Restituzione dei finanziamenti ai soci tra bancarotta preferenziale e bancarotta fraudolenta per distrazione
03 Aprile 2025
Massima In tema di responsabilità penale dell’amministratore-socio, la restituzione di somme a titolo di rimborso di finanziamenti erogati alla società integra la fattispecie di bancarotta fraudolenta per distrazione qualora tali finanziamenti siano stati effettuati in un momento di grave squilibrio finanziario, in cui sarebbe stato “ragionevole un conferimento”, ex art. 2467, comma 2, c.c. In assenza di tale presupposto, ove il finanziamento presenti i caratteri del mutuo ordinario, la restituzione può integrare la fattispecie meno grave di bancarotta preferenziale. La corretta qualificazione richiede un’attenta verifica della situazione finanziaria della società al momento dell’apporto. Il caso Con la sentenza n. 1923 del 16 ottobre 2024, la Corte di cassazione, Sezione quinta penale, ha annullato con rinvio la decisione con cui i giudici di merito avevano condannato un amministratore-socio per bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione. Secondo la ricostruzione dei fatti operata sinteticamente in sentenza, l’imputato, nella qualità di amministratore unico della società poi fallita, aveva effettuato prelievi di denaro giustificandoli come restituzioni di finanziamenti erogati in precedenza dal medesimo a favore della società e annotate in contabilità come apporti. Il giudice di primo grado aveva qualificato la condotta come distrattiva, ritenendo irrilevante la dedotta natura di finanziamento dei versamenti e fondando la decisione sulla situazione di dissesto della società al momento della restituzione. La Corte d’appello aveva confermato tale lettura. In sede di ricorso per cassazione, l’imputato ha dedotto vizio di motivazione, sostenendo che la somma fosse stata erogata in qualità di finanziatore, e non come conferimento del socio, e che la restituzione rappresentasse il soddisfacimento di un credito esigibile. Pertanto, il fatto doveva essere riqualificato come bancarotta preferenziale, reato ormai prescritto. La questione Il nodo centrale su cui la Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi riguarda la qualificazione della restituzione dei finanziamenti ai soci in prossimità del fallimento: se lo stesso cioè debba considerarsi atto distrattivo, lesivo della massa fallimentare, o rappresenti (ipotesi meno grave) l’adempimento di un’obbligazione restitutoria, con violazione della par condicio creditorum. Da tale inquadramento discendono conseguenze rilevanti sia sul piano della tipizzazione penale della condotta (bancarotta fraudolenta ovvero bancarotta preferenziale), sia in materia di prescrizione. Le soluzioni giuridiche La giurisprudenza di legittimità ha sviluppato nel tempo orientamenti differenti in ordine alla qualificazione penalistica della restituzione ai soci di somme da questi versate alla società in epoca antecedente al fallimento. Secondo un primo orientamento, tale condotta integra gli estremi della bancarotta preferenziale, trattandosi della restituzione di crediti liquidi ed esigibili in violazione del principio della par condicio creditorum. In questo senso si è espressa la giurisprudenza in più occasioni, ravvisando nel rimborso al socio un’ingiustificata preferenza a danno degli altri creditori (Cass. Pen. Sez. 5, n. 14908 del 07/03/2008; Cass. pen., Sez. 5, n. 1793 del 10/11/2011; Cass. Pen., Sez. 5, n. 13318 del 14/02/2013; Cass. Pen., Sez. 5, n. 5186 del 02/10/2013; Cass. pen., Sez. 5, n. 10117 del 22/01/2018). Un secondo orientamento riconduce invece la condotta alla bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, ritenendo che la restituzione di un finanziamento effettuato in un momento di difficoltà economica della società non costituisca una mera preferenza, bensì un vero e proprio atto di depauperamento dell’attivo. In particolare, si sottolinea come tale rimborso tradisca la finalità propria del finanziamento, assumendo un significato ben più grave della mera lesione del principio di parità dei creditori. Decisiva, secondo tale impostazione, è la condizione di dissesto della società al momento della restituzione delle somme. L’orientamento più recente, che - come affermato dalla stessa sentenza in commento - non si contrappone, ma chiarisce i precedenti, propone di adottare un criterio distintivo fondato sulla natura del versamento originario: occorre distinguere, cioè, se il socio abbia effettuato un conferimento, un versamento in conto futuro aumento di capitale, oppure un finanziamento vero e proprio a titolo di mutuo. Solo in quest’ultimo caso, secondo tale ricostruzione, si configurerebbe un credito esigibile, la cui restituzione, se effettuata in violazione del principio di parità tra i creditori, darebbe luogo a bancarotta preferenziale. Negli altri casi - ove si tratti di versamenti in conto capitale o in funzione di un futuro aumento - la restituzione integra invece la bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, attesa l’inesigibilità del credito nel corso della vita sociale (Cass. Pen., Sez. 5, n. 27446 dell’08/03/2024; Cass. Pen., Sez. 5, n. 32930 del 21/06/2021; Cass. Pen., Sez. 5, n. 8431 del 01/02/2019). A sostegno di quest’ultima impostazione si richiama la giurisprudenza civile di legittimità, la quale distingue chiaramente i versamenti in conto capitale - assimilabili al capitale di rischio - dai finanziamenti in senso stretto. I primi, infatti, non generano crediti esigibili durante la vita della società e possono essere restituiti solo in sede di liquidazione, entro i limiti dell’attivo residuo (Cass. Civ., n. 15035 dell’08 giugno 2018). I secondi, al contrario, danno luogo a un’obbligazione restitutoria esigibile secondo le regole ordinarie del mutuo. Tale ricostruzione ha trovato un’ulteriore specificazione nella recente sentenza Cass. Pen., Sez. 5, 20 giugno 2024 n. 29670, che - pur senza smentire la distinzione civilistica tra conferimenti e finanziamenti - sottolinea l’importanza della situazione finanziaria della società al momento dell’immissione di denaro. Se il versamento avviene in un contesto di significativo squilibrio patrimoniale o finanziario, esso deve essere qualificato come finanziamento sostitutivo del capitale, e quindi soggetto alla disciplina della postergazione ex art. 2467, comma 2, c.c.. Come noto, la ratio dell’art. 2467 c.c. è quella di contrastare la sottocapitalizzazione nominale, fenomeno frequente nelle società a ristretta base sociale, ove i soci preferiscono finanziare l’impresa piuttosto che incrementare il capitale. In tal senso, l’art. 2467, comma 2, c.c. assume valore dirimente: la natura del versamento non dipende dalla forma giuridica adottata, ma dalla condizione economica della società al momento dell’erogazione. |