Riforma Cartabia: inammissibile la comunicazione telematica al PM sino all’emanazione dei regolamenti di attuazione
27 Gennaio 2025
Massima Sino all'emanazione dei regolamenti di cui all'art. 87 d.lgs. n. 150/2022, l'art. 153 comma 2 c.p.p. deve ritenersi applicabile nella formulazione precedente alla suddetta riforma, per cui, per il Pubblico Ministero, il termine di impugnazione decorre dalla consegna della copia dell'atto, a cura della cancelleria del giudice, nella sua segreteria, con conseguente irrilevanza, ai fini del computo di detto termine, delle comunicazioni dei provvedimenti del giudice compiute mediante sistemi telematici. Il caso Il Tribunale del riesame di Roma accoglieva l'appello proposto dal PM avverso l'ordinanza emessa dal GIP del Tribunale di Tivoli, ripristinando in tal modo il sequestro preventivo di un'area e dei manufatti ivi insistenti per la violazione dell'art. 44, lett. c), d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Avverso questa decisione, l'imputato proponeva ricorso per Cassazione ritenendo tardivo l'appello proposto dal PM. La questione Quando si intende realizzata la conoscenza dell'atto, da parte del PM, a seguito di comunicazione mediante modalità telematiche, da parte della cancelleria del giudice, anziché attraverso la consegna di copia dell'atto in segreteria? Le soluzioni giuridiche Il ricorrente deduceva l'inosservanza di norme processuali e, nello specifico, la tardività dell'appello proposto in data 1° settembre 2023 dalla Procura, avendo la stessa ricevuto comunicazione del provvedimento del GIP in data 21 luglio 2023 (come risultante dall'unica asseverazione ufficiale allegata al ricorso), per cui il termine per proporre appello sarebbe spirato il 31 luglio 2023. In secondo luogo, il ricorrente deduceva la violazione e falsa applicazione degli artt. 71, comma 1, d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117, 22 e 44, d.P.R. n. 380/2001, 21-quinquies e 21-nonies, l. 7 agosto 1990, n. 241, 133, d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104, per essersi il giudice penale sostituito alla PA nella valutazione della procedura, rientrante nella sfera della discrezionalità tecnica dell'Amministrazione, e per non aver fornito alcuna motivazione circa l'aumento del carico urbanistico. Da ultimo, il ricorrente censurava la carenza totale di motivazione con riferimento al periculum in mora, nonché un vizio di motivazione circa la destinazione dell'area. La Corte ha ritenuto infondata l'impugnazione. In relazione al primo motivo, la Corte ha rilevato che “la comunicazione del 21 luglio 2023 era stata effettuata dalla cancelleria del Tribunale di Tivoli non mediante la consegna di copia dell'atto nella segreteria del Pubblico Ministero, ma mediante un sistema di notifiche telematiche, dunque attraverso uno strumento non previsto dall'art. 153, comma 2, c.p.p., applicabile nella versione precedente alla riforma di cui al d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, posto che non sono stati ancora adottati i regolamenti di cui all'art. 87 del decreto medesimo, alla cui emanazione è condizionata l'entrata in vigore delle nuove disposizioni compreso l'art. 153 in esame” (Cass. pen., sez. III, 15 maggio 2024, n. 24077). In sostanza, viene ribadita la vigenza della precedente formulazione dell'art. 153 comma 2 c.p.p., che consente esclusivamente il ricorso alla consegna di copia dell'atto nella segreteria della Procura, in assenza dell'emanazione dei regolamenti di attuazione della riforma Cartabia. La mancata operatività del PPT non può essere surrogata neppure dalla legislazione emergenziale promulgata a seguito della pandemia da Covid-19. Difatti, l'art. 24, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito con modificazioni dalla l. 18 dicembre 2020, n. 176, ha disciplinato il deposito telematico di memorie, documenti, richieste e istanze, per le parti private, presso gli uffici della Procura della Repubblica, ma nulla ha disposto in relazione ai provvedimenti emessi dal giudice. Peraltro, la Corte ha rilevato che “l'ordinanza di revoca del sequestro non era stata trasmessa neanche all'indirizzo PEC della segreteria del Pubblico Ministero, ma ad un diverso indirizzo della Procura della Repubblica, peraltro neppure inserito tra quelli degli uffici giudiziari indicati nel provvedimento del direttore generale dei sistemi informatici del Ministero della Giustizia, emanato il 9 novembre 2020”. Quindi, essendo stata adottata una modalità di comunicazione differente da quella prevista dalla legge, si è reso necessario accertare il momento in cui il PM ha avuto conoscenza effettiva della suddetta comunicazione. Ebbene, la Corte ha individuato, quale unica data certa, il giorno 24 luglio 2023, quando ufficiali in servizio presso la Polizia locale di Roma depositavano la revoca del sequestro preventivo presso la segreteria del PM. I giudici di legittimità hanno ritenuto infondato, altresì, il secondo motivo di ricorso, con il quale si contestava l'assenza di valutazione del progetto dell'opera, della tecnica costruttiva e dell'incidenza sul carico urbanistico, con sostituzione del giudice penale alla PA in un settore connotato da discrezionalità tecnica. Invero, la Corte di Cassazione ha condiviso la lettura offerta dal Tribunale del Riesame di Roma (in linea con costante orientamento della giurisprudenza amministrativa e penale) dell'art. 71 d.lgs. n. 117/2017, che dispone “Le sedi degli enti del Terzo settore e i locali in cui si svolgono le relative attività istituzionali, purché non di tipo produttivo, sono compatibili con tutte le destinazioni d'uso omogenee previste dal decreto del Ministero dei lavori pubblici 2 aprile 1968 n. 1444 e simili, indipendentemente dalla destinazione urbanistica”. Secondo la Corte, “questa disposizione intende favorire e promuovere le attività private di interesse pubblico, riconoscendo una sorta di "compatibilità ex lege" delle sedi e dei locali di questi enti con qualsiasi zona omogenea del piano regolatore e con qualsiasi destinazione d'uso; ciò, tuttavia, non consente di affermare l'esistenza di una deroga generalizzata alle altre disposizioni in materia edilizia, con particolare riferimento ai titoli abilitativi ed alla disciplina in tema di sicurezza e di sanità, dunque evidentemente da rispettare”. In sostanza, la disposizione in oggetto intende favorire le attività del Terzo settore, agevolandone la collocazione e la distribuzione su tutto il territorio, ma non ammette deroghe in relazione all'esecuzione di attività edilizia, al fine di evitare disparità di trattamento con i soggetti privati. Il Tribunale del riesame ha, altresì, operato la verifica delle opere e delle rispettive caratteristiche, inquadrandole negli interventi di nuova costruzione – e non anche in quelli di edilizia libera – così da richiedere il rilascio del permesso di costruire, in linea con quanto affermato dalla stessa Sezione nelle sentenze nn. 41182 del 20 ottobre 2021 e 11999 del 6 marzo 2024. La Corte, poi, ha evidenziato l'assoluta genericità della censura circa la sostituzione del giudice penale alla PA e, da ultimo, ha considerato assolutamente non carente la motivazione del Tribunale del riesame anche in riferimento alla sussistenza del periculum in mora. Difatti, il Tribunale ha ritenuto sussistente il periculum in termini di aggravio del carico urbanistico, insistendo l'impianto sportivo in un'area a destinazione agricola, sottoposta a vincolo paesaggistico e trattandosi di opera isolata, non inserita in un ambiente sportivo già realizzato. D'altra parte, il Tribunale del riesame ha fatto proprio il costante orientamento della giurisprudenza, secondo cui “è ammissibile il sequestro preventivo di opere costruite abusivamente anche nell'ipotesi in cui l'edificazione sia ultimata, fermo restando l'obbligo di motivazione del giudice circa le conseguenze ulteriori sul regolare assetto del territorio rispetto alla consumazione del reato, derivanti dalla libera disponibilità del bene” (sez. III, 20 ottobre 2016, n. 52051, Giudici, Rv. 268812). Osservazioni Il ricorrente eccepiva la tardività dell'impugnazione del PM, che avrebbe avuto conoscenza del provvedimento del GIP (revoca del sequestro) in data 21 luglio 2023, come attestato dall'unica asseverazione ufficiale allegata al ricorso. Di contro, il Tribunale del riesame aveva deciso sulla scorta di un'attestazione di segreteria, con la quale un funzionario aveva certificato di aver preso cognizione del provvedimento in data 23 luglio 2023. La Corte ha rilevato che la comunicazione del 21 luglio 2023 era stata effettuata, dalla cancelleria del Tribunale di Tivoli, mediante notifica telematica (come dispone l'art. 153 c.p.p. a seguito del d.lgs. n. 150/2022) anziché mediante consegna di copia dell'atto presso la segreteria del PM (così come previsto dall'art. 153 comma 2 c.p.p. nella formulazione antecedente alla riforma Cartabia). Poiché l'applicabilità della novella legislativa (che ha previsto un sistema di notifiche telematiche) è condizionata all'emanazione dei regolamenti di attuazione di cui all'art. 87 d.lgs. n. 150/2022, in assenza di questi ultimi deve trovare applicazione la precedente versione della disposizione in oggetto. Sino al 29 dicembre 2022, l'art. 153, comma 1, c.p.p. prevedeva che: “Le notificazioni al pubblico ministero sono eseguite, anche direttamente dalle parti o dai difensori, mediante consegna di copia dell'atto nella segreteria. Il pubblico ufficiale addetto annota sull'originale e sulla copia dell'atto le generalità di chi ha eseguito la consegna e la data in cui questa è avvenuta”. Poi, al comma 2, l'art. 153 c.p.p. stabiliva che: “Le comunicazioni di atti e provvedimenti del giudice al pubblico ministero sono eseguite a cura della cancelleria nello stesso modo, salvo che il pubblico ministero prenda visione dell'atto sottoscrivendolo. Il pubblico ufficiale addetto annota sull'originale dell'atto la eseguita consegna e la data in cui questa è avvenuta”. In sostanza, la Corte ha ribadito la vigenza della precedente formulazione della norma in esame, la quale consente esclusivamente la consegna di copia dell'atto presso la segreteria quale modalità di comunicazione degli atti del giudice alla Procura. Peraltro, l'art. 153 c.p.p. non era stato interessato da alcuna delle novelle legislative precedenti: né dal d.l. n. 179/2012 che, in tema di comunicazioni e notificazioni telematiche, non richiamava la disposizione in oggetto, né dalla legislazione emergenziale pandemica (l'art. 24, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla l. 18 dicembre 2020, n. 176), che ha regolato il deposito telematico degli atti di parte, ma nulla ha disposto in riferimento agli atti emessi dal giudice. Per tali motivi, la Corte ha ritenuto la PEC del 21 luglio 2023 (peraltro trasmessa ad un differente indirizzo della Procura, neppure inserito tra quelli degli uffici giudiziari indicati nel provvedimento del direttore generale dei sistemi informatici del Ministero della Giustizia) una modalità di comunicazione non (ancora) prevista dall'ordinamento processuale, collocando temporalmente la conoscenza del provvedimento, da parte del PM, in data 24 luglio 2023, quando la Polizia locale depositava presso la segreteria della Procura una copia della revoca del sequestro emessa dal GIP. Trattasi, ad avviso dei giudici di legittimità, non di conoscenza reale in luogo di quella legale, ma di mera e corretta applicazione della normativa (ancora) vigente. Quella illustrata è una soluzione che si fonda sulla lettera della norma in precedenza richiamata, la quale, nella formulazione ante Cartabia, non lascia spazio a modalità di comunicazione ulteriori e differenti rispetto alla consegna di copia dell'atto nella segreteria della Procura della Repubblica. Ciò detto, si ritiene opportuno dare atto che, dapprima con il d.m. n. 217/2023 (entrato in vigore il 14 gennaio 2024) e, poi, con il recente d.m. n. 206/2024 (entrato in vigore il 30 dicembre 2024), è stata data attuazione al disposto di cui ai commi 1 e 3 dell'art. 87 d.lgs. n. 150/2022. Tali fonti normative, però, si limitano a regolare il deposito – attraverso il portale telematico – di atti, documenti, richieste e memorie da parte dei soggetti abilitati, interni ed esterni, ma nulla dispongono in relazione alle comunicazioni degli atti da parte del giudice ad altro giudice, ovvero da parte del giudice al PM, la cui disciplina si rinviene negli artt. 64 disp. att. c.p.p. e 153 c.p.p. – entrambe norme primarie. L'art. 64 disp. att. c.p.p., così come novellato dal d.lgs. n. 150/2022, la cui entrata in vigore è stata differita al 30 dicembre 2022 dal d.l. n. 162/2022, prevede che: “La comunicazione di atti del giudice ad altro giudice si esegue mediante trasmissione di copia dell'atto con le modalità telematiche di cui all'art. 148, comma 1, del codice o, nei casi di cui all'art. 148, comma 4, del codice, con lettera raccomandata con avviso di ricevimento, ovvero mediante consegna al personale di cancelleria, che ne rilascia ricevuta su apposito registro custodito presso la cancelleria del giudice che ha emesso l'atto. La comunicazione di atti dal giudice al pubblico ministero che ha sede diversa da quella del giudice si esegue mediante trasmissione di copia dell'atto con le modalità telematiche di cui all'art. 148, comma 1, del codice o, nei casi di cui all'art. 148, comma 4, del codice, con lettera raccomandata con avviso di ricevimento”. Proprio il riferimento alla “sede diversa da quella del giudice” rende inapplicabile la norma in oggetto al caso di specie, avendo sede – sia il GIP che il PM – presso il circondario di Tivoli. Di converso, se il PM avesse avuto sede differente da quella del giudice, tale disposizione avrebbe trovato attuazione, con ogni probabilità, trattandosi di norma primaria in vigore dal 30 dicembre 2022. Escluso, quindi, l'art. 64 disp. att. c.p.p. e, con uno sforzo di immaginazione, collocando temporalmente il caso oggetto della sentenza all'entrata in vigore dei d.m. predetti, la disposizione applicabile sarebbe il novellato art. 153 c.p.p., il quale stabilisce che: “Le notificazioni al pubblico ministero sono eseguite, con le modalità previste dall'art. 148, comma 1, e, nei casi indicati dall'art. 148, comma 4, direttamente dalle parti o dai difensori, mediante consegna di copia dell'atto in forma di documento analogico nella segreteria. In tale ultimo caso, il pubblico ufficiale addetto annota sull'originale e sulla copia dell'atto le generalità di chi ha eseguito la consegna e la data in cui questa è avvenuta. Le comunicazioni di atti e provvedimenti del giudice al pubblico ministero sono eseguite a cura della cancelleria nello stesso modo, salvo che il pubblico ministero prenda visione dell'atto sottoscrivendolo. In tal caso, il pubblico ufficiale addetto annota sull'originale dell'atto la eseguita consegna e la data in cui questa è avvenuta”. Ebbene, nonostante l'emanazione dei regolamenti di attuazione della riforma Cartabia, i quali disciplinano esclusivamente il deposito degli atti e non anche le comunicazioni degli stessi dal giudice ad altro giudice, ovvero dal giudice al PM, in ossequio al principio stabilito dalla sentenza illustrata, si potrebbe ritenere che continui ad applicarsi la precedente formulazione di cui all'art. 153 c.p.p., così come nell'ipotesi della pronuncia esaminata, nella perdurante assenza delle direttive di attuazione di cui ai commi 1 e 3 dell'art. 87 d.lgs. n. 150/2022. Ragionando in tal senso, emergerebbe un cortocircuito in relazione alle comunicazioni da parte del giudice al PM. Invero, se questi ha sede in altro circondario rispetto al giudice, la comunicazione sarebbe telematica – ai sensi del novellato art. 64 disp. att. c.p.p. (norma primaria, al pari dell'art. 153 c.p.p.); di contro, se la sede è la medesima, in assenza delle disposizioni attuative della riforma Cartabia, la comunicazione continuerebbe ad essere “analogica”, così come disposto dalla precedente formulazione dell'art. 153 comma 2 c.p.p. La sentenza in oggetto prosegue ritenendo infondate anche le ulteriori censure mosse dal ricorrente, con le quali contestava la violazione dell'art. 71 d.lgs. n. 117/2017, la mancanza di valutazione del progetto delle opere e delle tecniche di costruzione, l'assenza di individuazione dell'incidenza sul carico urbanistico e la sostituzione del giudice penale alla Pubblica Amministrazione in valutazioni connotate da discrezionalità tecnica. Come per il primo motivo di impugnazione, la soluzione offerta dalla Corte ha preso le mosse da un'attenta lettura della norma richiamata, la quale, al comma 1, prevede che “Le sedi degli enti del Terzo settore e i locali in cui si svolgono le relative attività istituzionali, purché non di tipo produttivo, sono compatibili con tutte le destinazioni d'uso omogenee previste dal decreto del Ministero dei lavori pubblici 2 aprile 1968 n. 1444 e simili, indipendentemente dalla destinazione urbanistica”. La sentenza illustrata ha compiuto altresì una notevole analisi dell'elaborazione giurisprudenziale amministrativa circa la portata dell'art. 71 d.lgs. n. 117/2017, secondo la quale tale disposizione mira soltanto a favorire lo sviluppo degli ETS su tutto il territorio e promuovere le attività private di interesse pubblico, rendendo compatibili sedi e locali di detti enti con qualsiasi zona omogenea del piano regolatore e con qualsiasi destinazione d'uso. Di converso, l'art. 71 d.lgs. n. 117/2017 non comporta alcuna deroga generalizzata in materia di urbanistica ed edilizia e, nello specifico, in relazione ai titoli abilitativi e alle disposizioni in tema di sicurezza e sanità (tra le molte, TAR Lazio, sezione di Latina, n. 607 del 2023; TAR Toscana, n. 235 del 2019). Ancora, tale disposizione “non coincide con una disposizione urbanistica stricto sensu, non avendo a oggetto il governo o la regolazione del territorio in sé; si limita piuttosto a prevedere un trattamento speciale in favore di certe categorie di soggetti, non già a disciplinare l'uso del territorio in quanto tale. In tale prospettiva, l'esenzione dal regime ordinario costituisce un'agevolazione soggettiva a beneficio degli ETS e della loro attività, come tale ben rientrante nel quadro delle finalità di sostegno e incentivo perseguite dalla legge a norma degli artt. 1 e 2 d.lgs. n. 117/2017; ma non è ascrivibile a tale disposizione una natura urbanistica vera e propria, non investendo essa il governo del territorio come tale” (Cons. Stato, sez. V, 1° marzo 2021, n. 1737). In definitiva, la norma in oggetto agevola la collocazione territoriale degli ETS e ne favorisce una distribuzione omogenea all'interno del Paese, ma non prevede una disciplina derogatoria in tema di edilizia e urbanistica, per cui tali enti sono sottoposti alle medesime regole dei privati. Una contraria lettura della disposizione, secondo la Corte, rischierebbe di generare disparità di trattamento dalla dubbia legittimità costituzionale. Con riferimento alla censura circa la mancata verifica del progetto dell'opera e dei profili tecnici, la Corte ha richiamato l'attenzione sulla pagina n. 10 dell'ordinanza del Tribunale del riesame, ove è sviluppata un'attenta analisi delle opere che, difatti, sono state inquadrate negli interventi di nuova costruzione (per cui è necessario il permesso di costruire), anziché nell'attività edilizia libera (per la quale è sufficiente la presentazione della SCIA). A sostegno di tale soluzione, la Corte richiama due precedenti della medesima sezione relativi proprio alla costruzione di campi da padel (sez. III, sentenze nn. 41182 del 20 ottobre 2021 e 11999 del 6 marzo 2024). I giudici di legittimità, poi, rilevano l'assoluta genericità della censura mossa dal ricorrente in relazione alla sostituzione del giudice penale alla Pubblica Amministrazione nell'emanazione di provvedimenti connotati da discrezionalità tecnica, non avendo esaminato il rapporto tra la stessa discrezionalità ed il rispetto delle norme cogenti. Da ultimo, la Corte è giunta alle medesime conclusioni con riferimento alla terza censura, relativa alla carenza assoluta di motivazione circa la sussistenza del periculum in mora, nonché al vizio di contraddittorietà, peraltro non ammesso ai sensi dell'art. 325 c.p.p. Invero, tale ultima disposizione, al comma 1, prevede che: “Contro le ordinanze emesse a norma degli artt. 322-bis e 324, il pubblico ministero, l'imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione possono proporre ricorso per cassazione per violazione di legge”. Quindi, in tema di misure cautelari reali è ammesso il ricorso per Cassazione esclusivamente per carenza assoluta o mera apparenza della motivazione, rientrando tali nozioni nell'alveo della violazione di legge di cui all'art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p., ma non anche per contraddittorietà della stessa, essendo tale vizio disciplinato dall'art. 606, comma 1, lett. e) c.p.p. e non rappresentando un'ipotesi di violazione di legge. In ogni caso, la Corte richiama un costante orientamento giurisprudenziale che ammette il sequestro preventivo di opere abusive la cui edificazione sia già ultimata, onerando il giudice dell'obbligo di motivare circa le ulteriori conseguenze sul regolare assetto del territorio che derivano dalla libera disponibilità del bene (sez. III, 20 ottobre 2016, n. 52051, Giudici, Rv. 268812). Nel caso di specie, il Tribunale del Riesame ha affermato la sussistenza del periculum in mora in termini di aggravio del carico urbanistico, essendo stato realizzato l'impianto sportivo in un'area a destinazione agricola, sottoposta a vincolo paesaggistico e non essendo inserito in altro ambiente sportivo già sussistente. Per tale motivo, in assenza di violazioni di legge – censurabili ex art. 325 c.p.p., la Corte ha rigettato il ricorso. |