Elezione di domicilio per l’impugnazione sottoscritta solo digitalmente dal difensore: non scatta l’inammissibilità

16 Aprile 2025

 Qualora la dichiarazione o elezione di domicilio, allegata all'atto di impugnazione, rechi la firma autografa dell'imputato, ove non sia presente la sottoscrizione autografa del difensore, ma solo la sua firma digitale, il gravame è inammissibile?

Massima

La firma digitale del difensore apposta sulla dichiarazione/elezione di domicilio sottoscritta dall'imputato, anche in assenza di sottoscrizione autografa del difensore, e allegata, a pena d'inammissibilità dell'impugnazione ex art. 581 cod. proc. pen., all'atto d'appello firmato digitalmente dal difensore e depositato a mezzo PEC, opera quale autenticazione della sottoscrizione, in quanto sicuro indice di riconoscimento del difensore che l'appone, non essendo necessaria la presenza fisica del difensore all'atto della sottoscrizione da parte dell'imputato.

Il caso

La Corte di Appello di Bologna dichiarava inammissibile l'appello depositato via PEC dal difensore dell'imputato per il mancato deposito con l'atto di impugnazione di una valida elezione di domicilio, richiesta allora dall'art. 581, comma 1-ter, c.p.p. (introdotto dalla riforma Cartabia e di recente abrogato dalla l. 9 agosto 2024, n. 114), per assenza di autenticazione della sottoscrizione dell'imputato.

Più precisamente, la dichiarazione o elezione di domicilio, allegata all'atto di appello, reca la firma dell'imputato e la dicitura “Per autentica, avv. Tizio”, in corrispondenza della quale però non vi è la sottoscrizione autografa del difensore ma la sua firma digitale. Secondo la competente Corte territoriale, quest'ultima non può valere quale autentica della firma dell'imputato, «trattandosi di firma volta unicamente a certificare la corrispondenza al documento originario della sua scansione per immagini».

Avverso la decisione del giudice d'appello interponeva ricorso per cassazione il difensore dell'imputato, deducendo la violazione di legge e il difetto di motivazione.

L'error iuris ruoterebbe attorno agli artt. 24 e 25 d.lgs. n. 82/2005 (codice dell'amministrazione digitale), in forza dei quali la firma digitale apposta sull'atto di impugnazione sarebbe idonea ad attestare anche l'autenticità della sottoscrizione apposta dall'imputato in calce al mandato con elezione di domicilio.

Suffraga tale lettura anche il principio di conservazione degli atti processuali, consacrato nell'art. 87-bis d.lgs. n. 150/2022, in quanto avendo il deposito a oggetto un'impugnazione, l'atto in forma di documento informatico deve essere sottoscritto digitalmente (secondo le modalità indicate con il provvedimento del Direttore generale per i sistemi informatici automatizzati) e deve contenere la specifica indicazione degli allegati, che sono trasmessi in copia informatica per immagine, sottoscritta digitalmente dal difensore per conformità all'originale.

La questione

Qualora la dichiarazione o elezione di domicilio, allegata all'atto di impugnazione, rechi la firma autografa dell'imputato, ove non sia presente la sottoscrizione autografa del difensore, ma solo la sua firma digitale, il gravame è inammissibile?

Le soluzioni giuridiche

Ponendosi nel solco di alcuni richiamati arresti della giurisprudenza di legittimità, Cass. pen., sez. IV, n. 36152/2024, risponde negativamente al quesito, accogliendo così il ricorso interposto dall'imputato.

Posto che il deposito dell'impugnazione via PEC è tutt'ora consentito – ai sensi dell'art. 87-bis d.lgs. n. 150/2022 e art. 3, comma 8, D.M. n. 217/2013 «per tutti i casi in cui la notifica può avere luogo con modalità non telematiche» – non è controversa la provenienza dell'appello dal difensore di fiducia e la sottoscrizione digitale da parte dello stesso.

Ciò che la Corte di appello sanziona è che tale sottoscrizione digitale non sarebbe sufficiente non consentendo di ritenere sufficiente la firma apposta dall'imputato in calce all'atto di elezione di domicilio ai fini della notifica della vocatio in iudicium. Mancherebbe, in definitiva, la firma autografa dell'avvocato dell'atto di dichiarazione di domicilio per assenza di autenticazione della sottoscrizione effettuata dal difensore nominato invece richiesta dall'art. 162 c.p.p. Il difensore avrebbe dovuto sottoscrivere l'elezione di domicilio a penna per autentica e non, come invece avvenuto, con la sua firma digitale. Ciò in quanto è irrilevante che l'elezione di domicilio sia stato allegato ad un atto sottoscritto digitalmente dal difensore (l'atto di appello depositato via PEC) in quanto la firma digitale apposta sull'atto sottoscritto con firma autografa dall'imputato attesterebbe la sola conformità all'originale ma non autenticherebbe le firme ivi apposte.

La Suprema Corte non condivide questa impostazione sulla base dei seguenti passaggi argomentativi:

  1. la Corte territoriale non ha considerato che l'elezione di domicilio costituisce parte integrante dell'impugnazione, per cui è possibile che l'autenticazione della firma apposta in calce all'elezione di domicilio avvenga con la sottoscrizione dell'atto di impugnazione. La circostanza che l'elezione di domicilio non sia stata inserita nell'atto di gravame è perché l'appello non è stato proposto direttamente dall'imputato ma dal suo difensore. Consequentur, l'autenticazione della sottoscrizione è implicita nella firma digitale dell'atto di appello ha depositato a mezzo PEC;
  2. gli aspetti salienti dell'impugnazione telematica – come disegnata dalla riforma Cartabia, prendendo spunto dall'esperienza pandemica – attengono agli indici di riconoscimento del mittente, risultando tale requisito soddisfatto attraverso l'impiego della firma digitale. Per cui, la sottoscrizione digitale del difensore apposta sulla dichiarazione/elezione di domicilio opera quale autenticazione della firma dell'imputato, in quanto sicuro indice di riconoscimento del difensore che l'appone, non essendo necessaria la presenza fisica del difensore all'atto della sottoscrizione da parte dell'imputato;
  3. viene richiamato «il principio di conservazione degli atti processuali che indirizza verso un criterio orientativo che salvaguardi, quando possibile, l'effetto dell'atto processuale e, quindi l'efficienza del sistema, che è garantita dalla proporzione tra i mezzi ed i fini processuali».

Osservazioni

Le conclusioni cui giunta la sentenza n. 36152/2024 sono pienamente condivisibili ed in linea con gli orientamenti adottati di recente dalla stessa Suprema Corte (anche da quella civile) e di quelli provenienti dalla Corte di Strasburgo sul diritto di accesso alla giustizia tutelato dall'art. 6 CEDU.

Viene ampiamente richiamato il coevo precedente, sovrapponibile a quello oggetto della pronuncia in commento, di Cass. pen., sez. IV, n. 29185/2024, secondo cui il deposito dell'elezione di domicilio, a norma dell'art. 581, comma 1-ter, c.p.p., avvenuto unitamente alla proposizione dell'appello, trasmesso a mezzo PEC dal difensore, rende tale elezione parte integrante dell'atto di gravame, sicché l'autenticazione della firma apposta dall'imputato deve intendersi implicitamente contenuta nella sottoscrizione digitale dell'appello da parte del difensore.

Un principio analogo è stato affermato di recente con riferimento alla sottoscrizione di una richiesta di restituzione nel termine proposta ai sensi dell'art. 175, comma 1, c.p.p. che era stata dichiarata inammissibile perché depositata a mezzo PEC dal difensore della parte richiedente, ed era stata sottoscritta dalla parte richiedente senza che la sottoscrizione fosse stata autenticata. Si è ritenuto, infatti, che la firma digitale del difensore apposta sull'istanza di restituzione nel termine sottoscritta dalla parte e depositata telematicamente dallo stesso difensore in conformità al disposto dell'art. 87-bis d.lgs. n. 150/2022, unitamente alla contestuale nomina fiduciaria potesse valere quale «autenticazione tacita della sottoscrizione del richiedente, pur in mancanza di una formula espressa in tal senso» (Cass. pen., sez. VI, n. 14882/2024).

Nello stesso senso la giurisprudenza si è espressa esaminando casi in cui l'atto di querela depositato dal difensore della persona offesa non recava l'autenticazione della firma. Si è ritenuto, infatti, che il documento col quale l'offeso manifesta la volontà di chiedere la punizione e conferisce al difensore l'incarico di provvedere al deposito dell'atto presso l'Autorità giudiziaria, può considerarsi implicitamente sottoscritto dal difensore anche per autentica atteso che, provvedendo al deposito, il difensore si è fatto carico della provenienza della sottoscrizione (Cass. pen., sez. VI, n. 13813/2015).

Sul piano sistemico – per avallare il presupposto logico per cui, a differenza della nomina fiduciaria, non è necessaria la presenza fisica del difensore all'atto della sottoscrizione autografa da parte dell'imputato dell'atto di elezione di domicilio – viene richiamato quanto già statuito dalla giurisprudenza di legittimità in materia civile per cui, in tema di procura alle liti, la certificazione del difensore dell'autografia della sottoscrizione, come «autentica minore», ha soltanto la funzione di attestare l'appartenenza della sottoscrizione a una determinata persona e non va intesa come autenticazione in senso proprio, quale quella effettuata secondo le previsioni dell'art. 2703 c.c. dal notaio o da altro pubblico ufficiale all'uopo autorizzato, con la conseguenza che non è necessario né che il difensore attesti che la sottoscrizione sia avvenuta in sua presenza né che il difensore assuma su di sé, all'atto dell'autenticazione della firma, l'obbligo di identificazione del soggetto che rilascia il negozio unilaterale di procura (secondo quanto recentemente ribadito da Cass. civ., sez. III, n. 18381/2024). In tal senso è anche una recente pronuncia delle Sezioni Unite Civili n. 2075/2024, per cui «nella giurisprudenza di questa Corte la certificazione da parte dell'avvocato della sottoscrizione del conferente la procura alle liti è intesa non come autenticazione in senso proprio, quale quella effettuata secondo le previsioni dell'art. 2703 c.c. dal notaio o da un altro pubblico ufficiale all'uopo autorizzato, ma come "autenticazione minore" (o "vera di firma")».

Alzando lo sguardo alle fonti di derivazione sovrannazionale – che fa parte integrante del nostro sistema giuridico e di cui il giudice deve tener conto nell'applicare le fonti di leggi interne – la lettura sposata dalla pronuncia in commento è in linea con la giurisprudenza della Corte EDU formatasi intorno al principio per il quale il diritto di accedere al processo deve essere concreto e effettivo, sicché le autorità interne devono evitare formalismi, nella specie la necessaria sottoscrizione manuale nonostante l'apposizione delle firma digitale, che conducano a un sostanziale diniego di giustizia, derivante dalla conseguente declaratori d'inammissibilità dell'impugnazione per mancato deposito della dichiarazione o elezione di domicilio, in violazione del diritto fondamentale di accesso a un Tribunale assicurato dall'art. 6, § 1 CEDU.

In tale direzione ermeneutica si è pronunciata in argomento la Corte EDU, nella sentenza 9 giugno 2022, Xavier Lucas c. Francia, che ha ritenuto la violazione della norma convenzionale nel caso in cui un'impugnazione sia dichiarata irricevibile per il solo fatto di essere stata depositata in cartaceo, anziché per via telematica. Nel caso di specie la Suprema Corte francese annullava una decisione sull'assunto che il gravame sul merito fosse stato introdotto in una forma diversa da quella prescritta dalla normativa vigente; la Corte alsaziana ha messo in guardia sulla scarsa attenzione dei corrispondenti nazionali dinanzi ai problemi tecnici che, come per il ricorrente, possono interessare la trasmissione telematica degli atti di parte. Sulla base di questi rilievi e sulla considerazione che il contegno del decidente interno ha impedito all'istante di giovarsi di un processo equo, viene riconosciuta la violazione dell'art. 6, § 1, CEDU.

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