L’introduzione di una scheda SIM all’interno di un istituto penitenziario

Leonardo Degl'Innocenti
08 Gennaio 2025

La Suprema Corte si è occupata di stabilire se la sola scheda SIM possa rientrare nella locuzione di «apparecchio telefonico» o «altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni» con la conseguenza che la sua introduzione in carcere configurerebbe il reato di cui all'art. 391-ter c.p.

Massima

L'introduzione in carcere di una scheda SIM (acronimo inglese di Subscriber Identity Module e cioè modulo d'identità dell'abbonato) non integra gli estremi del reato di cui all'art. 391-ter c.p. non costituendo la stessa un «apparecchio telefonico» o «un dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni».

Il caso

L'imputata aveva introdotto all'interno di un Istituto penitenziario, ove si era recata per intrattenere un colloquio con il proprio compagno ivi ristretto, una scheda SIM, dalla stessa occultata nel reggiseno, al fine di consegnarla al detenuto.

L'imputata era stata pertanto rinviata a giudizio, innanzi al Tribunale di Campobasso, per rispondere del delitto di “accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti” ex art. 391-ter c.p.

Il Tribunale di Campobasso aveva assolto l'imputata non avendo ritenuto configurabile il reato contestato.

Il Procuratore Generale presso la Corte di appello di Campobasso aveva proposto ricorso immediato per cassazione avverso la sentenza di assoluzione deducendo, con un unico motivo, il vizio di violazione di legge in relazione alla erronea esclusione della configurabilità del predetto reato sostenendo che la scheda SIM, senza la quale un dispositivo mobile non può funzionare, rientri nella nozione di «dispositivo idoneo alla comunicazione» e, inoltre, che «che una diversa interpretazione renderebbe prive di sanzione penale condotte consistenti nell'introduzione in carcere, in tempi diversi, di parti di dispositivi mobili che, una volta ricomposti dal detenuto, potrebbero essere impiegati per la comunicazione con l'esterno». 

Con requisitoria scritta il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione aveva chiesto l'accoglimento del ricorso evidenziando come la scheda SIM integri gli estremi del reato contestato in quanto la norma incriminatrice non specifica se gli apparecchi telefonici e gli altri dispositivi idonei a effettuare comunicazioni debbano, di per sé soli, consentire la comunicazione e non distingue lo strumento, nella sua interezza, dalle sue singole parti.

La Corte di cassazione con sentenza del 11.09.2024, n. 42941 ha rigettato il ricorso avendolo ritenuto infondato.

La questione

La decisione in esame affronta la questione se sia possibile fare rientrare la sola scheda SIM nella locuzione di «apparecchio telefonico» o «altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni» con la conseguenza che la sua introduzione in carcere configurerebbe il reato di cui all'art. 391-ter c.p., norma introdotta dall'art. 9 del decreto legge 22 ottobre 2020, n. 193 (c.d. decreto “immigrazione-sicurezza”), convertito con modificazioni nella legge 18 dicembre 2020, n. 173, al fine di contrastare, come emerge dai lavori preparatori, il diffuso fenomeno dell'introduzione e dell'utilizzo in carcere di dispositivi utilizzabili da parte di soggetti sottoposti a regime detentivo ordinario per effettuare comunicazioni con l'esterno diverse da quelle specificamente autorizzate, non essendo risultato praticabile, per ragioni tecniche ed economiche, procedere a una schermatura degli istituti penitenziari.

La norma incriminatrice al primo comma prevede che, fuori dei casi previsti dall'art. 391-bis c.p., chiunque indebitamente procura ad un detenuto un «apparecchio telefonico» o «altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni» o comunque consente a costui l'uso indebito dei predetti strumenti o introduce in un istituto penitenziario uno di tali strumenti al fine di renderlo disponibile a una persona detenuta è punito con la pena della reclusione da uno a quattro anni.

Il secondo comma della norma stabilisce che si applica la pena della reclusione da due a cinque anni se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale, da un incaricato di pubblico servizio ovvero da un soggetto che esercita la professione forense.

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, la pena prevista dal primo comma si applica, giusto il disposto del terzo comma dell'art. 391-ter c.p., anche al detenuto che indebitamente riceve o utilizza un «apparecchio telefonico» o «altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni».

Con specifico riferimento all'elemento soggettivo del reato, ha evidenziato la sentenza in commento come il primo comma dell'art. 391-ter c.p. costituisca un reato comune che nella fattispecie aggravata, contemplata dal secondo comma, diventa proprio.

Quanto all'elemento oggettivo ha parimenti evidenziato la menzionata sentenza che il primo comma prevede tre condotte, sopra descritte, tra loro alternative e il terzo comma due condotte, sempre sopra indicate, tra loro alternative con riferimento alle quali il reato si caratterizza quale reato a concorso necessario.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione ha risposto negativamente alla questione prospettata.

A questo riguardo la S.C. ha, innanzitutto, proceduto ad analizzare la funzione della scheda SIM e ha osservato come la stessa costituisca un accessorio che può essere inserito all'interno di un telefono cellulare (incluso uno smartphone) o di altri dispositivi quali, ad esempio, il tablet, il router portatile e una scheda internet, consentendo così di accedere al servizio fornito da un operatore di telefonia (comunicazione e/o navigazione internet).

Il Giudice di legittimità ha, poi, aggiunto che la scheda SIM, da un lato, è un accessorio di un dispositivo non indispensabile per effettuare comunicazioni «potendosi, ad esempio, accedere ad internet attraverso un telefono, un “tablet” o anche un “personal computer”, condividendo la connessione alla rete con altro dispositivo munito di scheda SIM, attraverso la funzione di hotspot disponibile nelle impostazioni del singolo dispositivo mobile», dall'altro, se non inserita in un dispositivo non è di per sé idonea a consentire di svolgere comunicazioni.

Ancora, è stato osservato che quando il legislatore ha voluto sanzionare condotte riferite a parti di determinati beni, così arretrando la soglia di rilevanza penale delle condotte tipiche, lo ha previsto espressamente come, ad esempio in tema di armi ove sono state espressamente sanzionate, ai sensi dell'art. 1 della legge 2 ottobre 1967, n. 895, le condotte di fabbricazione, introduzione nello Stato, vendita o cessione, senza la licenza dell'autorità, di armi da guerra o tipo guerra o di parti di esse o, ex art. 2 stessa legge, la loro detenzione.

Da quanto esposto consegue che, in difetto di un'espressa previsione di legge, l'ampliamento delle locuzioni utilizzate dal legislatore «apparecchio telefonico ” e «altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni ” sino a comprendervi la scheda SIM si risolverebbe non in un'interpretazione estensiva di dette locuzioni «bensì in una non consentita operazione di estensione analogica della fattispecie incriminatrice e, dunque, nella violazione dei principi di riserva di legge e di determinatezza della fattispecie nonché, conseguentemente, della correlata garanzia “soggettiva”, riconosciuta ad ogni consociato, della prevedibilità delle conseguenze della propria condotta (cfr. C. cost., n. 98/2021)».

La locuzione «apparecchio telefonico» si riferisce, infatti, a tutti i dispositivi che consentono la comunicazione a distanza tra gli utilizzatori e, quindi, non soltanto ai telefoni fissi, ai telefoni mobili ed agli smartphone ma anche tutte le successive evoluzioni tecnologiche dell'apparecchio quali, ad esempio, i c.d. “criptofonini”.

Di converso, la locuzione «altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni» si riferisce agli altri dispositivi, che, pure essendo diversi dagli apparecchi telefonici, sono loro accomunati dalla medesima destinazione funzionale.

Nessuna delle due predette locuzioni può, dunque, comprendere la scheda SIM come confermato sia dalla struttura della norma che prevede tali dispositivi utilizzando la congiunzione disgiuntiva “o” sia dalla circostanza che anche da un punto di vista semantico il termine dispositivo si riferisce a un apparecchio, un congegno o un apparato destinato a svolgere una determinata funzione, nel caso di specie quella di consentire l'effettuazione di comunicazioni.

Ha, pertanto, affermato la Corte di cassazione che «l'alternativa previsione, quale oggetto materiale delle condotte incriminate, degli “altri dispositivi idonei ad effettuare comunicazioni” non può, dunque, riferirsi a “parti” degli apparecchi telefonici, ma risponde ad una esigenza di tecnica legislativa volta a ricomprendere in un'unica locuzione tutti i dispositivi diversi dagli apparecchi telefonici, sia attualmente disponibili sul mercato che frutto di una futura evoluzione tecnologica, che sono connotati dalla medesima destinazione funzionale, evitando, così, sia una pesante elencazione dei dispositivi vietati che continui interventi normativi di adattamento dell'oggetto delle condotte incriminate al progresso tecnologico»,  tecnica che è stata parimenti utilizzata, ad esempio, quando è stata prevista, ex art. 148 c.p.p. come modificato dal d.lgs. 10 ottobre 2020 n. 150, quale modalità principale di esecuzione delle notificazioni di atti da parte della cancelleria quella telematica.

Anche in tale caso il legislatore non ha, infatti, ritenuto opportuno individuare specificamente le singole modalità telematiche utilizzabili, proprio al fine, come indicato nella Relazione illustrativa al predetto d.lgs., di evitare continue modifiche al codice di procedura.

La S.C. ha, poi, rilevato che la descritta conclusione appare coerente con la ratio della norma incriminatrice di impedire indebite comunicazioni da parte dei detenuti tanto tra loro quanto all'esterno e con la natura istantanea del reato in questione.

Il reato di cui all'art. 391-ter c.p., invero, ha natura istantanea e si consuma nel momento e nel luogo in cui, alternativamente, viene procurato, introdotto o acconsentito l'uso da parte del detenuto di un «apparecchio telefonico» o di un «altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni»,  momento in cui diventa concreto il pericolo di indebite comunicazioni con terzi evento che costituisce un'elusione delle disposizioni che regolamentano i colloqui telefonici dei detenuti e che si verifica nel caso in cui la condotta sia consistita nell'avere consentito al detenuto di utilizzare il dispositivo.

La natura istantanea del reato impone, di conseguenza, che, qualunque sia la fattispecie ricorrente nel caso esaminato, l'apparecchio o il diverso dispositivo sia completo e di per sé idoneo a consentire una comunicazione.

Ancora, ha sottolineato la Corte di cassazione che, ove la norma dell'art. 391-ter c.p. venisse interpretata nel senso di ritenere sanzionabile anche la mera ricezione della sola scheda SIM, la tutela penale verrebbe estesa a fatti privi di offensività.

Con specifico riferimento alla condotta di “utilizzazione” la stessa risulta, poi, logicamente inconciliabile con le caratteristiche tecniche della scheda SIM e cioè di un bene che è di per sé inidoneo ad effettuare comunicazioni.

Ulteriore conferma della più volte ricordata soluzione risulta infine, oltre che dalle conclusioni raggiunte dalla dottrina, dall'esame dei lavori preparatori dai quali emerge come il legislatore abbia preso in considerazione gli apparecchi telefonici nella loro unitarietà ed «è stato analizzato il regime sanzionatorio antecedente all'entrata in vigore del d.l. n. 130 del 2020 proprio in merito alla messa a disposizione di un telefono cellulare a favore di un detenuto, distinguendosi tra la possibile configurabilità del reato di favoreggiamento per colui che ne avesse agevolato le comunicazioni con l'esterno e il solo illecito disciplinare ravvisabile in relazione al possesso di telefoni cellulari da parte dei detenuti (cfr. art. 14 d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230)».

Da ultimo il Giudice di legittimità ha evidenziato come la conclusione raggiunta in merito al significato delle due locuzioni utilizzate dal legislatore non riguarda l'ipotesi in cui, ad esempio, contestualmente alla introduzione di una scheda SIM in carcere, venisse rinvenuto nella disponibilità del detenuto un dispositivo ove la stessa potrebbe essere inserita in modo da consentire di comunicare con terzi oppure venisse accertato che il detenuto era in grado di fare “affidamento” su un dispositivo di un operatore penitenziario “compiacente” o corrotto.

In tale ipotesi troverebbe, pertanto, applicazione la norma incriminatrice in esame diversamente «da tutte le diverse condotte connotate, per lo più, dal frazionamento del singolo dispositivo o, ad esempio, dall'introduzione in tempi diversi delle singole parti così ottenute», condotte che pur essendo coerenti con la ratio della disposizione dettata dall'art. 391-ter c.p. contrastano, come già evidenziato, con i principi di legalità e di tassatività «spettando al solo legislatore la valutazione in merito alla eventuale modifica della norma incriminatrice e, in particolare, all'estensione dell'oggetto materiale delle condotte tipizzate anche alle parti o agli accessori dei dispositivi destinati alle comunicazioni».

A questo proposito occorre sottolineare come il Giudice di primo grado, dopo avere affermato che la sola scheda SIM priva di un apparecchio telefonico che la renda utilizzabile non può essere considerata un «dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni», abbia evidenziato che nel caso di specie era stato accertato non soltanto che detta scheda, rinvenuta in possesso della prevenuta era intestata alla medesima (non di provenienza illecita) e non era munita di alcun dispositivo finalizzato al suo utilizzo, ma anche che «gli agenti riferivano che, sia nei giorni precedenti che successivi ai colloqui, all'esito delle perquisizioni ordinarie e straordinarie, effettuate nei confronti del detenuto, non veniva accertato in possesso di cellulare o altro dispositivo idoneo all'utilizzo della riferita Sim».

Osservazioni

Occorre, innanzitutto, osservare come la fattispecie di cui all'art. 391-ter c.p. non trovi applicazione, al pari di quella prevista dall'art. 391-bis c.p., nel caso di accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti internati in una R.E.M.S. (residenza per l'esecuzione di una misura di sicurezza detentiva) o in una casa di lavoro o in una colonia agricola in quanto sottoposti a una misura di sicurezza detentiva.

Ciò premesso, deve anche essere aggiunto come la sentenza in esame implicitamente riconosca come, il concorso tra le fattispecie penali previste dai menzionati artt. 391-bis e 391-ter c.p. e l'illecito disciplinare configurabile in conseguenza dell'elusione delle disposizioni che regolamentano i colloqui, non costituisca una violazione del principio del ne bis in idem di cui all'art. 649 cpv. c.p., e cioè del divieto di un secondo giudizio (cfr. in questo senso, in dottrina, A. Della Bella, Art. 391-ter, in E. Dolcini - G.L. Gatta, Codice penale commentato, Milano, 2011, p. 1912, secondo il quale la nuova fattispecie di reato svolge «una apprezzabile funzione generale, in merito a fatti che prima della riforma … potevano essere puniti solo in forza di un illecito disciplinare»; in argomento cfr., anche per una breve rassegna della giurisprudenza della S.C. di Cassazione sul tema, L. Degl'Innocenti-F. Faldi, I telefoni cellulari in carcere: le novità introdotte dal decreto immigrazione sicurezza, in IUS Penale, 19.7.2022).

Quanto al fatto che con, riferimento alla condotta del detenuto il quale riceve o utilizza un apparecchio telefonico o un altro dispositivo idoneo alla comunicazione, descritta al terzo comma dell'art. 391-ter c.p., il reato si caratterizza, secondo quanto evidenziato dalla Corte di cassazione, quale reato a concorso necessario proprio, è opportuno ricordare come nella giurisprudenza di merito sia stato affermato che tra le condotte punite dall'art. 391-ter c.p. ve ne siano due che non appaiono costituire fattispecie di reato a concorso necessario e cioè:

  • quella di colui che introduce in un istituto penitenziario il dispositivo e che potrebbe essere persona diversa da quella che materialmente lo procura al detenuto o consente al medesimo di utilizzarlo;
  • quella del detenuto che si limita ad utilizzare l'apparecchio senza sapere chi materialmente glielo ha fatto ricevere conoscendo solo l'identità del mittente (cfr., in questo senso, Tribunale di Siena, in composizione monocratica,11.3.2022).

Ancora, occorre ricordare come i commi 1 e 3 dell'art. 391-ter c.p. contemplino una clausola di riserva posto che le ipotesi previste dal comma 1 sono configurabili, secondo quanto già ricordato, fuori dei casi previsti dall'art. 391-bis c.p. mentre le ipotesi descritte nel comma 3 sono configurabili salvo che il fatto costituisca più grave reato.

Le norme dell'art. 391-bis c.p. e dell'art. 391-ter, comma 1, c.p. si pongono dunque in rapporto di specialità reciproca e, per scelta del legislatore, il detenuto sottoposto alle restrizioni di cui all'art. 41-bis Ordinamento penitenziario che accede indebitamente a un telefono cellulare o a un altro dispositivo idoneo a effettuare comunicazioni è punito ai sensi dell'art. 391-bis c.p.

Come parimenti già ricordato il legislatore ha introdotto una c.d. clausola di antigiuridicità (o illiceità) speciale posto che presupposto di applicabilità dei reati in questione è che l'accesso allo strumento tecnologico sia avvenuto in modo indebito.

Con specifico alla pronuncia in esame, è stato affermato in dottrina che quanto affermato dal Giudice di legittimità in merito alla configurabilità del reato di cui all'art. 391-ter c.p. nel caso in cui venisse, contestualmente alla introduzione di una scheda SIM in carcere, rinvenuto nella disponibilità del detenuto un dispositivo ove la stessa potrebbe essere inserita in modo da consentire di comunicare con terzi oppure venisse accertato che il detenuto era in grado di fare “affidamento” su un dispositivo di un operatore penitenziario “compiacente” o “corrotto”, si risolve, pur nell'apprezzabile intento di valorizzare la ratio della incriminazione penale, in una forzatura quantomeno parziale della lettera della norma con una conseguente criticità in quanto «Fuori da un possibile concorso di persone nel reato – laddove, ad esempio, più soggetti di comune accordo forniscano al detenuto le varie componenti necessarie alla comunicazione con l'esterno – ricondurre l'ipotesi dell'introduzione della sola scheda SIM all'art. 391-ter c.p. è un'operazione che si scontra con il riferimento inequivoco ad un “apparecchio telefonico” o “altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni”, evidenziando frizioni con i canoni a più riprese richiamati nella pronuncia in commento e con le convincenti argomentazioni della Corte a favore di un'interpretazione rigorosa dell'art. 391-ter c.p.» (così S. Prandi, Del divieto di analogia in malam partem preso sul serio: la Cassazione esclude la configurabilità dell'art. 391-ter c.p. in relazione all'introduzione in carcere di una scheda sim, in sistemapenale.it, 6.12.2024).

L'Autore propone conseguentemente, quale soluzione interpretativa alternativa, di considerare la predetta condotta riferita alla seconda modalità di realizzazione del reato di cui all'art. 391-ter c.p. e cioè alla condotta di chi consente al detenuto l'uso indebito di un «apparecchio telefonico» o di «altro dispositivo idoneo ad effettuare comunicazioni», soluzione ritenuta preferibile in quanto, da un lato, non sembrerebbe violare il principio di legalità avendo attinenza alla dizione di chiusura ad ampio spettro della norma incriminatrice, dall'altro, riferendosi all'effettivo utilizzo di un dispositivo, finirebbe in ogni caso per sanzionare episodi collocati a uno stadio più avanzato dell'offesa.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.