Ancora una volta la Consulta si pronuncia a tutela della “bigenitorialità” in carcere
28 Maggio 2025
Massima È illegittimo l'art. 47-quinquies, comma 7, ord. penit. limitatamente all'inciso “e non vi è modo di affidare la prole ad altri che al padre” per i casi di detenzione domiciliare cd. speciale in tutti i casi in cui non sia possibile affidare la prole alla madre perché impossibilitata o deceduta e dove non sussista il pericolo di commissione di ulteriori delitti. È illegittima dunque la scelta legislativa di postergare la figura del padre ad altre figure, nel caso in cui la madre sia impossibilitata ad accudire la prole, anche in ragione di un confronto sistematico con analoghi istituti processuali e penitenziari dove la figura del padre non viene sostituita da terzi (così: artt. 275, comma 4, c.p.p.; art. 47-ter ord. penit.). Il caso Con due ordinanze di rimessione alla Corte costituzionale, il Tribunale di Sorveglianza di Bologna, per un caso, e il Tribunale di Sorveglianza di Venezia, per un altro, hanno sollevato più questioni di legittimità costituzionale, argomentate anche in via subordinata, rispetto alla disciplina della detenzione domiciliare cd. speciale ex art. 47-quinquies ord. penit., con riguardo nello specifico al comma 7 della disposizione che ha ad oggetto l'estensione dei commi precedenti anche al genitore detenuto-padre che intende accedere alla misura alternativa al fine di ripristinare la convivenza con i figli di età inferiore ad anni dieci, laddove (i) non sussistano profili di pericolosità sociale; (ii) la madre sia impossibilitata ad occuparsi dei figli o sia deceduta; (iii) laddove non vi siano terzi che si possano occupare dei figli. In entrambi i casi, i giudici hanno criticato, in principalità, la costituzionalità della disposizione con riguardo agli ultimi due requisiti, ritenendo che vi sia una violazione di più parametri della Costituzione nella misura in cui il legislatore subordini la concessione della misura alternativa e, quindi, della genitorialità, alla mancanza della madre e alla non presenza di terzi sostitutivi del padre. In particolar modo, si è censurata la disposizione con riguardo ai seguenti parametri: artt. 2,3,29,30,31, comma 2, e 117, comma 1 Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU. In subordine, il Tribunale di Sorveglianza di Bologna ha prospettato anche la medesima questione con riguardo al solo presupposto (iii) della previa verifica di non presenza di terzi, contestando l'ingiusta postergazione del padre a terzi, requisito irragionevole e illogico e non presente in altre analoghe disposizioni sia processuali sa penitenziarie. In tutte e due le ordinanze, si è concluso sostenendo che la disciplina del comma 7 dell'art. 47-quinquies ord. penit. violerebbe i seguenti canoni costituzionali e convenzionali: il principio di pari dignità e di uguaglianza davanti alla legge senza distinzione di sesso (art. 3, comma 1 Cost.); il divieto di discriminazione fondato sul sesso nel godimento del diritto alla vita familiare (artt. 8 e 14 CEDU, per il tramite dell'art. 117, comma 1 Cost.); il principio dell'uguaglianza morale tra i coniugi (art. 29, comma 2 Cost.); nonché il principio di parità di trattamento delle parti di formazioni sociali diverse dal matrimonio (art. 2 Cost.); il principio dell'interesse primario del minore desumibile dagli artt. 30 e 31 Cost., e in particolare, secondo il Tribunale di Sorveglianza di Bologna, verrebbe leso anche il diritto del minore alla c.d. “bigenitorialità”, quale corollario del dovere di entrambi i genitori di garantire la cura e l'eduzione dei propri figli; per il Tribunale di Sorveglianza di Venezia vi sarebbe una ricaduta altresì sulla funzione rieducativa della pena (art. 27, comma 3 Cost.). La questione La Corte costituzionale, come anticipato, ha ritenuto di accogliere solo la questione prospettata dal Tribunale di Sorveglianza di Bologna in via subordinata andando a uniformare la disciplina del comma 7 dell'art. 47-quinquies ord. penit. rispetto ad altri istituti analoghi previsti a vario titolo nell'ordinamento processuale e penitenziario con l'eliminazione del solo inciso di previa verifica dell'assenza di terzi in grado di accudire la prole al posto della madre. Vengono fatti salvi quindi tutti gli altri presupposti che guardano con maggiore favore alla figura del genitore madre-detenuta e che presuppongono una differenziazione di trattamento con il genitore-padre. Le soluzioni giuridiche La Corte, in primo luogo, ha ritenuto non ammissibile che le questioni di legittimità costituzionali si rapportassero al parametro 2 della Costituzione, ritenendole invece inquadrabili sotto l'altro e più pertinente parametro dell'art. 3 Cost. e, in secondo luogo, ha dichiarato infondate le altre questioni concernenti l'integrale abolizione del col. 7 dell'art. 47-quinquies ord. penit. Per fare ciò, la Corte ha ripreso le argomentazioni già esposte nella sentenza n. 219/2023 dove si discuteva intorno a questioni di legittimità costituzionale sulla disciplina della detenzione domiciliare ordinaria dell'art. 47-ter, comma 1, lett. a) e b), ord. penit. che, in modo analogo all'art. 47-quinquies ord. penit., delinea una disciplina più restrittiva per il padre condannato rispetto a quella prevista per la madre condannata. In quell'occasione, la Corte aveva salvato la scelta del legislatore di assicurare in via primaria il rapporto del bambino con la madre, attribuendo al padre il compito di occuparsi del bambino allorché la madre non fosse in condizioni di provvedervi. Tale conclusione, secondo la Corte, deve essere applicata anche al caso dell'art. 47-quinquies, comma 7, ord. penit.: a ciò, la Corte vi giunge, con una certa agilità di pensiero e con poche parole in relazione agli artt. 30,31 Cost.; con riguardo, invece, agli altri parametri, la Corte si sofferma maggiormente, fornendo delle riflessioni di ampio respiro e si sistema. Anche se la prospettiva è capovolta rispetto a quanto dedotto con le questioni di legittimità poste con la sentenza n. 219/2023, dove si guardava alla prospettiva del minore, le conclusioni, secondo la Corte, non mutano rispetto ai principi costituzionali evocati nel caso ora in esame. I giudici rimettenti infatti si sono focalizzati, questa volta, sul censurare la disposizione che imporrebbe doveri e diritti diversi a seconda del genitore interessato, penalizzando il padre rispetto alla madre condannata. Tale differenziazione, secondo la Corte, non può ritenersi incompatibile né con la Costituzione, né con le norme convenzionali: se il presupposto è l'interesse del minore, allora è sufficiente che il legislatore preveda la presenza di almeno uno dei due genitori. Certo è che la non obbligatorietà della presenza di entrambi ha dei riflessi sull'omogeneità di trattamento dei genitori ma non tali da «debordare nella discriminazione ingiustificata», non potendosi infatti ritenere irragionevole «la scelta di procedere gradualmente nella direzione di una più piena attuazione dei principi costituzionali menzionati, attraverso la selezione di una platea, peraltro numericamente ridotta, di persone condannate oggetto di specifiche direttive di tutela da parte della stessa Costituzione e di varie fonti internazionali di hard e soft law […] dalle quali si evince un generale favor per la concessione di misure extracarcerarie alle madri detenute» (v. Considerato in diritto, § 5.2.4.). Seguendo tale ragionamento, la Corte conclude allo stesso modo anche per il più specifico profilo della funzione rieducativa della pena: si tratterebbe di un aspetto ancillare rispetto a quelli già esaminati e scartati dalla Corte che potrebbe, al contrario, essere meritevole di attenzione da parte del legislatore in una prospettiva di riforma dell'intera disciplina. Esaminate queste questioni, la Corte si sofferma sulla questione di legittimità posta dal Tribunale di Sorveglianza di Bologna in via subordinata e, come anticipato, l'ha accolta facendo un paragone con altre due disposizioni processuali e penitenziarie affini a quella in esame: (i) l'art. 47-ter, comma 1 lett. b) ord. penit., e (ii) l'art. 275, comma 4 c.p.p., due disposizioni, cioè, che in modo omogeneo, non prevedono l'ulteriore condizione dell'assenza di altre persone in grado di prendersi cura dei figli. Inoltre la Corte sottolinea di aver già riconosciuto, in precedenti pronunce, l'identità di ratio della detenzione domiciliare ordinaria di cui all'art. 47-ter ord. penit. con quella speciale ex art. 47-quinquies ord. penit. allorché siano disposte in funzione della cura dei figli minori o con disabilità (v., tra le molte, C. cost. n. 30/2022). Si tratta, in sintesi, di un'interpolazione della norma ragionevole che tiene comunque conto della necessaria previa verifica di tutti gli altri requisiti previsti dal comma 1 dell'art. 47-quinquies ord. penit.: infatti, sarà onere del magistrato di sorveglianza valutare l'assenza di profili di pericolosità sociale in capo al detenuto-padre, la fattibilità del ripristino della convivenza con il figlio minore e che il rapporto con il figlio non sia una strumentalizzazione per ottenere la misura ma che, al contrario, la richiesta sia finalizzata a concretizzare l'interesse del minore. Osservazioni Con la pronuncia n. 52/2025, la Corte costituzionale torna a modificare nuovamente la disciplina dell'art. 47-quinquies ord. penit. andando ad eliminare un requisito “ostativo”, il cui superamento non era altrimenti praticabile da parte del magistrato, e la cui permanenza rendeva più restrittiva la concessione della misura per tutti quei casi di detenuti-padri che intendessero accedervi. Si tratta di una pronuncia in linea con quelle precedenti in materia, numerose per l'appunto: non a caso, la Corte nell'argomentare il nuovo caso cita ampiamente i suoi precedenti, li analizza, li riprende e si allinea alle conclusioni già esposte nelle pronunce più datate ritenendo che quanto scritto possa ritenersi pacifico e principio di diritto. Se è vero che sul diritto alla “bigenitorialità” la Corte frena, ritenendo che non si possa sconfinare nel campo proprio della discrezionalità del legislatore e ritenendo sufficiente come tutela minima per il figlio che sia garantito il rapporto almeno con uno dei due genitori, è altrettanto vero che con questa pronuncia si valorizza la funzione del padre rispetto alle tante pronunce a favore della sola madre detenuta e si attribuisce uguale valore alla presenza del padre rispetto alla madre, all'interno del nucleo familiare; sicuramente tale pronuncia si pone in progressione rispetto alle precedenti e segna un passaggio importante rispetto alla valorizzazione del rapporto genitore-figlio anche per il detenuto-padre. |