La Corte di cassazione sul rimedio da esperire nei confronti dell’ordine di liberazione emesso dal giudice delegato
10 Gennaio 2025
Massima L'ordine di liberazione emesso dal Giudice delegato ai sensi dell'art. 560 c.p.c. può essere reclamato ai sensi dell'art. 26 l. fall. nel termine di 10 giorni, con la conseguenza che l'opposizione ai sensi degli artt. 615 e 617 c.p.c. oltre detto termine è inammissibile. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di appello, che a sua volta aveva disatteso il gravame fondato sul presupposto che l'esecuzione non era iniziata e che, pertanto, il ricorso all'opposizione all'esecuzione e agli atti esecutivi era esperibile anche oltre il termine di 10 giorni, perché concorrente con il reclamo ex art. 26 l. fall.) Il caso Il Giudice delegato al fallimento (di seguito, G.D.) della società agricola X a r.l., con decreto in data 27 dicembre 2017, ordinava alla società agricola Y a r.l., ai sensi dell'art. 560 c.p.c., la liberazione anticipata dei terreni di proprietà della società fallita da essa condotti in affitto agrario, sul rilievo che il canone pattuito col contratto registrato in data 18 ottobre 2017 era inferiore di un terzo al giusto prezzo, ex art. 2923, comma 3, c.c. L'intimata proponeva opposizione all'esecuzione e agli atti esecutivi avverso l'atto di precetto notificatole dal curatore fallimentare in forza di tale provvedimento giudiziario quale titolo esecutivo. Il Tribunale di Vicenza dichiarava l'inammissibilità dell'opposizione sul presupposto che l'unica forma di gravame proponibile contro l'ordine di liberazione anticipata emesso dal G.D. è il reclamo ex art. 26 l. fall., per la cui proposizione non era stato rispettato il termine perentorio di 10 giorni previsto dalla disciplina fallimentare; aggiungeva che la società agricola Y a r.l. non era legittimata a impugnare il provvedimento, in quanto il contratto di affitto agrario era stato stipulato dai suoi soci personalmente. Il gravame proposto dalla società agricola Y a r.l. contro la decisione di primo grado veniva respinto dalla Corte d'appello di Venezia secondo cui:
La società agricola Y a r.l., sulla base di quattro motivi di doglianza, impugnava la decisione di secondo grado dinanzi alla Corte di cassazione, che rigettava il ricorso. La questione La Suprema Corte, in linea con il proprio orientamento (cfr. Cass. civ., sez. III, 8 ottobre 2019, n. 25025, Cass. civ., sez. I, 14 ottobre 2011, n. 21224), ha confermato il principio di diritto affermato prima dal Tribunale di Vicenza e poi dalla Corte territoriale, secondo cui i provvedimenti del Giudice delegato, pur rivestendo la forma di atti tipici del processo di espropriazione, devono essere impugnati con gli strumenti previsti dalla legge fallimentare, nel caso di specie il reclamo di cui all'art. 26 l. fall., con la conseguenza che le opposizioni di cui agli artt. 615 e 617 c.p.c. promosse dopo il decorso di dieci giorni, previsto dal suddetto art. 26 l. fall., sono da considerarsi inammissibili. Le soluzioni giuridiche Non è sempre detto che “l'abito non fa il monaco”: allorquando il Giudice delegato abbia emesso un decreto ai sensi dell'art. 560 c.p.c. per la liberazione di un immobile ricompreso nell'attivo fallimentare, il rito da seguire per la sua impugnazione non è quello previsto dal codice di rito (i.e. opposizione all'esecuzione e/o agli atti esecutivi di cui agli artt. 615 e 617 c.p.c.), bensì quello tipico avverso gli atti del Giudice delegato, ovverosia il reclamo previsto dall'art. 26 l. fall. Sul punto, così i giudici di legittimità: «Il provvedimento emesso in sede fallimentare, pur se strutturato sul modello di un tipico strumento del giudice dell'esecuzione, rimane un decreto del giudice delegato e, in quanto tale, deve essere impugnato con gli strumenti propri del procedimento concorsuale». Ne consegue che l'opposizione all'esecuzione e/o agli atti esecutivi promossa ai sensi del codice di rito (che prima facie si dovrebbe ritenere applicabile) oltre il termine di 10 giorni previsto dall'art. 26 l. fall., disposizione da considerarsi speciale rispetto a quella codicistica, deve essere pertanto rigettata in quanto tardiva. In questi termini si è espressa la Suprema Corte con l'ordinanza Cass. civ., sez. I, 6 novembre 2024, n. 28509 con la quale è stato rigettato il ricorso promosso da una società agricola avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia che a sua volta aveva rigettato il gravame formulato nei confronti della sentenza del Giudice di prime cure di Vicenza che aveva dichiarato inammissibile l'opposizione «in quanto l'unica forma di gravame proponibile contro l'ordine di liberazione anticipata emesso dal G.D. è il reclamo ex art. 26 l. fall., per la cui proposizione non era stato rispettato il termine perentorio di dieci giorni previsto dalla disciplina fallimentare». Oggetto del decreto de quo emesso dal G.D. al fallimento della società agricola locatrice in data 27 dicembre 2017 era la liberazione “anticipata” dei terreni appartenenti alla società fallita condotti in affitto agrario dall'opponente, sul rilievo che il canone, di cui al contratto opponibile alla procedura, era inferiore di un terzo al giusto prezzo, ex art. 2923, comma 3, c.c. e quindi vile. La società agricola proponeva opposizione all'esecuzione e agli atti esecutivi avverso l'atto di precetto notificatole dal curatore fallimentare in forza di tale provvedimento giudiziario, dal momento che, all'epoca dei fatti, l'ordine di liberazione era, or non lo è più, titolo esecutivo da eseguirsi ai sensi degli artt. 605 ss. c.p.c. La Corte di merito, ai fini della decisione, ha richiamato il risalente e consolidato orientamento della Suprema Corte (fin da Cass. civ. n. 2576/1970) secondo cui «l'ordine di liberazione previsto dall'art. 560 c.p.c. può essere adottato tanto nell'esecuzione individuale, quanto in quella concorsuale, in quest'ultimo caso tramite un provvedimento emesso dal giudice delegato alla procedura». Osservazioni L'ordine di liberazione, giova qui ricordarlo, è stato introdotto nel nostro ordinamento solo nel 2005 con la l. n. 80/2005, quale terzo comma dell'art. 560 c.p.c. con la precisazione, resa al comma successivo, che si trattava di «titolo esecutivo eseguito a cura del custode anche successivamente alla pronuncia del decreto di trasferimento», salvo esenzione da parte dell'aggiudicatario o dell'assegnatario. Una piccola rivoluzione nel processo di espropriazione forzata, che fino ad allora lasciava solo l'aggiudicatario a scalare un'irta montagna, qual è la liberazione del bene subastato. Come è facile comprendere, l'assunzione di tale fardello allontanava e spaventava quella fetta di mercato rappresentata dai comuni cittadini. Successivamente, con la riforma del 2005, l'onere fu rimesso al custode giudiziario che, come il vaso di terracotta tra i vasi di ferro, si trovò da una parte a dover subire le pressioni dell'aggiudicatario - che legittimamente chiedeva di essere immesso nel possesso dell'immobile aggiudicato - e dall'altra fu costretto a fare la spola dal proprio studio all'UNEP per sollecitare l'Ufficiale Giudiziario deputato ex lege all'esecuzione dell'ordine di liberazione, titolo esecutivo nell'ambito di un autonomo e diverso procedimento di esecuzione per rilascio disciplinato dagli artt. 605 c.p.c. ss. Solo nel 2016 il legislatore ha deformalizzato l'attuazione dell'ordine di liberazione che, come si è detto, è stato sganciato dagli articoli del codice di rito citati. Una conclusione a cui, seppur con riferimento all'ordine di rilascio contenuto nel decreto di trasferimento, era già pervenuto Salvatore Satta nel 1963 e che ancora brilla per la sua innovazione (in Commentario al codice di procedura civile, Libro III, Cedam, 1965) che al riguardo così si esprimeva: «Essendo il bene venduto in custodia, non si vede come per l'adempimento di un dovere d'ufficio (ndr il rilascio dell'immobile in custodia) si possa pensare a una esecuzione forzata; il custode deve semplicemente adempiere all'ordine del giudice altrimenti viene espulso dal fondo anche armata mano, perché nel momento stesso della vendita cessa il rapporto di custodia». Il principio di diritto processuale che emerge dalla lettura del citato arresto si giustifica con l'esigenza di incanalare nell'alveo dello stesso procedimento ogni vicissitudine di quei provvedimenti endoesecutivi, tra cui oggi rientra l'ordine di liberazione, che sono strettamente funzionali al buon andamento dell'attività liquidatoria tanto dell'esecuzione individuale che di quella collettiva. Particolarmente sentita è l'esigenza di limitare la superfetazione di procedimenti esterni a quello nel quale il provvedimento è stato emesso, nel caso che ci occupa la procedura concorsuale, che possono scaturire dalla proposizione di incidenti di cognizione promossi davanti a un giudice diverso da quello delegato alla procedura concorsuale che ha emesso il provvedimento impugnato. Sul punto Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. VI, 29 gennaio 2019, n. 2502) ha affermato che «Se invece all'espropriazione si dia corso - come nella specie - in sede fallimentare, lo strumento di difesa avverso l'ordine di liberazione emesso dall'organo della procedura concorsuale è quello proprio della procedura stessa, ovvero lo strumento del reclamo previsto dall'art. 26 l. fall. La concorsualità e le sue tipiche esigenze connesse di concentrazione e speditezza, interne alla sistematica fallimentare, sintetizzano infatti coerentemente nel solo strumento endofallimentare ogni altro rimedio offerto dal codice di rito alle parti interessate, in caso la procedura concorsuale sia in corso, attribuendovi carattere di generalità e di esclusività». Ed invero nell'ambito del processo di espropriazione immobiliare il patrio legislatore, proprio per aver recepito la suddetta esigenza, ha deformalizzato l'attuazione dell'ordine di liberazione per effetto delle note riforme del 2018 e 2019 così che oggi l'opposizione ex art 617 c.p.c. avverso tale delicato provvedimento si promuove avanti al medesimo giudice che l'ha emesso. Prima delle suddette riforme - che si ricorda hanno uniformato il diritto del debitore ad abitare nell'immobile oggetto di pignoramento fino alla firma del decreto di trasferimento tanto nelle esecuzioni individuali che in quelle collettive (v. artt. 47 l. fall., art. 147 CCII e art. 560 c.p.c. in vigore) - ovvero quando l'ordine di liberazione era ancora un titolo esecutivo, l'opposizione si doveva promuovere avanti il Giudice della procedura di esecuzione per rilascio, diverso da quello dell'espropriazione forzata dell'immobile subastato da liberare. Dall'ordinanza in commento non si evince se l'opposizione pre-esecutiva e/o esecutiva di cui agli artt. 615 e 617 c.p.c. promossa nei 10 giorni cui all'art. 26 l. fall. possa ritenersi ammissibile ovvero se la mancata adozione del modello legale del reclamo di cui all'art. 26 l. fall. sia in ogni caso preclusiva per la sua ammissibilità. Riferimenti
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