Decreto Priolo, impugnazioni contro il blocco degli impianti: irragionevole lo spostamento della competenza al Tribunale di Roma

La Redazione
07 Aprile 2025

La Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma contenuta nel decreto-legge n. 2 del 2023 (c.d. “decreto Priolo”), che stabilisce la competenza del Tribunale di Roma per gli appelli contro i provvedimenti del giudice che abbiano negato l'autorizzazione a proseguire l'attività di stabilimenti o impianti sequestrati di interessi strategico nazionale.

La norma era inserita nella più ampia disciplina introdotta a gennaio 2023 riguardante i  sequestri di stabilimenti e impianti di interesse strategico nazionale, precedentemente esaminata dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 105 del 2024. In quell'occasione, la Corte aveva ritenuto, nel complesso, legittima la facoltà del Governo di stabilire con decreto, in via derogatoria rispetto agli ordinari procedimenti autorizzativi, le modalità di prosecuzione dell'attività di stabilimenti e impianti sequestrati, con la condizione che tali misure non avessero una durata superiore a 36 mesi.

La Consulta ha esaminato la norma che designava il Tribunale di Roma come unico giudice competente a giudicare l'impugnazione contro il provvedimento di sospensione dell'attività preso nonostante il decreto governativo, osservando che, senza la nuova norma,  il provvedimento del giudice relativo alla prosecuzione dell'attività sarebbe stato già appellabile tramite ricorso cautelare davanti al tribunale territorialmente competente, ossia il tribunale del capoluogo di provincia dove ha sede il giudice che procede.

La Corte ha quindi stabilito che  lo spostamento di competenza definito dalla nuova norma non viola il principio del giudice naturale stabilito per legge, sancito dall'art. 25, comma 1, Cost. La nuova competenza del Tribunale di Roma, infatti, deriva da una  disciplina legislativa di portata generale e non riferita a una singola vicenda giudiziaria, mirata a garantire uniformità giurisprudenziale su questioni di interesse strategico nazionale e ancorata a presupposti obiettivi stabiliti dalla legge.

Tuttavia, la norma esaminata risulta  manifestamente irragionevole, e dunque è contraria all'art. 3 Cost. Sebbene la scelta di conferire al Tribunale di Roma la competenza non sia di per sé illogica, la disciplina così come concretamente configurata dal legislatore presenta  due incongruenze significative.

In primo luogo,  la norma attribuisce la competenza al Tribunale di Roma solo per l'impugnazione contro il provvedimento che nega l'autorizzazione a proseguire l'attività produttiva, ma non contro il provvedimento che abbia invece autorizzato l'attività, che resta impugnabile dal pubblico ministero presso il tribunale territoriale. Ciò genera una situazione del tutto singolare in cui  la competenza varia a seconda dell'esito del provvedimento impugnato.

In secondo luogo, il  trasferimento di competenza solo per l'impugnazione del provvedimento di negazione della prosecuzione dell'attività porta alla possibilità di procedimenti d'appello paralleli davanti a diversi tribunali  contro i provvedimenti del giudice che ha disposto il sequestro dei medesimi impianti, con conseguente pregiudizio «non solo rispetto alla finalità, perseguita dal legislatore, di garantire l'uniformità degli indirizzi interpretativi in materia e la specializzazione dell'organo giudicante, ma anche rispetto all'esigenza di garantire, nell'immediato,  decisioni tra loro coerenti rispetto al singolo procedimento cautelare avviato con il sequestro di un determinato impianto o stabilimento».

   

*Fonte: DirittoeGiustizia

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