Ripartizione dell’onere probatorio in materia di inadempimento dell’obbligazione dell’appaltatore
14 Gennaio 2025
Massima In tema di contratto d'opera, l'appaltatore che agisce in giudizio per il pagamento del corrispettivo pattuito ha l'onere di provare il fatto costitutivo del diritto di credito oggetto della sua pretesa e quindi di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione conformemente al contratto e alle regole dell'arte. Il caso L'attore (committente) chiedeva al Tribunale la condanna del convenuto (appaltatore) alla restituzione dell'importo che aveva corrisposto per la fornitura e messa in opera di piante ornamentali, lamentando che il lavoro non era stato completato e che alcune piante non erano attecchite. A sua volta, il convenuto chiedeva l'emissione di un decreto ingiuntivo per ottenere il pagamento dei medesimi lavori. Concesso il decreto ingiuntivo, il committente proponeva opposizione contestando la mancata esecuzione delle prestazioni. I due procedimenti venivano riuniti. Il Tribunale accoglieva l'opposizione, revocava il decreto ingiuntivo e respingeva le domande proposte dalle parti. La Corte d'appello, in parziale riforma della sentenza di primo grado, accoglieva la domanda di pagamento in favore dell'appaltatore, ritenendo risolto consensualmente dalle parti il contratto, che non fosse chiaro il contenuto delle obbligazioni contrattuali e che, in difetto di prova di un comportamento colpevole dell'appaltatore, il committente era tenuto a corrispondere il compenso per le opere eseguite dall'appaltatore. Avverso questa decisione il committente proponeva ricorso in Cassazione. Per quel che rileva in questa sede, il ricorrente, con il primo motivo, denunciava la violazione e la falsa applicazione dell'art. 132 c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per apparenza della motivazione, in quanto la Corte d'appello lo aveva condannato al pagamento dell'intero prezzo per le prestazioni eseguite dall'appaltatore, pur essendo partita dalla premessa che non era chiaro il contenuto delle obbligazioni poste a carico delle parti. Con il terzo motivo, denunciava la violazione e falsa applicazione degli artt. 116 c.p.c., 2697, 1453, 1176 c.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., in quanto il giudice di secondo grado aveva fondato la condanna al pagamento del corrispettivo sulla mancanza di prova del comportamento colpevole dell'appaltatore, in tal modo discostandosi dal principio sull'onere della prova statuito dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 13533/2001, in applicazione del quale grava sull'appaltatore l'onere della prova del corretto adempimento dell'obbligazione. La questione L’appaltatore che agisce per il pagamento del corrispettivo è tenuto a provare di aver eseguito l’opera in modo conforme al contratto o alle regole dell’arte? Le soluzioni giuridiche Secondo la Corte di Cassazione, in virtù del principio in ordine al riparto dell'onere probatorio in tema di inadempimento condiviso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza Cass. civ., sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533, l'appaltatore che agisce in giudizio per il pagamento del corrispettivo convenuto deve dimostrare di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione, integrando tale adempimento il fatto costitutivo del diritto di credito azionato (Cass. civ., sez. II, 13 febbraio 2008, n. 3472). Pertanto, ove il committente contesti tale adempimento, l'appaltatore è tenuto a dimostrare l'integrale e corretta esecuzione dell'opera e, in difetto di tale prova, la domanda di pagamento del corrispettivo non può essere accolta. Ulteriormente, ad avviso della S.C., non è pertinente, ai fini dell'obbligo di pagamento del corrispettivo da parte del committente, il richiamo all'art. 1181 c.c., secondo cui il creditore può rifiutare un adempimento parziale anche se la prestazione è divisibile, atteso che nel caso esaminato nessuna delle parti aveva chiesto la risoluzione del contratto, con conseguente inapplicabilità del principio statuito da Cass. civ., sez. II, 17 febbraio 2010 n. 3786, secondo il quale, nel contratto d'appalto, il committente può rifiutare l'adempimento parziale oppure accettarlo e, anche se la parziale esecuzione del contratto sia tale da giustificarne la risoluzione, può trattenere la parte di manufatto realizzata, e provvedere, direttamente, al suo completamento, essendo, poi, legittimato a chiedere, in via giudiziale, che il prezzo sia, proporzionalmente, diminuito. I giudici di legittimità hanno altresì rilevato la contraddittorietà della motivazione della pronuncia della Corte d'appello che, pur ritenendo che non fosse chiaro il contenuto delle obbligazioni contrattuali assunte dalle parti, ha, ciononostante, affermato, che non vi fosse la prova del comportamento colpevole dell'appaltatore, condannando il committente, per l'effetto, al pagamento delle prestazioni eseguite dall'appaltatore. Ciò in quanto l'accertamento della sussistenza o meno dell'inadempimento presuppone la chiara individuazione dell'obbligo contrattuale. Osservazioni Com'è noto, secondo l'impostazione condivisa dalla Cassazione a Sezioni Unite (Cass. civ., sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533), in tema di prova dell'inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l'adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell'onere della prova del fatto estintivo dell'altrui pretesa, costituito dall'avvenuto adempimento. Medesimo criterio di riparto dell'onere della prova è applicabile al caso in cui il debitore convenuto per l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno si avvalga dell'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c., risultando, in tal caso, invertiti i ruoli delle parti in lite, poiché il debitore si limiterà ad allegare l'altrui inadempimento, ed il creditore dovrà dimostrare il proprio adempimento ovvero la non ancora intervenuta scadenza dell'obbligazione. Anche nel caso in cui sia dedotto non l'inadempimento dell'obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore sarà sufficiente la mera allegazione dell'inesattezza dell'adempimento gravando ancora una volta sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto, esatto adempimento. Con tale pronuncia la Cassazione ha composto, aderendo all'indirizzo minoritario, un contrasto giurisprudenziale che vedeva contrapposto un primo più accreditato orientamento il quale diversificava il regime probatorio in tema di inadempimento delle obbligazioni a seconda dell'oggetto specifico della domanda ed un altro, meno seguito, secondo cui la ripartizione dell'onere della prova era identica, indipendentemente dal rimedio invocato dal creditore. La pronuncia in commento, aderendo ad un'opzione interpretativa diffusa nella giurisprudenza di legittimità, ha esteso al contratto di appalto il principio relativo al riparto dell'onere probatorio in tema di inadempimento dell'obbligazioni espresso dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, confermando che l'appaltatore, il quale agisca in giudizio per il pagamento del corrispettivo convenuto, ha l'onere di provare di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione e, quindi, di aver eseguito l'opera conformemente al contratto e alle regole dell'arte allorché il committente sollevi l'eccezione di inadempimento (così Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 2008, n. 3472; Cass. civ., sez. II, 20 gennaio 2010, n. 936; Cass. civ., sez. VI, 4 gennaio 2019, n. 98; Cass. civ., sez. II, 9 marzo 2023, n. 7041; Trib. Taranto 8 settembre 2023, n. 2054). In questa prospettiva, si è evidenziato che il committente, convenuto in giudizio per il pagamento del corrispettivo, può paralizzare la pretesa dell'appaltatore opponendo le difformità e i vizi dell'opera, in virtù del principio “inadempimenti non est adimplendum”, richiamato dal secondo periodo dell'ultimo comma dell'art. 1667 c.c., applicabile in caso di opera portata a termine (Cass. civ., sez. I, 14 febbraio 2019, n. 4511), anche quando non abbia proposto in via riconvenzionale la domanda di garanzia o la stessa sia prescritta. Questo orientamento muove dalla premessa che le disposizioni speciali di cui agli artt. 1667, 1668, 1669 e ss. c.c., relative alla particolare disciplina della garanzia per le difformità ed i vizi dell'opera, assoggettata ai ristretti termini decadenziali di cui all'art. 1667 c.c., non escludono l'applicazione dei principi generali in materia di inadempimento delle obbligazioni e di responsabilità comune dell'appaltatore, che impongono all'appaltatore, che agisca in giudizio per il pagamento del corrispettivo, l'onere di dimostrare, quando il committente sollevi l'eccezione di inadempimento di cui al terzo comma dell'art. 1667 c.c., di aver esattamente adempiuto la propria obbligazione e, quindi, di aver eseguito l'opera conformemente al contratto e alle regole dell'arte. In caso di mancata ultimazione dell'opera, il committente può legittimamente rifiutare o subordinare il pagamento del corrispettivo all'eliminazione dei vizi dell'opera, invocando l'eccezione di inadempimento prevista dall'art. 1460 c.c., in quanto istituto di applicazione generale in materia di contratti a prestazioni corrispettive, purché il rifiuto di adempiere non sia contrario alla buona fede (Cass. civ., sez. VI, 26 novembre 2013, n. 26365). Invero, è consolidato nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo cui in tema di appalto la garanzia per vizi e difformità dell'opera eseguita, prevista dagli artt. 1667 e ss. c.c., è applicabile solo quando l'appaltatore consegni alla controparte un'opera non conforme ai patti o non a regola d'arte, mentre nel caso di non integrale esecuzione dei lavori o di ritardo o rifiuto della consegna del risultato di questi a carico dell'appaltatore può operare unicamente la comune responsabilità per inadempimento contrattuale di cui agli artt. 1453 e ss. (Cass. civ., sez. I, 14 febbraio 2019, n. 4511 cit.). In altre sentenze è dato tuttavia scorgere un temperamento alla regola generale in tema di prova dell'inadempimento cristallizzata da Cass. civ., sez. un., 30 ottobre 2001, n. 13533, legato all'accettazione dell'opera. Com'è noto, in base all'art. 1665 c.c., dopo la verifica positiva dell'opera (così come nel caso di ricezione senza riserve o di omessa verifica senza giusti motivi o, ancora, di mancata comunicazione dell'esito della verifica) la stessa si considera accettata. Costituisce effetto dell'accettazione la liberazione dell'appaltatore dalla responsabilità per i difetti apparenti (cfr. art. 1667 c.c.). In tale quadro normativo, in alcune pronunce si è affermato che finché non vi sia stata accettazione, espressa o tacita, al committente che faccia valere la garanzia è sufficiente la mera allegazione dell'esistenza dei vizi, gravando sulla controparte, quale debitore della prestazione, l'onere di provare di avere regolarmente eseguito l'opera. Diversamente, l'accettazione dell'opera, anche per facta concludentia, pone l'onere della prova dei difetti a carico del committente, il quale ha la disponibilità materiale e giuridica del bene. Resta fermo che, una volta raggiunta la prova dell'esistenza del vizio, spetta all'appaltatore, in base alle regole generali sulla responsabilità del debitore (art. 1218 c.c.), non solo dimostrare di avere usato la diligenza e la perizia tecnica dovute, ma anche il fatto specifico, e a lui non imputabile, che abbia causato il difetto (Cass. civ., sez. II, 9 agosto 2013, n. 19146; Cass. civ., sez. II, 13 marzo 2023, n. 7267; App. Potenza, 11 agosto 2023, n. 438; Trib. Piacenza, 4 ottobre 2023, n. 562). Pertanto, secondo questo orientamento, ogni volta che il committente abbia accettato l'opera, anche in maniera tacita, è lo stesso committente a dover provare l'esistenza dei vizi. Tale impostazione, che individua il momento dell'accettazione dell'opera come “spartiacque ai fini della distribuzione dell'onere della prova tra le parti”, si fonda sul fatto che l'art. 1667 c.c. individua nel committente la parte gravata dall'onere di dimostrare di aver tempestivamente denunciato i vizi nel termine di sessanta giorni dalla scoperta e risulta essere in sintonia con il principio di vicinanza della prova, in virtù del quale l'onere probatorio viene posto a carico della parte più prossima alla fonte di prova (Cass. civ., sez. II, 9 agosto 2013, n. 19146 cit.). |