Diritto all'equo premio per il dipendente in caso d’invenzione d’azienda
21 Novembre 2024
Massima In tema di brevetti, quando l'attività inventiva, pur realizzata in esecuzione o nell'adempimento di un contratto di lavoro, non è oggetto di una retribuzione specifica, la titolarità dell'invenzione d'azienda e i relativi diritti di sfruttamento economico spettano al datore di lavoro, fatto salvo il diritto dell'inventore ad essere riconosciuto autore e a percepire un equo premio. Il diritto all'equo premio si fonda sul presupposto che l'invenzione sviluppata dal dipendente agevola il datore di lavoro rispetto ai propri concorrenti sul mercato e costituisce, dunque, una forma di partecipazione in relazione alla redditività apportata dall'invenzione stessa in favore dell'azienda. Il caso Il provvedimento in commento ha deciso la controversia sorta tra una società e alcuni dei suoi dipendenti che, nell’ambito dello svolgimento delle proprie mansioni, avevano apportato il proprio contributo alla realizzazione di una serie di invenzioni che erano poi state brevettate dalla società. Con sentenze del 2013 e del 2018 il Tribunale di Torino e il Tribunale di Milano – con provvedimenti entrambi confermati dalle rispettive Corti d’Appello e dalla Cassazione – accertavano il diritto del dipendente/inventore a percepire l’equo premio previsto dall’art. 64 c. 3 CPI a fronte del contributo prestato nello sviluppo dei trovati brevettati dalla società. Ciò nonostante, dato che le parti non erano addivenute a un accordo sulla somma da corrispondere a titolo di equo premio, uno dei dipendenti – nel rispetto di quanto previsto dall’art. 64 c. 4 CPI – adiva un Collegio di arbitratrori allo scopo di dirimere la questione. Tale collegio emetteva un lodo con il quale calcolava l’equo premio spettante al dipendente/inventore per un ammontare pari ad € 670.000 per un primo gruppo di brevetti registrati dalla società e per € 30.000 per un secondo gruppo di brevetti (questi ultimi, solamente ottenuti ma mai sfruttati dalla società). Il lodo veniva impugnato dal dipendente avanti al Tribunale di Milano per accertarne la nullità parziale nella parte in cui aveva quantificato in € 30.000 l’equo premio in relazione al secondo gruppo di brevetti e veniva impugnato anche dalla società – tramite atto di citazione separato – per chiederne l’accertamento dell’integrale nullità per manifesta iniquità ed erroneità delle somme ivi calcolate e quantificate. Il Tribunale di Milano, dopo aver riunito i due procedimenti, rilevava l’erroneità dei criteri di calcolo dell’equo premio contenuti nel lodo impugnato. In particolare, secondo il giudicante, gli arbitri nell’applicazione della cosiddetta “formula tedesca” – uno dei criteri con il quale si calcola l’ammontare dell’equo premio, che si sostanzia nel moltiplicare il valore dell’invenzione o delle invenzioni per un coefficiente numerico che misura il rapporto tra il contributo del dipendente e quello dell’azienda all’invenzione – avevano erroneamente aggiunto il contributo dei co-inventori nell’ambito dell’apporto fornito dalla società allo sviluppo dell’invenzione. A parere del Tribunale di Milano, invece, l’apporto degli altri co-inventori avrebbe dovuto incidere sul valore delle invenzioni e, più in particolare, il calcolo dell’equo premio si sarebbe dovuto basare sulla quota di valore delle invenzioni attribuibile al singolo dipendente/inventore, non calcolando un valore complessivo dell’invenzione a prescindere dal numero di dipendenti che avevano partecipato al relativo sviluppo. In applicazione di tali principi il Tribunale di Milano, accertava la nullità integrale del lodo impugnato con l’ausilio di un CTU incaricato per lo scopo, aveva rideterminato (in netta diminuzione) l’equo premio. Il provvedimento veniva impugnato dal dipendente avanti alla Corte d’Appello di Milano. Le questioni La questione giuridica affrontata dalla Corte d’Appello riguarda la determinazione dei criteri di calcolo dell’equo premio da riconoscere al dipendente che ha contribuito nello sviluppo di un’invenzione d’azienda ai sensi dell’art. 64 CPI, sia che essa venga effettivamente sfruttata dal datore di lavoro sia che essa venga anche solo registrata senza poi essere sfruttata industrialmente dal titolare. Le soluzioni giuridiche La pronuncia affronta molteplici questioni e offre vari spunti di riflessione. Nel presente commento, per ragioni di semplicità espositiva, ci si concentrerà maggiormente su quei punti della decisione della Corte d’Appello che chiariscono ulteriormente i casi in cui l’equo premio al dipendente sia dovuto e se il concreto sfruttamento industriale del brevetto da parte del datore di lavoro può incidere sul diritto o sulla quantificazione dell’equo premio al dipendente. In primo luogo, la Corte d’Appello confermava quanto deciso dal giudice di prime cure relativamente al metodo di calcolo dell’equo premio: infatti, la Corte rimarca come preliminarmente deve essere calcolato il valore dell’invenzione (anche considerato il fatturato eventualmente registrato) considerando la sola quota di pertinenza del singolo coinventore/dipendente, al cui esito va determinata la quota di tale valore che sia attribuibile a ciascun dipendente/inventore. A seguito di ciò, deve essere calcolato un secondo coefficiente che rispecchi l’apporto dell’organizzazione del datore di lavoro nello sviluppo dell’invenzione brevettata: più aumenta quest’ultimo coefficiente, più diminuisce l’equo premio che dovrà essere riconosciuto al dipendente/inventore. Tali calcoli valgono solo nel caso in cui l’invenzione d’azienda brevettata venga effettivamente sfruttata dal titolare e cioè, nel caso in analisi, solo per quanto riguardava il primo gruppo di brevetti. Continuava poi la Corte d’Appello aggiungendo che, per quanto riguarda il calcolo dell’equo premio in relazione al secondo gruppo di brevetti – che non erano stati sfruttati industrialmente dalla società che li aveva registrati – condivideva la tesi proposta dal dipendente/inventore, secondo cui l’art. 64 CPI – che disciplina l’equo premio – non presuppone il fatto che l’invenzione d’azienda (ossia l’invenzione conseguita con l’apporto del dipendente nell’ambito delle proprie mansioni) sia stata effettivamente sfruttata dal datore di lavoro – anche quale know-how riservato – e, di conseguenza, l’equo premio spetterà al dipendente/inventore anche nel caso in cui l’invenzione brevettata non abbia apportato alcun utile (né ricavo) al titolare. A tal proposito, la Corte d’Appello sottolinea come le spese per la brevettazione e per il mantenimento per anni dell’efficacia dei brevetti è un chiaro indice della sussistenza, per il titolare del diritto, di un suo interesse per l’invenzione d’azienda conseguita. Ciò si spiega, secondo la Corte, alla luce del carattere straordinario dell’equo premio, il quale si caratterizza per essere una controprestazione avente natura indennitaria che si fonda sul presupposto che il datore di lavoro abbia tratto giovamento dal trovato rispetto agli altri concorrenti sul mercato. Ciò detto, la Corte sottolineava come, in assenza di qualsivoglia utile o ricavato in relazione all’invenzione d’azienda brevettata, non è applicabile la formula tedesca per il calcolo dell’equo premio né risulta applicabile ogni altro criterio che si basi sull’utile concretamente ottenuto dal datore di lavoro dallo sfruttamento del brevetto. In tale situazione, la Corte chiariva che la determinazione dell’equo premio doveva effettuarsi necessariamente in via equitativa. Osservazioni La pronuncia in commento, sebbene si ponga in continuità rispetto alla giurisprudenza maggioritaria in argomento, chiarisce alcuni principi riguardo alle regole per il riconoscimento dell’equo premio nei confronti dei dipendenti in caso di invenzioni d’azienda. Giova ricordare innanzitutto che, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, laddove non sia prevista in un contratto di lavoro subordinato una specifica retribuzione a compenso dell’attività inventiva, l’invenzione realizzata durante lo svolgimento delle sue mansioni si configura come invenzione d’azienda (si veda, fra le altre, Cass. 24 gennaio 2006 n. 1285). In tal caso spetta al dipendente l’equo premio e il diritto di essere riconosciuto quale inventore del trovato oggetto del brevetto concesso. In tale contesto, risulta interessante quanto affermato dalla Corte riguardo al riconoscimento dell’equo premio in relazione a brevetti che non siano stati sfruttati industrialmente dal titolare – ossia dal datore di lavoro – che, a parere della Corte, risulta comunque dovuto al dipendente/inventore che abbia partecipato allo sviluppo dell’invenzione d’azienda: in particolare, l’art. 64 CPI non prevede che l’invenzione d’azienda debba essere necessariamente sfruttata dal datore di lavoro, ma basta la registrazione e il mantenimento in vita del brevetto per far sorgere il diritto all’equo premio in capo al dipendente/inventore. Tale fatto rappresenta, secondo la Corte, una chiara manifestazione dell’interesse del datore di lavoro all’invenzione, che legittima di conseguenza il dipendente a richiedere l’equo premio. Il ragionamento è del tutto condivisibile, a parere dello scrivente, per almeno due motivi. In primo luogo, perché, come affermato anche dalla stessa Corte d’Appello, la ratio dell’equo premio è quella di corrispondere al dipendente una somma (avente natura di indennizzo) a fronte del vantaggio competitivo ottenuto dal datore di lavoro grazie all’invenzione d’azienda. È del tutto evidente, dunque, che tale vantaggio rispetto agli altri concorrenti sul mercato non necessiti dell’effettivo sfruttamento del trovato brevettato da parte del datore di lavoro dato che, talvolta, può concretizzarsi – come avviene per i cosiddetti “brevetti difensivi”, ad esempio – nell’ottenere un brevetto prima dei competitor per impedire a questi ultimi di aggredire nuove quote di mercato con il proprio trovato. Seguendo tale ragionamento, la Corte di Cassazione ha già chiarito in passato come il momento in cui un soggetto acquisisce un vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza è quello in cui l’invenzione d’azienda viene effettivamente brevettata e, in caso di inerzia da parte del datore di lavoro a brevettare, l’inventore/dipendente ha il diritto alla brevettazione dopo aver invano diffidato il datore di lavoro ad effettuarla (si veda Cass. 6 dicembre 2002 n. 17398). Inoltre, il ragionamento della Corte d’Appello è condivisibile poiché è pacifico come lo “sfruttamento” del brevetto da parte del titolare può avvenire tramite metodi alternativi diversi dal mero utilizzo della privativa per la produzione industriale di prodotti, come ad esempio la concessione in licenza del trovato brevettato a un soggetto terzo. Alla luce di tali principi, le imprese che si avvalgono dei propri dipendenti in relazione a compiti di ricerca e/o sviluppo per cui non sono specificamente retribuiti, devono prestare particolare attenzione ai diritti riconosciuti a tali soggetti nel momento in cui dovessero decidere di brevettare oppure sfruttare il nuovo trovato, dato che la brevettazione (o comunque l’uso anche in regime di segreto) del trovato fa sorgere in capo al dipendente/inventore il diritto all’equo premio, che sarà quantificato diversamente a seconda che il trovato brevettato venga sfruttato o meno dall’impresa titolare ma che, in ogni caso, dovrà comunque essere riconosciuto. Inoltre, il dipendente/inventore che ha contribuito allo sviluppo del nuovo trovato ha diritto di essere riconosciuto quale inventore del brevetto e, pertanto, sarà obbligo dell’impresa designarlo tale al momento del deposito della relativa domanda di brevettazione. Oltre a quanto già detto, la Corte d’Appello ha anche fornito una indicazione interessante su come scegliere tra i diversi criteri di quantificazione dell’equo premio: infatti nel provvedimento viene sottolineato come il criterio di calcolo della “formula tedesca” non deve considerarsi come un criterio rigido da applicare in qualsiasi situazione, quanto piuttosto un criterio orientativo a cui apportare le modificazioni opportune in relazione alla fattispecie di volta in volta considerata. In conseguenza di tale principio, le imprese che brevettano le invenzioni d’azienda dovranno agire consapevoli del fatto che i dipendenti/inventori che non abbiano ricevuto l’equo premio a loro dovuto potranno adire le competenti sedi per l’accertamento dell’ammontare a loro dovuto e, in tali casi, il giudicante potrà determinarlo non solo avvalendosi delle formule previste dalla legge o dalle migliori prassi ma potrà liquidarlo, in ultima istanza, anche in via equitativa. |