Mediazione: l’accoglimento in primo grado della proposta del contribuente (non accettata dall’ufficio) non fa venir meno l’interesse ad appellare

09 Giugno 2025

L'inedita questione giuridica affrontata dalla Cassazione con la sentenza annotata – su cui non si registrano precedenti di legittimità - attiene agli effetti, preclusivi dell'appello, derivanti dall'accoglimento, da parte del giudice tributario di primo grado, del ricorso proposto dal contribuente nei termini e limiti da questi indicati nella prodromica proposta di mediazione ex art. 17-bis d.lgs. n. 546/1992, non accolta dall'Ufficio.

Massima

In tema di processo tributario, laddove il giudice di primo grado abbia accolto il ricorso originario in conformità alla proposta di mediazione formulata dal contribuente ex art. 17-bis d.lgs. n. 546/1992 (ratione temporis vigente), non accettata dall'Ufficio, il contribuente conserva l'interesse ad impugnare la sentenza onde ottenere effetti favorevoli più ampi di quelli conseguenti alla proposta di mediazione, salvo il caso in cui abbia circoscritto la propria doglianza nel ricorso/reclamo nei limiti di cui alla proposta medesima. (Fattispecie relativa a ricorsi di due soci avverso distinti avvisi di accertamento concernenti un'operazione abusiva ex art. 10-bis della legge n. 212/2000).

Il caso 

All'esito di una verifica fiscale eseguita nei confronti di due società riconducibili ad una medesima famiglia, venivano rilevate operazioni societarie finalizzate ad ottenere la sostanziale detassazione, in capo ai soci, dei dividenti distribuiti dalle società.

L'Ufficio riteneva sussistenti i presupposti di una fattispecie abusiva, consistita nella strumentalizzazione di alcuni negozi giuridici di cessione di partecipazioni societarie adoperati non per perseguire le loro finalità tipiche, ma per realizzare un arbitraggio fiscale tra il regime dei dividendi e quello della cessione delle partecipazioni.

L'Agenzia delle entrate notificava a carico delle due socie due distinti avvisi di accertamento con cui contestava un'operazione abusiva ex art. 10-bis legge n. 212/2000 commessa dalle contribuenti nella loro veste di detentrici di quote di una delle due società.

Le contribuenti proponevano separati ricorsi giurisdizionali – corredati da proposta di mediazione ex art. 17-bis d.lgs. n. 546/1992 avverso i suddetti avvisi, di cui eccepivano l'illegittimità sotto plurimi profili (violazione del contraddittorio, vizio di motivazione, omessa applicazione del procedimento di tassazione differenziale).

L'ufficio notificava a ciascuna delle ricorrenti una controproposta di mediazione, riducendo l'imponibile nei termini indicati dalle contribuenti nella loro proposta e riconoscendo il 50 per cento dell'imposta sostitutiva versata.

La CTP accoglieva parzialmente i ricorsi, condividendo la proposta avanzata in sede di mediazione dalle ricorrenti, rideterminando l'imposta nei termini dalle stesse indicati.

Le contribuenti interponevano appello avverso la sentenza ribadendo le doglianze già spiegate in primo grado.

La Corte di giustizia di II grado, previa riunione delle due cause, dopo aver sottoposto alle parti la questione rilevata d'ufficio, dichiarava l'inammissibilità degli appelli per carenza di interesse ad agire derivante dalla circostanza che entrambe le contribuenti avevano “nei rispettivi ricorsi introduttivi, formulato proposta di mediazione completa della rideterminazione della pretesa”, poi accolta dalla CTP.

Avverso la decisione della CGT di II grado proponevano ricorso per cassazione le contribuenti, affidandosi ad un unico motivo in cui deducevano violazione dell'art. 100 c.p.c. e delle norme in tema di ammissibilità dell'atto di appello, in relazione all'art. 360, n. 4, c.p.c.: lamentavano l'erroneità dell'assunto secondo cui l'integrale accoglimento della proposta formulata dalle contribuenti in sede di mediazione avrebbe comportato l'inammissibilità dell'appello per carenza di interesse ad agire in quanto non vi è nessuna norma di legge che vincoli le parti al contenuto della proposta di mediazione, precludendo loro la proposizione in giudizio di domande più ampie nella portata e più favorevoli ai propri interessi.

La Cassazione, con la sentenza sopra massimata, ha accolto il ricorso delle contribuenti e cassato con rinvio l'impugnata sentenza.

La questione

Con la questione in esami viene chiesto se la proposta di mediazione, non inverata in un accordo con il Fisco, precluda al contribuente di ottenere in iudicio vantaggi più ampi di quelli dal medesimo indicati nella proposta, e condivisi dalla CTP con l'accoglimento del ricorso in quei medesimi termini.

Le soluzioni giuridiche

La Cassazione, con la decisione annotata, ha escluso qualsivoglia effetto preclusivo ritenendo che la proposta conservi efficacia solo nella fase della mediazione – di carattere amministrativo – sicché una volta non accolta, il ricorso giudiziale segue il suo corso, in primo come nei successivi gradi di giudizio.

La Corte è giunta a questa soluzione muovendo dal dato normativo.

L'art. 17-bis d.lgs. n. 546/1992 (nel testo vigente ratione temporis) prevedeva il reclamo e la mediazione nei seguenti termini:

«1. Per le controversie di valore non superiore a ventimila euro, il ricorso produce anche gli effetti di un reclamo e può contenere una proposta di mediazione con rideterminazione dell'ammontare della pretesa. Il valore di cui al periodo precedente è determinato secondo le disposizioni di cui all'articolo 12, comma 2. Le controversie di valore indeterminabile non sono reclamabili, ad eccezione di quelle di cui all'articolo 2, comma 2, primo periodo.

2. Il ricorso non è procedibile fino alla scadenza del termine di novanta giorni dalla data di notifica, entro il quale deve essere conclusa la procedura di cui al presente articolo. Si applica la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale.

3. Il termine per la costituzione in giudizio del ricorrente decorre dalla scadenza del termine di cui al comma 2. Se la Commissione rileva che la costituzione è avvenuta in data anteriore rinvia la trattazione della causa per consentire l'esame del reclamo.

4. Le Agenzie delle entrate, delle dogane e dei monopoli di cui al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, provvedono all'esame del reclamo e della proposta di mediazione mediante apposite strutture diverse ed autonome da quelle che curano l'istruttoria degli atti reclamabili. Per gli altri enti impositori la disposizione di cui al periodo precedente si applica compatibilmente con la propria struttura organizzativa. […]

9. Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano, in quanto compatibili, anche agli agenti della riscossione ed ai soggetti iscritti nell'albo di cui all'articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446».

L'art. 17-bis fu aggiunto dall'art. 39, comma 9, del D.L. n. 98/2011, come convertito, successivamente modificato dall'art. 1, comma 611, lett. a), L. n. 147/2013, da ultimo sostituito dall'art. 9, comma 1, lett. l), D.lgs. n. 156/2015, a decorrere dal 1° gennaio 2016, infine, è stato abrogato dall'art. 2, comma 3, lettera a), D.Lgs. n. 220/2023.

La norma – di scarsa diffusione nella prassi, al punto che è stata abrogata dal legislatore del 2023 - prevedeva la mediazione tributaria come sorta di procedimento amministrativo (essendo escluso qualsiasi intervento del giudice tributario in questa fase) ante iudicium - recte, pendente iudiciofacoltativo (come si ricava espressamente dal verbo ‘può' riferito alla possibilità di avanzare una proposta di mediazione all'interno del ricorso che ha valore anche di reclamo).

Nel caso di raggiungimento dell'accordo (eventualmente, anche per effetto della controproposta dell'Ufficio, come nel caso di specie) il ricorso diventava improcedibile.

Nel caso di mancato raggiungimento dell'accordo si (ri)apriva la fase giurisdizionale innanzi al giudice tributario, che poteva decidere sulla controversia:

a) accogliendo

a1) totalmente o

a2) parzialmente il ricorso (eventualmente, ma non necessariamente, nei termini inverati nella proposta di mediazione avanzata dal contribuente);

b) rigettando il ricorso.

Come spiega la Cassazione, il giudice di prime cure, in altri termini, non era affatto vincolato dalla proposta, potendo beninteso accoglierla, così come ritenere totalmente infondato il ricorso del contribuente. La proposta di mediazione, una volta respinta dall'Ufficio, non aveva più alcun effetto, salvo quello in punto di regolamentazione delle spese di lite, ai sensi del comma 9-bis («in caso di rigetto del reclamo o di mancato accoglimento della proposta di mediazione formulata ai sensi del comma 5, la soccombenza di una delle parti, in accoglimento delle ragioni già espresse in sede di reclamo o mediazione, comporta, per la parte soccombente, la condanna al pagamento delle relative spese di giudizio. Tale condanna può rilevare ai fini dell'eventuale responsabilità amministrativa del funzionario che ha immotivatamente rigettato il reclamo o non accolto la proposta di mediazione» (comma introdotto dall'art. 4, comma 1, lett. e, Legge n. 130/2022).

Dunque, nel silenzio del legislatore, la Suprema corte conclude nel senso che la proposta di mediazione conserva efficacia solo nella fase amministrativa in cui è avanzata; una volta non accolta, il ricorso giudiziale segue il suo corso. Pertanto, il contribuente, salva l'ipotesi in cui abbia limitato la propria doglianza nel ricorso/reclamo negli stessi sensi di cui alla sua proposta di mediazione, ben può proporre appello avverso la sentenza di primo grado che abbia accolto il ricorso negli stessi termini della proposta dal medesimo avanzata (e non accolta evidentemente dall'ufficio) per far valere i motivi proposti con il ricorso stesso, il cui accoglimento può determinare la caducazione dell'atto impugnato.

Osservazioni

La sentenza in commento riguarda un istituto preprocessuale – di scarso successo nella prassi, al punto che è stato abrogato dal legislatore del 2023 nell'ambito della riforma del sistema fiscale – introdotto all'epoca con il precipuo scopo di limitare l'accesso alla fase giurisdizionale per quelle pretese tributarie di importo contenuto che finiscono con l'ingolfare le Commissioni (oggi Corti di giustizia).

Nonostante l'avallo dato dalla Corte costituzionale all'istituto (Corte cost. n. 98/2014 e n. 38/2017) – giustificato in ragione di esigenze di ordine generale quali quelle di un meno dispendioso soddisfacimento delle situazioni sostanziali oggetto di giudizio e di una riduzione delle controversie attivabili dinanzi agli organi di giustizia tributaria – la dottrina ha segnalato criticità derivanti dalla configurazione di un reclamo/mediazione senza la presenza di un soggetto terzo, essendo previsto che fosse gestito da una struttura della stessa Amministrazione finanziaria (sia pure diversa da quella che ha emesso l'atto).

Tant'è che i numeri delle istanze concluse con un accordo erano bassissimi (nel 2021, solo il 6,7 per cento).

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