Decadenza dell’INPS dall’irrogazione delle sanzioni amministrative per omesso versamento delle ritenute e decorrenza del termine senza trasmissione degli atti

22 Maggio 2025

La sentenza della Corte Suprema esamina un ricorso dell'INPS in merito a sanzioni amministrative per omesso versamento di ritenute previdenziali. La questione centrale riguarda la decadenza del potere sanzionatorio dell'INPS, in relazione al termine di notifica previsto dal d.lgs. n. 8/2016, che ha parzialmente depenalizzato il reato. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso dell'INPS, stabilendo che in assenza di trasmissione degli atti da parte dell'autorità giudiziaria, il termine di decadenza decorre dall'entrata in vigore del decreto, a condizione che l'accertamento delle violazioni non richiedesse istruttoria da parte dell'Istituto. Il principio di diritto enunciato mira a garantire la certezza giuridica e il diritto di difesa dell'incolpato.

Massima

In assenza di trasmissione degli atti da parte dell'autorità giudiziaria, il termine di decadenza decorre dall'entrata in vigore del d.lgs. n. 8/2016, a condizione che l'accertamento delle violazioni non richieda istruttoria da parte dell'Istituto. Il principio di diritto enunciato mira a garantire la certezza giuridica e il diritto di difesa dell'incolpato.

Il caso

La Corte d'Appello di Torino aveva confermato la decisione di primo grado che aveva accolto l'opposizione proposta dal titolare contro due ordinanze-ingiunzione emesse dall'INPS. Con dette ordinanze l'INPS irrogava sanzioni amministrative per il mancato versamento delle ritenute previdenziali in vari periodi tra l'ottobre 2015 e il gennaio 2016.

La Corte d'Appello aveva ritenuto che fosse maturata la decadenza dalla potestà sanzionatoria a causa del decorso del termine di cui all'art. 14, comma 2, legge n. 689/1981. La Corte aveva assunto come dies a quo per il termine di novanta giorni per la contestazione dell'illecito la data di entrata in vigore del d.lgs. n. 8/2016, che, all'art. 3, comma 6, aveva parzialmente depenalizzato l'illecito in questione.

La Corte d'Appello aveva inoltre ritenuto irrilevante l'assenza di un provvedimento di trasmissione degli atti da parte dell'autorità giudiziaria all'ente previdenziale. Secondo la Corte, ciò escludeva solamente il diverso dies a quo previsto dall'art. 9, d.lgs. n. 8/2016.

Avverso questa decisione della Corte d'Appello di Torino, l'INPS proponeva ricorso per cassazione, deducendo un unico motivo di censura. L'azienda resisteva con controricorso.

La questione

La questione centrale si sostanziava nello stabilire da quando decorresse il termine per l'INPS per contestare l'illecito amministrativo, a seguito della sua parziale depenalizzazione, in un contesto in cui la normale procedura di trasmissione degli atti non era avvenuta. La Corte ha risolto ciò ancorando la decorrenza del termine alla data di entrata in vigore della legge di depenalizzazione, a condizione che l'INPS fosse già in possesso degli elementi per accertare la violazione senza necessità di ulteriori attività istruttorie.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione ha fondato la propria decisione sulle seguenti argomentazioni giuridiche.

In primo luogo, la Cassazione ha evidenziato che il d.lgs. n. 8/2016, all'art. 6, stabilisce in termini generali che al procedimento per l'applicazione delle sanzioni amministrative previste dal decreto si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni delle Sezioni I e II del Capo I della legge n. 689/1981. Sebbene tale previsione valga primariamente per le violazioni commesse dopo l'entrata in vigore del decreto, la Corte ha chiarito che tra le "sanzioni amministrative previste dal presente decreto" devono intendersi incluse anche quelle che, ai sensi del successivo art. 8, "si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto stesso".

A supporto di ciò, la Corte ha richiamato l'art. 9, d.lgs. n. 8/2016, il quale prevede che l'autorità amministrativa debba notificare gli estremi della violazione agli interessati entro il termine di novanta giorni dalla ricezione degli atti. Questo termine è identico a quello previsto dall'art. 14, comma 2, legge n. 689/1981, che la giurisprudenza della Cassazione ha costantemente interpretato come termine di decadenza dall'esercizio della potestà sanzionatoria. La Corte cita, a tal proposito, Cass. n. 9456/2004 e Cass. n. 4345/2024.

Gli ermellini hanno poi sottolineato come tale interpretazione sia costituzionalmente necessitata. Richiamando la sentenza della Corte Costituzionale n. 151/2021, la Suprema Corte ha ribadito che il principio di legalità, in materia di sanzioni amministrative, deve modellare anche la procedura di irrogazione, con la previsione di un preciso limite temporale. Questo è essenziale per garantire la certezza giuridica, la tutela dell'interesse soggettivo alla tempestiva definizione della propria situazione giuridica, la prevenzione generale e speciale, l'effettivo esercizio del diritto di difesa (art. 24 Cost.), e la coerenza con i principi di buon andamento e imparzialità della P.A. (art. 97 Cost.). Senza un termine di decadenza, l'unico limite temporale sarebbe rappresentato dal termine di prescrizione del diritto a riscuotere le somme dovute (art. 28, legge n. 689/1981), ritenuto insufficiente a garantire la certezza giuridica e l'effettività del diritto di difesa.

Chiarito che il termine di cui all'art. 9, comma 4, d.lgs. n. 8/2016 deve essere interpretato come un termine di decadenza, analogamente all'art. 14, comma 2, l. n. 689/1981, la Corte ha affrontato la peculiarità del caso di specie, ovvero la mancata trasmissione degli atti da parte dell'autorità giudiziaria all'INPS. In tale situazione, non è possibile fare riferimento al dies a quo previsto dall'art. 9, comma 4, d.lgs. n. 8/2016 (ricezione degli atti) né, a fortiori, a quello di cui all'art. 14, comma 2, legge n. 689/1981 (accertamento della violazione), poiché all'epoca dell'accertamento il fatto costituiva reato.

La Corte ha escluso che l'inerzia dell'autorità giudiziaria possa pregiudicare l'incolpato, privandolo del diritto alla tempestiva definizione della propria situazione giuridica. Ciò contrasterebbe con le esigenze di certezza del diritto, tutela del diritto di difesa e buon andamento dell'amministrazione, come evidenziato dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 151 del 2021.

Per risolvere la questione del dies a quo in assenza di trasmissione degli atti, la Cassazione ha richiamato i principi elaborati dalle Sezioni Unite in relazione all'incidenza di una legge sopravvenuta che introduca ex novo un termine di decadenza per una situazione giuridica pendente (Cass. sez.un. n. 15352/2015). Pur ribadendo che un termine di decadenza non può avere effetto retroattivo in assenza di una precedente fissazione del termine, la Corte ha ritenuto necessario bilanciare le esigenze di garantire l'effettività del termine decadenziale con l'interesse della pubblica amministrazione a non essere penalizzata per un'inerzia non imputabile.

A tal fine, la Cassazione ha applicato la regola generale di cui all'art. 252 delle disposizioni di attuazione del codice civile, secondo cui quando una nuova legge stabilisce un termine più breve per l'esercizio di un diritto rispetto alle leggi precedenti, il nuovo termine si applica anche ai diritti sorti anteriormente, ma decorre dalla data di entrata in vigore della nuova legge.

Applicando tale principio al caso in esame, la Corte di Cassazione ha concordato con i giudici territoriali nel ritenere che, una volta accertato che l'autorità giudiziaria non aveva trasmesso gli atti all'INPS, la decorrenza del termine per la contestazione dell'addebito dovesse essere collocata al momento dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 8/2016 (6 febbraio 2016). Da tale data, intervenuta la depenalizzazione, l'INPS avrebbe potuto autonomamente avviare il procedimento sanzionatorio mediante notifica della violazione.

Infine, la Corte ha considerato che gli stessi atti di accertamento della violazione da parte dell'INPS indicavano che le violazioni erano emerse da una "verifica dei nostri archivi" dimostrando che l'Istituto era già in possesso di tutti i dati necessari e che l'accertamento non aveva richiesto alcuna attività istruttoria.

In conclusione, la Corte di Cassazione ha enunciato il seguente principio di diritto: "il termine di novanta giorni dalla ricezione degli atti dall'autorità giudiziaria, entro il quale, a norma dell'art. 9, comma 4, d.lgs. n. 8/2016, l'INPS deve notificare al responsabile la violazione amministrativa concernente il mancato versamento delle ritenute previdenziali, parzialmente depenalizzata ai sensi dell'art. 3, comma 6, del medesimo decreto legislativo, è fissato a pena di decadenza dall'esercizio della potestà sanzionatoria e, in caso di mancata trasmissione degli atti da parte dell'autorità giudiziaria, decorre dal momento di entrata in vigore del d.lgs. n. 8/2016 (6.2.2016), ove dal vaglio di merito risulti che, in concreto, l'accertamento delle violazioni non ha richiesto da parte dell'INPS alcuna attività istruttoria".

Per questi motivi, la Corte ha rigettato il ricorso dell'INPS.

Osservazioni

La pronuncia in disamina appare senz'altro condivisibile. È chiaro l'intento di salvaguardare il pieno diritto del cittadino alla difesa nel pieno rispetto, oltretutto, del principio di legalità.

Di particolare importanza pare pertanto il richiamo fatto dalla Cassazione alla sentenza 151/2021 della Corte Costituzionale, che è bene approfondire. Il giudice delle leggi ha infatti precisato che il principio di legalità informa e plasma “la formazione procedimentale del provvedimento afflittivo con specifico riguardo alla scansione cronologica dell'esercizio del potere”, posto che “la previsione di un preciso limite temporale per la irrogazione della sanzione costituisce un presupposto essenziale per il soddisfacimento dell'esigenza di certezza giuridica, in chiave di tutela dell'interesse soggettivo alla tempestiva definizione della propria situazione giuridica di fronte alla potestà sanzionatoria della pubblica amministrazione, nonché di prevenzione generale e speciale”. È dunque il principio di legalità essere a essere la pietra angolare nel ragionamento poi svolto anche dalla Cassazione. Infatti, secondo gli Ermellini, è il combinato disposto dell'art. 23, con il diritto di difesa di cui all'art. 24 e il principio di imparzialità e buon andamento ex art. 97 della Costituzione a richiedere che il termine previsto dall'art. 9, comma 4 del d.lgs. sia – come visto – un termine di decadenza. D'altronde, se così non fosse resterebbe quale argine alla certezza del diritto esclusivamente il termine (ben più lungo) di prescrizione del diritto o a riscuotere le somme dovute per le violazioni amministrative: termine ampio e facilmente suscettibile a interruzione; dunque, nella pratica inidoneo ad assicurare la certezza giuridica se non controbilanciato da una reale applicazione anche dell'istituto della decadenza.

Sulla base di tale presupposto si sottolinea quindi la seconda parte del ragionamento giuridico della Corte di Cassazione che lo Scrivente ritiene di fondamentale importanza. Ossia che “la previsione di un termine di decadenza da parte del legislatore non può avere effetto retroattivo, non potendo logicamente configurarsi un'ipotesi di estinzione del diritto per mancato esercizio da parte del titolare in assenza di una previa determinazione del termine entro il quale il diritto debba essere esercitato, il necessario bilanciamento tra le esigenze di garantire”.

La sentenza in disamina è dunque importante non tanto per la specifica fattispecie - posto che casi del tutto analoghi sono destinati ad esaurirsi nel giro di poco tempo – quanto al ragionamento strettamente giuridico che aiuta a latere a rafforzare la differenza concettuale tra decadenza e prescrizione e con ciò a rinvigorire il principio di legalità, nella sua declinazione della necessità di accertare e consolidare le posizioni giuridiche nel minor tempo possibile. Appare dunque una sentenza importante nell'orientare i rapporti tra il cittadino e le Istituzioni, riaffermando ancora una volta la certezza del diritto quale cardine del contratto sociale.

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