Furto in abitazione: illegittimo il divieto di prevalenza dell’attenuante premiale sulla recidiva reiterata in caso di ravvedimento post delictum

La Redazione
23 Aprile 2025

Con sentenza n. 56/2025, la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 69, comma 4, c.p., nella parte in cui stabilisce il divieto di prevalenza dell'attenuante della collaborazione del reo, prevista dall'art. 625-bis c.p., sulla circostanza aggravante della recidiva reiterata.

Il Tribunale di Perugia ha sollevato la questione in un caso di  furto in abitazione, in cui l'imputato ha fornito elementi decisivi per identificare il correo, lamentando che il divieto di giudicare l'attenuante del ravvedimento  post delictum  prevalente sulla recidiva reiterata violasse i  principi costituzionali di ragionevolezza e finalismo rieducativo della pena.

La Corte, richiamando le precedenti dichiarazioni di invalidità costituzionale del quarto comma dell'art. 69ha accolto la censura, osservando che il divieto di prevalenza in questione, applicato all'attenuante premiale di cui all'art. 625-bis, «sterilizza la  ratio  incentivante della disposizione, accorda una rilevanza insuperabile alla precedente condotta del reo ed  esclude ogni incidenza della collaborazione sulla determinazione in concreto della pena, pur a fronte della dissociazione dal contesto criminale e del possibile pericolo di ritorsioni personali e familiari».

Di fatto, tale divieto «impedisce all'art. 625-bis c.p. di produrre pienamente i suoi effetti, facendo venir meno l'incentivo posto dal legislatore e, contestualmente, irrigidendo la presunzione di capacità a delinquere determinata dalla recidiva reiterata, a  discapito degli indici che si ricavano dalla condotta collaborativa tenuta successivamente».

Inoltre, «la mancata considerazione del distacco dall'ambiente criminoso e dei rischi che la collaborazione comporta determina il contrasto del divieto di prevalenza dell'attenuante relativa al ravvedimento  post delictum  anche con l'art. 27, comma 3, Cost., in quanto fa sì che la pena irrogata sia percepita come ingiusta  e, quindi,  inidonea ad assolvere alla finalità rieducativa» chiosa la Corte.

   

*Fonte: DirittoeGiustizia

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