La non occasionalità della condotta di spaccio di lieve entità
22 Maggio 2025
Massima In tema di stupefacenti, ricorre l'elemento specializzante della non occasionalità della condotta, integrante l'aggravante speciale di cui all'art. 73, comma 5, secondo periodo, d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, quando l'agente, al momento del fatto, abbia già riportato almeno un precedente specifico, sicché la circostanza deve ritenersi ascritta in fatto ove sia contestata la recidiva specifica. Il caso L'imputato, condannato alla pena di anni due e mesi otto di reclusione per il delitto di cui all'art. 73, comma 5, d.p.r. 9 ottobre 1990 (oltre che per il delitto di resistenza a pubblico ufficiale), ricorreva in cassazione deducendo, tra l'altro, la nullità delle sentenze di merito nella parte in cui avevano ritenuto sussistente la circostanza aggravante della non occasionalità, di cui al secondo periodo dell'indicata norma incriminatrice, pur non essendo la stessa formalmente ed esplicitamente contestata nell'editto d'accusa. La pronuncia, con la quale la Corte ha ritenuto che la contestazione della recidiva specifica consenta, di per sé sola, di ritenere sussistente la circostanza in oggetto, fornisce l'occasione per riflettere sui ridisegnati caratteri del fatto lieve, alla luce della più recente novella legislativa. La questione Introdotto nell'ordinamento nel 1990 quale circostanza attenuante ad effetto speciale - quasi come un “diversivo” resosi necessario per compensare la fragilità di un sistema non sempre capace di distinguere il lecito dall'illecito, come una valvola di sfogo indispensabile per riequilibrare una risposta sanzionatoria da sempre improntata a criteri di massima severità - il fatto di lieve entità, previsto dall'art. 73, comma 5, d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, è stato trasformato in ipotesi autonoma di reato dal d.l. 24 dicembre 2013, n. 146, convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2014, n. 10: tanto è confermato non solo dalla dichiarata intentio legis, ma anche dalla clausola di riserva con la quale si apre la disposizione (che, facendo ora riferimento ad un «più grave reato», presuppone che il fatto di cui al quinto comma sia esso stesso un reato), dalla tecnica di formulazione della fattispecie (che, prevedendo ora un soggetto attivo ed una condotta - “chiunque commette ...” - mutua il lessico proprio delle disposizioni autonomamente incriminatrici), dalla sostituzione della parola «circostanza» con la parola «delitto» in plurime disposizioni codicistiche che richiamano l'art. 73, comma 5, del Testo Unico. La nuova formulazione del quinto comma ha, dunque, sottratto la particolare categoria dei fatti di lieve entità dal campo di applicazione del primo e del quarto comma del suddetto art. 73, creando una nuova ed autonoma ipotesi di reato che, tuttavia, presenta identico bene giuridico tutelato, identico oggetto materiale, identico soggetto attivo, identica condotta ed identico elemento soggettivo della fattispecie ordinaria, dalla quale si distingue solo per elementi secondari ed accidentali, che, per l'appunto, stanno intorno al reato, ma non ne definiscono la struttura: sicché è solo il maquillage di carattere meramente formale apportato con il descritto intervento legislativo, e non la (immutata) struttura del fatto descritto dalla norma, che consente di ritenere non più applicabili i principi - per vero apparentemente ancora attuali - già affermati dalla giurisprudenza di legittimità, che qualificava quella in esame come circostanza, e non come fattispecie autonoma di reato, «essendo correlata ad elementi (i mezzi, la modalità, le circostanze dell'azione, la qualità e quantità delle sostanze) che non mutano, nell'obiettività giuridica e nella struttura, le fattispecie previste dai primi commi dell'articolo, ma attribuiscono ad esse una minore valenza offensiva» (Cass. pen., sez. un., 24 giugno 2010, n. 35737). Un emendamento approvato in sede di conversione del cd. decreto legge “Caivano” (d.l. 15 settembre 2023, n. 123, convertito con modificazioni dalla legge 13 novembre 2023, n. 159) ha aggiunto un secondo periodo alla norma incriminatrice in esame, che, dunque, prevede oggi che «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo che, per i mezzi, la modalità o le circostanze dell'azione ovvero per la qualità e quantità delle sostanze, è di lieve entità, è punito con le pene della reclusione da sei mesi a cinque anni e della multa da euro 1.032 a euro 10.329. Chiunque commette uno dei fatti previsti dal primo periodo è punito con la pena della reclusione da diciotto mesi a cinque anni e della multa da euro 2.500 a euro 10.329, quando la condotta assume caratteri di non occasionalità». Il più recente intervento normativo ha innalzato di un anno la pena massima per i fatti di lieve entità, già pari a quattro anni di reclusione (con la conseguenza che, in relazione al delitto in commento, non può più essere chiesta la sospensione del procedimento con messa alla prova, riservata, ai sensi dell'art. 168-bis c.p. ai «reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria», ovvero ai reati di cui all'art. 550, comma 2, c.p.p.), ed ha introdotto una nuova circostanza aggravante che, quando il fatto di lieve entità si inserisce nel contesto di una condotta non occasionale, accorcia sensibilmente il range edittale: ferma la pena massima di 5 anni di reclusione ed € 10.329 di multa, la pena minima, pari a sei mesi di reclusione ed € 1.032 di multa per i fatti “ordinariamente” lievi, è invece pari ad un anno e sei mesi di reclusione ed € 2.500 di multa per i fatti lievi aggravati. Ma quando una condotta di lieve entità assume caratteri di non occasionalità? Le soluzioni giuridiche La nuova formulazione della disposizione in commento, sancendo espressamente la piena compatibilità tra un fatto di lieve entità ed una condotta connotata da caratteri di non occasionalità, ha senz'altro comportato il definitivo superamento dell'orientamento, spesso ricorrente nella giurisprudenza di merito, secondo cui la semplice reiterazione delle condotte e/o la predisposizione di una rudimentale organizzazione funzionale alla loro realizzazione ostano alla configurabilità del fatto lieve. Si tratta di una linea esegetica oramai da tempo superata dalla giurisprudenza di legittimità, che si è attestata in maniera sostanzialmente univoca sulla posizione per la prima volta massimata con Cass. pen., sez. VI, 9 maggio 2017, n. 29132: «In tema di stupefacenti, ai fini dell'accertamento del fatto di lieve entità, il giudice è tenuto a valutare tutti gli elementi indicati dalla norma, sia quelli concernenti l'azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all'oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa), dovendosi escludere qualsivoglia preclusione derivante dalla eterogeneità delle sostanze o dalle modalità organizzate della condotta, essendo quest'ultimi elementi idonei ad escludere l'ipotesi del fatto lieve soltanto qualora siano dimostrativi di una significativa potenzialità offensiva. (In motivazione, la Corte ha annullato la sentenza che aveva escluso l'ipotesi di cui all'art. 73, comma 5, d.p.r. n. 309/1990, valorizzando esclusivamente la reiterazione nel tempo delle cessioni ed omettendo di compiere una valutazione globale ed unitaria dei diversi indicatori della lieve entità del fatto)». In termini, tra le numerosissime sentenze non massimate degli ultimi anni, meritano di essere citate Cass. pen., sez. VI, 14 dicembre 2017, dep. 2018, n. 33019 nelle cui motivazioni può leggersi che «la cessione continuativa a terzi di sostanze stupefacenti può integrare il fatto di lieve entità di cui al quinto comma, dell'art. 73 d.p.r. cit., avuto riguardo alla quantità e qualità della sostanza detenuta e spacciata, da accertarsi con riguardo al principio attivo, alla complessità ed all'ampiezza della organizzazione, al numero ed alla qualità dei soggetti coinvolti; […] il reato di cui al comma 5 non è di per sé incompatibile con lo svolgimento di attività di spaccio di stupefacenti non occasionale, ma inserita in un'attività criminale organizzata o professionale, ciò in quanto l'art. 74, comma 6, d.p.r. n. 309/1990, prevede l'autonoma ipotesi di associazione finalizzata alla commissione di fatti di detenzione e cessione di lieve entità, cioè riferiti al c.d. piccolo spaccio, ancorché organizzato», e Cass. pen., sez. III, 11 aprile 2014, n. 23930, che - enunciando il principio di diritto secondo cui «la mera reiterazione nel tempo di più condotte di cessione di modiche quantità sostanze stupefacenti non osta al [..] riconoscimento» dell'ipotesi lieve - ha annullato con rinvio la sentenza di condanna che aveva escluso la minore offensività dei fatti osservando che «le modalità dello spaccio (su strada e con ripartizione dei compiti fra i correi) denotavano come gli stessi avessero costituito una sorta di “punto vendita” di marijuana noto ai consumatori che li avvicinavano in autovettura per rifornirsi»: la Corte ha rilevato che «se appare normativamente sancita la compatibilità dell'attenuante speciale addirittura con la partecipazione ad un'associazione finalizzata al traffico (continuativo) di modiche quantità sostanze stupefacenti, appare evidente come la mera ripartizione di compiti tra i concorrenti nel reato che caratterizza la fattispecie non possa assurgere a ragione ostativa al riconoscimento della ipotesi della lieve entità». Dunque, come definitivamente sancito dal più recente intervento legislativo in argomento, la non occasionalità della condotta non preclude la qualificazione giuridica in termini di cd. “piccolo spaccio”, tutte le volte in cui sia accertato che i fatti, pur se reiterati, hanno riguardato volumi complessivi comunque modesti di droga, o hanno interessato una cerchia ristretta di acquirenti, come accade nei numerosi casi in cui i reati sono ascritti a figure secondarie nella catena della commercializzazione della droga, spesso a loro volta tossicodipendenti o consumatori abituali; quando, invece, alla non occasionalità si affianchino ulteriori elementi sintomatici dell'ampiezza del giro di affari e della apprezzabile quantità dello stupefacente smerciato, sarà configurabile non un fatto lieve aggravato ai sensi dell'ultima parte dell'art. 73, comma 5, del Testo Unico, ma un fatto ordinario: cfr., in termini, le motivazioni di Cass. pen., sez. III, 3 dicembre 2024, dep. 2025, n. 2393, secondo cui «la “non occasionalità” esclude la lieve entità del fatto quando sia manifestazione di un'attività organizzata attraverso la quale vengono immessi sul mercato consistenti (e di certo non modici) quantità di sostanze stupefacenti; “non occasionalità” non equivale a “piccolo spaccio”, che si caratterizza per una complessiva minore portata dell'attività dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, con una ridotta circolazione di merce e di denaro nonché di guadagni limitati». Quanto ai caratteri del fatto di lieve entità non occasionale, possono senz'altro valorizzarsi, ai fini del riconoscimento della circostanza aggravante, tutti quegli elementi idonei ad illustrare che si è in presenza di un'attività ripetuta nel tempo e posta in essere con modalità professionali o comunque servendosi di una minima organizzazione all'uopo approntata. La sentenza n. 5842/2025 in commento ha, altresì, statuito che l'elemento specializzante è integrato anche «allorquando l'agente, al momento del fatto, abbia già riportato almeno un precedente specifico», puntualizzando che «Si tratta di una conclusione che si desume, in primo luogo, dal significato letterale della locuzione di "non occasionalità": se è occasionale la condotta che si è verificata una sola volta, per converso non occasionale è la condotta che si è realizzata più di una volta, e, quindi, almeno due. Quest'interpretazione trova conforto dal raffronto con la condotta di abitualità, utilizzata dal legislatore in altri contesti; si tratta, in tal caso, di locuzione più pregnante della mera non occasionalità, per integrare la quale, come affermato dalle Sezioni Unite con riferimento al riconoscimento del presupposto ostativo alla configurabilità della causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis c.p., è necessario che l'agente abbia già commesso, in precedenza, almeno due illeciti, oltre quello preso in esame (cfr. Cass. pen., sez. un., 25 febbraio 2016, n. 13681, Tushaj, Rv. 266591-01)». Da queste premesse la Corte ha tratto il convincimento dell'infondatezza del motivo di ricorso agitato dall'imputato: «Nel caso di specie, se è vero che nell'imputazione non vi è un esplicito riferimento all'art. 73, comma 5, secondo periodo, d.p.r. n. 309/1990, nondimeno deve ritenersi che, in fatto, sia stata contestata la non occasionalità della condotta, agevolmente desumibile dalla espressa contestazione della recidiva specifica infraquinquennale: il che sta evidentemente a significare che l'agente aveva già riportato una condanna definitiva per la medesima violazione e, che, quindi, il fatto, oggetto di contestazione, non è “occasionale”». Osservazioni La “non occasionalità” della condotta di regola non consente, di per sé sola, di qualificare una condotta di spaccio come “ordinaria”, ai sensi del primo o del quarto comma dell'art. 73 del Testo Unico, o come “lieve”, ai sensi del quinto comma della medesima disposizione; del resto, la presenza nell'ordinamento dell'art. 74, comma 6, del Testo Unico illustra nitidamente che la reiterazione delle condotte, la predisposizione di una minima organizzazione o la circostanza che l'imputato abbia agito in collegamento più o meno stabile con altri soggetti non sono di per sé sufficienti ad escludere la lievità del fatto: ed invero, se è astrattamente possibile ritenere di lieve entità i reati posti in essere dai membri di un'associazione per delinquere appositamente creata per realizzare un programma criminoso avente ad oggetto la perpetrazione di una serie indefinita di delitti in materia di stupefacenti, non può certo assegnarsi dirimente pregnanza, nell'indagine relativa alla configurabilità dell'ipotesi meno grave, all'aspetto organizzativo ovvero alla semplice ripetizione degli illeciti. Dunque, quando la continuità dell'attività di spaccio sia espressione di un ampio programma criminale, nel cui ambito un numero elevato di acquirenti venga diuturnamente rifornito di sostanze stupefacenti, così consentendo all'agente di assicurarsi considerevoli profitti, la condotta potrà essere inquadrata nelle ipotesi ordinarie punite dal primo e dal quarto comma della norma incriminatrice. Quando, invece, i fatti, pur se reiterati, abbiano interessato una cerchia ristretta di acquirenti, abbiano riguardato volumi complessivi modesti e/o sostanze stupefacenti dal basso principio attivo, ed abbiano generato profitti modesti, potrà ritenersi integrata la meno grave ipotesi lieve punita dal quinto comma della norma incriminatrice. A monte di ciò vi dovrebbe, in ogni caso, essere la definitività dei diversi accertamenti, poiché - pur non ignorandosi che la giurisprudenza ritiene che i precedenti di polizia possano essere valorizzati ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche (Cass. pen., sez. V, 13 giugno 2013, n. 39473) o ai fini della determinazione della pena (Cass. pen., sez. VI, 23 maggio 2012, n. 21838) -appare opportuno ritenere, anche in ossequio ai principi che hanno portato all'introduzione nel nostro ordinamento dell'art. 115-bis c.p.p., che debbano ai fini che qui rilevano essere valutate - unitamente alle condotte che formano oggetto di contestazione - solo quelle già accertate con pregresse sentenze irrevocabili. Quanto, infine, ai rapporti tra la “non occasionalità” e la recidiva, il principio statuito da Cass. pen., sez. III, 22 gennaio 2025, n. 5842, merita di essere puntualizzato. Non pare, invero, corretto sostenere, che la “non occasionalità” è sempre e comunque integrata «allorquando l'agente, al momento del fatto, abbia già riportato almeno un precedente specifico», poiché «non occasionale è la condotta che si è realizzata più di una volta, e, quindi, almeno due». E' occasionale ciò che, per l'appunto, dipende da un'occasione, ciò che non è programmato, ma nasce dalle particolari circostanze del caso concreto: è evidente che non può ritenersi occasionale ciò che accade abitualmente o che comunque si ripete in un numero apprezzabile di volte, ma pare altrettanto evidente che non possa ritenersi abituale, o, quanto meno, che non possa escludersi la occasionalità di ciò che si verifica due sole volte; non appare, in proposito, irrilevante notare, volgendo lo sguardo ad altri rami dell'ordinamento, che il legislatore ha, ad esempio, previsto che le “prestazioni occasionali” di cui all'art. 54-bis d.l. 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96 - forma di lavoro che consente di svolgere attività saltuarie e limitate nel tempo senza essere dipendenti e senza la necessità di possedere una partita IVA - possano essere rese più volte in un anno, senza tuttavia perdere il loro carattere di occasionalità. Del resto, la giurisprudenza sviluppatasi a proposito dell'art. 131-bis c.p. ha evidenziato la necessità di non confondere l'abitualità con la recidiva, statuendo che «l'art. 131-bis c.p. richiede soltanto che il comportamento risulti “non abituale”, e non richiede, invece, l'occasionalità della condotta, non potendosi confondere l'abitualità con la mera recidiva. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte di cassazione, infatti, ai fini del presupposto ostativo alla configurabilità della causa di non punibilità prevista dall'art. 131-bis c.p., il comportamento è abituale quando l'autore, anche successivamente al reato per cui si procede, ha commesso almeno due illeciti, oltre quello preso in esame (Cass. pen., sez. un., 25 febbraio 2016, n. 13681, Tushaj, Rv. 266591), sicché la nozione di comportamento abituale non può essere assimilata a quella della recidiva, che opera in un ambito diverso ed è fondata su un distinto apprezzamento» (così, in motivazione, Cass. pen., sez. II, 28 ottobre 2020, dep. 2021, n. 4800). Pare, dunque, corretto ritenere che quando, come nel caso oggetto della sentenza in commento, vengano in rilievo due condotte di spaccio, il solo dato numerico, la sola contestazione della recidiva specifica non possono automaticamente condurre al riconoscimento della non occasionalità della condotta, che, invece, dovrebbe essere ritenuta sussistente solo quando la complessiva analisi dei fatti in contestazione e di quelli pregressi metta in luce elementi idonei a rivelare che non si tratta di condotte estemporanee: la circostanza aggravante della “non occasionalità” potrebbe, allora, essere esclusa quando l'imputato ha posto in essere due condotte di spaccio in contesti diversi, in luoghi diversi ed a distanza di anni l'una dall'altra, poiché, in un caso del genere, la mera ripetizione dell'illecito non vale di per sé sola ad escludere la occasionalità delle condotte. |