Inammissibile l’impugnazione dell’ingiunzione di pagamento se non è stata avviata un’azione esecutiva
09 Dicembre 2024
Massima È inammissibile l'impugnazione dell'ingiunzione di pagamento emessa ai sensi dell'art. 2, r.d. n. 639/1910, allorquando venga dedotta l'estinzione della pretesa creditoria per intervenuta prescrizione e non sia stata intrapresa dall'amministrazione alcuna azione esecutiva, non essendo configurabile un interesse all'azione di accertamento negativo in difetto di una situazione di obiettiva incertezza. Il caso Un automobilista impugnava due ingiunzioni di pagamento riferite a sanzioni amministrative delle quali aveva avuto conoscenza solo a seguito di un accesso agli atti: l’impugnazione si fondava, da un lato, sulla nullità delle ingiunzioni per omessa o irregolare notifica e, dall’altro lato, sull’inesistenza della pretesa creditoria per decorso del termine di prescrizione. Il Giudice di Pace di Catania accoglieva l’opposizione, ma la pronuncia era riformata dal Tribunale di Catania che, ritenendo correttamente notificate le ingiunzioni, escludeva che il termine di prescrizione fosse decorso. Avverso la pronuncia di secondo grado veniva proposto ricorso per Cassazione. La questione Alla Corte di cassazione è stato chiesto di valutare se sussistessero o meno le denunciate irregolarità nella notificazione delle ingiunzioni poste a fondamento dell’opposizione e che, se ravvisate, avrebbero escluso l’interruzione del termine di prescrizione della pretesa creditoria dell’amministrazione. Le soluzioni giuridiche Con la sentenza che si annota, la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso, osservando che, indipendentemente dalla fondatezza o meno delle censure sollevate dal ricorrente, la sua impugnazione doveva essere dichiarata fin dall’inizio improponibile per carenza di un interesse giuridicamente rilevante a proporla, visto che non era stata avviata né minacciata alcuna azione esecutiva in forza delle ingiunzioni di pagamento oggetto di contestazione. Osservazioni Per comprendere appieno la portata della pronuncia in esame, occorre svolgere alcune considerazioni preliminari in ordine all'esecuzione esattoriale, disciplinata dal d.P.R. n. 602/1973. Anch'essa, al pari di quella ordinaria, si svolge in forza di un titolo esecutivo, rappresentato dal ruolo (per tale intendendosi l'elenco, formato dall'ufficio competente, dei debitori nei confronti degli enti creditori e delle somme dagli stessi dovute per capitale, sanzioni e interessi): poiché, come noto, l'avvio dell'espropriazione forzata dev'essere preceduta dalla notificazione del titolo esecutivo e del precetto, nella fase prodromica all'esecuzione esattoriale si colloca pure la notifica della cartella di pagamento, che contiene l'intimazione ad adempiere l'obbligo risultante dal ruolo nel termine di sessanta giorni e che assolve, pertanto, alla funzione propria del precetto. In tale contesto, la giurisprudenza ha qualificato l'impugnazione del ruolo, della cartella di pagamento, dell'intimazione o dell'ingiunzione di pagamento non regolarmente notificate in termini di azione di accertamento negativo della pretesa creditoria dell'amministrazione, in quanto volte a farne accertare l'insussistenza, per effetto ovvero in conseguenza dell'invalidità del procedimento diretto a dare ingresso all'azione esecutiva. Proprio per questo, occorre che chi propone l'impugnazione dimostri che vi è un interesse giuridicamente rilevante a fondamento della propria azione, che viene a coincidere con una situazione di obiettiva incertezza cui non può essere posto rimedio se non attraverso l'intervento del giudice. L'interesse ad agire, infatti, costituisce una delle condizioni dell'azione, la cui sussistenza o meno dev'essere rilevata d'ufficio; tanto più esso deve sussistere in quanto chi adisce l'autorità giudiziaria non mira a ottenere una modificazione della realtà giuridica (per il tramite di una pronuncia di condanna o di carattere costitutivo idonea a produrla), ma una statuizione diretta più semplicemente a definire il modo di essere della stessa, rimuovendo l'incertezza circa l'esistenza del rapporto giuridico dedotto in causa. In altre parole, per potere legittimamente proporre un'azione di accertamento negativo, occorre che vi sia una situazione d'incertezza e che la pronuncia giudiziale rappresenti l'unico modo idoneo a superarla. Nello specifico settore della riscossione, si è assistito, nel corso degli anni, a un proliferare smisurato di impugnazioni di atti spesso volte a fare valere eccezioni circa la regolarità degli stessi, senza che l'amministrazione si fosse nemmeno attivata per il recupero delle relative pretese creditorie o quando addirittura vi aveva abdicato perché l'inefficienza del sistema aveva determinato l'accumularsi di un magazzino e di una stratificazione di crediti vetusti non riscossi e, di fatto, insuscettibili di riscossione. Il legislatore è quindi intervenuto per porre un argine a queste iniziative, capaci di impegnare senza frutto le già scarse risorse del sistema Giustizia, stabilendo limiti all'impugnazione degli atti della riscossione che si assumono invalidi: nello specifico, con l'art. 3-bis, d.l. n. 146/2021, è stata sancita la non impugnabilità dell'estratto di ruolo, mentre la possibilità di impugnare il ruolo e la cartella di pagamento invalidamente notificata è stata limitata, nel senso che è ammessa a condizione che chi agisce in giudizio dimostri che gliene può derivare un pregiudizio nei casi tassativamente previsti dalla norma. Con l'introduzione di tale disposizione, il legislatore ha inteso contrastare la prassi di promuovere azioni giudiziarie anche a distanza di tempo assai rilevante dall'emissione delle cartelle e nonostante l'inattività dell'agente della riscossione, onde pervenire a una riduzione dell'imponente contenzioso generatosi; ciò, d'altro canto, non ha significato lasciare l'interessato privo di strumenti di reazione, nel caso in cui si presenti la necessità di reagire all'iniziativa esecutiva promossa nei suoi confronti, vista la possibilità di proporre, anche quando ne sia solo stato minacciato l'avvio, l'opposizione all'esecuzione (se si voglia contestare il diritto di agire in executivis) e l'opposizione agli atti esecutivi (se si voglia fare valere l'invalidità o l'illegittimità degli atti dell'esecuzione o di quelli a essa presupposti). Anche perché chi è venuto a conoscenza che esistono a suo carico atti della riscossione ai quali è sottesa una pretesa creditoria che reputa ingiusta o insussistente, può sollecitare l'amministrazione a intervenire in autotutela affinché li ponga nel nulla, senza che sia quindi necessario chiedere a un giudice di intervenire per produrre il medesimo risultato, a maggior ragione se nessuna iniziativa è stata avviata nei suoi confronti. I giudici di legittimità, ravvisando l'identità strutturale dell'ingiunzione di pagamento di cui all'art. 2, r.d. n. 639/1910 – che rappresenta lo strumento di cui i Comuni possono avvalersi ai fini del recupero delle somme dovute a titolo di sanzione amministrativa, affidando il relativo servizio ai propri concessionari – rispetto alla cartella di pagamento, in quanto atto prodromico e propedeutico all'esecuzione forzata, dal momento che la sua emissione e notifica consente l'attivazione dell'espropriazione in senso stretto o delle misure cautelari previste dalla procedura di riscossione coattiva disciplinata dal d.P.R. n. 602/1973, hanno quindi dichiarato applicabili alla prima i principi elaborati con riguardo alla seconda. Tra questi, nel caso di specie, assumeva valore dirimente, al fine di scrutinare l'opposizione proposta dal ricorrente, quello secondo cui non può impugnarsi la cartella conosciuta a mezzo dell'estratto di ruolo (e, dunque, non a seguito della sua rituale notifica), quando si deducano fatti estintivi successivi (quali la prescrizione del credito) in assenza di iniziative esecutive intraprese dall'amministrazione, non essendo ravvisabile una situazione di obiettiva incertezza che configuri un interesse all'azione di accertamento negativo concreto e attuale, ovvero giuridicamente rilevante. In questo senso, la deduzione e la dimostrazione, da parte di chi propone l'opposizione, di uno stato d'incertezza diviene elemento conformativo della domanda, non essendo sufficiente affermare l'acquisita conoscenza della pretesa di cui si assume l'intervenuta prescrizione, ma occorrendo specificare gli elementi dai quali emerga quell'incertezza che, sostanziando l'interesse ad agire, sorregge l'azione di accertamento negativo del credito dell'amministrazione. Tale azione, infatti, mira a ripristinare la certezza giuridica su un diritto, nel senso dell'affermazione dell'esistenza dello stesso o della negazione dell'esistenza di quello altrui, incrinata dall'avvenuto compimento di un atto di esercizio o di rivendicazione del diritto della cui inesistenza si invoca la declaratoria nei confronti del (disconosciuto) titolare che tale attività abbia posto in essere (che, come detto, nel settore della riscossione coattiva, va individuato nell'avvio o nella minaccia dell'azione esecutiva o cautelare). Conformemente al principio per cui il processo è necessariamente strumentale rispetto al diritto sostanziale, il bisogno della tutela giurisdizionale dichiarativa sorge allorquando esso sia messo in dubbio da un contegno altrui, cioè dal pregresso verificarsi di una contestazione o di un vanto idoneo ad arrecare al titolare del diritto quel pregiudizio consistente nello stato di incertezza così determinatosi che la proposizione dell'azione mira a neutralizzare; in caso contrario, l'azione di accertamento assumerebbe un inaccettabile carattere preventivo, in quanto diretta a prevenire ogni – astratto, futuro ed eventuale – dubbio sull'esistenza di un diritto e, come tale, priva di un reale ed effettivo interesse che ne sorregga la proposizione. La soluzione accolta dalla Corte di cassazione trova ulteriore conforto nell'osservazione per cui, quando il debitore intenda addurre fatti estintivi del credito successivi alla formazione del titolo, allorché nessuna iniziativa esecutiva sia stata intrapresa dall'amministrazione, l'azione di accertamento negativo deve reputarsi inammissibile anche in conseguenza della generale impossibilità di fare valere, in via di azione, la prescrizione del diritto: infatti, sebbene l'ordinamento consenta al soggetto passivo del rapporto di disporre dell'effetto estintivo, escludendone la rilevabilità d'ufficio, l'attribuzione al debitore della scelta se fare valere o meno l'estinzione della pretesa nei suoi confronti in dipendenza dell'inerzia del creditore prolungata nel tempo è strutturata nella forma dell'eccezione (artt. 2938 e 2939 c.c.), non potendo dunque essere fatta valere in via di azione (in questi termini, Cass. civ., sez. lav., 12 novembre 2019, n. 29294). Da ultimo, vale la pena rammentare che la prescrizione della pretesa creditoria dell'amministrazione integra un motivo di opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615 c.p.c., mentre l'effettiva e regolare notificazione della cartella (ovvero dell'ingiunzione) di pagamento assume il valore di atto interruttivo della prescrizione, che dev'essere dimostrato dall'agente della riscossione; a questo proposito, dalla rilevata inammissibilità – perché tardiva – dell'opposizione volta a fare valere l'irregolarità di tale notificazione (da proporsi nel termine perentorio di cui all'art. 617 c.p.c.) non può farsi discendere automaticamente l'integrazione della prova dell'interruzione della prescrizione, dal momento che la sopravvenuta preclusione alla rilevabilità del vizio da cui è affetto l'atto non può determinarne la sanatoria anche dal punto di vista sostanziale, sicché il giudice, nel valutare la fondatezza dell'eccezione di prescrizione, è tenuto a verificare in concreto se vi è la prova effettiva dell'avvenuta regolare notificazione, quale atto interruttivo della prescrizione, non potendo ritenerla dimostrata in positivo solo perché la rilevabilità del vizio è preclusa dalla sua tardiva deduzione (si veda, in proposito, Cass. civ., sez. III, 14 maggio 2024, n. 13304). |