Impugnazione dell’archiviazione contenente valutazioni sulla colpevolezza dell’indagato
18 Aprile 2025
Massima A seguito dell'introduzione nell'ordinamento dell'art. 115-bis c.p.p., avverso il provvedimento di archiviazione contenente apprezzamenti sulla colpevolezza dell'indagato è esperibile il solo rimedio previsto dalla norma indicata, non residuando la possibilità di proporre ricorso per cassazione per abnormità, posta la natura residuale di quest'ultimo, non esperibile in presenza di rimedi tipici. Il caso La sentenza che si annota è stata pronunciata a seguito di ricorso per cassazione – per il vizio di abnormità – avverso il decreto di archiviazione emesso dal Giudice per le indagini preliminari nei confronti di un indagato per il delitto di traffico di influenze illecite. Il ricorrente aveva avuto contezza di essere stato iscritto nel registro degli indagati e che, all'esito delle indagini, la posizione era stata archiviata in quanto l'azione punitiva non poteva essere esercitata per il decorso dei termini di prescrizione. Il ricorso per cassazione sosteneva che il provvedimento in discorso sarebbe stato emesso in palese contrasto con il divieto, sancito dall'art. 115-bis c.p.p., di indicare come colpevole l'indagato o l'imputato sino a quando non sia stata emessa una condanna definitiva. Nel caso di specie, l'archiviazione avrebbe precluso all'interessato la possibilità di esercitare il diritto di difesa nel merito delle accuse ascrittegli, essendo espresse indebite valutazioni di colpevolezza, incompatibili con il principio di presunzione di innocenza, senza contare la natura intrinsecamente neutrale dell'archiviazione, che mal si concilia con qualsivoglia apprezzamento circa la responsabilità penale dell'indagato. Il ricorrente evidenziava inoltre di aver ritualmente proposto istanza di correzione dell'ordinanza di archiviazione ai sensi dell'articolo 115-bis c.p.p., dichiarata inammissibile dal Giudice per le indagini preliminari. Il rimedio disciplinato dalla predetta disposizione si configura invero come alternativo alla possibilità di proporre ricorso per cassazione al fine di far rilevare l'abnormità del provvedimento archiviativo, così da garantire la piena operatività della presunzione di non colpevolezza dell'indagato. La questione La questione che la Suprema Corte è stata chiamata ad affrontare nella sentenza in commento consiste nell'individuazione del rimedio esperibile avverso il provvedimento archiviativo contenente indebite valutazioni sulla colpevolezza dell'indagato, nella misura in cui esso sia stato emanato in carenza del potere del giudice di sindacarne la colpevolezza. Più in particolare, occorre stabilire se sia corretto configurare lo strumento disciplinato dall'115-bis c.p.p. in rapporto di alternatività con il ricorso per cassazione al fine di far valere il vizio di abnormità, oppure se risulti maggiormente confacente attribuire una connotazione residuale a quest'ultimo, in quanto non azionabile qualora il legislatore abbia provveduto a innestare nell'ordinamento processuale penale un apposito rimedio (nel caso di specie ex art. 115-bis c.p.p.). Le soluzioni giuridiche Nell'affrontare le questioni sottoposte al proprio esame, la Cassazione prende le mosse dalla sentenza della Corte costituzionale n. 41 del 2024, la quale ha analiticamente esaminato le forme di tutela garantite dall'ordinamento processuale penale avverso i provvedimenti che palesano un'indebita valutazione di colpevolezza della persona sottoposta ad indagini. Nella richiamata pronuncia la Consulta ha rilevato che qualora il provvedimento archiviativo – anziché assolvere a una funzione meramente descrittiva del fatto nei termini utili a rilevare l'avvenuto decorso del termine di prescrizione – riproduca nella sostanza il contenuto tipico di una sentenza di condanna, si produce una manifesta violazione del diritto di difesa dell'indagato, nonché della presunzione di non colpevolezza di cui all'art. 27, comma 2, Cost. Sul punto mette conto evidenziare che il decreto di archiviazione è stato concepito dal legislatore come provvedimento neutro, il cui contenuto deve limitarsi a fornire un'adeguata ricostruzione della dinamica fattuale volta a fare emergere – tra le varie ipotesi che ne legittimano l'adozione – l'avvenuto decorso dei termini per la prescrizione, risultando indebito qualsivoglia giudizio sulla colpevolezza dell'indagato. Per converso, i provvedimenti formulati contravvenendo a tale divieto – allorquando appresi da terzi – sarebbero suscettibili di produrre ripercussioni su reputazione, vita privata, familiare, sociale e professionale delle persone interessate, nonché idonei a ingenerare in capo ai magistrati che li hanno emessi responsabilità civile e disciplinare. Il Giudice delle leggi ha, tuttavia, dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata in relazione all'art. 411 comma 1-bis c.p.p. nella parte in cui non impone al pubblico ministero di dare avviso alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa nelle evenienze di richiesta di archiviazione a seguito di estinzione del reato per intervenuta prescrizione. Si è invero espressamente escluso che tali ipotesi debbano ricadere nell'alveo applicativo della disciplina delineata per l'archiviazione disposta per particolare tenuità del fatto, anche in relazione al vizio della nullità del decreto di archiviazione disposto in carenza del predetto avviso e della sua reclamabilità dinanzi al Tribunale in composizione monocratica. La richiamata presa di posizione della Corte costituzionale rinviene la propria ragion d'essere nella presenza nel panorama normativo di rimedi effettivi posti a salvaguardia del diritto di difesa e del diritto al contraddittorio, esperibili avverso decreti di archiviazione per avvenuta prescrizione che violino la presunzione di innocenza. Aderendo alle conclusioni rassegnate dalla giurisprudenza di legittimità del 1999, la Consulta ha rilevato come la Cassazione abbia ravvisato il vizio di abnormità nel decreto archiviativo che «contenga nella sostanza una valutazione di colpevolezza della persona sottoposta a indagini, che il vigente sistema processuale considera invece come contenuto tipico di una sentenza di condanna». La Corte costituzionale rileva nondimeno che il legislatore ha innestato nelle dinamiche processuali penali l'art. 115-bis c.p.p., in attuazione della direttiva 2016/343/UE, la cui ratio è di apprestare tutela rafforzata e maggiore effettività alla presunzione di innocenza. La trama dell'assetto normativo si compone, così, di un apposito rimedio volto a censurare i provvedimenti privi di contenuto decisorio irrevocabile in seno ai quali la persona sottoposta a indagini sia indicata come responsabile. Di conseguenza, le doglianze che anteriormente all'attuazione della direttiva 2016/343/UE legittimavano il ricorso per cassazione per abnormità dell'atto, sono adesso censurabili percorrendo anche un'altra via, la quale prevede un diritto immediatamente attivabile alla correzione di tali provvedimenti. Il Supremo Collegio, con la pronuncia in esame, ha sposato la tesi secondo la quale i rimedi posti a presidio della presunzione di innocenza indicati dalla Corte costituzionale, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, non possano essere proposti cumulativamente. Difatti, a seguito dell'introduzione dell'art. 115-bis c.p.p., l'indagato non è più legittimato ad impugnare in sede di legittimità il decreto di archiviazione che esprima valutazioni circa la sua colpevolezza, prevedendosi piuttosto un nuovo meccanismo ad hoc, specificamente posto a salvaguardia della presunzione di innocenza della persona sottoposta a indagini. Ai fini della piena comprensione delle argomentazioni della Cassazione, appare opportuno soffermarsi concisamente sulla categoria del vizio di abnormità, figura processuale di matrice giurisprudenziale la cui ratio è quella di rendere ricorribile per cassazione il provvedimento che «non sia altrimenti impugnabile». L'abnormità dell'atto, quindi, rappresenta un rimedio residuale, non azionabile qualora il legislatore abbia predisposto rimedi tipici. È da ritenere abnorme, in particolare, un atto assolutamente non inquadrabile nelle dinamiche processuali, ovvero, seppur derivando in astratto dall'esercizio di un potere legittimo, collocato al di fuori degli schemi procedimentali previsti ex lege. Il vizio di abnormità può, peraltro, interessare tanto il profilo strutturale, quanto quello funzionale. Mentre la prima ipotesi è tradizionalmente concepita nel senso di una completa estraneità al sistema organico della procedura penale, con la seconda si pone l'accento sulle ripercussioni che il vizio avrebbe sull'iter processuale o procedimentale, determinandone la stasi e l'impossibilità di prosecuzione, ovvero la regressione. Nel caso di specie, il ricorrente aveva già impugnato il provvedimento di archiviazione, ritenendolo idoneo a configurare una violazione della presunzione di innocenza, in quanto tale misura sarebbe stata adottata in assenza di un preventivo accertamento giudiziale della colpevolezza dell'indagato. Alla luce di quanto sopra esposto, il Supremo Collegio afferma che la medesima censura non può più essere sollevata tramite ricorso per abnormità, in quanto risulta esaurita la possibilità di contestare il provvedimento sotto il profilo del contenuto sostanziale. La pronuncia qui commentata ha conseguentemente ritenuto infondata la doglianza in esame e ha rigettato il ricorso. Osservazioni La soluzione offerta dalla sentenza in commento appare plausibile e ben ancorata ai principi che governano i mezzi impugnatori, nonché alle conclusioni rassegnate dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 41 del 2024. Convincente risulta, altresì, il richiamo alla natura residuale del ricorso in cassazione al fine di far valere l'abnormità del provvedimento archiviativo che violi la presunzione dii innocenza, coerentemente con la tassatività dei mezzi di impugnazione. Per effetto dell'introduzione dell'art. 115-bis c.p.p., è corretto ritenere attivabile unicamente il percorso impugnatorio così come coniato dalla nuova disposizione del codice di rito. L'adesione alla soluzione interpretativa adottata nel caso di specie non esime da qualche considerazione in ordine alla coerenza e ponderatezza della disciplina nel complesso. Sebbene sia tecnicamente corretta la ricostruzione concernente i rimedi impugnatori prospettata dalla giurisprudenza di legittimità, si possono ravvisare molteplici criticità in siffatto regime. In particolare, l'assenza di un avviso formale in ordine al decreto di archiviazione per intervenuta prescrizione appalesa problematiche in ordine all'azionabilità dello strumento di cui all'art. 115-bis c.p.p. Tale omissione comporta, altresì, un deficit di tutela dell'interesse in gioco, poiché l'indagato viene privato di un'adeguata protezione in fase preventiva, essendo il rimedio azionabile solo a posteriori, ovvero nel momento in cui il vulnus alla presunzione di innocenza si è già prodotto e potrebbe aver prodotto – almeno in parte – i effetti negativi. Mette conto rilevare che, come più volte evidenziato dalla Corte costituzionale, solo nel caso di archiviazione per particolare tenuità del fatto l'indagato deve avere cognizione della richiesta di archiviazione. Se ne deduce un'evidente lacuna informativa dalla quale scaturiscono i problemi richiamati in ordine ad azionabilità e tutela dell'interesse della persona sottoposta a indagine. In buona sostanza, alla luce dell'attuale disciplina codicistica, il rimedio impugnatorio di cui all'art. 115-bis c.p.p. rischia di essere connotato da assoluta ineffettività, ovvero di possibile attivazione solo allorquando gli effetti negativi in termini di violazione della presunzione di non colpevolezza si sono già prodotti. Probabilmente un rimedio di tipo radicalmente demolitorio del provvedimento impugnato avrebbe meglio realizzato l'obiettivo perseguito dal legislatore della riforma. |