpretativa (Cass., sez. un., n. 20698/2013).

Nel caso di specie, ad avviso delle Sezioni Unite il Consiglio di Stato ha operato, in via interpretativa, una equiparazione quoad poenam tra l'ipotesi della “decadenza dei titoli edilizi conseguente alla violazione di un obbligo o all'inveramento di una condizione, non espressamente contemplata dal d.P.R. n. 380/2001, e l'ipotesi dell' annullamento , espressamente contemplata e disciplinata (art. 38 d.P.R. n. 380/2001);  ciò in quanto, in entrambi le fattispecie “la situazione di fatto” per molti aspetti è identica e la differenza sta solo nel fatto che l'art. 38 cit. presuppone un titolo edilizio viziato ab origine, mentre la decadenza per l'inveramento della condizione o per la violazione di un obbligo, presuppone una patologia sopravvenuta al rilascio del titolo.

Nel caso di specie, le Sezioni Unite hanno precisato che la questione controversa attiene al sindacato sulla possibilità per l' autorità giudiziaria di introdurre e di comminare sanzioni amministrative , mediante una interpretazione analogica , che estende l'applicazione della legge oltre le fattispecie specificamente previste. Si tratta di vagliare la compatibilità dell'operazione ermeneutica del Consiglio di Stato alla luce dei principi di legalità e di divieto di applicazione dell'analogia in materia di illeciti amministrativi, ai sensi dell' art.1, commi 1 e 2, l. n. 689/1981, che involge aspetti propri della violazione o falsa applicazione della legge piuttosto che dell'invasione nelle competenze legislative: in tanto una decisione può ritenersi affetta dall'eccesso di potere giurisdizionale, in quanto contenga disposizioni eccedenti i poteri della giurisdizione, implicanti l'esercizio di potestà legislativa.

In proposito, le Sezioni Unite hanno dichiarato inammissibile la cesura del ricorrente perché mira a indurre un sindacato sulla esattezza degli esiti interpretativi del Consiglio di Stato che non è consentito dall'art. 111, comma ottavo, Cost., in quanto travalicherebbe i limiti interni della giurisdizione amministrativa.

Da ultimo, sul secondo motivo di ricorso concernente il diniego di giurisdizione, le Sezioni Unite ribadiscono il proprio orientamento , sulla base dell'indirizzo della Corte Costituzionale , per cui  ai sensi dell'art. 111, comma ottavo, Cost., la Corte di Cassazione, quale supremo organo regolatore della giurisdizione, può soltanto vincolare il Consiglio di Stato e la Corte dei conti a ritenersi legittimati a decidere la controversia , ma non può vincolarli quanto al contenuto, di merito o di rito, della decisione (Cass., sez. un., n. 8800/2024 e Corte cost. n. 77/2007).

Nell'ambito della giurisdizione amministrativa , quindi, spetta al Consiglio di Stato , in qualità di giudice di ultima istanza, garantire la conformità del diritto interno a quello della Unione Europea , se del caso avvalendosi del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia, mentre l'eventuale lesione del principio di effettività della tutela, per le decisioni del Giudice amministrativo in pregiudizio di situazioni giuridiche soggettive protette dal diritto dell'Unione, può essere fatta valere con altri strumenti, attivabili a fronte di una violazione del diritto comunitario grave e manifesta.

La Corte di cassazione a Sezioni Unite ha dichiarato inammissibile il ricorso.

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