La qualificazione giuridica della dazione di somma di danaro con obbligo di restituzione quando l’accipiens lamenti che non l’ha neppure vista
11 Aprile 2025
Massima Il perfezionamento del contratto di mutuo, con la conseguente nascita dell'obbligo di restituzione a carico del mutuatario, si verifica nel momento in cui la somma mutuata, ancorché non consegnata materialmente, sia posta nella disponibilità giuridica del mutuatario medesimo, attraverso l'accredito su conto corrente, non rilevando in contrario che le somme stesse siano immediatamente destinate a ripianare pregresse esposizioni debitorie nei confronti della banca mutuante, costituendo tale destinazione frutto di atti dispositivi comunque distinti ed estranei alla fattispecie contrattuale. Anche ove si verifichi tale destinazione, il contratto di mutuo (c.d. mutuo solutorio), in presenza dei requisiti previsti dall'art. 474 c.p.c., costituisce valido titolo esecutivo. Il caso Nell''ottobre del 2013 una s.p.a., procuratrice speciale della Cassa di Risparmio di Cento, chiese e ottenne dal Tribunale di Ferrara decreto ingiuntivo nei confronti di A.L. e A.B., rispettivamente debitrice principale e garante del saldo negativo di un conto corrente, assistito da ipoteca. Proposero opposizione gli ingiunti deducendo che, a partire dagli anni '90, la Lanzoni aveva stipulato con la banca cinque contratti di mutuo, con riferimento all'ultimo dei quali era stato azionato il ricorso monitorio; che nessuna somma era dovuta all'ingiungente posto che, a tacer d'altro, e cioè a prescindere dalla denunciata applicazione di interessi anatocistici e superiori al tasso soglia, le somme di cui la controparte si assumeva creditrice non erano mai entrate nella disponibilità della mutuataria anzi, a dirla tutta, non erano mai uscite dalle casse della sedicente mutuante, essendo state utilizzate per estinguere mutui e aperture di credito precedenti. Il Tribunale rigettò la richiesta declaratoria di nullità dell'intero contratto di mutuo, pur riducendo, sulla base degli esiti di una espletata c.t.u., l'ammontare della somma dovuta all'opposta. La Corte d'appello confermò la decisione. Per quanto qui interessa, ritenne la Curia territoriale che l'accredito su conto corrente equivalesse alla «consegna» di cui all'art. 1813 c.c.; che nella fattispecie esso era documentalmente provato; che l'acquisizione della somma da parte della banca per estinguere un mutuo precedente non invalidava l'operazione, ma dimostrava semmai l'esistenza di una causa concreta del negozio, che era evidentemente servito per ripianare passività pregresse. Gli ingiunti non ci stettero e proposero ricorso per cassazione. Con i primi due motivi tornarono a negare l'esistenza del diritto di credito giudizialmente azionato. Il contratto di mutuo – dissero – ex art. 1813 c.c., è un contratto reale, che si perfeziona con la traditio, e cioè con la consegna effettiva del denaro dal mutuante al mutuatario. Nella fattispecie l'importo in contestazione era stato accreditato sul conto corrente della debitrice principale con la trasparente causale «operazione di giro». E in effetti esso non era mai stato messo effettivamente a disposizione di A.L.; le operazioni in dare sul conto corrente, avvenute lo stesso giorno e il giorno successivo all'accredito, non erano state autorizzate, disposte o volute dalla sedicente mutuataria; né questa aveva concordato con la banca il reimpiego delle somme asseritamente a lei mutuate. Ne derivava l'insussistenza di un obbligo di restituzione e l'assoluta arbitrarietà della condotta dell'ingiungente. Le questioni Approdato il fascicolo dinanzi alla seconda sezione civile della Corte, il collegio rilevò che sulla natura giuridica del cosiddetto mutuo solutorio si erano registrate soluzioni non uniformi nella giurisprudenza di legittimità, di talché essa integrava una questione di massima meritevole dell'intervento nomofilattico delle sezioni unite. Enunciò al riguardo i due orientamenti contrastanti. Secondo quello prevalente – disse – il cosiddetto “mutuo solutorio”, stipulato per ripianare la pregressa esposizione debitoria del mutuatario verso il mutuante, non solo non era nullo, non essendo contrario né alla legge, né all'ordine pubblico, ma neppure si prestava a essere qualificato come mera dilazione del termine di pagamento oppure quale pactum de non petendo in ragione della pretesa mancanza di un effettivo spostamento di denaro. In realtà l'accredito in conto corrente delle somme erogate integrava la datio rei propria del mutuo e il loro impiego per l'estinzione del debito già esistente purgava il patrimonio del mutuatario di una posta negativa (in tal senso Cass. civ. n. 16377/2023; n. 23149/2022; n. 37654/2021; n. 724/2021). Secondo altri arresti invece l'utilizzo di somme da parte di un istituto di credito per ripianare la pregressa esposizione del correntista, con contestuale costituzione in favore della banca di una garanzia reale, costituiva un'operazione meramente contabile in dare e avere sul conto corrente, non inquadrabile nel mutuo ipotecario, il quale presupponeva sempre l'avvenuta consegna del denaro dal mutuante al mutuatario. Tale operazione determinava a ben vedere gli effetti di un pactum de non petendo ad tempus, posto che restava modificato soltanto il termine per l'adempimento, senza alcuna novazione dell'originaria obbligazione del correntista (in tal senso Cass. civ. n. 1517/2021; n. 20896/2019; n. 7740/2020). Il collegio ricordò anche, a riprova della caratura della questione, che la tesi minoritaria era stata supportata in dottrina con il richiamo al disposto dell'art. 1231 c.c. a tenor del quale «il rilascio di un documento o la sua rinnovazione, l'apposizione o l'eliminazione di un termine e ogni altra modificazione accessoria dell'obbligazione non producono novazione», evidenziando al riguardo come tra le modificazioni non novative di un rapporto obbligatorio siano annoverate dalla giurisprudenza l'apposizione di diverse condizioni economiche, la variazione del tasso di interessi e l'aggiunta di garanzie. Osservazioni Prima di illustrare la scelta decisoria adottata dalle sezioni unite, è opportuno chiarire sia le ragioni pratiche che hanno imposto all'interprete di indagare la natura giuridica del mutuo solutorio, così sciogliendo anche il nodo della sua contestata validità, sia l'impatto nel commercio giuridico ed economico dell'adesione all'una o all'altra qualificazione. C'è anzitutto un problema di individuazione del titolo esecutivo da azionare: perché se il mutuo solutorio mutuo non è; se esso è nullo, in quanto negozio simulato ovvero negozio che realizza una torsione della causa tipica del contratto; se, ancora, stante il carattere accessorio delle modifiche apportate al rapporto originario, esso non determina alcuna novazione di questo, sì da dover essere ricostruito in termini di mera dilazione del termine di restituzione ovvero di pactum de non petendo, allora evidentemente il titolo esecutivo azionabile è il mutuo olim concluso, non il nuovo, sedicente mutuo stipulato tra le parti. Ma i problemi più spinosi sorgono in sede fallimentare. Il quesito basico è se un mutuo cosiddetto solutorio possa supportare una domanda di insinuazione al passivo ovvero se, risolvendosi in un mero differimento del tempo di esecuzione della prestazione dovuta, e cioè in un pactum de non petendo, la domanda di ammissione debba necessariamente fare riferimento al titolo che è stato originariamente alla base dell'erogazione delle somme a credito (cfr. Cass. civ. n. 1517/2021). Ove poi il mutuo solutorio implementi la posizione del creditore; ove, ad esempio, esso sia assistito da garanzie reali, mentre il credito originario era chirografario, resta da stabilire se vada o meno qualificato come negozio indiretto volto a realizzare una forma anomala di pagamento, così integrando un'operazione in frode ai creditori, considerato che il risultato pratico conseguito dalle parti è stata la trasformazione in credito ipotecario di un precedente credito chirografario (cfr. Cass. civ. n. 4694/2021). Dal canto suo la dottrina non ha mancato di osservare che, laddove non vi sia erogazione di nuova liquidità nelle tasche del correntista, il ripianamento di un debito pregresso, a mezzo di un nuovo credito “sostanzia propriamente un'operazione di natura contabile, ovvero una coppia di poste nel conto corrente” – una in dare e l'altra in avere – dovendosi conseguentemente escludere la stipula di un nuovo contratto di mutuo (C. Lombardo, Giur. it., 2021, 1883). La sollecitazione nomofilattica consegnata dall'ordinanza di rimessione viene scarnificata dalle sezioni unite nei tre quesiti qui di seguito riportati: a) se sia possibile configurare la traditio, quale elemento essenziale del contratto di mutuo, nella diretta e immediata destinazione di una somma al ripianamento di debiti pregressi del virtuale accipiens oppure se in casi siffatti, e segnatamente in presenza di un accordo tra le parti, non di mutuo debba parlarsi, ma di pactum de non petendo; b) se, ritenuta la sussistenza di un contratto di mutuo, questo sia azionabile come titolo esecutivo; c) se la qualificazione in termini di mutuo possa essere mantenuta in piedi anche quando il ripianamento delle passività mediante le somme erogate dal solvens venga operato dalla banca in giroconto, in assenza di atti dispositivi della controparte o comunque di un suo effettivo assenso. Tanto premesso, la Corte Suprema, esposte le argomentazioni addotte a sostegno delle due contrapposte tesi, già illustrate dal collegio remittente, enuncia la propria adesione al primo orientamento, a quello cioè secondo cui il cosiddetto mutuo solutorio è un valido contratto di mutuo. Per le ragioni che seguono: a) il mutuo è un contratto reale che, come tale, si perfeziona con la traditio; b) perché questa possa dirsi intervenuta, è necessario e sufficiente che la res sia messa nella disponibilità giuridica del mutuatario, il che avviene con «l'uscita della somma dal proprio patrimonio e l'acquisizione della medesima al patrimonio della controparte, a prescindere da ogni successiva manifestazione di volontà del mutuante»; c) l'approccio ermeneutico che nega l'acquisizione di siffatta disponibilità da parte dell'accipiens allorchè vi sia l'immediata riappropriazione in capo alla banca delle somme mutuate, a copertura di suoi crediti pregressi, e di corrispondenti esposizioni del cliente, è frutto di un metodo empirico di analisi, meramente descrittivo del concreto atteggiarsi dell'operazione nella pratica nonché condizionato dall'intento di negare copertura giuridica alle motivazioni che, di regola, stanno alla base dell'operazione, in modo più efficace e immediato di quanto non consenta l'eventuale ricorso alle azioni revocatorie e di simulazione; d) l'ermeneusi contraria, alla quale il collegio aderisce, oltre ad avere dalla propria l'elementare constatazione che la «riappropriazione …. postula che le somme siano prima transitate sul conto» del mutuatario, che siano cioè state comunque «nella disponibilità giuridica» dello stesso, utilizza rigorosi criteri logico-giuridici di analisi, venendo a ordinare «gli elementi che caratterizzano la fattispecie secondo la sequenza fatto-norma-effetto, sequenza che non richiede necessariamente anche un distanziamento temporale»; e) «sostenere che il mutuo solutorio esuli dalla “natura tipologica” del contratto di mutuo, riducendosi a una “partita contabile”, è affermazione che prova troppo: in epoca di moneta elettronica, infatti, qualsiasi solutio si riduce ad una "partita contabile", come ad es., il pagamento eseguito con carta di credito, carta di debito, carta revolving o PayPal» (cfr. Cass. n. 23149/2022, cit.). f) peraltro nella prassi operazioni del tipo di quella che ha innescato la presente controversia sono accompagnate da modificazioni dell'originario rapporto, quali, a puro titolo esemplificativo, la concessione di garanzie, una variazione dei tassi di interesse applicati ovvero delle modalità di restituzione della somma mutuata, così venendo il negozio posto in essere tra le parti a essere assolutamente eccentrico rispetto a un mero pactum de non petendo. g) il mutuo solutorio non è dunque una figura contrattuale atipica, né è un mutuo di scopo, considerato che in esso «l'utilizzo della somma non attiene al momento genetico del contratto di mutuo e non ne caratterizza la causa, ma, quale elemento logicamente successivo, si colloca interamente su di un piano ulteriore e distinto … non sempre né necessariamente in senso cronologico, ma certamente in senso logico e giuridico»; h) tutto quanto sin qui detto non esclude che, in concreto, il contratto in discorso possa mascherare un atto in frode ai creditori, in quanto diretto «per un verso, ad estinguere con mezzi anormali la precedente obbligazione e, per altro verso, a costituire una garanzia per il debito preesistente» di natura chirografaria. E tuttavia tale finalizzazione dell'operazione rileverà sotto il profilo dell'inefficacia (a seguito dell'esperimento di revocatoria ordinaria o fallimentare), non dell'invalidità, non verificandosi alcuna violazione di norme imperative (Cass. n. 5034/2022; Cass. n. 3024/2020; Cass. n. 4202/2018): troverà cioè una risposta nei presidi che l'ordinamento appresta in generale in presenza di atti frodatori, esclusa invece l'applicabilità della tutela reale costituita dalla sanzione della nullità del contratto. Le argomentazioni esposte sorreggono la risposta positiva del collegio al primo e al secondo quesito posto dall'ordinanza di rimessione: non solo il mutuo solutorio è un valido contratto di mutuo, ma esso, nella ricorrenza dei requisiti di cui all'art. 474 c.p.c., costituisce titolo esecutivo. La soluzione del terzo quesito invece, oltre a giovarsi della stessa trama motivazionale, poggia sull'ulteriore rilievo che «l'atto dispositivo», vale a dire l'utilizzo delle somme mutuate, «è elemento esterno alla fattispecie legale del contratto di mutuo e non ne condiziona, dunque, il perfezionamento». Ciò vuol dire, ridotta all'osso la questione, che, dato per scontato che un contratto di mutuo è stato comunque concluso, contro il ripianamento delle passività operato dalla banca in giroconto, eventualmente in assenza di atti dispositivi della controparte o comunque di un suo effettivo assenso, saranno attivabili le azioni generali di responsabilità previste dall'ordinamento a tutela delle posizioni soggettive lese, con annesso corredo risarcitorio. Conclusioni Riflettendo e ragionando. La vicenda negoziale sinteticamente indicata con il lemma mutuo solutorio, si presta, a ben vedere, a entrambe le qualificazioni sostenute dai due contrapposti orientamenti giurisprudenziali che, fino all'intervento delle sezioni unite, così completamente ed elegantemente motivato, si sono contesi il campo. Non può invero negarsi che la prassi ne conosce declinazioni caratterizzate dalla modifica di elementi assolutamente accessori dell'originario contratto, a fronte delle quali l'interprete cede al comprensibile impulso di qualificarle come mere dilazioni dei termini di estinzione dell'obbligazione. E tuttavia, proprio per ragioni pratiche, prima ancora che teoriche, la scelta decisoria adottata dalle sezioni unite è la più idonea a semplificare l'attività degli operatori, azzerando defatiganti indagini sul carattere novativo o meno dell'accordo delle parti; individuando senza ombra di dubbio nel nuovo mutuo il titolo esecutivo da azionare e il credito di cui va chiesta l'insinuazione al passivo, nonché riconducendo a unità il sistema, attraverso il richiamo alle tutele predisposte dall'ordinamento contro gli atti in frode ai creditori e/o gli abusi della banca ai danni del cliente. Ne viene che il mutuo solutorio, per un verso, sarà impugnabile per revocatoria, in presenza dei relativi presupposti, tenuto conto che il vantaggio conseguito dalla banca può ben essere ravvisato «non già nella stipulazione del mutuo fondiario in sé, ma nell'impiego dello stesso come mezzo per la ristrutturazione di un passivo almeno in parte diverso (cfr. Cass., Sez. I, 25/07/2018, n. 19746; 21/02/2018, n. 4202; 29/02/2016, n. 3955)»; mentre, per altro verso, esporrà la medesima banca alle azioni risarcitorie del cliente, quante volte la somma mutuata venga utilizzata a copertura di preesistenti passività del mutuatario, in assenza di accordi delle parti o addirittura invito domino. Va peraltro da sé, che, in quest'ultimo caso, ai fini del vittorioso esperimento del mezzo, l'accipiens dovrà dare la prova del danno effettivamente subito. Ma questa è evidentemente un'altra storia. |