Plusvalenze da cessione contratti calciatori
05 Giugno 2025
Massima Le cessioni dei contratti dei calciatori rientrano nello schema della cessione del contratto, laddove oggetto della cessione è in questi casi il diritto all'utilizzo esclusivo della prestazione dell'atleta, che è senz'altro un bene da inquadrarsi tra i beni immateriali strumentali ammortizzabili, suscettibili, come tali, di produrre plusvalenze o minusvalenze, rilevanti ai fini IRES ed IRAP. Il caso Nel caso di specie, l'Agenzia delle Entrate notificava ad una società di serie A del campionato di calcio italiano avvisi di accertamento relativi ad IRES ed IRAP. In particolare, l'Ufficio contestava componenti positivi di reddito non dichiarati in violazione dell'art. 5 del d.lgs. n. 446/1997, non avendo la società assoggettato ad IRAP le plusvalenze derivanti dalla cessione dei diritti pluriennali alle prestazioni sportive dei calciatori. Con altro rilievo si contestava poi che la società aveva illegittimamente dedotto gli oneri sostenuti per servizi di intermediazione prestati dai procuratori sportivi per prestazioni effettuate nei confronti dei calciatori stessi. La società contribuente impugnava i suddetti avvisi di accertamento dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, la quale accoglieva il ricorso. L'Agenzia delle Entrate proponeva quindi appello e la Commissione Tributaria Regionale lo accoglieva. Avverso tale sentenza, la società proponeva infine ricorso per cassazione, deducendo, per quanto di interesse, la violazione dell'art. 5, comma 1, del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, e rilevando, in particolare, che, nel caso di cessione del contratto intercorso con calciatori non si verifica lo smobilizzo di un bene, in quanto non vi è una cessione di beni, essendo l'oggetto dello scambio costituito da un contratto di lavoro. Conseguentemente, non si realizzerebbe una plusvalenza ordinaria tassabile ai fini IRAP, in quanto le somme percepite dalle società di calcio all'esito e per effetto della cessione del contratto di lavoro sportivo andrebbero iscritte, in ottemperanza alle regole sancite dalla Federazione Italiana Giuoco Calcio, tra i proventi straordinari di cui alla voce E20 del conto economico, e, pertanto, non sarebbero tassabili ai fini IRAP, non essendo appunto richiamate dall'art. 5, comma 1, d.lgs. n. 446/1997. Quanto poi alla questione della deducibilità dei costi corrisposti ai procuratori sportivi, la società deduceva che la motivazione della sentenza sul punto era meramente apparente e che le spese sostenute dalla società si riferivano ad una serie di prestazioni che erano state richieste nell'interesse datoriale, e cioè di un imprenditore che organizza eventi agonistici dopo essersi assicurato le prestazioni degli atleti, e non potevano quindi essere considerate fringe benefits nell'interesse degli atleti. La questione Con la legge 23 marzo 1981, n. 91, è stato abolito il c.d. “vincolo sportivo”, che si configurava, per le società di calcio, quale diritto esclusivo all'utilizzo dell'atleta, alienabile a terzi, distinto e separato rispetto al rapporto di lavoro formalizzato con l'ingaggio. Il vincolo sportivo rappresentava, pertanto, il bene ceduto in occasione del trasferimento di un giocatore da una società ad un'altra, ed era considerato bene strumentale autonomo a fini tributari. Con l'emanazione della legge 18 novembre 1996, n. 586, che ha recepito in Italia gli effetti della nota sentenza Bosman (Corte di Giustizia UE, sent. 15 ottobre 1995, causa C 415/93), i club di appartenenza dei calciatori professionisti giunti alla scadenza del contratto non hanno più avuto diritto a percepire somme da parte della società calcistica che procedeva ad ingaggiare l'atleta. Nel caso invece di cessioni di calciatori nel corso del rapporto (e quindi prima della scadenza del contratto), viene seguita la seguente procedura di trasferimento: a) calciatore, società di provenienza e società di destinazione devono redigere per iscritto, a pena di nullità, un accordo di cessione di contratto, denominato “variazione di tesseramento per calciatori professionisti”; b) società di provenienza e società di destinazione redigono e allegano un documento in bollo, nel quale evidenziano importo e modalità del prezzo di cessione dovuto dalla seconda alla prima; c) società di destinazione e calciatore redigono, infine, un altro modulo federale, con il quale concordano la misura del compenso al calciatore, quello da questo dovuto al suo procuratore, la scadenza del rapporto contrattuale, ed altre clausole accessorie. In sostanza, si tratta di una operazione economica rientrante nello schema della cessione del contratto, in quanto la società di provenienza cede alla nuova società, con il consenso del giocatore, la propria posizione contrattuale (e, in particolare, il diritto alle prestazioni sportive dell'atleta), secondo lo schema tipico di cui all'art. 1406 c.c. La soluzione giuridica Secondo la Suprema Corte la prima censura della società era infondata. Evidenziano i giudici di legittimità che l'oggetto del contratto tra le società sportiva e l'atleta è il diritto alla prestazione sportiva esclusiva, per la durata del contratto stesso (cfr., da ultimo, Cass. 26 febbraio 2024, n. 5068; Cass. 12 gennaio 2023, n. 661). Con la cessione del giocatore la società cessionaria acquista, con il consenso dell'atleta ceduto, proprio il diritto oggetto del contratto e succede in tutti gli obblighi ed i diritti connessi, fermo restando che la società acquirente potrà, in base agli accordi con l'atleta, continuare il rapporto contrattuale alle medesime condizioni, ovvero regolarlo diversamente. Questa interpretazione, peraltro, rileva la Corte, è confermata anche dal tenore letterale dell'art. 5 della L. n. 91/1981, che definisce proprio “cessione del contratto” il trasferimento di un atleta da una società ad un'altra. Ne consegue che oggetto della cessione è appunto il diritto all'utilizzo esclusivo della prestazione dell'atleta, che è senz'altro un bene da inquadrarsi tra i beni immateriali strumentali ammortizzabili ai sensi dell'art. 68, comma 2, d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, suscettibili, come tali, di produrre plusvalenze o minusvalenze, rilevanti ai fini IRES ed IRAP (cfr., Cass., n. 661/2023; Cass., 25 gennaio 2023, n. 2376; Cass., 25 gennaio 2019, n. 2144). Secondo la Suprema Corte non è invece condivisibile la tesi per la quale il corrispettivo della cessione in questione dovrebbe essere considerato quale “provento straordinario”, iscrivibile nel conto economico alla voce E20, e dunque escluso dal calcolo della base imponibile IRAP. La plusvalenza in esame, infatti, riguarda, come detto, un bene strumentale immateriale (il diritto all'utilizzo delle prestazioni sportive dell'atleta), trattandosi di bene che rientra nell'oggetto sociale dell'utilizzatrice (lo svolgimento e l'offerta al pubblico di spettacoli sportivi). Conseguentemente, i proventi derivanti dalla cessione di tale bene strumentale devono essere considerati come componenti ordinari di reddito, e pertanto concorrono a formare la base imponibile ai fini IRAP. Quanto invece alla questione della deducibilità dei costi corrisposti ai procuratori sportivi le censure della società, secondo la Cassazione, erano fondate. Evidenziano infatti sul punto i giudici che la motivazione della sentenza impugnata, in parte qua era assolutamente carente, avendo la CTR omesso qualunque valutazione circa la tipologia dei contratti di mandato, l'individuazione del soggetto conferente il mandato (se si trattasse, cioè, del calciatore, o della stessa società), il titolare dell'interesse soddisfatto dal conferimento del mandato (e se quindi si trattasse di un'attività svolta nell'interesse della società o interesse del calciatore), e ciò, essenzialmente, ai fini della valutazione di inerenza del costo in questione ex art. 109, comma 5, d.P.R. n. 917/1986. Osservazioni Per una società di calcio, in sostanza, i calciatori rappresentano (contabilmente) delle “immobilizzazioni immateriali”, che manifestano i loro benefici economici lungo un arco temporale di più esercizi, laddove la relativa plusvalenza è data dall'incremento di valore che il calciatore stesso ha realizzato nel corso del tempo, dal momento in cui è entrato a far parte della squadra al momento in cui viene ceduto, dovendosi prendere a tal fine in considerazione l'ammortamento annuo del calciatore già imputato in bilancio. In definitiva, nel calcio, la plusvalenza è il guadagno che una società trae dalla cessione di un calciatore ed è una delle principali voci di ricavo dei club professionistici. Analizzando i bilanci delle società calcistiche, ci si rende dunque conto che, insieme ai diritti televisivi e ai ricavi commerciali e da stadio, i proventi per la gestione dei diritti dei calciatori rappresentano una delle voci più importanti del conto economico. Nel settore del calcio la plusvalenza (o minusvalenza) è data, in sostanza, dalla differenza tra il valore di cessione del cartellino di un calciatore, rispetto al valore residuo (al netto dell'ammortamento) del valore del cartellino iscritto in bilancio da parte del club cedente. Per ogni cartellino di un calciatore è infatti iscritto a bilancio un valore contabile. Quel valore indica sostanzialmente la quota rimanente dell'investimento iniziale (costo storico) per l'acquisto del calciatore stesso, che deve ancora essere ammortizzata dal club. Per una società di calcio, pertanto, i calciatori rappresentano (contabilmente) delle vere e proprie “immobilizzazioni immateriali”, il cui valore può anche crescere nel tempo. La plusvalenza è data pertanto, in questi casi, dall'incremento di valore che il calciatore ha realizzato nel corso del tempo, dal momento in cui è entrato a far parte della squadra al momento in cui viene ceduto. Per calcolare questo valore è necessario partire dall'investimento iniziale (la cifra pagata per il cartellino), che viene diviso per il numero di anni di contratto in parti uguali, e la cui quota viene ammortizzata di anno in anno fino a che il valore non è pari a zero. Pertanto, il compenso derivante dalla cessione del bene immateriale strumentale genera plusvalenza o minusvalenza; e nel conto economico di cui all'art. 2425 c.c. le plusvalenze vanno indicate alla voce A n. 5 "altri ricavi e proventi", e non come proventi straordinari di cui alla voce del conto economico E 20. |