Sospensione del processo per pregiudizialità: non concedibile se la sentenza pregiudicante è gravata con opposizione di terzo

09 Settembre 2024

Il Consiglio di Stato, chiamato a decidere su una istanza di sospensione del processo fondata sull'asserito rapporto di pregiudizialità del giudizio con altro in cui la sentenza del Tar è stata impugnata con opposizione di terzo, affronta il tema del rapporto fra la sospensione necessaria e facoltativa, e definisce il concetto di “autorità” della sentenza di cui all'art. 337, co. 2, c.p.c.

Massima

Quando tra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialità, e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato, non è applicabile la sospensione necessaria di cui all'art. 295 c.p.c., qualora la causa pregiudicante penda in grado di appello; in tale situazione può trovare applicazione solo l'art. 337, secondo comma, c.p.c. Ove, tuttavia, la decisione pregiudicante venga impugnata con opposizione di terzo, la sospensione non potrà comunque essere accordata, in quanto, quale mezzo di impugnazione straordinaria, non esclude la formazione del giudicato in senso tecnico, di cui il giudice del giudizio pregiudicato dovrà tener conto.

Il caso

Istanza di sospensione del giudizio per pregiudizialità.  

La vicenda, certamente complessa –  tanto per il numero dei soggetti coinvolti, quanto per gli sviluppi procedimentali e processuali – può essere sintetizzata nei seguenti termini.

Una amministrazione pubblica, interessata al recupero ed alla reindustrializzazione di un complesso aziendale, conclude accordi pubblici con una società privata, con la erogazione, in favore di questa, di sovvenzioni pubbliche. Successivamente alla erogazione di tali sovvenzioni, l'amministrazione decide, tuttavia, di recedere per giusta causa dalle convenzioni stipulate, giacché la società privata aveva proceduto alla cessione dei rami di azienda interessati dalle opere di recupero e reindustrializzazione omettendo di chiedere il consenso alla amministrazione.

Avverso tale recesso, la società propone ricorso al Tar, il quale accoglie parzialmente il ricorso per violazione delle norme del procedimento amministrativo, annullando “sotto i riscontrati profili procedimentali […] ai fini del riesame da parte della resistente amministrazione”.

L'amministrazione, quindi, impugna la sentenza dinanzi al Consiglio di Stato.

Nondimeno, nelle more dell'appello, dispone la revoca delle sovvenzioni erogate e ne domanda la restituzione.

Avverso tale ultimo provvedimento, la società propone nuovo ricorso dinanzi al Tar.

Ancora pendente il primo giudizio davanti il Consiglio di Stato, il Tribunale amministrativo regionale decide il secondo giudizio respingendo integralmente il ricorso che, come detto,  la società aveva proposto avverso il successivo provvedimento di revoca delle sovvenzioni.

La sentenza non viene gravata dalla società ricorrente ma viene nondimeno impugnata da soggetti rimasti estranei all'originario giudizio, con due diverse opposizioni di terzo introdotte dinanzi al medesimo tribunale amministrativo. Opposizioni di terzo che – ed è questo il punto determinante della vicenda – al momento della decisione da parte del Consiglio di Stato sul primo giudizio, risultano ancora pendenti.

Per tale ragione, nell'ambito del primo giudizio, la amministrazione ricorrente in appello formula al Consiglio di Stato istanza di sospensione ai sensi degli artt.79 c.p.a. e 295 c.p.c. o, in subordine, ai sensi degli artt.79 c.p.a. e 337, co.2, c.p.c., ritenendo necessario attendere la definizione delle opposizioni di terzo pendenti innanzi al Tribunale, giacché, in caso di rigetto delle stesse, dovrebbe essere dichiarata la improcedibilità dell'originario ricorso di primo grado per sopravvenuta carenza di interesse, attesa, nell'ipotesi, la sopraggiunta intangibilità del provvedimento di revoca delle sovvenzioni, oggetto, per l'appunto, del secondo giudizio e, quindi, delle opposizioni di terzo.

Il Consiglio di Stato, approfondito l'istituto della pregiudizialità ed analizzati i rapporti fra gli artt.295 e 337, co.2, c.p.c., respinge l'istanza di sospensione e, ritenuto ancora sussistente l'interesse alla decisione, decide il ricorso.

La questione

Pregiudizialità in caso di impugnazione straordinaria della sentenza “pregiudicante”, fra sospensione necessaria e sospensione facoltativa.

Il Consiglio di Stato, con la sentenza in commento, è stato chiamato ad affrontare una delle questioni giuridiche più controverse che hanno interessato ed ancora interessano il diritto processuale civile, quella inerente il rapporto fra l'art.295 e l'art.337, co.2, c.p.c. e dei loro rispettivi ambiti applicativi.

A venire in rilievo è l'istituto della sospensione del processo per pregiudizialità, la cui disciplina giuridica (e la sua interpretazione, dottrinaria e giurisprudenziale) è frutto di un difficile bilanciamento fra interessi ed esigenze contrapposte: da una parte, quella di  scongiurare conflitti fra giudicati ed evitare duplicazioni di attività giurisdizionale; dall'altra,  l'effettività della tutela e la ragionevole durata del processo.

Nello specifico, la questione oggetto della pronuncia è se il giudizio debba o possa essere sospeso ove nel giudizio ritenuto pregiudicante sia stata pronunciata una sentenza che risulti tuttora gravata con un mezzo di impugnazione straordinario, quale, nel caso di specie, la opposizione di terzo.

Le soluzioni giuridiche

L'opposizione di terzo avverso la sentenza “pregiudicante” non consente la sospensione del giudizio “pregiudicato”

Come già evidenziato, l'amministrazione appellante, nel domandare la sospensione del giudizio, ha chiesto che vi si provvedesse ai sensi dell'art.295 c.p.c. (“Sospensione necessaria”) o, in subordine, ai sensi dell'art.337, co.2, c.p.c. (c.d. “sospensione facoltativa”).

Nel decidere l'istanza presentata dalla amministrazione appellante, il Consiglio di Stato ha, preliminarmente, definito i rapporti fra le due disposizioni del codice di rito (artt.295 e 337, co.2, c.p.c.).

E lo ha fatto dando continuità all'orientamento espresso dalla Corte di Cassazione, sia a Sezioni Unite (Cass., S.U., 19 giugno 2012, n. 10027; Cass., S.U., 30 novembre 2012, n. 21348; di recente Cass. S.U. 21 luglio 2021, n. 21763) che a sezioni semplici (cfr., tra le altre, Cass. V, ord. 17 novembre 2021, n. 34966; Cass., II, ord. 23 marzo 2022, n. 9470; Cass. V, 25 marzo 2024, n. 7952), secondo cui  “In tema di sospensione del giudizio per pregiudizialità necessaria, salvi i casi in cui essa sia imposta da una disposizione normativa specifica che richieda di attendere la pronuncia con efficacia di giudicato sulla causa pregiudicante, quando fra due giudizi esista un rapporto di pregiudizialità tecnica e quello pregiudicante sia stato definito con sentenza non passata in giudicato, la sospensione del giudizio pregiudicato non può ritenersi obbligatoria ai sensi dell'art. 295 c.p.c. […] ma può essere adottata, in via facoltativa, ai sensi dell'art. 337, secondo comma, c.p.c., applicandosi, nel caso del sopravvenuto verificarsi di un conflitto tra giudicati, il disposto dell'art. 336, secondo comma, c.p.c..” (così Cass. S.U. 21 luglio 2021, n. 21763, cit.).

La regola dettata dalla Suprema Corte è, quindi, in estrema sintesi, la seguente: ove sussista un rapporto di pregiudizialità fra due giudizi ed il giudizio pregiudicante penda ancora in primo grado, quello pregiudicato deve essere sospeso ex art. 295 c.p.c. Laddove, di contro, nel giudizio pregiudicante sia stata già resa una sentenza e questa sia stata impugnata, il giudizio pregiudicato potrà essere sospeso ex art. 337, co. 2, c.p.c. Si tratta, in questo secondo caso, di una sospensione facoltativa giacché il giudice del secondo processo dovrà decidere se tener conto della sentenza già pronunciata, proseguendo il giudizio, nonostante la impugnazione di essa e quindi il fatto che non sia ancora passata in giudicato,  o, al contrario, decidere di attendere che si concluda il giudizio di impugnazione e quindi il passaggio in giudicato della prima decisione, disponendo la sospensione del giudizio.

Applicando tale orientamento, il Consiglio di Stato ha quindi escluso, nel caso di specie, la possibilità di accordare la sospensione ai sensi dell'art.295 c.p.c., giacché, come visto, la diversa pronuncia era stata impugnata ed il giudizio di impugnazione risultava ancora pendente.

Il Consiglio di Stato ha, poi, nondimeno escluso la possibilità di fare applicazione dell'art.337, co. 2, per la circostanza, ritenuta determinante, che la sentenza del diverso giudizio non fosse stata impugnata con un mezzo di impugnazione ordinario bensì con un mezzo di impugnazione straordinaria, la opposizione di terzo, che, in quanto tale, al pari della revocazione nei casi di cui all. art. 395,  nn.1, 2, 3, 6, c.p.c., non esclude la formazione del giudicato. 

Il ragionamento seguito dai giudici di Palazzo Spada si fonda sul presupposto che la “autorità della sentenza tuttora soggetta ad impugnazione”, di cui all'art. 337, co. 2, c.p.c., che, “invocata in un diverso processo”, può consentire al giudice di quest'ultimo di disporne la sospensione “se tale sentenza è impugnata”, faccia riferimento alle sentenze non ancora passate in giudicato, che, tuttavia, per la “autorità” loro comunque accordata dall'ordinamento (autorità definita “di fatto”, e quindi diversa da quella della decisione passata in giudicato), pongono al giudice del “diverso processo” la scelta fra la sospensione o meno del giudizio.

Nel caso di specie, di contro, vi era una sentenza, quella resa dal Tar nel diverso giudizio avente ad oggetto il successivo provvedimento di revoca delle sovvenzioni, che risultava impugnata, da terzi, con un mezzo di impugnazione straordinaria, e che, pertanto, fra le parti originarie – le stesse parti del giudizio deciso dal Consiglio di Stato – era passata in giudicato, così facendo, fra esse, “stato, ad ogni effetto” (art. 2909 c.c.)

Per tali ragioni, il Consiglio di Stato ha quindi rigettato l'istanza di sospensione e deciso il ricorso.

Osservazioni

Sulla applicabilità della sospensione ex art. 337, co.2, in caso di impugnazione straordinaria della sentenza pregiudicante

La sospensione è una vicenda anomala del processo che ne comporta il temporaneo arresto. Le cause della sospensione possono essere molteplici. A tal riguardo, si usa distinguere fra la sospensione propria e la sospensione impropria.

Quest'ultima si verifica in tutte quelle ipotesi nelle quali l'ordinamento dispone che una particolare fase processuale sia svolta da altro giudice. Si pensi alle ipotesi in cui nel corso del giudizio venga rimessa questione di legittimità costituzionale; o di un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea.

La sospensione propria, che è quella che rileva nella fattispecie in esame, riguarda le ipotesi di contemporanea pendenza di due diversi processi legati fra loro da un vincolo di pregiudizialità.

Essa è disciplinata, in via generale, dagli artt. 295 ss. c.p.c.

All'interno della categoria della sospensione propria, poi, si distinguono la sospensione volontaria e quella necessaria: la sospensione volontaria è quella che consegue alla istanza concorde delle parti e rinviene la propria disciplina nell'art.296 c.p.c.; la sospensione necessaria è disciplinata dall'art.295.

La sospensione di cui all'art. 295 c.p.c. è detta necessaria in quanto il giudice, ove rinvenga l'esistenza di un rapporto di pregiudizialità fra i due giudizi, è tenuto a disporre l'arresto del processo, senza la possibilità di operare alcuna valutazione di opportunità.

Una ipotesi speciale di sospensione è, poi, quella disciplinata dall'art. 337, co. 2, c.p.c., comunemente definita “sospensione facoltativa”. Il caso è particolare, perché prevede che  “l'autorità di una sentenza [sia] invocata in un diverso processo” e che tale sentenza sia impugnata. In tale evenienza, il giudice “può” disporre la sospensione del giudizio, in attesa che si formi il giudicato sul diverso processo, o decidere, al contrario, di non sospendere, tenendo conto della sentenza, pur impugnata.

Si è molto dibattuto, sia in dottrina che in giurisprudenza, sull'esatto significato da attribuire all'espressione, contenuta nell'art.337, co.2, “autorità della sentenza”. Semplificando: da un lato, si collocano coloro che ritengono che una sentenza goda di “autorità” solo se passata in giudicato, dall'altro, coloro i quali, di contro, ritengono che, anche se non passata in giudicato, una sentenza di primo grado sia dotata di una “autorità” sua propria, espressamente riconosciutale dal codice di rito.

Questo secondo orientamento, che ha ricevuto l'avallo delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (nn.10027/2012 e 21763/2021) e può dirsi maggioritario, richiama, a sostegno della propria ricostruzione, l'art.282 c.p.c. che riconosce la provvisoria esecutività alla sentenza di primo grado, ed osserva che “il diritto pronunciato dal giudice di primo grado qualifica la posizione delle parti in modo diverso da quello dello stato originano di lite e giustifica sia l'esecuzione provvisoria […] sia l'autorità della sentenza di primo grado nell'ambito della relazione tra lite sulla causa pregiudiziale e lite sulla causa pregiudicata” (SS.UU. 2012 cit.).

Si comprende quindi come, nella particolare ipotesi di sospensione disciplinata dall'art.337, co.2, c.p.c., sia demandata al giudice quella valutazione di opportunità non consentita ove trovi di contro applicazione l'art. 295 c.p.c. Se, infatti, la sentenza di primo grado (che, come visto, gode di una propria “autorità”) è impugnata, l'ordinamento rimette al giudice “il compito di valutare, tenuto conto degli elementi in base ai quali la controversia è riaperta attraverso l'impugnazione, se l'efficacia della sentenza pronunciata sulla lite pregiudicante debba essere sospesa (articolo 283 cod. proc. civ.) o se la sua autorità debba essere provvisoriamente rifiutata (articolo 337 c.p.c., comma 2) in questo caso attribuendo al giudice del giudizio sulla lite pregiudicata il potere di sospenderlo” (SSUU n. 21763/2012 cit.).

Nel codice del processo amministrativo, l'istituto in argomento è collocato all'interno del titolo V, libro II, dedicato agli “Incidenti nel processo” (artt.77-80), ove l'art. 79 c.p.a., per l'ampiezza del rinvio operato alla disciplina del codice di procedura civile, consente l'applicazione di tutte le norme del codice processuale civile sin qui esaminate.

Come supra accennato, a fronte di un rapporto di pregiudizialità fra diversi giudizi, le regole codicistiche e la interpretazione che delle stesse hanno fornito la dottrina e la giurisprudenza tentano un difficile bilanciamento fra interessi e principi fra loro confliggenti. Da un lato, vi sono l'esigenza di evitare il contrasto fra giudicati e la duplicazione dell'attività di cognizione, che imporrebbero la sospensione. Dall'altro, il principio di effettività della tutela giurisdizionale e l'interesse alla sollecita definizione dei giudizi, in ossequio al principio di economia processuale e quindi della ragionevole durata del processo, che spingono nella direzione opposta.

Nel procedere a tale difficile bilanciamento, si è rilevato un crescente disfavore del legislatore nei confronti dell'istituto della sospensione che, quale vicenda anomala del processo, ne impone l'arresto. In questo senso sono state lette, da un lato, la modifica dell'art.295 c.p.c., con la eliminazione dei riferimenti alla pregiudizialità penale e amministrativa, dall'altro, la modifica dell'art.42 c.p.c., che ha esteso il rimedio del regolamento necessario di competenza alle ordinanze di sospensione.

Tale indirizzo legislativo ha indotto sia la dottrina che la giurisprudenza maggioritarie ad una interpretazione restrittiva delle norme disciplinanti la sospensione, la cui correttezza è risultata confermata altresì dal nuovo art.111 Cost. che impone la ragionevole durata processo.

Ebbene, la sentenza del Consiglio di Stato in commento si inserisce appieno nel solco di questo mutamento di prospettiva nei confronti dell'istituto in argomento, dando continuità all'indirizzo giurisprudenziale maggioritario, consacrato nelle le sentenze delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nn. 10027 del 2012 e 21763 del 2021, citate.

Tuttavia, rispetto a tali pronunce, la sentenza del Consiglio di Stato in esame è di assoluto rilievo in quanto affronta più approfonditamente l'ambito applicativo dell'art. 337, co. 2, c.p.c.

Invero, la sentenza si presta a due diverse letture: se, in alcuni passaggi della motivazione, sembra lasciar intendere che l'art. 337, co. 2, c.p.c. non possa applicarsi (e quindi il processo “pregiudicato” non possa essere sospeso) ove la sentenza resa nel diverso giudizio – la cui “autorità” sia stata “invocata” – venga gravata con un mezzo di impugnazione straordinario, in altri, sembra, al contrario, aderire ad una interpretazione più ampia della norma, che consente, anche nelle dette ipotesi, la sospensione facoltativa, che, tuttavia, poi non è accordata in ragione della esistenza di un giudicato fra le parti del giudizio che la opposizione di terzo non può comunque condizionare (“nel caso di specie, si potrà tenere conto del giudicato formatosi a seguito della sentenza del T.a.r. del Lazio n. 9090 del 7 agosto 2020, nei rapporti tra il Fallimento Meccano Aeronautica e Sviluppo Lazio, oggi Lazio Innova, senza che rilevi la pendenza delle opposizioni di terzo”) .  

A ben vedere, lo stesso è a dirsi della citata sentenza delle Sezioni Unite n. 21763 del 2021, che, sebbene nel principio di diritto faccia riferimento alla impugnazione della “sentenza non passata in giudicato” – e sembri quindi limitare l'applicazione della sospensione facoltativa alle sole impugnazioni ordinarie – sembra altresì sostenere che la sospensione ex art. 337, co.2, c.p.c., possa esse disposta a prescindere dal mezzo, ordinario o straordinario,  con il quale sia stata impugnata la sentenza resa nel diverso giudizio, laddove afferma che “è innegabile che il citato articolo 337 cpv. abbia una valenza generale, nel senso che si rivolge all'autorità che la sentenza del giudice spiega in un altro processo tra le stesse parti, sia o non sia passata in giudicato. In entrambi i casi, se la sentenza è impugnata (dizione che conferma come la disposizione non distingua, per l'appunto, tra decisione soggetta ad impugnazione e decisione passata in giudicato), il giudice davanti al quale l'autorità della sentenza è stata invocata si troverà di fronte all'alternativa tra la condivisione (almeno in termini potenziali) dell'accertamento in questa contenuto o la sospensione del processo nell'attesa della decisione del giudice dell'impugnazione” (SS.UU. n. 21763/2021, cit.; ma, nello stesso senso, le SS.UU. nn.10027 del 2012 e n.14060 del 2004).

Ciò considerato, per comprendere appieno il principio da ultimo riferito, appare di sicuro interesse dar conto di quell'indirizzo dottrinario e giurisprudenziale che, in una prospettiva opposta a quella fatta propria dalla Suprema Corte e dal Consiglio di Stato, sosteneva che l'art.337, co.2, c.p.c., facesse riferimento alle sole sentenze passate in giudicato, le uniche, secondo tale tesi, dotate di “autorità”. Conseguentemente, laddove la norma disciplina il caso della impugnazione di tale sentenza, chiaramente farebbe riferimento ad impugnazioni di sentenze passate in giudicato e, quindi, ad impugnazioni straordinarie.

Come si vede, si tratta di una ricostruzione opposta a quella fatta propria dal Consiglio di Stato, che la Suprema Corte ha superato, a Sezioni Unite, sin dalla ordinanza n.14060 del 2004 citata.

Guida all'approfondimento

In dottrina si segnalano:

C. Mandrioli, A. Carratta, Diritto processuale civile, vol. II, 2024;

R. De Nictolis, Codice del processo amministrativo commentato, Milano, 2020;

Travi A., Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2024.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario