Giudizio di equo indennizzo per irragionevole durata del processo: come si determina il compenso dell’avvocato?

La Redazione
07 Aprile 2025

La Corte richiama le regole individuate dal giudice di legittimità per il calcolo del periodo indennizzabile e la determinazione dei compensi spettanti all’avvocato all’esito del giudizio per ottenere l’equo indennizzo per l’irragionevole durata del processo

Tizio proponeva opposizione avverso il decreto emesso dal Consigliere designato della Corte d'Appello di Roma, con cui era ingiunto al Ministero della Giustizia il pagamento di Euro 1.600,00 oltre interessi legali dalla domanda e spese di lite da distrarsi, a titolo di equo indennizzo per la non ragionevole durata di un giudizio, presupposto di equa riparazione e di due successivi giudizi di ottemperanza. Rilevava il ricorrente che il giudizio presupposto unitariamente inteso (di cognizione e di ottemperanza) aveva avuto una durata complessiva di 6 anni, 6 mesi e 15 giorni, alla quale erroneamente il giudice monocratico aveva detratto 6 mesi da ciascuna tranche di processo presupposto (cognizione e ottemperanza, quest'ultimo articolatosi in due diversi giudizi), mentre doveva essere complessivamente detratta la durata ragionevole di 1 anno; sicché la durata irragionevole ammontava a 6 anni, in quanto ai fini dell'indennizzo ogni frazione di anno superiore a 6 mesi è pari ad 1 anno, ex art. 2-bis, comma 1, l. n. 89/2001. Il giudice dell'opposizione accoglieva in parte il gravame, ritenendo non corretto, con riguardo all'addebitabilità del ritardo, il frazionamento effettuato dalla Corte territoriale perché in contrasto con il principio dell'unitarietà dello specifico procedimento, ma calcolando in 5 e non in 6 gli anni indennizzabili. Tizio ricorreva in Cassazione, contestando l'impugnato decreto sotto il profilo dell'errata determinazione dell'irragionevole durata del procedimento presupposto e, di conseguenza, dell'errata quantificazione del compenso.

La SC ha accolto le censure del ricorrente, sottolineando come la Corte d'appello, in secondo grado, abbia correttamente applicato il principio già espresso dal giudice di legittimità, secondo cui «la fase di cognizione del processo che ha accertato il diritto all'indennizzo a carico dello Statodebitore va considerata unitariamente rispetto alla fase esecutiva eventualmente intrapresa nei confronti dello Stato» (Cass. civ., sez. un., 23 luglio 2019, n. 19883 e, da ultimo, Cass. civ., sez. II, 28 giugno 2023, n. 18397); ed abbia correttamente rilevato, in esito alla sentenza Corte Cost., 19 febbraio 2016, n. 36 ed ai principi enunciati da Cass. civ., sez. un., 23 luglio 2019, n. 19883, che la durata ragionevole della fase di cognizione di equa riparazione e della correlata esecuzione è di un anno. Tuttavia, non ha applicato il principio per qui «agli effetti dell'apprezzamento del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all'art. 6, par. 1, CEDU, tale durata (del processo presupposto) va calcolata avendo riguardo all'intero svolgimento del processo medesimo, e non verificando se ciascuno dei suoi singoli gradi o fasi si sia, o meno, protratto oltre il rispettivo standard di ragionevolezza. Ne consegue che, qualora il processo si sia svolto in più gradi, come nel caso in esame, la durata complessiva si determina sommando il tempo effettivo trascorso per la sua definizione, senza alcun arrotondamento per i singoli gradi e con esclusione dei periodi di sospensione e di quelli compresi tra il dies a quo per proporre le impugnazioni ed il momento in cui l'impugnazione è effettivamente proposta, con arrotondamento ad un anno della frazione superiore a sei mesi operato solo una volta sulla durata complessiva così determinata». Nel caso di specie, la ripartizione dunque andava operata nel senso di rispettare i tempi del processo identificati nei giudizi di merito: il giudizio di cognizione ha avuto la durata di 5 anni, quello di ottemperanza (complessivamente nei due distinti giudizi) di 1 anno e 29 giorni. Di conseguenza, deve essere addebitato al Ministero della Giustizia l'equivalente del compenso utilizzando il moltiplicatore per anni cinque, e al MEF l'equivalente del compenso utilizzando il moltiplicatore per un solo anno. Infine, con riferimento ai giudizi di opposizione, la SC ha chiarito che, quanto alla tabella applicabile al giudizio di opposizione per la determinazione dei compensi dell'avvocato, il procedimento per l'equa riparazione del pregiudizio derivante dalla violazione del termine di ragionevole durata del processo va considerato quale procedimento avente natura contenziosa. Nel caso in esame, la decisione censurata aveva errato dunque nell'escludere la fase istruttoria, esclusa dal giudice dell'opposizione avendo questi non correttamente valutato «la memoria ex art. 127-ter c.p.c. alla stregua della memoria illustrativa della fase decisoria, data la particolarità del giudizio di equa riparazione che si chiude con un decreto successivo al deposito della detta memoria».

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