Maltrattamenti in famiglia in presenza o in danno del figlio minore
23 Maggio 2025
Massima L'articolo 34, comma 2 c.p. è costituzionalmente illegittimo nella parte in cui non consente al giudice di valutare in concreto se – a seguito della condanna per il delitto di maltrattamenti in famiglia commesso, in presenza o a danno di minori, con abuso della responsabilità genitoriale (art. 572, comma 2 c.p.) – corrisponda all'interesse del minore applicare anche la pena della sospensione dall'esercizio della responsabilità genitoriale. Il caso Tizio e Caia venivano imputati del reato ex art. 81,572 comma 2 c.p., perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, ponevano in essere abitualmente, con finalità educative, condotte violente ed aggressive (schiaffi sul viso e calci sul sedere, colpi con una cintura sulle gambe e sul sedere, tirate di capelli e plurime aggressioni verbali, ecc.); nei confronti dei figli minori conviventi. Il Tribunale ordinario di Siena, in composizione collegiale, riconosceva la penale responsabilità degli imputati in ordine ai reati di cui agli art. 110,572, comma 2 c.p. commessi nei confronti dei figli con abuso della responsabilità genitoriale in quanto all'esito dell'istruttoria dibattimentale aveva ritenuto che gli atti di maltrattamento e vessazione si erano estrinsecati in metodi educativi connotati dall'uso abituale di violenze con gravi pregiudizi per gli interessi morali e materiali dei minori. Poiché l'art. 34, comma 2 c.p. prevede che «la condanna per delitti commessi con abuso della responsabilità genitoriale importa la sospensione dall'esercizio di essa per un periodo di tempo pari al doppio della pena inflitta», a tale condanna doveva derivare automaticamente la sospensione dall'esercizio della responsabilità genitoriale. In realtà, però, nel caso di specie, dall'assunzione delle testimonianze dei figli già nel corso dell'incidente probatorio, era emersa la ricomposizione del quadro familiare, tanto da far apparire l'accertato fatto di maltrattamenti come insuscettibile di ulteriore reiterazione; pertanto, alla luce di quanto emerso sul punto e dell'età del figlio minore, un'automatica applicazione della pena accessoria, nella misura fissa stabilita dalla legge, avrebbe prodotto effetti nocivi nell'interesse del minore. Con ordinanza del 6 giugno 2024, iscritta al n. 142 del registro ordinanze 2024, il Tribunale Ordinario di Siena si interrogava sulla legittimità della conseguente applicazione automatica, sia nell'an che nel quantum, della pena accessoria della sospensione dell'esercizio della responsabilità genitoriale alla condanna per i delitti commessi con abuso della responsabilità genitoriale. La questione Il giudice a quo rilevava che già con precedenti pronunce la Corte costituzionale (sentenze n. 222 del 2018, n. 67 del 1963; n. 104 del 1968) aveva affermato che l'attribuzione al giudice, nella sua determinazione in concreto, di una certa discrezionalità nella commisurazione tra il minimo e il massimo previsti dalla legge, costituisce "naturale attuazione e sviluppo di principi costituzionali, tanto di ordine generale (principio d'uguaglianza) quanto attinenti direttamente alla materia penale", con la conseguenza che «se la "regola" è rappresentata dalla "discrezionalità", ogni fattispecie sanzionata con pena fissa (qualunque ne sia la specie) è per ciò solo "indiziata" di illegittimità». Il Tribunale osserva, poi, che nel caso esaminato, la rigidità applicativa imposta dalla previsione dell'art. 34 comma 2 c.p. non può che generare la possibilità di risposte sanzionatorie manifestamente sproporzionate per eccesso, e dunque in contrasto con gli articoli 3 e 27 della Costituzione, rispetto ai fatti commessi con abuso di responsabilità genitoriale meno gravi; la durata fissa della pena accessoria in questione non può ritenersi ragionevolmente proporzionata rispetto all'intera gamma di comportamenti riconducibili ai presupposti applicativi della citata pena accessoria applicata. Il giudice remittente rileva che in ipotesi analoga a quella sottoposta all'attenzione del Tribunale, costituita dalla fattispecie di sottrazione e trattenimento di minore all'estero, la pena accessoria della sospensione dall'esercizio della responsabilità genitoriale, a seguito della dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 574-bis, comma 3 c.p. da parte della Corte costituzionale con sentenza n. 102 del 2020, non consegue automaticamente alla condanna, ma postula la valutazione del giudice, che deve tenere conto, ai fini sia dell'irrogazione che della durata, dell'evoluzione successiva delle relazioni tra il minore e il genitore autore del reato e dei provvedimenti eventualmente adottati in sede civile, in funzione dell'esigenza di ricerca della soluzione ottimale per il minore. Sulla base delle suddette premesse, il giudice a quo ritiene che debba essere messa in discussione la legittimità costituzionalità della disciplina delineata dall'art. 34, comma 2 c.p. che comporta conseguenze che ricadono sui figli dei condannati non già semplicemente de facto - come può avvenire per qualsiasi provvedimento giudiziario - ma de iure, in ragione del contrasto di tale vulnus normativo con gli articoli 2 (che, riconoscendo e tutelando i diritti fondamentali dell'individuo, costituisce fondamento anche per la tutela dei diritti dei minorenni), 3, 29 e 30 della Costituzione, nonché dall'art. 8 della Convenzione sui diritti del fanciullo (che impegna gli Stati parte a rispettare, tra l'altro, il diritto dei minori alle proprie relazioni familiari); da tale complesso normativo si ricava il principio secondo cui in tutte le decisioni relative ai minorenni deve considerarsi il preminente interesse degli stessi. Pertanto, qualsiasi provvedimento che incide sulla responsabilità genitoriale potrebbe giustificarsi solo in quanto non contrasti con l'esigenza di tutela del minore. Sulla base delle considerazioni svolte, il Tribunale ritiene evidente che l'art. 34, comma 2 c.p. contrasta anche con il principio di proporzionalità della pena desumibile dagli articoli 3 e 27 della Costituzione, in quanto la pena prevista dal codice penale risulterebbe eccessiva allorché, come nel caso di specie, risulti comprovato il ripristino della situazione familiare e di conseguenza appaia meritevole di tutela l'interesse del figlio minore alla preservazione del nucleo familiare ricomposto. In conclusione, il Tribunale di Siena dichiara rilevante e non manifestamente infondata, in riferimento agli articoli 2,3,27,29 e 30 della Costituzione, nonché all'art. 8 della Convenzione sui diritti del fanciullo, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2 c.p., rimettendola alla Corte Costituzionale, sia nella parte in cui prevede che la condanna pronunciata contro il genitore per delitti commessi con abuso della responsabilità genitoriale comporta la sospensione dell'esercizio di essa anziché la possibilità per il giudice di disporla, sia nella parte in cui la misura della sospensione della responsabilità genitoriale è disposta per un periodo di tempo pari al doppio della pena inflitta, anziché in misura eguale a quella della pena principale inflitta. Le soluzioni giuridiche La Corte costituzionale, con la sentenza n. 55 depositata in data 22 aprile 2025, ha dichiarato fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate in riferimento agli artt. 2,3 e 30 della Costituzione con riferimento all'automatica applicazione della pena accessoria della sospensione dell'esercizio della responsabilità genitoriale. Preliminarmente, la Corte dichiara inammissibili le questioni sollevate in riferimento all'art. 8 della Convenzione sui diritti del fanciullo, evocato «come un riferimento immediato e non quale norma interposta in rapporto al primo comma dell'art. 117 Cost.» (sentenza n. 62 del 2021). La giurisprudenza di questa Corte è costante nell'affermare che le norme del diritto internazionale pattizio, quando siano in grado di vincolare la potestà legislativa statale e regionale, non fungono da parametro autonomo, ma integrano quello dettato dall'art. 117, comma 1, Cost.: quando i giudici a quibus ne omettano l'evocazione, le relative questioni di legittimità costituzionale sono dunque inammissibili, salva soltanto la possibilità di considerare il richiamo alle norme internazionali quale «strumento interpretativo delle corrispondenti garanzie costituzionali» (sentenza n. 102 del 2020; in termini anche le sentenze n. 189 del 2024 e n. 62 del 2021). La Corte passa, quindi, ad esaminare separatamente le questioni relative all'automatica applicazione della pena accessoria della sospensione dall'esercizio della responsabilità genitoriale e quella della sua durata fissa. Per motivare tale decisione, la Corte, in via preliminare richiama le precedenti pronunce con le quali aveva già ritenuto costituzionalmente illegittime norme che imponevano al giudice, a seguito della condanna del genitore per specifici reati, l'automatica applicazione di pene accessorie analoghe o identiche a quella prevista dall'art. 34, comma 2 c.p. Prima tra tutte la sentenza n. 31 del 2012 con la quale la Corte dichiarava l'illegittimità costituzionale dell'art. 569 c.p. «nella parte in cui prevede che, in caso di condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di alterazione di stato di cui all'art. 567, comma 2 c.p., debba conseguire automaticamente la perdita della potestà genitoriale, così precludendo al giudice ogni possibilità di valutazione dell'interesse del minore nel caso concreto». In questo caso, si osservava che rilevante non era solo l'interesse dello Stato all'esercizio della potestà punitiva e l'interesse dell'imputato e/o delle altre eventuali parti processuali alla celebrazione di un giusto processo, ma anche «l'interesse del minore a vivere e a crescere nell'ambito della propria famiglia, mantenendo un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, dai quali ha diritto di ricevere cura, educazione ed istruzione». Basandosi su tali presupposti, la Corte osservava che è irragionevole precludere al giudice ogni possibilità di valutazione e di bilanciamento tra l'interesse del minore e la necessità di applicare comunque la pena accessoria in ragione della natura e delle caratteristiche dell'episodio criminoso, in quanto, a seconda del caso esaminato, si può rilevare se la responsabilità genitoriale viene correttamente esercitata rispondendo all'interesse morale e materiale del minore e, pertanto, in tale circostanza, l'automatica applicazione della pena accessoria lederebbe l'interesse del minore, o, viceversa, quando essa non sia correttamente esercitata, potrebbe essere nell'interesse del minore l'adozione di provvedimenti che rimedino ai casi di gravi inadempienze dei genitori. E ancora. Con la sentenza n. 7 del 2013, la Corte dichiarava costituzionalmente illegittimo l'art. 569 c.p. «nella parte in cui stabilisce che, in caso di condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di soppressione di stato, previsto dall'articolo 566, comma 2 c.p., consegua di diritto la perdita della potestà genitoriale, così precludendo al giudice ogni possibilità di valutazione dell'interesse del minore nel caso concreto». La Corte rilevava che il ragionamento proposto con la Sentenza summenzionata poteva applicarsi anche al delitto di soppressione di stato poiché, anche in questo caso, l'automatica applicazione della pena accessoria e la conseguente interruzione del rapporto tra il minore e i genitori, rischiava di compromettere le esigenze educative ed affettive del minore che, invece, devono sempre essere salvaguardate. Esclusivamente il giudice, e non l'automatismo della norma, può valutare se l'interruzione della relazione tra genitore e figlio minore sia disposta a tutela degli interessi del minore, «così da assegnare all'accertamento giurisdizionale sul reato null'altro che il valore di “indice” per misurare la idoneità o meno del genitore ad esercitare le proprie potestà: vale a dire il fascio di doveri e poteri sulla cui falsariga realizzare in concreto gli interessi del figlio minore». Recentemente, poi, con la sentenza n. 102 del 2020 la Corte dichiarava costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 2,3,30 e 31 Cost., l'art. 574-bis, comma 3 c.p. «nella parte in cui prevede che la condanna pronunciata contro il genitore per il delitto di sottrazione e mantenimento di minore all'estero ai danni del figlio minore comporta la sospensione dell'esercizio della responsabilità genitoriale, anziché la possibilità per il giudice di disporre la sospensione dall'esercizio della responsabilità genitoriale». In tale decisione la Corte evidenziava che «tale pena accessoria presenta caratteri del tutto peculiari rispetto alle altre pene previste dal codice penale, dal momento che, incidendo su una relazione, colpisce direttamente, accanto al condannato, anche il minore, che di tale relazione è il co-protagonista». Diversamente da quanto di solito accade, in questo caso gli effetti dell'applicazione della pena accessoria non si riflettono solo sul condannato ma investono inevitabilmente anche il minore poiché, per tutta la durata prevista, il genitore non può esercitare tutti quei diritti e obblighi legati alla responsabilità genitoriale e che fanno sì che egli possa assumere decisioni nell'interesse del figlio. Con tale Sentenza, oltre ad uniformarsi a quanto già espresso in precedenza, la Corte metteva in luce un ulteriore aspetto pregiudizievole derivante dall'automatica applicazione della pena accessoria, ovvero il fatto che tale pena veniva eseguita soltanto dopo il passaggio in giudicato della sentenza ovvero quando essa diventava esecutiva e, spesso, ciò avveniva a molti anni di distanza dal fatto; tale automatismo portava con se l'impossibilità di dare rilevanza a tutti gli eventi che nel frattempo si erano verificati e non consentiva alcuna valutazione sull'interesse attuale del minore. La Suprema Corte di cassazione ha fatto applicazione di tale decisione, affermando che in tema di sottrazione e trattenimento di minore all'estero, la pena accessoria della sospensione dall'esercizio della responsabilità genitoriale, a seguito della dichiarazione di incostituzionalità dell'art. 574-bis, comma 3 c.p. da parte della Corte costituzionale con sent. n. 102 del 2020, non consegue automaticamente alla condanna, ma postula la valutazione del giudice, che deve tenere conto, ai fini sia dell'irrogazione che della durata, dell'evoluzione successiva delle relazioni tra il minore e il genitore autore del reato e dei provvedimenti eventualmente adottati in sede civile, in funzione dell'esigenza di ricerca della soluzione ottimale per il minore (Cass. pen., sez. VI, n. 29672/2020). La Corte ritiene che la fattispecie in esame sia equivalente a quelle già dichiarate costituzionalmente illegittime dalle precedenti sentenze e, in particolare, dalla sentenza n. 102 del 2020, poiché, anche in questo caso, si parte dal presupposto che a seguito di una condanna per il delitto di maltrattamenti in famiglia, l'interesse del minore sia tutelato esclusivamente tramite la sospensione dell'esercizio della responsabilità genitoriale, anche se, al contrario, le norme costituzionali (artt. 2,3 e 30 Cost.) impongono che sia il giudice penale a valutare se l'applicazione della pena accessoria sia la soluzione migliore per il minore e che offra ai suoi interessi maggior tutela, esaminando il caso in concreto e alla luce dell'evoluzione degli eventi e dei fatti esaminati successivi al reato e inerenti il rapporto tra figlio e genitore. La Corte accoglie, dunque, la questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento agli artt. 2,3 e 30 Cost. concernente l'automatica applicazione della pena accessoria della sospensione dell'esercizio della responsabilità genitoriale, spiegando che tale decisione si basa soprattutto sulla centralità dell'interesse del minore nel sistema normativo, alla luce dei princìpi costituzionali e della stessa evoluzione della legislazione ordinaria. Infatti, come già precedentemente ribadito, il rigido automatismo che impone al giudice di applicare la pena accessoria della sospensione dell'esercizio della responsabilità genitoriale non consente una valutazione in concreto dell'interesse del minore ad interrompere temporaneamente o continuare a mantenere la relazione con i suoi genitori in tutte quelle ipotesi in cui risulta accertata la ricomposizione del quadro familiare. Sulla base di tali considerazioni, quindi, la Corte ritiene che l'art. 34, comma 2 c.p., deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui dispone che la condanna per il delitto ex art. 572, comma 2 c.p., commesso in presenza o a danno di minori, con abuso della responsabilità genitoriale, comporta la sospensione dall'esercizio della responsabilità genitoriale, anziché la possibilità per il giudice di disporla. Sono ritenute assorbite le questioni di legittimità costituzionale, aventi a oggetto il medesimo automatismo legislativo, sollevate in riferimento agli artt. 27 e 29 Cost. Sono, invece, dichiarate inammissibili, per più profili, le ulteriori questioni di legittimità costituzionale dell'art. 34, comma 2 c.p., concernenti la durata della pena accessoria e sollevate in riferimento agli artt. 2,3,27,29 e 30 Cost., perché le modalità argomentative finiscono per impedire alla Corte «di enucleare con chiarezza il contenuto delle censure» e, d'altra parte, l'intervento sostitutivo richiesto, volto appunto a determinare il quantum di pena accessoria irrogabile nella misura fissa pari alla durata della pena principale, come attualmente prevede l'art. 37 c.p., è sfornito di motivazione. Osservazioni La dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma censurata si sviluppa attraverso un serie di punti fermi argomentativi: l'irrogazione della pena accessoria sarebbe imposta anche quando la sospensione della potestà genitoriale risulti, nel caso concreto, contraria all'interesse preminente del minore; il trattamento punitivo finirebbe per pregiudicare, de iure e non solo de facto la persona del minore, privandolo del suo diritto di mantenere relazioni con entrambi i genitori; l'automatismo sarebbe comunque incompatibile con la necessità di una valutazione discrezionale, caso per caso, del giudice in merito all'adozione di un provvedimento che riguarda direttamente il minore. In linea generale, la sentenza in commento si inserisce nella serie delle pronunce della Corte costituzionale che hanno affrontato il problema della compatibilità delle norme che sottraggono spazio alla discrezionalità del giudice con i principi di proporzionalità ed individualizzazione a cui la pena dovrebbe essere improntata. Per di più, nel caso di specie, deve valorizzarsi il principio secondo cui per tutte le decisioni relative ai minori di competenza delle pubbliche autorità, deve adottarsi quale criterio primario, la salvaguardia dei “migliori interessi” o dell'“interesse superiore” del minore, che è stato recepito nel diritto positivo convenzionale (art. 3, comma 1, della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, e nell'art. 24, comma 2,della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea), e fa parte della tutela da apprestare per il diritto alla vita familiare, secondo l'art. 8 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Il principio è stato valorizzato dalla Corte costituzionale quale concreta implicazione del diritto-dovere dei genitori di mantenere, istruire ed educare i figli (art. 30 Cost.); inoltre, si giustifica il riferimento all'art. 2 Cost., sulla base del quale trovano tutela i diritti fondamentali della persona e tra questi i diritti assicurati ai minori, nell'ambito di un ordinamento improntato al principio della protezione della persona nel contesto delle formazioni sociali che la comprendono. Il riferimento all'art. 3 Cost. si giustifica con la esclusione dell'automatismo della sanzione, che impone il diseguale trattamento di situazioni differenti, ed esclude meccanismi presuntivi non superabili dal giudice nei casi concreti. La Corte costituzionale nel rispondere alla questione che le è stata sottoposta, ha posto nuovamente in primo piano l'interesse del minore a vedere tutelato e preservato il nucleo familiare e conseguentemente il rapporto con il genitore, nonostante questi si sia reso responsabile di reati commessi con abuso della responsabilità genitoriale, nel caso in cui, successivamente alla commissione, il rapporto familiare sia stato ricostruito. Ritenere legittimo l'automatismo imposto dall'art. 34, comma 2 c.p. e non consentire al giudice una valutazione in concreto dell'interesse del minore a proseguire o interrompere temporaneamente la relazione con il proprio genitore, sarebbe stata certamente una scelta che avrebbe leso l'esclusivo interesse del minore e il suo diritto a vivere all'interno del suo nucleo familiare qualora esso sia idoneo a tal fine. Inoltre, una visione diversa di tale situazione sarebbe in contrasto con le norme costituzionali che, al contrario, impongono che sia il giudice penale a valutare se la sospensione dall'esercizio della responsabilità genitoriale sia, in concreto e alla luce dell'evoluzione, successiva al reato, la soluzione ottimale per il minore, in quanto rispondente alla tutela dei suoi preminenti interessi. La Relazione illustrativa al decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154, che ha introdotto nel codice il concetto di responsabilità genitoriale, precisa che detta nozione, « già presente da tempo in numerosi strumenti internazionali […], è quella che meglio definisce i contenuti dell'impegno genitoriale, non più da considerare come una “potestà” sul figlio minore, ma come un'assunzione di responsabilità da parte dei genitori nei confronti del figlio, [ragion per cui] i rapporti genitori-figli non devono essere più considerati avendo riguardo al punto di vista dei genitori, ma occorre porre in risalto il superiore interesse dei figli minori». La Corte, pertanto, con la pronuncia in commento, ha rispettato pienamente tutti i principi espressi sia a livello nazionale che a livello internazionale che hanno tutti in comune il fatto che in ogni evento nel quale sia coinvolto un minore, deve costituire oggetto di primaria considerazione il maggiore interesse di questi e che, quindi, tutte le valutazioni sul caso concreto devono essere finalizzate alla sua salvaguardia. In ragione delle decisioni assunte, il giudice penale dovrà valutare discrezionalmente se applicare la sospensione della potestà genitoriale, e però, nel caso decida per l'applicazione, dovrà stabilirne la durata in misura invariabilmente ancorata a quella della sanzione principale inflitta. In ragione dei motivi che hanno indotto la Corte a non pronunciarsi sulla durata della pena accessoria, nel caso essa venga applicata, e che attengono ad una non chiara ed anzi contraddittoria argomentazione da parte del giudice rimettente, è possibile che la questione della proporzionalità della reazione sanzionatoria al fatto incriminato possa essere riproposta davanti alla stessa Corte (artt. 3 e 27, comma 3 Cost.). Già con la sentenza n. 102 del 2020 la Corte costituzionale aveva osservato che «i limiti del devolutum non consentono a questa Corte di affrontare l'interrogativo - sul quale peraltro ben potrà il legislatore svolgere ogni opportuna riflessione - se il giudice penale sia l'autorità giurisdizionale più idonea a compiere la valutazione di effettiva rispondenza all'interesse del minore di un provvedimento che lo riguarda, quale è l'applicazione di una pena accessoria che incide sul suo diritto a mantenere relazioni personali e contatti diretti con entrambi i genitori, ferma restando comunque la necessità di assicurare un coordinamento con le autorità giurisdizionali - tribunale per i minorenni o, se del caso, tribunale ordinario civile - che siano già investite della situazione del minore. E ciò anche al fine di garantire il rispetto della previsione - sancita espressamente dall'art. 12 della Convenzione sui diritti del fanciullo e dagli artt. 3 e 6 della Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli, e ripresa in linea di principio a livello di legislazione ordinaria dagli artt. 336-bis e 337-octies c.c. - di sentire il minore che abbia un discernimento sufficiente, e di tenere in debito conto la sua opinione, in relazione a tutte le decisioni che lo riguardano». Con la sentenza in commento la Corte ribadisce che «resta affidata alla prudente considerazione del legislatore se «il giudice penale sia l'autorità giurisdizionale più idonea a compiere la valutazione di effettiva rispondenza all'interesse del minore di un provvedimento che lo riguarda» (sentenza n. 102 del 2020), o se invece tale valutazione possa essere meglio compiuta dal tribunale dei minorenni, al quale, lo stesso art. 34, comma 5 c.p. prevede che, «quando sia concessa la sospensione condizionale della pena, gli atti del procedimento vengano trasmessi». Sul punto occorre ricordare la vigente legislazione che prevede una interlocuzione del giudice penale con il Tribunale per i minorenni ovvero gli artt. 609-decies c.p. e 64-bis disp. att. c.p.p. La prima disposizione pone a carico del pubblico ministero un obbligo di comunicare al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni l'avvio del procedimento per il reato di cui all'art. 572 c.p. commesso a danno di minori, o di un genitore di un minore a danno dell'altro; obbligo funzionale all'emissione, da parte del giudice minorile, dei provvedimenti previsti dalla legge civile a tutela dei minori. La seconda disposizione prevede, allo stesso fine, che sia inviata al giudice civile competente copia dell'ordinanza che applica misure cautelari personali o ne disponga la sostituzione o la revoca, copia dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari, ovvero del provvedimento con il quale è disposta l'archiviazione e, per l'appunto, copia della sentenza emessa nei confronti dei genitori per alcuni reati, tra i quali i maltrattamenti contro familiari e conviventi. |