L’art. 118-bis nella bozza di Correttivo-ter, ovvero le modificazioni del piano nel concordato preventivo in continuità aziendale

30 Agosto 2024

Alcune brevi note al nuovo articolo 118-bis, che la bozza di terzo correttivo al codice della crisi introduce allo scopo di colmare la lacuna costituita dalla mancanza di una disciplina positiva relativa alle modificazioni al piano di ristrutturazione dopo la sua omologazione.

Premessa

Il nuovo articolo 118-bis, contenuto nella bozza del terzo correttivo al codice delle crisi, vuole colmare una lacuna, costituita dalla mancanza di una disciplina positiva relativa alle modificazioni che il debitore intenda portare al piano di ristrutturazione dopo la sua omologazione.

Mancanza singolare, se si considera che norma analoga a quella proposta è già contenuta nel c.c.i.i. in punto di accordo di ristrutturazione (art. 58, comma 2, c.c.i.i.).

La questione è di notevole momento, perché la fase esecutiva, per quanto ormai “privatizzata”, è soggetta comunque al penetrante controllo dell'Autorità giudiziaria ed è pregna di implicazioni, in specie in caso di successiva insolvenza del debitore.

Ecco allora che l'intervento del legislatore appare quanto mai opportuno, volto com'è a offrire al debitore uno strumento per riportare nei binari del piano azioni che, pur necessarie per l'adempimento della proposta, non vi rientrerebbero, essendo indotte dal materializzarsi di eventi o scenari non previsti nelle prospettazioni che sono state sottoposte al vaglio dei creditori e del tribunale dell'omologa.

Il contenuto della nuova disciplina

Il nuovo art. 118-bis, titolato «Modificazioni del piano», così recita:

«1. Se dopo l'omologazione del concordato in continuità aziendale si rendono necessarie modifiche sostanziali al piano per l'adempimento della proposta, l'imprenditore richiede al professionista indipendente il rinnovo dell'attestazione di cui all'articolo 87, comma 3, e comunica la proposta modificata al commissario giudiziale il quale riferisce al tribunale ai sensi dell'articolo 118, comma 1.

2. Il tribunale verificata la natura sostanziale delle modifiche rispetto all'adempimento della proposta, dispone che il piano modificato e l'attestazione siano pubblicati nel registro delle imprese e comunicati ai creditori a cura del commissario giudiziale. Entro trenta giorni dalla ricezione dell'avviso è ammessa opposizione con ricorso avanti al tribunale.

3. Il procedimento si svolge nelle forme di cui all'art. 48, commi 1, 2 e 3 e all'esito il tribunale provvede con decreto motivato».

Qualche notazione ermeneutica.

Primo. Ciò che è oggetto di modifica, come per altro indica la titolazione, è il piano e non la proposta. Anzi, le modificazioni in questione sono necessarie «per l'adempimento della proposta», di quella proposta che si è cristallizzata nel corso della procedura e che è stata oggetto di omologazione da parte dell'Autorità giudiziaria.  In tal senso dispone anche la relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo portante l'innovazione normativa.  Ne segue che se il piano è malleabile e flessibile, la proposta non lo è.  La sua modifica importa necessariamente una nuova procedura.

Secondo. La norma riguarda il concordato in continuità aziendale e non anche quello liquidatorio.  I motivi di questa distinzione non sono chiarissimi, come se anche in questa seconda forma di concordato non potesse darsi il caso di modifiche al piano resesi necessarie per l'inverarsi di circostanze non previste nel momento progettuale, ferma sempre la proposta.  Impera qui, come in altri luoghi, il pregiudizio per il concordato liquidatorio, fratellastro della liquidazione giudiziale.

Terzo. La modifica in argomento deve avere due caratteri: essere necessaria per l'adempimento della proposta, ed essere sostanziale.  Circa il requisito della necessarietà, la modifica deve risultare come conditio sine qua non per poter mantenere ferma la proposta, in termini di misura e tempi dell'adempimento.  Circa il requisito della sostanzialità, la modifica deve toccare gli elementi che danno un carattere determinato al piano.  Ad esempio, ex multis: il finanziamento di una banca; la vendita di un importante bene strumentale; la concessione di una garanzia su parte cospicua del patrimonio aziendale; una transazione particolarmente rilevante; una azione di riduzione del personale che comporti un costo iniziale per dar corso a risparmi futuri.  Attenzione che l'aggettivo segnala il disinteresse del legislatore per modifiche marginali o non rilevanti.  Queste non richiederanno la procedura disciplinata dall'incipiente norma, ma potranno essere realizzate in “attuazione” del piano originario, anche se da questo non previste.  Ne segue che il tribunale, cui le modifiche sono sottoposte, potrà, con un “apprezzamento di fatto” (in tal senso, Lamanna, Il codice della crisi e dell'insolvenza dopo il secondo correttivo, Milano, 2022, 363), stabilire che non si tratti di modifiche sostanziali e bloccare il procedimento.

Da notare come qui entri in gioco la fattura del piano.  Nel documento di prassi “Principi per la redazione dei piani di risanamento” a cura del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili e della Fondazione Nazionale dei Commercialisti del 2022 si suggerisce di procedere nella redazione dei piani di ristrutturazione con delle analisi di sensitività e definizione di scenari alternativi (paragrafo 9.8.), ciò allo scopo di prevedere già il modo di affrontare scostamenti della realtà effettuale rispetto a quello «scenario di media probabilità» che orienta la costruzione del piano.

Ne segue che le modifiche in discorso dovranno riguardare azioni che non siano state già previste nelle analisi simulatorie del piano e vadano in qualche modo oltre le stesse.

La natura del provvedimento del tribunale

Il procedimento in esame contempla il rinnovo della attestazione del piano, la pubblicazione del piano modificato e dell'attestazione sul registro delle imprese e la comunicazione delle modifiche ai creditori.  Questi sono rivestiti del potere di opporsi alle modifiche nelle forme dell'art. 48 c.c.i.i., relativo al procedimento di omologazione.  La singolarità è che di questa norma sono richiamati solo i commi 1, 2 e 3 e non anche il comma 4 che li culmina regolando l'omologazione degli accordi di ristrutturazione.

Nasce dunque la domanda: questo procedimento che si radica sulla opposizione dei creditori conduce a nuova omologazione?  Un illustre Autore (Cfr. Lamanna, op. cit., 364), commentando l'art. 58 c.c.i.i. a riguardo delle modifiche ai piani negli accordi di ristrutturazione, sostiene che si debba pervenire a una nuova omologa.  Ma lì il legislatore rimanda tout court alle «forme di cui all'articolo 48»; qui invece è ben più chirurgico, limitando il rinvio ai primi tre commi di tale articolo, senza richiamarne il quarto, in cui invece, come detto, è contenuta la disciplina dell'omologazione – se pure riferita agli accordi di ristrutturazione.

In verità il legislatore fa anche di più: dice che il tribunale provvede con decreto motivato, quando invece l'omologazione si dà con sentenza.  È possibile che il legislatore si immagini un procedimento di controllo delle modifiche e dei loro effetti sulla proposta, che è un quid minus dell'omologazione. Questa, infatti, nel caso di concordato in continuità, ha una complessità che qui non si ripete.  Il giudice ha già svolto le verifiche previste dall'art. 112 e non vi deve tornare sopra.  Ne resta solo una, quella relativa alla fattibilità del piano, intesa come non manifesta inettitudine a raggiungere gli obiettivi prefissati.

Sarà questo e non altro il thema decidendum del procedimento regolato dalla novella.  Procedimento per altro non necessario in assoluto, ma da percorrere solo se attivato dall'opposizione di un creditore (altrimenti basterà l'attestazione).  E allora, forse, si può pensare che questo decreto motivato assomigli a quel provvedimento che il tribunale emette nel disporre l'inammissibilità della proposta di concordato ai sensi dell'art. 47, comma 4, c.c.i.i., che è reclamabile innanzi alla corte d'appello e procede nelle forme degli artt. 737 e 738 del c.p.c.  Implicito è il richiamo all'art. 739 c.p.c., a mente del quale il decreto della corte d'appello non è reclamabile, essendo escluso anche il ricorso in Cassazione ex art. 117, comma 7, Cost., data la non definitività del provvedimento (il procedimento di modificazione del piano può infatti sempre essere riavviato su diverse basi).

L'interesse protetto dalla nuova norma

Abbiamo già detto che le modifiche investono il piano e non la proposta.

È opportuno chiedersi perché il legislatore senta il bisogno di regolare le modifiche ai piani post-omologa, e non si accontenti dello strumento della risoluzione, che è nella disponibilità dei creditori e che costituisce reazione all'inadempimento della proposta.  In fondo, quel che conta è la proposta, che è il fine, e non il piano, che ne è mezzo. Ciò che interessa ai creditori è di essere pagati nei termini della proposta omologata e non altro, non importa se con atti che stanno nelle linee del piano o al di fuori. E in tal senso dispone per l'appunto l'istituto della risoluzione per inadempimento come per altro riformato dall'art. 119 c.c.i.i..

In verità, il piano assolve una funzione che non è solo strumentale all'adempimento della proposta.

Esso serve a diversi scopi.

In primo luogo, supporta la credibilità della promessa formulata dal debitore ai creditori.  In fondo, la procedura altro non è che una forma ritualizzata di ritorno in bonis del debitore, e ciò richiede una persuasiva informazione sulle prospettive dell'impresa rivolta ai creditori e in genere a tutti gli stakeholders.  È per questo che l'ordinamento italiano circonda il piano di molte cautele (attestazione, verifiche giudiziali sulla sua fattibilità).  Il bisogno di modificarlo segnala la sua inadeguatezza e richiede un supplemento di verifica.

Ma vi è un altro rilevante profilo.  Il piano contiene il programma operativo la cui attuazione è esente dai rischi di revocatoria e di rimprovero di atti in frode ai creditori in caso di successiva insolvenza.  Così l'art. 166 comma 3, lett. e) dispone che “gli atti, i pagamenti e le garanzie su beni del debitore posti in essere in esecuzione del concordato preventivo” non siano soggetti a revocatoria speciale e ordinaria.  E ancora, l'art. 324 c.c.i.i. prevede che le disposizioni in ordine alla bancarotta preferenziale (art. 322, comma 3, c.c.i.i.) e semplice (art. 323 c.c.i.i.) non trovino applicazione per i pagamenti e le operazioni compiute in esecuzione di un concordato preventivo, inclusi i finanziamenti prededucibili pre- e post- omologa (art. 99 e 101), le soluzioni di crediti pregressi (art. 100 c.c.i.i.).  Le modifiche sostanziali al piano che non fossero coperte dal procedimento di cui all'articolo 118-bis non godrebbero delle esenzioni di cui sopra con grave rischio per chi le attua.

Ecco allora che la novella scopre una funzione che non è solo di controllo dell'operato del debitore nell'esecuzione del concordato, ma di protezione dello stesso e delle sue controparti, e ultimamente di mezzo per la fattibilità stessa del risanamento, dato che le controparti avvedute (in specie i finanziatori) non accetterebbero mai di compiere atti extra ordinem rispetto al piano originario, il che si risolverebbe nel fallimento del concordato per impossibilità di attuare la proposta.

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