Persona offesa prossima congiunta dell’imputato: può astenersi dal deporre se citata in dibattimento?
17 Gennaio 2025
Massima Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 199, comma 1 c.p.p. sollevate, in riferimento agli artt. 3,27, comma 2, 29 e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo. La disposizione censurata non risulta né irragionevole, né sproporzionata. Il caso Tizio veniva imputato per il reato di lesioni personali aggravate in danno della figlia la quale, nel corso del dibattimento, veniva escussa quale persona offesa e rendeva dichiarazioni dissimili rispetto a quelle rese alla Polizia Giudiziaria in sede di sommarie informazioni e al personale sanitario del Pronto soccorso, tentando di minimizzare la gravità delle condotte poste in essere dal padre; in particolare, aveva circoscritto ad un tempo più breve la durata dell'aggressione, aveva attribuito alcune delle lesioni riportate ad una caduta a terra e ad un urto con un tavolo e aveva negato di avere visto il padre utilizzare una cintura per colpirla. Inoltre, nonostante il Giudice l'avesse più volte richiamata e avvertita dell'obbligo di dire la verità ex artt. 207, comma 1, e 497, comma 2 c.p.p., nel corso dell'esame aveva più volte dichiarato di non ricordare dettagli rilevanti e alla fine aveva addirittura affermato che la condotta del padre fosse giustificabile. Il Tribunale ordinario di Firenze, sezione 1^ penale, in composizione monocratica, sosteneva che comunque dall'istruttoria svolta era già emerso pacificamente che l'imputato aveva percosso la figlia, cagionandole plurime lesioni, restando controverse solamente l'entità e le modalità della condotta e ravvisava indizi di falsa testimonianza, poiché la testimone, nonostante figlia dell'imputato, non poteva astenersi dal deporre in quanto persona offesa dal reato e, come tale, non era destinataria del diritto di ricevere l'avviso di cui all'art. 199, comma 2 c.p.p.; con ordinanza del 12 febbraio 2024, iscritta al n. 37 del registro ordinanze 2024, si interrogava, quindi, sull'utilizzabilità della testimonianza della persona offesa e sulla possibilità di disporre l'immediata trasmissione degli atti al Pubblico Ministero al fine di procedere nei confronti della teste, e sollevava questioni di legittimità costituzionale dell'art. 199, comma 1 c.p.p. «nella parte in cui, con riguardo alla facoltà dei prossimi congiunti dell'imputato di astenersi dal deporre, prevede un'eccezione per la persona offesa dal reato», o, in subordine, nella parte in cui, con riguardo alla facoltà dei prossimi congiunti dell'imputato di astenersi dal deporre, prevede un'eccezione alla medesima facoltà di astensione anche nell'ipotesi in cui la deposizione del prossimo congiunto persona offesa dal reato non sia assolutamente necessaria per l'accertamento dei fatti, in riferimento agli artt. 3,27, comma 2, 29 e 117, comma 1, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU). Il Tribunale evidenziava la rilevanza di tali questioni in quanto, dalla eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 199, comma 1 c.p.p., sarebbe derivata la nullità della acquisita deposizione testimoniale per omissione dell'avvertimento relativo alla facoltà di astenersi; ciò avrebbe avuto la logica conseguenza che, avendo rilevato indizi di falsa testimonianza, non risulterebbe integrato il reato e quindi gli atti non dovrebbero essere trasmessi al Pubblico Ministero, come previsto dall'art. 207, comma 2 c.p.p., in quanto le dichiarazioni non veritiere offerte dalla donna in dibattimento, risulterebbero rese da persona che aveva facoltà di astenersi dal testimoniare ma che non ne era stata resa edotto e avvertita. Il rimettente reputava che la teste, visto il comportamento osservato in dibattimento, ove le fosse stato consentito, si sarebbe avvalsa della facoltà di astensione. La questione Il giudice a quo ritiene che la questione proposta debba ritenersi fondata, in primo luogo, in relazione all'articolo 8 della CEDU - Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Il Tribunale di Firenze premette che la facoltà di astensione dal deporre accordata ai prossimi congiunti trova fondamento nella tutela del sentimento familiare, avendo il legislatore presupposto che i prossimi congiunti, indicati sulla base di tipici rapporti giuridici, siano portatori – secondo l'id quod plerumque accidit – di interessi privati ancorati a tale sentimento, prevalenti su quello pubblico all'accertamento dei reati. La disposizione che contempla la facoltà di astensione dei prossimi congiunti dà, in tal senso, attuazione all'art. 29 Cost. ed all'art. 8 CEDU. Al riguardo, il giudice a quo cita le pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo, grande camera, sentenza 3 aprile 2012, Van der Heijden contro Paesi Bassi e sezione quarta, sentenza 11 dicembre 2018, Kryževičius contro Lituania, le quali hanno affermato che costringere una persona a deporre in un procedimento penale contro un congiunto costituisce un'ingerenza nel diritto al rispetto della “vita familiare”. Inoltre, la deroga alla facoltà di astensione della persona offesa risulterebbe irragionevole e non proporzionata per il suo carattere incondizionato e assoluto, visto che la disposizione censurata non reca distinzioni a seconda della tipologia di reato in contestazione o della gravità dello stesso, non attribuisce alcun significato al periodo di tempo, più o meno lungo, decorso dal momento dei fatti a quello in cui la persona offesa è chiamata a testimoniare, né distingue l'ipotesi in cui la deposizione del prossimo congiunto offeso dal reato sia essenziale per l'accertamento dei fatti da quella in cui la stessa non sia assolutamente necessaria. Il Tribunale rileva, poi, che il diniego della facoltà di astensione della persona offesa non era contemplato nell'omologa disposizione del codice di procedura penale del 1930 ovvero l'art. 350 c.p.p.; solo con il nuovo codice si è ritenuto che quando offeso dal reato fosse lo stesso testimone prossimo congiunto dell'imputato, venivano meno le ragioni di tutela di quei motivi d'ordine affettivo che giustificano la facoltà di astensione. Ulteriore argomentazione esposta dal Tribunale riguarda il fatto che l'obbligo di deposizione non tenga minimamente in considerazione lo stato d'animo in cui può versare la persona offesa prossima congiunta nell'effettuare una scelta tra rendere una testimonianza veritiera che comprometta il proprio rapporto con l'imputato o una testimonianza falsa che abbia la conseguenza che si proceda nei suoi confronti per il reato previsto dall'art. 372 c.p. (falsa testimonianza) facendo sì che in questo caso manchi totalmente la tutela della vittima del reato. Interveniva in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri chiedendo, invece, che le questioni di legittimità costituzionale fossero dichiarate inammissibili, o comunque non fondate per difetto del requisito della rilevanza, sosteneva che l'ordinanza di rimessione si fondava su una motivazione ipotetica, se non addirittura contraddittoria in quanto il vizio da cui sarebbe stata affetta la prova testimoniale assunta in conseguenza dell'eventuale accoglimento delle questioni è una nullità relativa e manca al riguardo la necessaria eccezione di parte. Ove si propendesse per il vizio di inutilizzabilità, anziché di nullità, della testimonianza della persona offesa, lo stesso rimettente sottolinea, peraltro, la non decisività della stessa ai fini della ricostruzione del fatto e dell'accertamento di responsabilità dell'imputato. Quanto alla valutazione operata con riguardo alla trasmissione degli atti al pubblico ministero, ai sensi dell'art. 207, comma 2 c.p.p., essa, a sua volta, avrebbe rilievo solo nel distinto eventuale giudizio avente a oggetto il reato di falsa testimonianza. Inoltre, deduceva che la deroga alla facoltà di astensione della persona offesa trova giustificazione nell'interesse pubblico alla ricerca della verità e all'amministrazione della giustizia, ritenuto dal legislatore prevalente, nel bilanciamento con la tutela del vincolo affettivo e di solidarietà familiare, già danneggiato dal reato, secondo un giudizio che appare adeguatamente improntato ai canoni di proporzionalità e ragionevolezza. Le soluzioni giuridiche La Corte costituzionale, con la sentenza n. 200 depositata in data 16 dicembre 2024, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale relative al comma 1 dell'articolo 199 del codice di procedura penale. Preliminarmente, la Corte disattende l'eccezione di inammissibilità delle questioni per difetto di rilevanza, formulata dal Presidente del Consiglio dei ministri nell'atto di intervento in giudizio, in quanto il Tribunale di Firenze ha spiegato, tra l'altro, che l'invocata declaratoria di illegittimità costituzionale dell'art. 199, comma 1 c.p.p. avrebbe tuttora rilievo nel giudizio a quo, e ciò al fine di ravvisare, o meno, gli indizi del reato previsto dall'art. 372 c.p. e informarne il pubblico ministero trasmettendogli i relativi atti, adempimento cui occorre provvedere in sede di decisione della fase processuale in cui la testimone ha deposto. Nel merito, la Corte rileva che già in passato aveva esaminato le ragioni e i limiti della facoltà di non deporre nel processo penale riconosciuta dalla norma ai prossimi congiunti, in particolare con le sentenze n. 179/1994 e n. 6/1977. La Corte costituzionale, inoltre, nel filo argomentativo che porta alla decisione della questione, prende in esame anche gli orientamenti e le argomentazioni espresse, in più occasioni, dalla Suprema Corte di cassazione in merito alla ratio della facoltà di astensione attribuita ai prossimi congiunti. In particolare, si osserva che la facoltà riconosciuta dall'art. 199 c.p.p., in generale, è codificata a tutela del dichiarante e del vincolo di coniugio, del legame familiare o di convivenza. Non si tratta di un istituto posto a tutela e salvaguardia della posizione processuale dell'imputato o di uno sbarramento assoluto alla conoscenza processuale su fatti afferenti alla responsabilità penale di costui, fatti che debbano essere acquisiti attraverso la deposizione del prossimo congiunto o del convivente. Il precetto è posto, piuttosto, a tutela esclusiva del dichiarante e assicura al teste stesso, legato da vincoli di parentela in senso lato, di non trovarsi nella condizione di dover deporre contro il soggetto cui sia legato o con il quale abbia avuto un legame, così rischiando di esporsi ad una falsa deposizione (che risulterebbe comunque non punibile ex art. 384 c.p.) o a conflitti interiori che traggano scaturigine dall'esistenza di sentimenti e turbamenti di coscienza collegati al ridetto rapporto con l'imputato e sulla cui posizione si è chiamati a deporre. A fronte dell'interesse dell'ordinamento alla veridica ricostruzione del fatto e degli obblighi testimoniali, dunque, il sistema rimette al medesimo dichiarante una posizione differenziata rispetto ai testimoni puri, una sorta di condizione di primazia, che lo autorizza alla scelta tra il diritto al silenzio e la facoltà di rendere deposizione. Tale scelta, di carattere individuale e strettamente personale, postula il preventivo avvertimento sulla facoltà d'astensione e la conseguente risoluzione del problema indotto dalla deposizione stessa e collegato a possibili sentimenti di solidarietà familiare che la facoltà d'astensione mira a tutelare (Cass. pen., sez. I, n. 42337/2019). Inoltre, la Suprema Corte individua la ratio della norma anche nella tutela del sentimento familiare, al fine di evitare che colui il quale è chiamato a testimoniare si trovi nell'alternativa di mentire oppure di nuocere al congiunto. La facoltà di astenersi dal deporre, attendendo al "sentimento familiare", ha, dunque, carattere non negoziale ma strettamente personale: la scelta compete personalmente al testimone prossimo congiunto dell'imputato, impegnando il suo sentimento di solidarietà e la sua coscienza morale (Cass. pen., sez. VI, n. 6849/1993). La Corte costituzionale rileva, dunque, che il legislatore ha attuato un complesso bilanciamento fra gli interessi pubblici all'accertamento della verità materiale dei fatti, i quali implicano l'esigenza di non disperdere una fonte primaria di notizie, quale può rivelarsi il prossimo congiunto dell'imputato, e gli interessi privati implicati dal rispetto della sfera di affetto e di fiducia che connota le relazioni familiari. Per dirimere il conflitto interiore in cui versa il testimone, tra deporre il falso o nuocere al congiunto, il legislatore ha adottato la regola generale della prevalenza delle relazioni affettive familiari sull'interesse della collettività alla punizione dei reati, riconoscendo al componente della famiglia la facoltà (che egli può esercitare sulla base del proprio personale apprezzamento) di astenersi. Nel prevedere le deroghe a tale regola generale, l'ultima parte del comma 1 dell'art. 199 c.p.p., secondo cui non possono avvalersi della facoltà di astenersi dal deporre i prossimi congiunti dell'imputato che siano offesi dal reato (o prossimi congiunti altresì degli offesi dal reato), ha equiparato, agli effetti dell'obbligo a deporre, la persona offesa dal reato a coloro che abbiano presentato denuncia, querela o istanza, precludendole la possibilità di avvalersi della facoltà di astensione, sul presupposto che, proprio per effetto della condotta dell'imputato, sia venuto meno il legame affettivo che sorregge detta facoltà. Nella sentenza in commento viene specificato, inoltre, che la deroga opera anche come forma di protezione per la vittima in quanto, con tale modalità, si prevengono le eventuali intimidazioni aventi lo scopo di far desistere la persona offesa dal deporre. Tale eccezione – afferma la Corte – non risulta né irragionevole, né sproporzionata, ed è anzi coerente con le rationes tradizionalmente ravvisate in detta facoltà di astensione. Si tratta di una eccezione che non lede la vita e l'unità della famiglia, in quanto essa, da un lato, corrisponde al fatto che proprio la condotta offensiva dell'imputato normalmente incide sul legame affettivo sotteso alla facoltà di astenersi e, dall'altro, protegge la vittima del reato dalle pressioni che spesso provengono dallo stesso ambito familiare affinché si astenga dal deporre. In merito, poi, alla lesività della salvaguardia dell'unità familiare prevista dall'art. 29 della Costituzione e del diritto al rispetto della vita familiare previsto dall'art. 8 della CEDU, la sentenza in commento prende in esame le pronunce emesse dalla Corte EDU citate dal giudice a quo (Corte EDU, grande camera, sentenza 3 aprile 2012, Van der Heijden contro Paesi Bassi e sezione quarta, sentenza 11 dicembre 2018, Kryževičius contro Lituania), secondo le quali il tentativo di costringere un individuo a testimoniare nei procedimenti penali contro qualcuno con cui tale individuo ha o aveva una relazione che equivaleva alla vita familiare costituisce un'interferenza con il suo diritto al rispetto della sua vita familiare. Tuttavia, tali pronunce riconoscono che, la facoltà di astenersi dal testimoniare costituisce, in ogni modo, una dispensa da un normale dovere civico ritenuto di pubblico interesse. Pertanto, qualora sia riconosciuta, essa può essere subordinata a condizioni e formalità, esigendo il bilanciamento di due interessi pubblici concorrenti, ovvero l'interesse pubblico al perseguimento di gravi reati e quello alla protezione della vita familiare dall'ingerenza dello Stato. Proprio sulla base di tale bilanciamento può affermarsi, secondo la Corte costituzionale, che trova giustificazione negare l'esercizio della facoltà di astenersi dal testimoniare alla persona offesa dal reato, la quale riveste il ruolo di interlocutore privilegiato, se non essenziale, nell'accertamento dei fatti, e ciò anche a prescindere dalla condizione dell'assoluta necessità della sua deposizione, ai fini della decisione, rispetto a quanto altrimenti acquisito. Infine, la sentenza in commento afferma che alcuna pertinenza rivela poi, con riguardo alla disposizione censurata, che attiene alle facoltà ed agli obblighi del prossimo congiunto offeso dal reato, il principio di presunzione di non colpevolezza, di cui all'art. 27, comma 2, Cost., il quale ha esclusivo riferimento alla posizione dell'imputato e pone una regola di trattamento del medesimo nel corso del processo e una regola di giudizio, le quali non vengono scalfite dalla negazione della facoltà di astensione in esame. La Corte costituzionale, poi, non ha accolto la richiesta subordinata del Tribunale di Firenze, diretta a ottenere l'eliminazione dell'obbligo di deporre del congiunto, persona offesa, nell'ipotesi in cui la sua deposizione non sia assolutamente necessaria per l'accertamento dei fatti, in quanto ha ritenuto che tale pronuncia potesse assumere carattere fortemente “manipolativo”, poiché mirata a introdurre un vaglio preliminare ad opera del Giudice sul contenuto della deposizione totalmente in contrasto con il sistema processuale penale. Infine, la Corte ha rilevato che la testimonianza del prossimo congiunto, offeso dal reato, non si differenzia da un'ordinaria testimonianza, pertanto, nei suoi confronti può essere applicata, qualora ne ricorrano i presupposti, la causa di non punibilità prevista dall'art. 384, comma 1 c.p. (secondo il quale nei casi previsti dagli articoli 361, 362, 363, 364, 365, 366, 369, 371-bis, 371-ter, 372, 373, 374 e 378, non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell'onore), ove, tenuto conto delle circostanze del caso concreto, sia stato costretto a deporre il falso dalla necessità di salvare sé medesimo o l'imputato da un grave e inevitabile nocumento alla libertà. Osservazioni La Corte costituzionale nel rispondere alla questione che le è stata sottoposta, ha posto in primo piano i rapporti affettivi tra i prossimi congiunti partendo dal corretto presupposto che tale legame affettivo, nel caso che il prossimo congiunto sia persona offesa dal reato, sia venuto meno a seguito della condotta posta in essere dall'imputato. Inoltre, ha ritenuto che la scelta della deroga alla facoltà di astensione possa rappresentare anche una tutela per le vittime del reato, in quanto è volta a prevenire qualsivoglia forma di intimidazione avente lo scopo di impedire alla persona offesa di rendere la testimonianza. Tale scelta, però, se pur corretta, non tiene conto fino in fondo della situazione psicologica nella quale si trova la vittima del reato che, se da una parte può versare nella consapevolezza che non sussista più un legame affettivo con l'imputato in quanto l'azione delittuosa lo ha spezzato, dall'altra non si può escludere che non sia venuta meno la condizione di soggezione e violenza psicologica che porta la persona offesa a non essere pienamente libera di raccontare il reale svolgimento dei fatti. Proprio questa situazione sembra ravvisarsi nel fatto concreto che ha dato origine al processo a quo, in quanto lo stesso giudice remittente afferma che «neppure sono emersi elementi per ritenere che la testimone sia stata sottoposta a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro o di altra utilità, affinché deponesse il falso. Anzi, risulta che la teste, a distanza ormai di vari anni dalla vicenda oggetto di processo, non vive più con la famiglia di origine, ma in altro centro urbano a distanza significativa da essa». Certamente la Corte costituzionale non avrebbe potuto pronunciarsi diversamente, avendo operato un corretto bilanciamento di interessi contrapposti, ma ha percepito la particolarità della condizione della vittima del reato che sia prossimo congiunto dell'imputato, quando, da ultimo, ha affermato che nei suoi confronti può essere applicata, qualora ne ricorrano i presupposti, la causa di non punibilità prevista dall'art. 384, comma 1 c.p., in tal modo smentendo il giudice a quo, il quale aveva negato che potesse invocarsi la causa di esclusione della punibilità di cui all'art. 384, comma 2 c.p. quando il testimone, prossimo congiunto dell'imputato offeso dal reato, non può avvalersi della facoltà di astenersi ed è obbligato a deporre. La Corte costituzionale con tale affermazione potrebbe, però, avere aperto un nuovo fronte di contrasti interpretativi, considerando che, secondo la pacifica giurisprudenza della Corte di Cassazione la causa di esclusione della punibilità, prevista dall'art. 384, comma 1 c.p., non è applicabile nei confronti di colui che, dopo aver presentato denuncia o querela nei confronti di un prossimo congiunto, commetta il reato di falsa testimonianza al fine di salvarlo dal pericolo di condanna nell'ambito del processo scaturito dalla sua accusa (Cass. pen., sez. VI, n. 3795/2016; Cass. pen., sez. VI, n. 16156/2013; nonché, in motivazione, Cass. pen., sez. un., n. 7208/2007). Infatti, nella stessa sentenza commentata, si afferma anche che «l'eccezione alla facoltà di astensione stabilita per l'offeso dal reato risulta altresì del tutto omogenea rispetto a quelle parimenti stabilite per i congiunti che abbiano presentato denuncia, querela o istanza», potendosi da tale affermazione farsi derivare, parimenti, la inapplicabilità dell'art. 384, comma 1, c.p. Una diversa affermazione di principio nel caso del prossimo congiunto persona offesa dovrebbe fondarsi su una esclusione della ritenuta omogeneità delle deroghe alla facoltà di astensione previste dal comma 1 dell'art. 199 c.p.p., poiché, in caso di denuncia querela o istanza si è in presenza di un comportamento “attivo” che dimostra come sia stato «già risolto quel conflitto di coscienza che la facoltà di astensione intende tutelare e che fonda l'esimente» (Cass. pen., sez. un., n. 7208/2007). |