NASPI: restituzione dell’indennità di disoccupazione in caso di conversione del rapporto di lavoro a tempo determinato

04 Dicembre 2024

La Sezione Lavoro della Corte di Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite il giudizio relativo alla legittimità della richiesta restitutoria dell'INPS con riguardo all'indennità di disoccupazione erogata a un lavoratore il quale, successivamente, abbia ottenuto l'accertamento giudiziale dell'illegittimità del termine apposto al contatto di lavoro intercorso e, per l'effetto, la conversione ex tunc del rapporto a tempo indeterminato.

Massima

Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte formatasi in materia, se lo stato di disoccupazione involontaria del lavoratore, che giustifica l'erogazione della NASPI, viene meno per effetto di un successivo accertamento giurisdizionale, a condizione che sia effettivamente ripristinato lo status di lavoratore occupato sotto tutti i profili, inclusa la tutela economica per il periodo intercorso prima della ricostituzione del rapporto, decade il diritto del lavoratore alla prestazione previdenziale, con conseguente titolo dell'INPS per agire per la ripetizione dell'indebito. La Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, sollecitando una riflessione sul tema e ritendo esista un “latente contrasto” al riguardo, rimette alle Sezioni Unite la questione, considerando dubbia la tenuta del predetto principio a fronte del mutato quadro delle tutele apprestate per i contratti a termine dalla legge n. 183 del 2010, oltre che per i licenziamenti dalla legge n. 92 del 2012 e, poi, dal d.lgs. n. 23 del 2015.

Il caso

Restituzione della Naspi dopo la conversione del contratto a termine.

Nel caso esaminato dalla Corte, un lavoratore, dopo aver ottenuto in sede giudiziale la conversione – ex tunc – a tempo indeterminato del contratto a termine intercorso con il proprio datore di lavoro, si è visto richiedere dall'INPS la restituzione del trattamento di disoccupazione percepito nel periodo successivo al termine del contratto di lavoro.

Più precisamente, il lavoratore, dopo la cessazione del contratto a tempo determinato aveva chiesto la NASPI, in quanto privo di occupazione, e nel frattempo aveva impugnato la legittimità del contratto a termine, chiedendo che quest'ultimo fosse dichiarato nullo, con conseguente ricostituzione del rapporto con il datore, a tempo indeterminato.

La Corte d'Appello di Perugia, in accoglimento della domanda del lavoratore, accertava l'illegittimità della richiesta di restituzione della somma corrispostagli dall'INPS quale indennità di disoccupazione in quanto nel periodo in cui il lavoratore aveva beneficiato della suddetta indennità non sussisteva alcun rapporto lavorativo, ritenendo ininfluente la ricostituzione del rapporto – con efficacia ex tunc – successivamente dichiarata giudizialmente.

L'INPS proponeva ricorso in Cassazione.

Le questioni

L'annullamento dello stato di disoccupazione all'origine del diritto alla Naspi .

Nel caso esaminato dalla Corte, un lavoratore aveva percepito la Naspi nel periodo durante il quale non risultava formalmente occupato dopo la scadenza di un contratto a termine.

A seguito della pubblicazione della sentenza che aveva disposto la conversione del contratto a tempo indeterminato con efficacia retroattiva, annullando lo status di disoccupazione del lavoratore, l'INPS aveva chiesto la restituzione della Naspi fruita dal lavoratore.

A fondamento della propria richiesta, l'INPS aveva sostenuto che, in seguito all'accertamento giurisdizionale, verrebbe meno lo stato di disoccupazione involontaria e che l'indennità risarcitoria ex art. 32, comma 5, L. n. 183/2010, al pagamento della quale il datore è condannato in caso di accertata nullità del termine, sarebbe di per sé idonea a ristorare il pregiudizio subito dal lavoratore nel periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale sia stata ordinata la ricostituzione del rapporto, con il corollario dell'indebita percezione dell'indennità di disoccupazione.

La questione esaminata dalla Corte, quindi, interessa il tema della legittimità della richiesta di restituzione dell'indennità di disoccupazione, qualora il lavoratore ottenga la conversione, retroattiva, del rapporto di lavoro con il riconoscimento di un risarcimento forfettario in ragione dell'annullamento dello stato di disoccupazione, all'origine del diritto all'indennità.

Viene, pertanto, dibattuta la questione inerente alla natura e le finalità della predetta indennità, nonché le condizioni alle quali ricorre il diritto dell'INPS ad agire per la ripetizione dell'indebito.

Le soluzioni giuridiche

Il contrasto giurisprudenziale e il rinvio alle Sezioni Unite .

La Corte di Cassazione muove, innanzitutto, da un riepilogo della disciplina normativa e da una rapida analisi delle proprie pronunce sul tema.

Secondo un orientamento giurisprudenziale, il lavoratore che ottiene la conversione retroattiva del contratto di lavoro a tempo indeterminato e la relativa indennità onnicomprensiva, deve ritenersi interamente soddisfatto per il danno subito nel periodo intercorrente tra la cessazione del contratto a tempo determinato e la declaratoria di nullità del termine.

Pertanto, la sentenza di annullamento del termine, che fa venir meno la condizione di disoccupazione che ha giustificato l'erogazione della Naspi nel periodo anteriore alla sentenza, determinerebbe la legittimità della richiesta dell'INPS in ordine alla restituzione dell'indennità di disoccupazione, non rilevando il risarcimento – di fatto – solo parziale del danno derivante dallo stato di disoccupazione involontaria.

Altro orientamento, pur condividendo le premesse dell'altro appena rappresentato, richiede, ai fini della legittima ripetibilità della prestazione previdenziale, l'ulteriore requisito dell'effettività della tutela reintegratoria apprestata al lavoratore. In base a tale interpretazione, infatti, l'indennità di disoccupazione spetterebbe al lavoratore anche nel caso in cui alla pronuncia di illegittimità del licenziamento (o del termine) non faccia, poi, seguito la reintegrazione, pur disposta, nel posto di lavoro. Lo stato di disoccupazione, infatti, sarebbe frutto dell'atto datoriale di risoluzione e non della mancata esecuzione del provvedimento giudiziale. Pertanto, in tale caso, l'erogazione della prestazione previdenziale continuerebbe a svolgere la propria finalità precipua, ossia quella di sostegno al reddito del lavoratore in un periodo di non occupazione.

La Corte di Cassazione, rilevando il predetto disallineamento, ha deciso di rimettere la questione alle Sezioni Unite, approfittando, tuttavia, per sollecitare una riflessione più ampia sul tema della congruità della tutela apprestata in caso di conversione del rapporto a termine e di illegittimità del licenziamento successivamente alle modifiche apportate dal Collegato Lavoro, dalla Legge Fornero e dai decreti attuativi del Jobs Act.

Osservazioni

Potenziali riverberi della decisione delle Sezioni Unite . Continua lo smantellamento del Jobs Act?

La sezione lavoro della Corte di Cassazione sottopone alle Sezioni Unite la questione relativa alla fondatezza dell'azione restitutoria esercitata dall'INPS dell'indennità di disoccupazione nei confronti di un lavoratore che ottiene la conversione ex tunc del rapporto di lavoro per effetto dell'illegittimità del termine originariamente apposto al contatto di lavoro.

Tuttavia, come visto in precedenza, la questione giuridica che viene rimessa al giudizio delle Sezioni Unite è di più ampio respiro e rischia di mettere ancora una volta in discussione l'apparato delle tutele apprestate in caso declaratoria della nullità del termine apposto ai contratti di lavoro e di illegittimità dei licenziamenti, a seguito delle modifiche introdotte dalla legge n. 183 del 2010, legge n. 92/2012 e d.lgs. n. 23/2015.

Benché, infatti, le predette disposizioni siano già state oggetto del vaglio delle corti superiori in merito alla congruità della tutela apprestata al lavoratore in ragione dell'approccio c.d. indennitario e omnicomprensivo alle ragioni risarcitorie di quest'ultimo (basti pensare, con riguardo alla prima legge, alla pronuncia della Corte Costituzionale n. 303 del 2011), gli Ermellini, nel rimettere la causa al Primo Presidente per l'assegnazione alle Sezioni Unite, si domandano se tali regimi siano anche in grado fungere da sostegno al reddito del lavoratore per il c.d. periodo intermedio tra la risoluzione del rapporto e le sua ricostituzione, assumendo, in concreto, la medesima natura previdenziale della NASPI per il periodo di involontaria disoccupazione.

Ebbene, non può sfuggire all'interprete attento che, per dirimere la predetta questione, i Supremi Giudici non potranno astenersi dall'effettuare – come, peraltro, sollecitato dalla medesima sezione remittente – una valutazione complessiva dell'adeguatezza del sistema di tutele riconosciute ai lavoratori nelle fattispecie indicate, con potenziale ulteriore indebolimento, in caso di prognosi negativa, del principio c.d. indennitario che ha guidato le riforme attuate nel corso dello scorso decennio in tema di determinazione della tutela risarcitoria del lavoratore.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.