Compenso spettante all’avvocato e principio tra chiesto e pronunciato
08 Gennaio 2025
Un avvocato proponeva ricorso ex art. 14 d.lgs. n. 150/2011 dinanzi al Tribunale per la liquidazione del compenso a lui spettante in relazione all'attività svolta a favore di una cliente con riferimento ad un procedimento di divorzio per l'importo di 13.686,55 euro, oneri compresi, in considerazione dell'alta complessità della lite, che si inseriva in un contesto di forte conflittualità tra i coniugi per gli inadempimenti del marito e che aveva comportato una complessa procedura di pignoramento di quote sociali, definita contestualmente al raggiungimento di un accordo in sede di divorzio, con pattuizione del trasferimento alla moglie della proprietà di quella che era stata la casa coniugale. Il Tribunale rilevava che in realtà il procedimento di divorzio, dal punto di vista processuale, aveva avuto una struttura semplificata, perché alla prima udienza la moglie si era costituita con una mera richiesta di rinvio, all'udienza successiva le parti avevano trovato accordo e i coniugi erano poi comparsi avanti al Collegio presentando conclusioni congiunte. Ciò era avvenuto perché nel frattempo i coniugi avevano raggiunto accordo transattivo, che aveva consentito di definire il contenzioso relativo ai crediti maturati negli anni dalla moglie, ma anche di definire il procedimento di divorzio. Tuttavia, il Tribunale dava atto che erano emerse criticità nel trasferimento della casa coniugale dal marito alla moglie, per cui all'avvocato spettava un compenso anche per la cruciale attività di assistenza svolta nel periodo tra il raggiungimento dell'accordo, la precisazione delle conclusioni e il rogito notarile, in quanto l'art. 4 comma 5, D.M. n. 55/2014 comprendeva nella fase decisionale tutte le attività successive alla decisione che non rientravano nella fase esecutiva. Di conseguenza, il Tribunale riconosceva con ordinanza all'avvocato un compenso complessivo di 8.362,25 euro, al quale aggiungeva gli oneri e detraeva l'acconto che la resistente riconosceva di avere pagato. L'ex cliente impugnava l'ordinanza in Cassazione, deducendo il "vizio di ultra-petizione - violazione di legge per violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all'art. 112 c.p.c."; evidenziando che l'avvocato nella sua notula aveva chiesto il compenso per le prime tre fasi, ma non aveva chiesto il compenso per la fase decisoria, così rinunciandovi, ritenendo quel compenso non dovuto per il fatto che l'attività era consistita esclusivamente nella precisazione delle conclusioni congiunte e nell'esame della sentenza, né aveva chiesto compenso per l'attività di conciliazione: per cui sosteneva che il Tribunale avesse impropriamente riconosciuto all'avvocato i compensi per la fase decisoria e l'attività transattiva, violando il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. La Cassazione ha rigettato il motivo ritenendolo infondato, poiché il vizio di "ultra" o "extra" petizione sussiste quando il giudice di merito, alterando il petitum o la causa petendi, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto o attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso, pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatti valere dalle parti (Cass. civ., sez. II, 21 marzo 2019 n. 8048, per tutte). Nella fattispecie, invece, il Tribunale ha riconosciuto all'avvocato a titolo di compenso un importo inferiore a quello dallo stesso richiesto in ricorso, sulla base della valutazione dell'attività professionale dallo stesso allegata e dimostrata in causa; in questo modo il Tribunale si è pronunciato all'interno del perimetro della domanda proposta, limitandosi a qualificare esattamente nelle relative voci della tabella l'attività professionale dimostrata in causa, come era suo potere. Peraltro, ha precisato la Cassazione, in tema di liquidazione dei compensi ai sensi del D.M. n. 55/2014 nella formulazione originaria, l'esercizio del potere discrezionale del giudice, contenuto tra il minimo e il massimo dei parametri previsti, non è soggetto al controllo di legittimità, attenendo pur sempre a parametri indicati tabellarmente, mentre la motivazione è doverosa solo allorquando il giudice decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo in tale caso necessario che siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di esso (Cass. civ., sez. II, 5 maggio 2022, n. 14198, Cass. civ., sez. III, 17 marzo 2021, n. 19989, Cass. civ., sez. III, 7 gennaio 2021, n. 89). |