Responsabilità dell’organo di controllo e del revisore legale: novità, criticità e prospettive dopo la l. 14 marzo 2025, n. 35

05 Giugno 2025

Il contributo analizza le novità introdotte dalla legge 14 marzo 2025, n. 35 alla disciplina della responsabilità dell'organo di controllo nelle società di capitali, di cui all'art. 2407 c.c., evidenziandone i profili critici e le prospettive di ulteriori modifiche.

La previgente disciplina: cenni e fragilità sistemiche

Come è noto, è tradizionalmente configurabile una duplice ipotesi di responsabilità dell'organo di controllo interno di società, il quale può essere chiamato a rispondere per fatto proprio (c.d. responsabilità “esclusiva”) o, secondo lo schema della culpa in vigilando, per violazione del dovere di vigilanza sull'operato dell'organo gestorio (responsabilità c.d. “concorrente”).

Tale distinzione trova fondamento anche nella formulazione dell'art. 2407 c.c., che, al primo comma (rimasto immutato), sancisce la responsabilità dei sindaci per l'inosservanza dei doveri imposti dalla legge e dallo statuto, e, al secondo comma, la loro responsabilità in solido con gli amministratori per i fatti o le omissioni di questi ultimi, qualora il danno non si sarebbe verificato se gli stessi sindaci avessero vigilato in conformità agli obblighi della loro carica.

In realtà, non si è mai dubitato che, anche con riferimento alla responsabilità c.d. “concorrente”, i sindaci rispondessero pur sempre per fatto proprio: tale responsabilità, infatti, non è configurabile come una responsabilità “da posizione”, che sorge in modo automatico dall'accertamento di quella degli amministratori, ma deriva dall'inadempimento degli stessi sindaci ai doveri imposti loro dalla legge, da cui sia scaturito un pregiudizio alla società, ai creditori sociali, ai soci o a terzi.

In altre parole, si è ritenuto che la responsabilità c.d. “concorrente” si distinguesse da quella c.d. “esclusiva” proprio per il fatto che l'eventus damni non discende in via immediata dall'operato del collegio sindacale, ma richiede quale primo presupposto una condotta, attiva o omissiva, degli amministratori, configurata appunto dalla legge come causa primaria del pregiudizio, restando in ogni caso necessario che quest'ultimo sia altresì causalmente connesso all'inadempimento del sindaco agli obblighi di vigilanza e di conseguente reazione (Cass. 12 marzo 2024, n. 6589, in DeJure; Cass. 5 settembre 2018, n. 21662, in Giur. it., 2019, 358; I. Demuro, Collegio sindacale, in V. Donativi (diretto da), Trattato delle società, II,  2022, 2163).

Prima della riforma operata con la L. 14 marzo 2025, n. 35, stante l'assenza di un'apposita disciplina, si è sempre ritenuto che l'azione di responsabilità proposta nei confronti dei sindaci fosse soggetta al medesimo termine quinquennale di prescrizione previsto per le azioni promosse nei confronti degli amministratori, sia quando promossa dalla società, sia quando esercitata dai creditori sociali o da singoli soci o terzi, in forza del rinvio contenuto nel terzo comma dell'art. 2407 c.c. (ex plurimis, cfr. Cass. 18 gennaio 2005, n. 941, in Società, 2005, 595; Cass. 28 maggio 1998, n. 5287, in DeJure).

Con riferimento ai sindaci, tuttavia, la giurisprudenza ha sempre escluso l'applicabilità della causa di sospensione prevista dall'art. 2941, n. 7, c.c., nonché della disciplina sul dies a quo dettata dall'art. 2393, comma 4, c.c. per gli amministratori (che, come è risaputo, subordina la decorrenza del termine prescrizionale alla cessazione della carica): si è infatti ritenuto - in ragione tanto del carattere tassativo e di stretta interpretazione delle cause di sospensione della prescrizione, quanto dell'insussistenza nel caso dei sindaci delle ragioni giustificative della sospensione prevista per gli amministratori, la cui disciplina, del resto, è applicabile solo “in quanto compatibile” - che tali disposizioni non potessero trovare applicazione analogica o estensiva.

Ne conseguiva che il termine prescrizionale dovesse ritenersi decorrente dal momento in cui il danno si fosse effettivamente verificato e fosse divenuto conoscibile per la società danneggiata (di recente, Trib. Venezia, 28 febbraio 2024 in DeJure; Trib. Milano ord. 6 settembre 2023, n. 133).

Come diffusamente segnalato in dottrina, il sistema della responsabilità dei sindaci e, segnatamente, il regime di solidarietà delineato dal secondo comma del previgente art. 2407 c.c., tradizionalmente considerato uno dei punti nevralgici (e più controversi) dell'intera architettura della governance delle società di capitali, hanno dato luogo ad una serie di criticità.

In particolare, si è osservato che la giurisprudenza di merito - pur a fronte delle reiterate indicazioni della Corte di Cassazione in ordine alla necessità di una rigorosa prova del nesso eziologico tra condotta omissiva e danno (ex plurimis, Cass. 12 luglio 2019, n. 18770, in Società, 2019, 1167) - tendeva sovente a riconoscere la responsabilità del collegio sindacale in modo pressoché automatico: tanto, alla stregua di una sostanziale impraticabilità del giudizio controfattuale con riferimento alla responsabilità dei sindaci, spesso invocata in situazioni complesse e a posteriori, solo ipoteticamente prevenibili (così la “Relazione” alla Proposta di Legge C-1276, Camera dei Deputati, Atti parlamentari, p. 3; in dottrina S. Ambrosini, La nuova responsabilità del collegio sindacale: note minime a prima lettura, in Ristrutturazioni aziendali, 2025).

Di fatto, i sindaci sono stati frequentemente individuati quale più comodo “bersaglio” delle pretese risarcitorie avanzate soprattutto nell'ambito delle procedure concorsuali, anche in ragione della maggiore capienza delle coperture assicurative in genere esistenti a loro favore, pur in contesti di dissesto imputabili solo in misura marginale a inadempimenti dell'obbligo di vigilanza da parte loro (P. Mandarino, Modifiche alla responsabilità dei sindaci, in Bilancio e revisione, 2024, 33; N. Abriani, Sulla riforma dell'art. 2407 c.c.: responsabilità dei sindaci ed efficienza del regime dei controlli societari, in Società e Contratti, Bilancio e Revisione, 12, 2024, 6).

L'assetto normativo descritto ha prodotto effetti distorsivi sull'intero sistema: l'inadeguatezza dei compensi connessi all'assunzione della carica, l'esposizione a rischi di responsabilità potenzialmente illimitata ed il conseguente incremento dei premi assicurativi hanno reso sempre meno frequente, soprattutto da parte dei professionisti più qualificati, l'accettazione dell'incarico di sindaco di società di capitali.

La riforma operata dalla L. 14 marzo 2025, n. 35

Siffatte disfunzionalità sistemiche hanno dichiaratamente ispirato la riforma operata dal legislatore con la già menzionata legge 14 marzo 2025, n. 35, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 73 del 28 marzo 2025 ed entrata in vigore il 12 aprile 2025, che mira ad un rafforzamento complessivo dell'efficacia del sistema del controllo societario e delle correlative responsabilità, attraverso la previsione di limiti risarcitori calibrati sul ruolo del sindaco e parametrati a un multiplo del compenso annuo percepito, variabile in funzione della gravità della colpa.

La ratio sottesa alla riforma risiede nell'esigenza di assicurare, tanto agli operatori del mercato assicurativo quanto ai soggetti potenzialmente esposti a responsabilità, una maggiore prevedibilità dei profili di rischio connessi all'esercizio della funzione di sindaco.

Sul piano formale, la riforma è consistita in un unico articolo che ha modificato l'art. 2407 c.c., intervenendo in particolare sul secondo comma e introducendo un nuovo comma finale. Restano invece invariati il primo comma – che disciplina tuttora, come già detto, la responsabilità esclusiva dei sindaci, richiamando il dovere di diligenza professionale, la veridicità delle attestazioni e l'obbligo di riservatezza – e il terzo comma, che sancisce l'applicabilità, “in quanto compatibili”, delle disposizioni in tema di azioni di responsabilità nei confronti amministratori.

La nuova formulazione del secondo comma introduce, nelle ipotesi di responsabilità colposa (ivi compresa la colpa grave), un tetto massimo al risarcimento, correlato al compenso annuo percepito dal sindaco, secondo il seguente schema:

  1. fino a Euro 10.000, limite pari a quindici volte il compenso;
  2. tra Euro 10.000 e Euro 50.000, limite pari a dodici volte il compenso;
  3. oltre Euro 50.000, limite pari a dieci volte il compenso.

Il nuovo quarto comma dell'art. 2407 c.c., poi, prevede ora espressamente un termine di prescrizione quinquennale per l'esercizio dell'azione di responsabilità nei confronti dei sindaci, con decorrenza fissata dalla data del deposito della relazione predisposta dall'organo di controllo, ai sensi dell'art. 2429 c.c., al bilancio dell'esercizio in cui il danno si è prodotto, con una norma non dissimile da quella prevista dal terzo comma dell'art. 15 d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 39 in materia di responsabilità dei revisori legali.

Tale intervento normativo risponde all'intento, chiaramente espresso nella Relazione illustrativa, di uniformare il regime dell'exordium praescriptionis per i diritti risarcitori dei soggetti che si assumono danneggiati dall'attività di sindaci e revisori, in un'ottica di equità e coerenza sistematica. L'allineamento trova giustificazione, oltre che nella medesima funzione di garanzia assegnata alle due categorie di soggetti, anche nella frequente coincidenza tra organo di controllo e soggetto incaricato della revisione legale, ai sensi dell'art. 2409-bis, comma 2, c.c.

Profili di diritto intertemporale e difficoltà applicative

Per quanto la prospettiva garantistica sottesa alla riforma meriti di essere accolta favorevolmente, è opportuno segnalare come il nuovo impianto normativo presenti taluni profili di problematicità – riconducibili ad apparenti incongruenze sistematiche – che richiederanno inevitabilmente un intervento interpretativo o correttivo.

Innanzitutto, con riguardo al profilo intertemporale, la maggior parte dei primi commentatori, in assenza di una disposizione espressa che sancisca l'efficacia retroattiva della nuova disciplina, ha ritenuto operante il principio generale di irretroattività delle leggi sancito dall'art. 11 delle disposizioni sulla legge in generale: ne consegue, secondo questo orientamento, che la riforma dovrebbe trovare applicazione esclusivamente rispetto a condotte poste in essere successivamente alla sua entrata in vigore, restando preclusa l'invocabilità della nuova disciplina nei giudizi già pendenti ed anche nei giudizi di nuova introduzione ma aventi ad oggetto inadempimenti anteriori (N. Abriani, Sulla riforma dell'art. 2407 c.c.: responsabilità dei sindaci ed efficienza del regime dei controlli societari, cit., 16; S. Ambrosini, La nuova responsabilità del collegio sindacale: note minime a prima lettura, cit.).

Com'è noto, infatti, con riguardo alle norme di natura “sostanziale”, l'efficacia retroattiva della legge sopravvenuta può essere riconosciuta solo nei casi in cui il legislatore (espressamente o implicitamente) abbia disposto in tal senso ovvero la novella si proponga di operare una interpretazione autentica di un assetto legale precedente (Cass., Sez. Un., 28 gennaio 2021, n. 2061, in Fallimento, 2021, 6, 781).

In favore della natura “sostanziale” delle nuove norme aventi ad oggetto le limitazioni della responsabilità dei componenti dell'organo di controllo, prima facie integranti la figura dell'esonero parziale della responsabilità di fonte legale, può deporre l'affinità con la fattispecie codicistica delle clausole convenzionali di limitazione della responsabilità di cui all'art. 1229 c.c., la cui natura “sostanziale” non è in discussione.

Inoltre, sempre in tale prospettiva, deve osservarsi che il momento rilevante ai fini dell'applicazione dello ius superveniens, in applicazione del c.d. principio del “fatto compiuto”, deve necessariamente essere individuato in quello dell'inadempimento del sindaco che ne comporta la responsabilità.

Sul punto, infatti, parrebbero interamente replicabili le affermazioni autorevolmente rese dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione nella sentenza del 28 gennaio 2021, n. 2061, le quali hanno escluso la retroattività delle modifiche apportate dalla legge 4 agosto 2017, n. 24 con riferimento alla disciplina dell'inadempimento dell'utilizzatore al contratto di leasing: in particolare, la Suprema Corte, osservando che la nuova regolamentazione incideva solo sul piano dello svolgimento del rapporto negoziale, ha ritenuto che “il ‘fatto compiuto' è, nella specie, quello che genera la responsabilità del debitore (l'utilizzatore) ai sensi dell'art. 1218 c.c. e cioè l'inadempimento” e che la novella dovesse trovare applicazione solo con riferimento alle condotte poste in essere successivamente, a prescindere dal momento di instaurazione del giudizio.

Di converso, nel senso dell'applicabilità retroattiva della riforma in commento, tra le primissime pronunce giurisprudenziali sull'argomento, si è espressa Trib. Bari 24 aprile 2025, n. 1981, che ha ritenuto applicabile il nuovo testo dell'art. 2407, comma 2, c.c. anche ai fatti antecedenti all'entrata in vigore della legge 14 marzo 2025, n. 35. Invero, secondo il Tribunale, la previsione in commento rivestirebbe natura lato sensu procedimentale, in quanto si limiterebbe ad indicare al giudicante un criterio di quantificazione del danno, senza che una tale interpretazione incida sulla permanenza del diritto stesso al risarcimento: pertanto, nella materia de qua, dovrebbero trovare applicazione i medesimi princìpi già espressi dalla Corte di cassazione con riferimento al criterio equitativo di risarcimento del danno del “differenziale dei netti patrimoniali” di cui all'art. 2486, comma 3, c.c., ritenuto applicabile anche ai giudizi in corso al momento dell'entrata in vigore del d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 proprio in quanto norma “latamente (anche se non propriamente) ‘processuale'” e, dunque, soggetta al principio tempus regit actum (cfr. Cass. 28 febbraio 2024, n. 5252, in Foro it., 2024, I, 4, c. 1097; Cass. 25 marzo 2024, n. 8069, in Società, 2024, 8-9, 943).

A sostegno dell'applicazione delle modifiche all'art. 2407 c.c. anche a condotte anteriori (quantomeno se oggetto di giudizi iniziati dopo l'entrata in vigore della novella), deporrebbero altresì esigenze di certezza ed anche di parità di trattamento, che mal si concilierebbero con una disciplina diversa per condotte identiche,  a seconda che queste siano o meno antecedenti (anche in considerazione della possibile difficoltà, in qualche caso, di collocare con precisione nel tempo gli inadempimenti attribuiti ai sindaci).

Parte della dottrina, anche anteriormente alla suddetta pronuncia del Tribunale barese, aveva già vagliato la possibilità di applicare anche alla fattispecie in commento i menzionati princìpi espressi dalla Corte di legittimità, giungendo tuttavia ad escluderla sulla base del rilievo per cui la disciplina in esame determinerebbe un'alterazione del contenuto del diritto al risarcimento del danno, il quale potrebbe non essere “integrale” e, quindi, inidoneo a costituire un completo ristoro del pregiudizio subito dall'attore: in questa prospettiva, la norma si presenterebbe effettivamente innovativa quanto ai criteri di determinazione di quel pregiudizio e, dunque, non già meramente processuale (così G. Romano, La riforma della responsabilità dei sindaci. Riflessioni ad una prima lettura, in Società e contratti, Bilancio e Revisione, 3, 2025, 16).

Quanto mai opportuno, in ogni caso, apparirebbe un intervento chiarificatore da parte del legislatore.

Forse anche in ragione dell'orientamento espresso dalla dottrina all'indomani dell'adozione della legge 14 marzo 2025, n. 35, in data 19 marzo 2025 è stato presentato al Senato il disegno di legge n. 1426 – recante il titolo “Modifica al Decreto legislativo 27 gennaio 2010, n. 39, in materia di responsabilità dei revisori legali e dei componenti del collegio sindacale ai giudizi pendenti” – volto a disciplinare espressamente il regime transitorio della riforma: l'art. 2 del medesimo disegno di legge prevede che “[l]a disciplina sulla […] responsabilità dei componenti del collegio sindacale, di cui al secondo comma dell'articolo 2407 del codice civile si [applica] anche ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge”.

Oltre a ciò, fra i primi commenti si è osservato che:

  • la novella determina un'ingiustificata disparità di trattamento tra i sindaci cui sia attribuito anche l'incarico di revisione legale dei conti e le società di revisione ovvero i revisori legali “puri”, i quali restano soggetti al diverso regime delineato dal d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 39, che non prevede (al momento) limitazioni di sorta alla loro responsabilità (M. Spiotta, Responsabilità del revisore: le scale mobili soggettive del dies ad quem, cit., 931);
  • la formula normativa “compenso annuo percepito” presta il fianco a fraintendimenti, dovendo essere più correttamente intesa come riferimento al compenso annuo “deliberato” (o, se del caso, stabilito statutariamente), comprensivo degli eventuali gettoni di presenza e al netto dei rimborsi spese, a prescindere dall'effettiva corresponsione materiale (N. Abriani, Sulla riforma dell'art. 2407 c.c.: responsabilità dei sindaci ed efficienza del regime dei controlli societari, cit., 10; S. Ambrosini, La nuova responsabilità del collegio sindacale: note minime a prima lettura, cit.; G. Romano, La riforma della responsabilità dei sindaci. Riflessioni ad una prima lettura, cit., 6);
  • non viene chiarito il parametro da adottare nell'ipotesi in cui il compenso del sindaco non sia stato determinato né dallo statuto né dall'assemblea, non potendosi logicamente configurare un regime di totale irresponsabilità (G. Romano, La riforma della responsabilità dei sindaci. Riflessioni ad una prima lettura, cit., 2025, 7);
  • l'adozione del sistema “per scaglioni” comporta l'anomalia per cui sindaci beneficiari di un compenso inferiore potrebbero, paradossalmente, risultare esposti a limiti risarcitori più elevati rispetto a colleghi che percepiscono compensi maggiori (G. Romano, La riforma della responsabilità dei sindaci. Riflessioni ad una prima lettura, cit., 5);
  • manca un criterio di riferimento per il caso in cui l'inadempimento si collochi in un triennio caratterizzato da compensi variabili, ovvero quando l'incarico sia stato ricoperto per un periodo inferiore all'intero esercizio sociale (N. Abriani, Sulla riforma dell'art. 2407 c.c.: responsabilità dei sindaci ed efficienza del regime dei controlli societari, cit., 11);
  • non viene, infine, specificato se il limite risarcitorio debba essere applicato distintamente per ciascun singolo ed autonomo inadempimento oppure se, al contrario, esso operi cumulativamente rispetto ad una pluralità di condotte omissive o commissive riconducibili al medesimo mandato (G. Romano, La riforma della responsabilità dei sindaci. Riflessioni ad una prima lettura, cit., 9; nel primo senso, Trib. Bari 24 aprile 2025, n. 1981, cit.).

La dottrina risulta divisa, ancora, circa la sorte della solidarietà passiva tra sindaci e amministratori in seguito all'abrogazione del previgente comma 2 dell'art. 2407 c.c.: da un lato, infatti, si è sostenuto che la disciplina della solidarietà, con le sue ricadute in tema di regresso e transazione, continuerebbe a trovare fondamento nelle norme generali di cui agli artt. 1292,2055 e 2403 c.c. (G. Romano, La riforma della responsabilità dei sindaci. Riflessioni ad una prima lettura, cit., 10; F. Sudiero, La responsabilità solidale dei sindaci è stata davvero eliminata? Primissime (ma non proprio istintive) riflessioni, in Ristrutturazioni Aziendali, 2025); dall'altro lato, si è affermato che l'introduzione di limiti quantitativi alla responsabilità dei sindaci sarebbe incompatibile con la solidarietà passiva, che presuppone un'obbligazione identica ed integrale in capo a ciascun coobbligato (S. Ambrosini, La nuova responsabilità del collegio sindacale: note minime a prima lettura, cit.; G. Guizzi, Lobbying e diritto societario: note critiche intorno alla proposta di riforma dell'art. 2407 c.c., in Riv. soc., 2024, 251; E. M. Negro, Conversazione estemporanea sulla riforma dell'art. 2407 c.c., in Ristrutturazioni Aziendali, 17 marzo 2025).

Nessun dubbio si pone, invece, in ordine all'applicabilità delle limitazioni a tutte le azioni esercitabili nei confronti dei componenti dell'organo di controllo, stante l'espresso riferimento ai “danni cagionati alla società che ha conferito l'incarico, ai suoi soci, ai creditori e ai terzi”.

Su altro versante, con riferimento alla riforma della disciplina della prescrizione di cui al nuovo quarto comma dell'art. 2407 c.c., non possono sottacersi alcune perplessità: ci si riferisce, in particolare, al mancato coordinamento con i dicta della Corte costituzionale, espressi nella sentenza n. 115 del 1° luglio 2024, in ordine al dies a quo del termine prescrizionale dell'azione di responsabilità promossa dai terzi nei confronti del revisore legale di cui all'art. 15, comma 3, D.Lgs. 27 gennaio 2010, n. 39, i quali sembrano non essere stati adeguatamente tenuti in considerazione, ma dovranno trovare necessariamente applicazione (in questo senso, cfr. anche la già richiamata pronuncia di Trib. Bari 24 aprile 2025, n. 1981; per un commento sulla pronuncia della Consulta, si consenta il rinvio a S. Legnani – B. Ciliberti, La Corte costituzionale sulla decorrenza del termine di prescrizione dell'azione di responsabilità nei confronti del revisore legale, in questo portale).

La limitazione della responsabilità del revisore: prospettive

Conclusivamente, deve darsi atto che, con il già menzionato disegno di legge depositato al Senato in data 19 marzo 2025, è stata proposta una modifica della disciplina relativa alla responsabilità civile dei revisori legali e delle società di revisione, volta ad introdurre un sistema di limitazione della responsabilità analogo a quello introdotto per i sindaci dalla legge 14 marzo 2025, n. 35, per eliminare le possibili incongruenze dovute ad una disparità di trattamento difficilmente giustificabile sul piano sistematico ed assiologico.

Tale intervento legislativo si pone in continuità con quanto già emerso nel corso dei lavori parlamentari sulla disciplina della responsabilità dei sindaci, nei quali si era auspicata una estensione delle limitazioni risarcitorie anche ai revisori legali – persone fisiche e società – attraverso una integrale riscrittura dell'art. 15 del d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 39.

In particolare, secondo quanto previsto dall'art. 1 del disegno di legge, i revisori legali – salvo i casi di dolo – risponderebbero nei confronti della società, dei soci e dei terzi, entro i limiti di un multiplo del compenso annuo percepito per l'attività di revisione legale relativa al bilancio cui si riferisce l'inadempimento accertato. La concreta determinazione del massimale sarebbe condizionata da alcune variabili, quali la natura soggettiva del revisore (persona fisica o società) e la qualificazione dell'ente revisionato come ente di interesse pubblico, ferma in ogni caso la soglia massima pari a Euro 8.000.000 per le persone fisiche e Euro 16.000.000 per le società di revisione.

Il nuovo comma 4 dell'art. 15 del d.lgs. 27 gennaio 2010, n. 39, come risultante dalla proposta, estenderebbe altresì la disciplina prevista per i revisori legali persone fisiche ai soggetti incaricati della revisione per conto di società, nonché ai dipendenti che abbiano collaborato all'attività di revisione, prevedendo che “nei rapporti interni tra debitori solidali essi sono responsabili entro i limiti del proprio contributo effettivo al danno cagionato”.

Infine, in base alla disposizione transitoria contenuta nell'art. 2 del medesimo disegno di legge, le nuove norme troverebbero applicazione anche ai giudizi pendenti alla data di eventuale entrata in vigore della legge.

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