Indagine che esorbita dal quesito: il rispetto del contraddittorio salva la ctu da nullità

30 Aprile 2025

Il Focus affronta il tema del travalicamento, da parte dell’ausiliario del giudice, del quesito demandatogli e delle conseguenze sulla validità della consulenza tecnica d’ufficio

Premessa

Nei procedimenti civili (come, del resto, in quelli penali) riveste un'indiscussa centralità la consulenza tecnica d'ufficio, della quale il giudice può avvalersi «non solo per la comprensione dei fatti, ma per la rilevabilità stessa dei fatti, i quali, anche solo per essere individuati, necessitano di specifiche cognizioni e/o strumentazioni tecniche; atteso che, proprio gli accertamenti in sede di consulenza offrono al giudice il quadro dei fattori causali entro il quale far operare la regola probatoria della certezza probabilistica per la ricostruzione del nesso causale» (così, in materia di responsabilità sanitaria, Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 2014, n. 22225; Id., ord., 23 ottobre 2018, n. 26700).

Il consulente tecnico d'ufficio (correntemente indicato con l'acronimo CTU) può «limitarsi» a fornire al giudice una valutazione tecnico-specialistica di fatti già probatoriamente acquisiti o dati per esistenti (consulenza tecnica c.d. «deducente») oppure può porre in essere un'attività percettiva diretta ad accertare fatti rilevabili solo mediante determinate conoscenze tecnico-specialistiche (consulenza tecnica c.d. «percipiente»). In questo caso, la consulenza può costituire essa stessa fonte oggettiva di prova (Cass. civ., sez. un., 17 febbraio 1983, n. 1196; Cass. civ., sez. III, 23 febbraio 2006, n. 3990; Id., ord., 8 febbraio 2019, n. 3717; Cass. civ., sez. lav., 24 giugno 2020, n. 12440; Cass. civ., sez. III, ord., 10 dicembre 2021, n. 39257; ancora più recentemente, Cass. civ., sez. I, ord., 3 febbraio 2025, n. 2571; Id., ord., 10 febbraio 2025, n. 3346; Id., ord., 21 febbraio 2025, n. 4568).

A far chiarezza sui poteri del CTU sono intervenute nel 2022 le Sezioni unite della Cassazione, enunciando il principio per cui il consulente, nei limiti delle indagini che gli sono commesse dal giudice e nell'osservanza del contraddittorio delle parti, può:

  • accertare tutti i fatti inerenti all'oggetto della lite, il cui accertamento si rende necessario al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non si tratti dei fatti principali che è onere delle parti allegare a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d'ufficio;
  • acquisire, anche prescindendo dall'attività di allegazione delle parti, non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a carico delle stesse, tutti i documenti che si rende necessario acquisire al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che essi non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e, salvo quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d'ufficio (Cass. civ., sez. un., 1° febbraio 2022, n. 3086; sempre sui poteri istruttori del CTU, Cass. civ., sez. un., 28 febbraio 2022, n. 6500).

Viene sottolineato dalle Sezioni Unite come non si applichino al consulente le preclusioni processuali valevoli per le parti, atteso che «il consulente con riguardo a ciò che è oggetto di indagine esercita i medesimi poteri di accertamento che competono al giudice e che il giudice potrebbe esercitare da sé se disponesse delle necessarie cognizioni tecnico-scientifiche, similmente non è infondato ritenere, sempre nei limiti delle indagini commessegli e nel più generale rispetto - con la vista riserva sotto questo versante dei fatti modificativi o estintivi rilevabili d'ufficio - del principio dispositivo quanto alla deducibilità dei fatti principali posti a fondamento della domanda o delle eccezioni, che l'attività del consulente è chiamato a compiere per mandato del giudice non sia del tutto immune dal rifletterne in qualche misura anche le prerogative che questo può esercitare in campo istruttorio in disparte dalle sollecitazioni di parte» (Cass. civ., sez. un., 1° febbraio 2022, n. 3086 e Cass. civ., sez. un., 28 febbraio 2022, n. 6500 cit.).

È stato sottolineato (Spera) come i principi sanciti dagli arresti giurisprudenziali sopra citati «consacrano ex professo prassi consolidate nelle aule di giustizia, come ad esempio accade allorché il CTU medico legale indaga anche sullo stato di salute ante sinistro del danneggiato (tipicamente ignoto al preteso responsabile civile e, quindi, di regola mai oggetto di allegazione neppure dal danneggiato). Tuttavia, anche tali sentenze lasciano delle lacune. In particolare, si rileva come le sentenze indichino nella summa divisio tra “fatti principali” e “fatti diversi dai fatti principali” il discrimen dei poteri di cognizione e probatori del giudice e, quindi, del CTU. Ne consegue che il discernimento dei fatti principali da quelli che non lo sono, diventa l'attività principe dell'interprete per attuare il dictum circa i poteri del CTU» (Spera D., Responsabilità civile e danno alla persona, Milano, 2025, 241 e s.).

Al giudice, che rimane «peritus peritorum» e, dunque, decisore ultimo, è consentito valutare la complessiva attendibilità delle conclusioni peritali e, se del caso, disattenderne le sottese argomentazioni tecniche sia quando queste risultino intimamente contraddittorie, sia quando il giudice sostituisca a esse altre argomentazioni, tratte da proprie personali cognizioni tecniche (così, ex pluribus, Cass. civ., sez. III, 18 novembre 1997, n. 11440; Cass. civ., sez. I, 22 novembre 2010, n. 23592; Cass. civ., sez. lav., 7 agosto 2014, n. 17757; Cass. civ. sez. II, 20 marzo 2017, n. 7086; Cass. civ., sez. I, ord., 8 luglio 2024, n. 18560).

Sul punto si richiama, inoltre, la celebre sentenza "Cozzini" in tema di danni derivanti dall'esposizione ad amianto, ove è valorizzato il ruolo del giudice, il quale deve assurgere a «custode e garante della scientificità della conoscenza fattuale espressa dal processo» (Cass. pen., sez. IV, 17 settembre 2010, n. 43786).

I "confini" di indagine tracciati dal quesito

Attraverso la formulazione del quesito o, talvolta, di più quesiti autonomi, il giudice fornisce al consulente tecnico (o al collegio peritale) designato le fondamentali direttrici per l'espletamento dell'indagine.

Il quesito, che può consistere in una o in plurime domande, orienta quindi il CTU nello svolgimento dell'incarico conferitogli, tracciando, per così dire, i "confini" dell'indagine da espletare al fine di rendere risposte chiare, puntuali ed esaustive.

Il consulente può avvalersi, per le peculiarità dell'indagine, dell'opera di collaboratori, ausiliari o assistenti o, se del caso, di esperti o specialisti, e deve fornire gli eventuali chiarimenti che il giudice gli richieda (art. 62 c.p.c.).

Proprio in considerazione del fatto che l'ausiliario del giudice è tenuto a compiere l'indagine attenendosi con scrupolo al quesito, senza "sconfinare" dal perimetro ivi tracciato, è lampante l'importanza di una formulazione analitica e inequivoca della domanda o delle domande.

Come rilevato da Taruffo, «la consulenza tecnica può essere più o meno utile, ed anche più o meno attendibile, a seconda che il giudice sia in grado di porre al consulente le “domande giuste”, dato che qualunque risposta è condizionata dalla corrispondente domanda, e di verificare la correttezza e la validità scientifica delle risposte che il consulente gli fornisce» (Taruffo M., La prova scientifica nel processo civile, in Riv. trim. dir. proc. civ., fasc.4, 2005, 1079).

Non si tratta, dunque, di questione meramente formale o terminologica, considerato peraltro che una formulazione generica e poco chiara delle domande nelle quali si articola il quesito rischia di favorire errori ed essere potenzialmente foriera di contrasti.

Osserva in proposito Rossetti, con specifico riferimento all'accertamento del danno alla salute, che una corretta formulazione del quesito, sotto il profilo scientifico e giuridico, richiede il rispetto di due principi, l'uno concernente il metodo e l'altro il contenuto: «Sul piano del metodo, il quesito deve evitare il più possibile qualsiasi oscurità od ambiguità. (...) sarebbe opportuno che nel quesito sia fornita una definizione, per quanto sintetica, dei concetti che il giudice sottopone al c.t.u. (...) Sarebbe altresì opportuno che nel quesito vengano evitati riferimenti a concetti ambigui o fonti di contrasti (...) Sul piano del contenuto, nella formulazione del quesito medico legale occorrerebbe muovere dal rilievo che (...) l'esistenza del danno biologico presuppone (a) una lesione, dalla quale sia derivata (b) una menomazione, dalla quale sia derivato (c) un handicap, o peggioramento della qualità della vita della vittima» (Rossetti M., Il danno alla salute, Padova, 2021, 492).

Posto che la consulenza tecnica d'ufficio è funzionale alla risoluzione di questioni di fatto che presuppongano cognizioni, per l'appunto, di ordine tecnico, il CTU non può essere incaricato di accertamenti e valutazioni - oltre che su fatti mai dedotti dalle parti - circa la qualificazione giuridica di fatti e la conformità al diritto di comportamenti né, ove una tale inammissibile valutazione sia stata comunque effettuata, di essa si deve tenere conto, a meno che non sia vagliata criticamente e sottoposta al dibattito processuale delle parti (in questi termini, Cass. civ., sez. lav., 22 gennaio 2016, n. 1186).

Cionondimeno, non è inconsueto assistere a prassi poco rigorose in cui il giudice chieda al proprio ausiliario di esprimersi in termini di «inadempimento», «colpa professionale» e «responsabilità», benché sia di sua esclusiva competenza la valutazione di tutti gli elementi di diritto concernenti la fattispecie sottoposta al suo esame (come si è detto, al CTU può, invece, essere demandato l'accertamento dei fatti che costituiscono il presupposto delle valutazioni di tipo giuridico).

Da tali prassi consegue il rischio che il «baricentro» della decisione si sposti dall'organo istituzionalmente deputato alla qualificazione giuridica dei fatti al consulente e che il giudice diventi un mero «consumatore» e «recettore passivo» delle conoscenze tecniche e delle leggi scientifiche formulate all'esterno e veicolate nel processo ad opera degli esperti (Canzio G., La motivazione della sentenza e la prova scientifica: reasoning by probabilities, in Canzio G. e Luparia L. (a cura di), Prova scientifica e processo penale, Padova, 2017, 3 e ss.).

Peraltro, il conferimento di un incarico peritale con quesito indeterminato volto alla qualificazione giuridica di fatti integra gli estremi dell'illecito disciplinare a carico del magistrato, poiché sono così affidate ad altri funzioni giudiziarie indeclinabili, anche quando si sia riservato una propria finale valutazione degli esiti della consulenza (Cass. civ., sez. un., 6 maggio 2008, n. 11037; Id., 31 marzo 2015, n. 6495).

Nell'intervallo di tempo che intercorre tra la nomina del CTU (o del collegio peritale) e l'udienza di conferimento dell'incarico, in cui egli presta il giuramento di rito, è possibile per le parti esaminare il quesito.

Ai sensi dell'art. 193 c.p.c., in sostituzione della fissazione dell'udienza di comparizione, il giudice può assegnare al CTU un termine per il deposito di una dichiarazione sottoscritta con firma digitale, recante il giuramento previsto dal primo comma.

Al contempo, può essere assegnato alle parti, ai sensi dell'art. 127-ter c.p.c., un termine per depositare note scritte contenenti la nomina dei consulenti di parte ed eventuali rilievi al quesito.

L'art. 177, comma 2, c.p.c. consente al giudice di modificare l'ordinanza con la quale ha formulato il quesito: infatti, essendo le ordinanze, anche collegiali, sempre revocabili e modificabili dal giudice che le ha emesse, con le sole eccezioni di cui alla suddetta norma codicistica, il giudice stesso può, nell'esercizio delle proprie discrezionali attribuzioni, assegnare al consulente designato un quesito diverso da quello inizialmente indicato nell'ordinanza di nomina (così, Cass. civ., sez. III, 28 marzo 1997, n. 2769).

A norma dell'art. 92 disp. att. c.p.c. se, nel corso delle operazioni peritali, sorgono dubbi sui poteri o sui limiti dell'incarico conferito, il CTU è tenuto a informarne il giudice, salvo che la parte interessata vi provveda con ricorso, senza che siano sospese le indagini peritali; il giudice, dopo aver sentito le parti, emetterà i provvedimenti opportuni.

Nei procedimenti civili che hanno ad oggetto questioni di carattere previdenziale, infortunistico o assicurativo, e in quelli di responsabilità sanitaria, riveste un'importanza decisiva il quesito medico legale.

A fronte delle difformità riscontrabili nella prassi (talora anche tra magistrati appartenenti al medesimo ufficio giudiziario), tenuto conto delle riforme normative frattanto intervenute, dell'evoluzione giurisprudenziale, del contributo della dottrina medico-legale ed altresì dell'esperienza desunta dall'adozione del precedente modello, l'Osservatorio sulla Giustizia civile del Tribunale di Milano ha proceduto all'elaborazione di apposito quesito, da adottare anche al di fuori delle ipotesi previste dagli artt. 138 e 139 cod. ass., pubblicato unitamente alle Tabelle a partire dall'edizione 2021 (v. Spera D., op. cit., 243 e ss.).

Un'estensione dell'indagine peritale alla componente "sofferenziale" del danno non patrimoniale ("sofferenza menomazione-correlata", vale a dire la sofferenza interiore direttamente conseguente al danno biologico temporaneo e permanente) è ammissibile quando, in quello specifico procedimento, ne sia stato richiesto dalla parte il risarcimento, così come è ammissibile un'eventuale "personalizzazione" del danno quando siano state allegate e provate dalla parte richiedente, peculiari condizioni soggettive del danneggiato, ovvero specifiche circostanze di fatto che non rientrino in quelle c.d. standardizzate, per le quali viene liquidato dalle Tabelle pretorie (o dalla Tabella normativa) l'importo monetario base (Cass. civ., sez. III, 15 maggio 2018, n. 11754).

Considerazioni tecniche che esulano dal quesito: la consulenza è nulla?

Come si è visto, il consulente tecnico d'ufficio deve astenersi dall'esprimere valutazioni non richieste o, comunque, superflue.

Ma che cosa accade in caso di considerazioni tecniche esorbitanti dal quesito demandato dal giudice?

La Corte di Cassazione è tornata ad affrontare la questione, già più volte esaminata in precedenza, nell'ordinanza Cass. civ., sez. III, 13 settembre 2024, n. 24695.

Nella fattispecie, il Tribunale, aderendo alle conclusioni della consulenza tecnica officiosa, condannava il progettista e direttore dei lavori a risarcire parte attrice, riconoscendolo unico responsabile.

Il professionista impugnava, con appello incidentale, la sentenza sul presupposto della nullità della consulenza espletata in primo grado, per avere il CTU esorbitato dal quesito postogli, giungendo a ravvisare l'inadempimento del convenuto e il nesso causale con gli eventi dannosi allegati da parte attrice; invocava, quindi, la riforma della sentenza impugnata nella parte in cui aveva affermato la sua responsabilità, contestando, in ogni caso, la quantificazione del risarcimento, che l'ausiliario del giudice aveva rettificato in una minor somma.

La Corte d'appello, pur convenendo che il consulente avesse oltrepassato il perimetro del quesito, concludeva che, in mancanza di violazioni del principio del contraddittorio, ciò non avesse determinato la nullità della consulenza che, dunque, restava liberamente valutabile, nella sua interezza, dal giudice.

La sentenza di primo grado era, quindi, confermata sotto il profilo dell'an debeatur, riducendo solo l'originaria condanna risarcitoria.

Era proposto (anche) dal professionista ricorso per Cassazione.

La Suprema Corte ha statuito il seguente principio di diritto: «Lo svolgimento, da parte del consulente tecnico d'ufficio, di considerazioni tecniche esulanti dall'ambito oggettivo del quesito non determina la nullità della consulenza, né quella derivata della sentenza, se è stata assicurata alle parti la possibilità di interloquire, sia dal punto di vista tecnico nel corso della c.t.u., sia dal punto di vista giuridico negli snodi processuali a ciò deputati, restando “assorbito” l'operato del consulente da quello del giudice» (Cass. civ., sez. III, 13 settembre 2024, n. 24695, in Giust. civ. Mass.).

Per la Cassazione ciò che rileva, dunque, è la garanzia del contraddittorio, anche tecnico, nella formazione della prova.

Come osservato dalla Corte nella sua massima sede nomofilattica, «il CTU che, nei limiti delle indagini commessegli dal giudice, estenda il perimetro delle proprie attività e proceda ad accertare fatti non oggetto di diretta capitolazione di parte o ad esaminare documenti, del pari, non introdotti nel giudizio delle parti, senza darsi previamente cura di attivare su di essi il necessario confronto processuale, non lede, anche nel mutato ordinamento processuale scaturito dalla novella del 1990, un interesse del processo, in guisa del quale quella attività possa giudicarsi affetta da un vizio di nullità assoluta, ma lede un interesse, pur primario delle parti in quanto posto a tutela del diritto di difesa delle medesime, di cui le parti possono tuttavia pur sempre disporre, poiché compete solo a loro il potere di farne valere la violazione e di eccepire la nullità dell'atto che ne è conseguenza a mente dell'art. 157, comma 2, c.p.c.» (Cass. civ., sez. un., 1° febbraio 2022, n. 3086 e Cass. civ., sez. un., 28 febbraio 2022, n. 6500 cit.; in senso conforme, App. Napoli, sez. VIII, 17 ottobre 2022, n. 4290).

In conclusione

Dovere del consulente nominato dal giudice è attenersi scrupolosamente al quesito, senza esprimere considerazioni tecniche non richieste o non necessarie.

Con le note sentenze Cass. civ., sez. un., 1° febbraio 2022, n. 3086 e Cass. civ., sez. un., 28 febbraio 2022, n. 6500 cit., le Sezioni unite della Cassazione hanno messo in chiaro come l'attività espletata dal CTU, inscrivendosi «dinamicamente nell'orbita istruttoria del processo», in funzione di «ausiliario di giustizia proprio perché la sua attività è prestata in funzione del superiore interesse della giustizia quale si realizza nel fatto che il giudice possa pronunciare la propria decisione anche in grazia delle conoscenze tecniche specifiche acquisite tramite il consulente», incontri un limite nel principio dispositivo e nel principio della domanda «da cui il primo insieme al principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato promana».

Per questo motivo, da un lato, non può disporsi una consulenza tecnica c.d. «esplorativa», ovvero «al fine di esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume o, più esattamente, quando la parte tenda per suo tramite a supplire alla deficienza delle proprie allegazioni o a compiere un'indagine alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non debitamente provati»; dall'altro, le considerazioni tecniche devono mantenersi entro il perimetro dell'indagine demandata dal giudice.

Essendo consentito all'ausiliario, entro i «confini» tracciati dal quesito, indagare «intorno ad un ampio numero di fatti diversi dai fatti principali - e talora anche in ordine ad essi se ne sia consentita la rilevazione d'ufficio - (...) può procedere anche agli approfondimenti istruttori che ne forniscano la dimostrazione ed, in particolare, può procedere, in questa ottica, anche all'acquisizione dei documenti che quei fatti attestino, l'acquisizione dei documenti relativi a detti fatti da parte del consulente dovendo, infatti, ritenersi sempre consentita se essa si riveli necessaria ai fini della soddisfazione del mandato peritale» (Cass. civ., sez. un., 1° febbraio 2022, n. 3086 e Cass. civ., sez. un., 28 febbraio 2022, n. 6500 cit.).

Esorbita dalla competenza del CTU la formulazione di valutazioni giuridiche, come pure l'interpretazione del contenuto di atti negoziali, della legge o di sentenze.

Qualora il consulente abbia ampliato l'indagine tecnica oltre i limiti delineati dal giudice o consentiti dai poteri che la legge gli conferisce, accertando fatti diversi da quelli principali dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni (e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d'ufficio) o acquisendo documenti in violazione del contraddittorio, esclusa l'estensibilità «all'attività consulenziale delle preclusioni imposte alle attività delle parti, onde non sarebbe perciò azionabile a proposito delle prime la categoria dell'inammissibilità che si impiega a proposito delle seconde quando queste se ne discostino», così come escluso il ricorso alla categoria dell'inutilizzabilità «propria di altri ordinamenti processuali e dai contorni tutt'altro che certi», le Sezioni Unite concludono per la nullità relativa, rilevabile ad iniziativa di parte nella prima difesa o istanza successiva all'atto viziato o alla notizia di esso, restando altrimenti sanata (Cass. civ., sez. un., 1° febbraio 2022, n. 3086 e Cass. civ., sez. un., 28 febbraio 2022, n. 6500 cit.; v. inoltre, ex pluribus, Cass. civ., sez. III, 31 gennaio 2013, n. 2251; Id., ord., 15 giugno 2018, n. 15747).

È sottolineata, in questi noti arresti giurisprudenziali, «la centralità che nella ricognizione del tema incarna lo snodo cruciale (...) costituito (...) dalla necessità che l'attività consulenziale si svolga nel più fedele e scrupoloso rispetto del contraddittorio delle parti».

Il mancato rispetto del contraddittorio, anche tecnico, tra le parti lede il diritto di difesa delle stesse. La giurisprudenza ha, quindi, ritenuto sanzionabile nei termini e modi dell'art. 157 c.p.c. l'operato dell'ausiliario del giudice.

Se però, nel rispondere al quesito che gli è stato sottoposto, il consulente accerti fatti principali diversi da quelli dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d'ufficio, violando il principio della domanda e il principio dispositivo, la nullità sarà assoluta, rilevabile ex officio o, in difetto, motivo di impugnazione da farsi a valere ai sensi dell'art. 161 c.p.c.

Si segnala infine una pronuncia di legittimità, con la quale è stato enunciato il principio che, in caso di nullità della consulenza per violazione del principio del contraddittorio e, dunque, di esecuzione di attività non utilizzabile neppure astrattamente nel processo, non sussiste il diritto del CTU alla liquidazione del compenso (Cass. civ., sez. II, 5 gennaio 2011, n. 234).

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