Il punto, in breve, sulla gestione dei rapporti di lavoro pendenti nella liquidazione giudiziale

26 Settembre 2024

La gestione dei rapporti di lavoro pendenti al momento dell’apertura della liquidazione giudiziale presenta difficoltà e peculiarità ben note agli addetti. L’Autore, dopo una breve disamina relativa agli approdi dottrinari e giurisprudenziali, illustra i temi derivanti dall'applicazione del “nuovo” art. 189 c.c.i.i. illustrando le criticità emerse nel primo biennio di applicazione e le possibili soluzioni delle problematiche.

I rapporti di lavoro pendenti nella liquidazione giudiziale

La sorte dei rapporti di lavoro subordinato in atto al momento dell'apertura della procedura di liquidazione giudiziale è stato argomento ampiamente dibattuto per oltre un ventennio dalla dottrina concorsualistica e giuslavoristica.

Infatti, fino all'entrata in vigore del c.c.i.i., non vi erano specifiche disposizioni circa gli effetti del fallimento su tali rapporti.

Il dibattito si era concentrato sull'applicabilità o meno dell'art. 72 l. fall., che disciplinava gli «effetti del fallimento sui rapporti giuridici pendenti», prevedendo che «se un contratto è ancora ineseguito o non compiutamente eseguito da entrambe le parti quando nei confronti di una di esse, è dichiarato il fallimento, l'esecuzione del contratto...rimane sospesa fino a quando il curatore, con l'autorizzazione del comitato dei creditori, dichiara di subentrare nel contratto in luogo del fallito».

La dottrina si era profondamente divisa tra chi sosteneva l'applicabilità e chi invece sosteneva l'inapplicabilità del predetto articolo ai rapporti di lavoro. Autorevole dottrina giuslavoristica aveva persino rilevato un contrasto di valenza costituzionale, in relazione alle conseguenze economiche e previdenziali collegate alla sospensione del rapporto di lavoro, per pretesa violazione dell'art. 36 Cost.

A fronte delle articolate contrastanti divergenze dottrinali, la giurisprudenza, con tre fondamentali sentenze del 2018 (Cass. civ., 11 gennaio 2018, n. 522; Cass. civ., 23 marzo 2018, n. 7308; Cass. civ., 22 ottobre 2018, n. 26671), aveva optato per l'applicabilità dell'art. 72 l. fall. ai rapporti di lavoro, riconoscendo la legittimità della sospensione per il tempo necessario a consentire al curatore la valutazione circa l'opportunità o meno della prosecuzione dei rapporti di lavoro.

È appena il caso di ricordare che l'ipotesi di sospensione aveva registrato rilevanti conseguenze circa la retribuzione: la giurisprudenza aveva infatti statuito che quando per «effetto della dichiarazione di fallimento sino alla dichiarazione del curatore (…) il rapporto di lavoro, in assenza di prestazione, pur essendo formalmente in essere rimane sospeso, è consequenziale che, difettando il rapporto di sinallagmaticità, non è configurabile una retribuzione» (Cass. civ., 14 maggio 2012, n. 7473).

Il lavoratore, in conclusione, nel periodo di lavoro, secondo gli assetti giurisprudenziali sopra richiamati, rimaneva privo di retribuzione e conseguentemente carente di contribuzione previdenziale, beneficiando tutt'al più del trattamento di cassa integrazione salariale di cui all'art. 3 l. n. 223/1991, per una durata massima di dodici mesi.

Per quanto occorra, va ricordato che il d.l. 28 settembre 2018, n. 109 – c.d. "Decreto Genova", aveva introdotto una cigs per crisi aziendale usufruibile anche dalle imprese in stato di fallimento e che il predetto trattamento, inizialmente previsto per un triennio, era stato prorogato in conseguenza della grave crisi epidemiologica da Covid 19. A far data dal 15 luglio 2022, a seguito di numerosi rinvii, in buona parte collegati alla situazione epidemiologica, l'art. 189 c.c.i.i., secondo periodo, in attuazione della legge delega 19 ottobre 2017, n. 155, ha disposto la sospensione dei «rapporti di lavoro subordinato in atto alla data della sentenza dichiarativa» della liquidazione giudiziale.

Siamo dunque in presenza di un esplicito recepimento delle argomentazioni dottrinarie e giurisprudenziali sopra richiamate: la regola della sospensione assume carattere specifico, tenendo in debita considerazione che la disciplina del subentro nei rapporti di lavoro persegue, da un lato, l'interesse dei lavoratori e che, dall'altro, l'attività aziendale non può proseguire se non in presenza di un esercizio provvisorio autorizzato dal Giudice Delegato.

L'art. 189 prevede inoltre che la dichiarazione del curatore di scioglimento del rapporto di lavoro ha valore retroattivo dalla data della dichiarazione di apertura della liquidazione giudiziale e che il periodo di sospensione può durare sino a quattro mesi, durante il quale non sono dovute né retribuzione né contribuzione.

La soluzione adottata conferma quindi la problematicità, causata dalla mancata tutela di tipo economico a favore del lavoratore colpito dal periodo di sospensione: viceversa, nel progetto originario presentato dalla commissione Rordorf era prevista l'istituzione di una nuova forma di previdenza sociale denominata Naspi LG.

Il progetto è rimasto tale, perché da un lato, la legge prevedeva che la nuova normativa fosse applicata a costo zero per la finanza pubblica e, dall'altro per l'incapacità del legislatore di cogliere le situazioni fattuali che si verificano nei casi concreti, come meglio vedremo nel proseguo.

Per concludere sul tema, va altresì richiamata l'attenzione sulla possibilità che, quantomeno sotto il profilo teorico, il curatore, il direttore dell'Ispettorato territoriale del lavoro e i lavoratori possono richiedere al Giudice, almeno entro quindici giorni dalla scadenza del termine di quattro mesi, la proroga del periodo di sospensione sino ad un massimo di otto mesi, ai sensi dell'art. 189, comma 4, c.c.i.i..

Vi è da dire che, per quanto è dato sapere, la normativa in questione non ha trovato pratica attuazione.

Le varie ipotesi di cessazione del rapporto di lavoro

Il c.c.i.i. ha introdotto diverse ipotesi di modalità di cessazione del rapporto.

A) La scelta del curatore

In primo luogo, l'art. 189, comma 1, c.c.i.i. dispone che compete al curatore la scelta di subentrare oppure recedere.

Il recesso, ai sensi dell'art. 189, comma 3, c.c.i.i. deve avvenire “senza indugio”, nell'ipotesi in cui «non sia possibile la continuazione o il trasferimento dell'azienda o di un suo ramo o comunque sussistano manifeste ragioni economiche inerenti l'assetto dell'organizzazione del lavoro».

B) il decorrere del tempo e la risoluzione di diritto

La disciplina speciale dei rapporti di lavoro nella liquidazione giudiziale ha trovato altresì definitiva consacrazione con la previsione di cui all'art. 189, comma 3, ultimo periodo, per la quale «in ogni caso, salvo quanto disposto dal comma 4, decorso il termine di quattro mesi dalla data di apertura della liquidazione giudiziale senza che il curatore abbia comunicato il subentro, i rapporti di lavoro che non siano già cessati si intendono risolti di diritto con decorrenza dalla data di apertura della liquidazione giudiziale».

La norma pare tesa, anche alla luce delle argomentazioni riguardanti il tema del licenziamento collettivo che meglio svilupperemo nel paragrafo seguente, a consentire una sostanziale inerzia del curatore circa l'adozione di una decisione esplicita in ordine alla sorte dei rapporti di lavoro.

C) Il licenziamento collettivo

Il c.c.i.i. ha dettato una nuova disciplina per l'ipotesi di licenziamento collettivo ad opera del curatore.

L'art. 189, comma 3, c.c.i.i. ultimo periodo, fa salvo quanto previsto dal comma 6 del medesimo articolo, che detta appunto una specifica disciplina derogatoria rispetto al modello di cui alla l. n. 223/1991, avente ad oggetto la procedura di licenziamento collettivo per impresa “in bonis”.

La disciplina operante nella liquidazione giudiziale - in sintesi - può essere così riassunta: ai sensi dell'art. 189, comma 6, lett. a), c.c.i.i. il curatore che avvia la procedura di licenziamento collettivo deve dare comunicazione preventiva per iscritto alle RSA, ovvero alla RSU, nonché alle rispettive associazioni di categoria o, in loro mancanza, alle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale, con “sintetica indicazione dei motivi” che determinano la situazione di eccedenza.

In contraddizione con l'esigenza di semplificazione è stato peraltro allargato il numero di interlocutori, dal momento che la predetta comunicazione deve essere inviata anche all'Ispettorato Territoriale del Lavoro ove i lavoratori interessati prestano in prevalenza la propria attività e, in ogni caso, all'Ispettorato del luogo ove risulta aperta la liquidazione giudiziale.

Successivamente a tale comunicazione si apre la fase di esame congiunto, avente lo scopo di esaminare “le cause che hanno contribuito a determinare l'eccedenza del personale”, esame al quale prendono parte anche il direttore dell'Ispettorato o un funzionario delegato.

Nel caso della liquidazione giudiziale, in linea generale, la curatela farà riferimento all'impossibilità di prosecuzione dell'attività aziendale perché già cessata o ormai prossima alla cessazione.

La semplificazione della procedura emerge, in particolare, per quanto riguarda i tempi, che risultano particolarmente ristretti.

La consultazione si intende infatti esaurita decorsi dieci giorni dal suo inizio, qualora non sia stato raggiunto l'accordo sindacale, salvo che il giudice delegato per “giusti motivi” ne autorizzi la proroga per un periodo comunque non superiore a dieci giorni.

La procedura ordinaria, applicabile alle imprese “in bonis”, prevede viceversa un termine massimo di 75 giorni e risulta suddivisa in due fasi: una prima fase di confronto con le OO.SS e, occorrendo, una seconda fase, avanti gli Uffici Regionali o Ministeriali (in ipotesi di licenziamento collettivo che vede coinvolti siti produttivi e lavoratori in più Regioni).

Nel ristretto termine sopra descritto — e senza il necessario intervento di soggetti esterni - raggiunto l'accordo sindacale o comunque terminata la procedura di esame congiunto, la curatela può disporre i licenziamenti così come previsto dall'art. 4, comma 9, l. n. 223/1991.

Le prime concrete applicazioni relative all'avvio di procedure di licenziamento collettivo da parte delle curatele nel corso degli ultimi mesi stanno evidenziando problematiche del tutto inaspettate, che trovano innanzitutto origine nel venir meno dell'esonero contributivo a favore delle procedure concorsuali che dal 2018 al 2023 era previsto dalle leggi di bilancio via via succedutesi nel tempo. A far data dal 2024 tale esonero non è più operativo, a causa del mancato finanziamento.

La situazione venutasi a creare appare invero paradossale.

Se, infatti, da un lato, come evidenziato dalla Relazione illustrativa all'art. 189, la semplificazione della procedura di licenziamento collettivo fosse atto dovuto, «tenuto conto che in molti casi la necessità di dismettere il personale dovrebbe essere pressoché scontata per il venir meno dell'azienda», dall'altro le Organizzazioni Sindacali manifestano la volontà di non voler sottoscrivere accordi con esito positivo.

Le conseguenze di tale atteggiamento risultano assai negative per le curatele e, soprattutto, per i creditori chirografari.

Va infatti ricordato che, ai sensi dell'art. 189, comma 8, «Nei casi di cessazione dei rapporti secondo le previsioni del presente articolo, il contributo (c.d. Ticket) previsto dall'art. 2, comma 31. Legge 28 giugno 2012, n. 92, che è dovuto anche in caso di risoluzione di diritto, è ammesso al passivo come credito anteriore all'apertura della liquidazione giudiziale».

Nei casi di licenziamento collettivo, in cui la dichiarazione di eccedenza del personale ai sensi dell'art. 4, comma 9, legge 23 luglio 1991, n. 223, non abbia formato oggetto di accordo sindacale, il contributo di cui trattasi è moltiplicato per tre volte.

Il combinato disposto dei due provvedimenti – legge Fornero e legge di bilancio 2018 – fa sì che per ogni interruzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, intervenuta a decorrere dal 1° gennaio 2018 nell'ambito di un licenziamento collettivo in cui la dichiarazione di eccedenza non abbia formato oggetto di accordo sindacale, il c.d. ticket di licenziamento ammonta attualmente a circa euro 11.500,00 per lavoratore.

In tale contesto, preso atto della situazione, frutto di un'incapacità di lettura nella distinzione della figura del curatore da quella del datore di lavoro, le curatele potranno/dovranno procedere all'apertura della procedura di licenziamento collettivo solo dopo aver acquisito il preventivo consenso alla sottoscrizione dell'accordo da parte delle OO.SS., accordo che potrà essere raggiunto in appositi incontri informali.

D) Le dimissioni

Il c.c.i.i. è altresì intervenuto anche sull'istituto delle dimissioni che, ante-riforma, non si consideravano rese per giusta causa ai sensi dell'art. 2119, comma 2, c.c.

La riforma, così come previsto dall'art. 189, comma 5, dispone viceversa la possibilità di dimettersi per giusta causa con effetto dalla data di apertura della liquidazione giudiziale.

Il legislatore quindi offre al lavoratore, che risulta privo di retribuzione, la possibilità di ottenere il pagamento dell'indennità di mancato preavviso e l'accesso al trattamento Naspi, ai sensi dell'art. 190.

È opportuno rilevare come le dimissioni determinino la risoluzione del rapporto di lavoro, con l'impossibilità per il lavoratore di beneficiare dell'eventuale trasferimento d'azienda o di un suo ramo: il tutto in aperta contraddizione con i desideri del legislatore.

Le “novità” del nuovo correttivo in fase di emanazione

Il correttivo in fase di emanazione interviene sulle disposizioni dell'art. 189 ma, ad una prima e sommaria lettura, si tratta di una riscrittura di natura terminologica e chiarificatrice delle disposizioni attualmente in essere.

Con la modifica viene semplificata la procedura di recesso.

Sotto un primo profilo viene auspicabilmente eliminato, per il curatore, l'adempimento della comunicazione dei nominativi dei dipendenti all'Ispettorato del lavoro.

Nell'ipotesi di inerzia del curatore all'esito del periodo di sospensione viene eliminato il riferimento alla risoluzione di diritto dei rapporti.

Viene aggiunto un ultimo periodo per disciplinare la sorte delle somme eventualmente ricavate dal lavoratore, a titolo previdenziale o assistenziale.

Viene altresì opportunamente inserita una nuova disposizione di coordinamento con le attuali disposizioni previste nei casi di chiusura dell'attività per le imprese con più di 50 dipendenti, con le quali si esclude l'applicabilità delle procedure previste dall'art. 1, commi da 224 a 238, legge 30 dicembre 2021, n. 234.

In conclusione

le disposizioni dell’art. 189 hanno finalmente determinato chiarezza circa le sorti dei rapporti di lavoro.

La riforma del 2022 e anche il testo correttivo a causa delle disposizioni non hanno potuto affrontare il vero nodo della questione relativo alla sospensione dei rapporti di lavoro e alle gravi conseguenze economiche che ricadono interamente sui lavoratori.

Preso atto delle ineludibili disposizioni contenute nella legge delega, che non consente alcun intervento di tipo economico, non resta che auspicare un intervento legislativo per il ripristino della Naspi L.G., così da consentire al curatore un utilizzo più sereno dell’istituto della sospensione.

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