Legge di Bilancio 2025: le principali misure adottate in materia di lavoro e previdenzaFonte: L. 30 dicembre 2024 n. 207
04 Gennaio 2025
La Legge di Bilancio 2025 (Legge 30 dicembre 2024, n. 207) introduce numerose novità in materia di lavoro, con l'obiettivo di stimolare l'economia, sostenere le famiglie e modernizzare il sistema previdenziale. Tra le modifiche principali spiccano quelle relative alla riduzione delle aliquote IRPEF, che passa da quattro a tre scaglioni, con l'aliquota più alta fissata al 43% per redditi superiori a 50.000 euro. Inoltre, sono introdotte limitazioni alle detrazioni fiscali per i redditi oltre i 75.000 euro, con un sistema che premia le famiglie con figli, mentre le spese sanitarie e quelle relative a start-up o PMI innovative restano esenti da tali limitazioni. Per quanto riguarda la previdenza, la Legge interviene sui requisiti per l'accesso alla NASpI, prevedendo un nuovo requisito contributivo per chi ha cessato volontariamente un rapporto di lavoro, e conferma le misure di pensionamento anticipato, come l'Opzione Donna e la Quota 103. La normativa riconosce anche un sostegno per le pensioni minime, con un aumento delle prestazioni nel 2025 e 2026. Novità anche per i lavoratori dipendenti e autonomi: vengono estesi gli sgravi previdenziali per le madri lavoratrici, sia dipendenti che autonome, e sono introdotte agevolazioni fiscali per i premi di produttività e per i fringe benefit destinati ai nuovi assunti. Per il settore turistico, è previsto un riconoscimento delle retribuzioni per straordinari e lavoro notturno, mentre un fondo speciale è destinato alle famiglie delle vittime di infortuni sul lavoro. Infine, un incremento delle risorse per l'apprendistato duale e un bonus natalità di 1.000 euro per le famiglie con ISEE sotto i 40.000 euro completano il quadro delle misure pensate per incentivare l'occupazione e supportare le famiglie. Di seguito un commento alle previsioni ritenute maggiormente rilevanti. Art. 1, comma 13: aumentata la soglia massima che consente l'applicazione del regime fortettario ai redditi da lavoro dipendente La Legge di Bilancio 2025 ha introdotto una sensibile modifica al regime forfettario, elevando la soglia di reddito da lavoro dipendente oltre la quale non è più possibile accedere a tale regime fiscale semplificato. In particolare, la soglia è stata portata da 30.000 euro a 35.000 euro. Questo cambiamento espande il numero di lavoratori dipendenti che possono beneficiare delle agevolazioni previste dal regime forfettario, che offre una tassazione semplificata e ridotte incombenze burocratiche. Art. 1, commi 81 – 86 della. Spese di trasferta e rappresentanza debbono essere sostenute con metodo di pagamento tracciabile La disposizione in esame stabilisce l'obbligo di utilizzare metodi di pagamento tracciabili, come carte di credito, bancomat o app di pagamento digitali, per le spese di trasferta (quali vitto, alloggio e viaggio), al fine di beneficiare della loro esenzione fiscale. In altre parole, per poter usufruire di rimborsi esenti da tassazione, è necessario che i pagamenti relativi a queste spese siano tracciabili. Qualora non venga rispettato questo requisito, le spese in questione non solo perderanno la possibilità di essere esentate da imposte, ma saranno rilevanti anche ai fini fiscali e previdenziali, con conseguente esclusione della loro deducibilità per il calcolo delle imposte IRAP e IRES. Questa norma mira a promuovere la trasparenza fiscale, incoraggiando l'uso di strumenti di pagamento elettronici che permettono di tracciare ogni transazione e di verificarne la legittimità. L'introduzione di tali obblighi si inserisce in un contesto di lotta all'evasione fiscale, in quanto le modalità di pagamento tracciabili consentono alle autorità fiscali di monitorare con maggiore efficacia i flussi finanziari e le spese aziendali. Art. 1, comma 161. Incentivo per la prosecuzione dell'attività lavorativa La misura che consente ai lavoratori dipendenti di scegliere, in determinate condizioni, di rinunciare all'accredito dei contributi previdenziali relativi all'assicurazione obbligatoria. La possibilità di rinunciare all'accredito contributivo riguarda esclusivamente i contributi a carico del lavoratore. Questo significa che, pur continuando a lavorare, il lavoratore potrà scegliere di non accumulare ulteriori contributi previdenziali. È una scelta che se, da un lato, implica la rinuncia all'aumento della futura pensione, dall'altro, consente di ottenere immediatamente un beneficio economico. Una volta esercitata l'opzione, infatti, il datore di lavoro non dovrà più versare la quota contributiva a carico del lavoratore agli enti previdenziali. L'importo corrispondente sarà, invece, interamente erogato al lavoratore sotto forma di una somma aggiuntiva nella busta paga. È interessante notare che il testo specifica che questa modifica decorre dalla prima data utile per il pensionamento, creando una correlazione diretta tra l'esercizio dell'opzione e il momento in cui il lavoratore potrebbe accedere al trattamento pensionistico. Questa misura offre, dunque, un duplice vantaggio al lavoratore, ossia un incremento immediato del reddito disponibile (grazie alla somma aggiuntiva corrispondente ai contributi non versati) e la possibilità di continuare a lavorare senza modificare la propria posizione rispetto al pensionamento, dato che i requisiti minimi per accedere alla pensione sono già stati maturati. Tuttavia, la rinuncia ai contributi comporta una riduzione dell'importo finale della pensione rispetto ai casi di successivo ricalcolo o integrazione. Pertanto, la scelta deve essere ponderata sulla base di una valutazione dei vantaggi immediati rispetto agli effetti di lungo termine sul trattamento pensionistico. Dal punto di vista degli enti previdenziali, questa misura riduce l'afflusso di contributi nel periodo in cui il lavoratore rimane in servizio dopo aver maturato i requisiti pensionistici. Tuttavia, potrebbe alleggerire il carico pensionistico nel lungo periodo, poiché la rinuncia ai contributi aggiuntivi implica una minore rivalutazione della pensione futura. Art. 1, comma 171. Un nuovo requisito contributivo da soddisfare per accedere alla prestazione NASpI La misura introduce un requisito specifico: il lavoratore deve aver accumulato almeno tredici settimane di contribuzione tra la cessazione volontaria del primo rapporto e la cessazione involontaria del secondo, purché entrambi i rapporti si siano conclusi entro un arco temporale di dodici mesi. Questa condizione è rilevante, poiché mira a garantire che il lavoratore abbia effettivamente svolto un'attività lavorativa significativa nel periodo tra i due rapporti di lavoro, evitando così il ricorso opportunistico alla NASpI. La norma ha una dichiarata finalità anti-abusiva. Il legislatore intende contrastare uno specifico comportamento illecito che alcuni lavoratori e datori di lavoro mettevano in atto: il lavoratore, dopo aver rassegnato dimissioni volontarie, si faceva riassumere per un breve periodo da un altro datore di lavoro che, in esecuzione di un disegno comune, procedeva, poi, a licenziarlo per permettergli di ottenere la NASpI utilizzando i contributi maturati nel precedente impiego. Questa pratica rappresentava un evidente abuso del sistema previdenziale che consentiva al lavoratore di ottenere un'indennità senza aver realmente subito un'interruzione involontaria del rapporto di lavoro. L'introduzione del requisito contributivo aggiuntivo dovrebbe, nell'intenzione del legislatore, ridurre drasticamente la possibilità di simili abusi, poiché richiede al lavoratore di maturare tredici settimane di contribuzione effettiva dopo la cessazione volontaria del primo rapporto di lavoro. Questo periodo di contribuzione rappresenterebbe, a giudizio degli estensori, una barriera sufficiente a scoraggiare comportamenti opportunistici, ancorché non eccessivamente penalizzante per quei lavoratori che, per motivi legittimi, si trovino a dover cambiare lavoro volontariamente e subiscano successivamente un licenziamento involontario. Tuttavia, l'applicazione della norma pare richiedere un opportuno e costante monitoraggio per verificare che, in concreto, non nuocia a lavoratori in situazioni di genuina transizione occupazionale. Un ulteriore miglioramento potrebbe consistere nell'introduzione di chiarimenti operativi per datori di lavoro e lavoratori, al fine di garantire una corretta interpretazione e applicazione della norma. Art. 1, commi 181 – 185. Pensione anticipata mediante l'impiego della rendita della pensione complementare La misura è rivolta ai lavoratori che rientrano interamente nel regime contributivo, ossia coloro il cui trattamento pensionistico si basa esclusivamente sui contributi versati durante la vita lavorativa. Questa disposizione offre la possibilità di anticipare il pensionamento sfruttando una combinazione tra la pensione ordinaria maturata e la rendita derivante dalla pensione complementare, a condizione che tale integrazione consenta di raggiungere la soglia di trattamento minimo prevista dalla normativa. Tale intervento è particolarmente interessante perché introduce una nuova forma di flessibilità nel sistema pensionistico, consentendo ai lavoratori di accedere alla pensione prima del raggiungimento dei requisiti ordinari, purché abbiano maturato almeno 25 anni di anzianità contributiva. Questa possibilità rappresenta un vantaggio significativo per chi ha costruito un piano di previdenza complementare, poiché permette di valorizzare i risparmi accumulati nel tempo al fine di anticipare il pensionamento. Tuttavia, va notato che il requisito di 25 anni di contribuzione sarà valido solo fino al 2030. A partire da quella data, il requisito minimo di contribuzione verrà innalzato a 30 anni, rendendo questa opzione accessibile solo a una platea più ristretta di lavoratori. L'innalzamento del requisito appare coerente con l'evoluzione demografica e con l'aumento dell'aspettativa di vita, ma potrebbe penalizzare alcune categorie di lavoratori, soprattutto coloro che hanno carriere lavorative discontinue o che hanno iniziato a lavorare più tardi. Un aspetto centrale della norma è l'incentivazione all'utilizzo della pensione complementare come strumento per anticipare l'uscita dal mercato del lavoro. Questa scelta risponde, da una parte, all'esigenza di incentivare l'adesione a fondi pensione complementari, stimolando i lavoratori a costruire una seconda forma di previdenza in grado di integrare quella pubblica e, dall'altra, proprio a garantire la sostenibilità del sistema previdenziale pubblico, riducendo l'onere a carico dello Stato, poiché l'anticipo della pensione sarà possibile solo se il lavoratore dispone di risorse private sufficienti a raggiungere il trattamento minimo previsto. Questa disposizione rappresenta un'opportunità per i lavoratori che desiderano anticipare l'uscita dal mondo del lavoro senza attendere il raggiungimento dei requisiti ordinari di pensionamento. Tuttavia, l'opzione è riservata a chi ha costruito una pensione complementare significativa. In mancanza di tale risparmio privato, la misura non offre alcun beneficio. Art. 1, commi 206 – 208. Bonus una tantum per nuove nascite Sebbene tale bonus rappresenti un aiuto immediato per le famiglie, il suo impatto reale sull'aumento della natalità potrebbe essere limitato. Un incentivo una tantum di 1.000 euro difficilmente inciderà in modo significativo sulla decisione di ampliare il nucleo familiare della popolazione interessata, considerando che tale scelta dipende da numerosi fattori, tra cui la disponibilità di servizi pubblici, la possibilità di conciliare lavoro e famiglia, e il livello complessivo di supporto economico a lungo termine. La misura presenta, dunque, evidenti criticità, quali il carattere temporaneo e limitato del sostegno, nonché il valore di soglia ISEE identificato per la relativa applicazione (ossia 40.000 euro per nucleo familiare) che, sebbene consenta di indirizzare il beneficio verso le famiglie più vulnerabili, potrebbe escludere una parte significativa di famiglie della classe media che, pur avendo redditi leggermente superiori, incontrano comunque difficoltà economiche nel crescere figli. In sintesi, il bonus di 1.000 euro una tantum rappresenta un intervento positivo nell'ottica di fornire un aiuto immediato alle famiglie in occasione della nascita di un figlio, ma, allo stesso tempo, insufficiente da solo per affrontare il complesso problema del calo della natalità nel Paese. Per massimizzarne l'efficacia, sarebbe opportuno integrarlo con politiche di sostegno a lungo termine e interventi strutturali mirati a ridurre il costo della genitorialità e a migliorare la qualità della vita delle famiglie con figli, come il finanziamento di servizi per l'infanzia accessibili e di qualità (asili nido, scuole materne), contributi continuativi per il mantenimento dei figli e incentivi al lavoro femminile e politiche di conciliazione tra vita lavorativa e familiare. Art. 1, commi 217 – 218. Congedi parentali La misura presenta diversi aspetti positivi. Innanzitutto, aumentando l'indennità fino all'80%, si riduce il disincentivo economico per i lavoratori che intendono usufruire del congedo parentale. Questo è particolarmente importante per le famiglie in cui il reddito di uno dei due genitori rappresenta una componente fondamentale del bilancio familiare. Inoltre, il potenziamento dell'indennità potrebbe favorire un maggiore ricorso al congedo parentale da parte dei padri, contribuendo a una distribuzione più equilibrata dei compiti di cura all'interno della famiglia. Infine, l'estensione dell'indennità elevata ai primi sei anni di vita del bambino riconosce l'importanza di questo periodo nello sviluppo infantile e mira a garantire una maggiore presenza dei genitori durante i primi anni. Nonostante quanto precede, si ritiene che la misura sia ancora troppo “timida” e presenti alcune criticità. In particolare, il beneficio si applica solo a tre mesi di congedo, il che potrebbe risultare insufficiente per coprire le esigenze di molte famiglie, soprattutto se confrontato con i modelli di welfare di altri Paesi europei che prevedono congedi parentali più lunghi e maggiormente indennizzati. Va, inoltre, considerato che la misura potrebbe risultare poco accessibile per i lavoratori autonomi o precari, che già in precedenza hanno incontrato difficoltà nell'utilizzo del congedo parentale, a causa delle minori tutele previste rispetto ai lavoratori dipendenti. Sarebbe opportuno prevedere strumenti di sostegno specifici più congrui anche per queste categorie. Infine, nonostante il maggiore incentivo economico, resta il problema della cultura aziendale: in alcuni contesti lavorativi, soprattutto privati, la fruizione del congedo parentale da parte dei padri potrebbe continuare a essere scoraggiata, riducendo l'efficacia della misura. Art. 1, commi 219 – 220. Decontribuzione valida per le lavoratrici madri subordinate estesa anche alle autonome La norma mira a garantire una maggiore equità di trattamento tra lavoratrici dipendenti e autonome, estendendo a queste ultime il beneficio della decontribuzione già previsto per le madri lavoratrici assunte con contratto subordinato. L'obiettivo è incentivare la partecipazione femminile al mercato del lavoro, riducendo gli oneri contributivi che gravano sulle lavoratrici autonome e imprenditrici, in particolare in un momento delicato come quello della maternità. Restano escluse le lavoratrici che adottano il regime di tassazione forfetario, verosimilmente a causa delle peculiarità fiscali e contributive proprie di tale regime, che già prevede aliquote agevolate. Questa esclusione potrebbe, tuttavia, generare disparità tra le lavoratrici autonome, poiché molte professioniste, pur producendo redditi modesti, scelgono il regime forfetario proprio per contenere il carico fiscale. Sarà, inoltre, fondamentale definire con precisione le modalità di applicazione della decontribuzione, soprattutto per le lavoratrici che percepiscono redditi da partecipazione, poiché tale tipologia reddituale presenta caratteristiche peculiari rispetto al lavoro autonomo in senso stretto. Art. 1, comma 385. Premi produttività e partecipazione agli utili La disposizione mira a incentivare la contrattazione aziendale e la partecipazione dei lavoratori ai risultati economici dell'impresa, riducendo il carico fiscale sulle somme erogate ai dipendenti a titolo di premi di risultato e partecipazione agli utili. In questo modo, si intende favorire la produttività aziendale, riconoscendo un vantaggio economico sia alle imprese, che possono beneficiare di una maggiore motivazione dei dipendenti, sia ai lavoratori, che ricevono una quota più elevata del premio grazie alla minore incidenza fiscale. La riduzione dell'aliquota IRPEF al 5% per i premi di risultato e la partecipazione agli utili rappresenta certamente una misura positiva per stimolare la produttività aziendale e incentivare la partecipazione dei lavoratori ai successi economici dell'impresa. Tuttavia, la natura temporanea dell'agevolazione limita la prevedibilità e la stabilità del vantaggio fiscale, riducendo l'incentivo di lungo termine per le imprese a introdurre o ampliare sistemi di premi di produttività. La temporaneità potrebbe, dunque, generare un aumento delle richieste di premi nel breve periodo, senza garantire un effetto strutturale sulla produttività. Sarebbe, dunque, auspicabile una stabilizzazione della misura. Art. 1, commi 386 – 389. Fringe-benefit per i nuovi assunti L'obiettivo principale di questa misura è ridurre il carico fiscale per i lavoratori neoassunti con contratto a tempo indeterminato, incentivando nel contempo l'utilizzo di parte della retribuzione per il pagamento di spese legate all'abitazione, come canoni di locazione e spese di manutenzione. Si tratta di una misura che può avere un duplice effetto positivo: favorire il supporto economico ai lavoratori in una fase di assunzione e sostenere il mercato delle locazioni. La possibilità di escludere dalla tassazione una parte della retribuzione destinata a spese abitative può rappresentare un aiuto concreto per i lavoratori appena assunti, in particolare quelli che potrebbero trovarsi in una fase iniziale di inserimento nel mercato del lavoro, quando le spese per l'affitto o per la manutenzione della casa possono rappresentare un onere significativo. Le imprese, inoltre, potrebbero essere invogliate ad assumere lavoratori a tempo indeterminato, in quanto possono offrire un beneficio economico sotto forma di esenzione fiscale. Questo potrebbe contribuire a incrementare l'occupazione stabile, un obiettivo cruciale in un contesto di disoccupazione giovanile tuttora elevata. Tuttavia, il carattere temporaneo dell'agevolazione potrebbe limitarne l'impatto positivo nel lungo periodo. I lavoratori potrebbero non sentirsi incentivati a lungo termine a destinare somme per tali spese, se la misura non è strutturale o se non viene rinnovata negli anni successivi. Potrebbero sorgere, inoltre, difficoltà applicative nella definizione precisa delle spese ammissibili, come quelle relative alla manutenzione strutturale degli immobili. La gestione delle richieste di esenzione fiscale potrebbe, dunque, risultare complessa per le imprese e per i lavoratori. Sarebbe, pertanto, auspicabile che, in prospettiva, si consideri una strutturazione più stabile di questo tipo di interventi, accompagnata da una regolamentazione di dettaglio che ne faciliti l'applicazione. Art. 1, commi 390 – 39. Detassazione fringe benefit La conferma del regime transitorio di favore sui fringe benefit è una misura che offre un aiuto tangibile a lavoratori e famiglie, incentivando l'adozione di benefit aziendali legati ai costi quotidiani come le utenze domestiche e le spese per l'abitazione. Sebbene la temporaneità della misura e i limiti sui benefici possano ridurre l'impatto sul lungo periodo, essa rappresenta comunque un passo positivo verso il sostegno alle famiglie. Si potrebbe, comunque, auspicare una strutturazione permanente di queste agevolazioni per garantire un sostegno continuativo ai lavoratori e alle loro famiglie. Art. 1, commi 396 – 398. Detassazione straordinari e lavoro notturno Il legislatore, con questa disposizione, cerca di intervenire per sostenere le imprese operanti nei settori turistico, ricettivo e termale, che, da tempo, affrontano difficoltà nel reperire personale qualificato. Questi settori, infatti, sono caratterizzati da una domanda stagionale e fluttuante di lavoro, oltre che da turni spesso disagiati, come quelli notturni o straordinari. La misura ha, quindi, l'obiettivo di incentivare l'impiego di personale in questi ambiti, alleggerendo al contempo il carico fiscale per le imprese e i lavoratori stessi. Tuttavia, la durata limitata dell'incentivo, che si applica solo nel periodo tra gennaio e settembre 2025, sembrerebbe non essere sufficiente per ottenere risultati strutturali e duraturi nella risoluzione della predetta carenza di personale. Le imprese potrebbero, pertanto, continuare a trovarsi in difficoltà al termine di questa misura se non saranno presi altri provvedimenti di lungo termine per stimolare il mercato del lavoro in questo settore. Inoltre, l'intervento è limitato ai settori turistico, ricettivo e termale, lasciandone fuori altri che parimenti affrontano difficoltà legate al lavoro notturno o straordinario (ristorazione ed esercizi commerciali, per fare alcuni esempi). Tale selettività pare creare, quindi, squilibri e disparità di trattamento non giustificati tra i lavoratori dei diversi settori produttivi. Infine, sebbene l'incentivo previsto per il lavoro notturno e straordinario rappresenti un indubbio vantaggio per i lavoratori e le imprese, potrebbe comportare oneri fiscali considerevoli per lo Stato, poiché la parte (non marginale) della retribuzione non sottoposta a imposizione non contribuisce al gettito fiscale. In questo contesto, sarebbe, dunque, opportuno valutarne attentamente gli effetti sul bilancio statale e ponderare eventuali soluzioni per garantire la sostenibilità di tale beneficio senza compromettere le finanze pubbliche. Art. 1, commi 2 – 9. Modifica strutturale del numero delle aliquote IRPEF La riforma del cuneo fiscale segna un cambiamento di paradigma: da una misura di tipo contributivo/previdenziale, il taglio si trasforma in una misura fiscale diretta. Ora, i lavoratori con redditi fino a 20.000 euro beneficiano di indennità esentasse, mentre per i redditi tra i 20.000 e i 40.000 euro è previsto un sistema di detrazioni fiscali che diminuisce progressivamente. Questo intervento amplia significativamente la platea dei beneficiari, estendendo il supporto anche a chi guadagna fino a 40.000 euro, a fronte dei 32.000 euro previsti in passato.. Art. 1, commi 10. Limiti alle detrazioni per chi percepisce redditi superiori a 75.000 euro La Legge prevede che per i percettori di redditi superiori a 75.000 euro vengano introdotti dei limiti per l'accesso alle detrazioni fiscali. Questi limiti sono calcolati in base al reddito complessivo del contribuente e al numero di figli nel nucleo familiare. Tuttavia, come specificato nell'art. 1, comma 10 della Legge, tali restrizioni non si applicano a determinate spese, tra cui le spese sanitarie detraibili, gli investimenti in start-up e PMI innovative, nonché gli oneri derivanti da prestiti o mutui contratti entro il 31 dicembre 2024. Questa misura pare, quindi, mirare a ridurre i benefici fiscali per i redditi più elevati, determinando una forma di redistribuzione fiscale, dove il beneficio viene indirizzato maggiormente verso le fasce di reddito più basse e medie. Tuttavia, l'esclusione di alcune spese, come quelle sanitarie e gli investimenti in PMI, risulta strategica per evitare effetti distorsivi sul sistema economico e incentivare comportamenti virtuosi, come l'investimento in nuove imprese. Art. 1, comma 11. Detrazioni per familiari a carico La modifica introdotta dalla Legge di Bilancio 2025 riguardo le detrazioni fiscali per i familiari a carico si configura come una misura di sostegno economico mirata a rispondere alle esigenze di famiglie con figli adulti o con persone con disabilità, nonché di coloro che si occupano di ascendenti a carico. In particolare, l'adeguamento delle detrazioni introduce un importo di 950 euro per ogni figlio di età compresa tra 21 e 30 anni, con estensione anche ai figli over 30 anni con disabilità accertata. Questa modifica va a riconoscere il fatto che, nonostante l'uscita dell'individuo dalla minore età, molte famiglie continuino a sostenere economicamente i propri figli, in particolare in contesti di difficoltà di accesso al mercato del lavoro o di disabilità. Al contempo, viene introdotta una detrazione di 750 euro, da ripartire tra tutti i soggetti che se ne occupano, nel caso in cui si prenda in carico un ascendente, come i genitori, nonni o altri familiari anziani che necessitano di assistenza. Si tratta, dunque, di un intervento che mira a rispondere alla crescente necessità di supporto economico per chi si fa carico di familiari non autosufficienti, un fenomeno che riguarda un numero sempre più ampio di famiglie, in particolare alla luce dell'invecchiamento della popolazione. Con queste modifiche, il legislatore amplia il concetto di "famiglia a carico", riconoscendo una realtà sociale ed economica che va oltre i figli minorenni per estendere il vantaggio fiscale in discussione ad altre ipotesi, ormai socialmente frequenti, di dipendenza economica riguardanti il contribuente. |