Quanto incide sull’obbligo di mantenimento del figlio il contesto territoriale in cui vive e le opportunità lavorative che esso offre?

06 Giugno 2025

Quanto incide sull’obbligo di mantenimento del figlio il contesto territoriale in cui vive e le opportunità lavorative che esso offre?

Il caso specifico riguarda una giovane donna di 20 anni, residente nel Sud Italia, la cui madre impugna la decisione di cessazione del mantenimento da parte del padre.

La Suprema Corte, rovesciando la decisione di primo e secondo grado, riconosce l'obbligo del padre di continuare a versare l'assegno a benefico della ragazza, considerata la reale difficoltà di inserimento lavorativo nel contesto territoriale di appartenenza.

Alla data della pronuncia di primo grado, infatti, la giovane ha soli diciannove anni e per tale ragione non è possibile esigere che la stessa sia già economicamente indipendente, anche in considerazione delle altissime percentuali di disoccupazione, soprattutto femminile, caratterizzanti il suo territorio di residenza.

Peraltro, nel caso specifico, il padre della ragazza non si era opposto al riconoscimento di un importo a titolo di mantenimento della figlia, con la conseguenza che non solo la domanda non era contestata ma era, addirittura, condivisa.

In generale, in punto di mantenimento del figlio, la Corte di Cassazione evidenzia che gli artt. 315-bis c.c. (diritti dei figli), 316 c.c. (responsabilità genitoriale) e 316-bis c.c. (concorso al mantenimento) non distinguono tra figli minorenni e maggiorenni. Nessuna distinzione, evidenzia la Corte, è ravvisabile neppure nell'art. 30 della Costituzione, il quale afferma che è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio.

La S.C. sottolinea peraltro che, con la riforma in tema di filiazione avvenuta con la legge 219/2012, è stato sostituito il concetto di potestà genitoriale con quello di responsabilità con un conseguente cambio di interpretazione del rapporto tra genitori e figli anche in punto mantenimento.

Al compimento della maggiore età cessano i poteri di rappresentanza del genitore verso il figlio, ma permane la cura che il genitore deve prestare al figlio ben oltre il compimento dei diciotto anni e fino al raggiungimento dell'indipendenza economica.

In tale contesto, si inserisce poi l'art. 337-septies c.c. il quale, secondo la Cassazione, non costituisce la fonte dell'obbligo dei genitori, ma semplicemente, in caso di separazione della coppia, specifica con quali modalità sia da attuare il dovere di mantenimento nei confronti dei figli maggiorenni, vale a dire mediante il pagamento di un assegno periodico da versarsi direttamente al figlio secondo le disposizioni del giudice.

Tuttavia, la Corte di Cassazione ribadisce che, contrapposto al diritto del figlio di essere mantenuto, vi è il suo dovere di emancipazione nel rispetto del principio di autoresponsabilità, per evitare un abuso dell'anzidetto diritto.

Sulla scorta di ciò, la Corte di Cassazione, in molteplici pronunce, ha affermato che il ruolo di supporto dei genitori, pur diversamente modulandosi al conseguimento della maggiore età, termina solo nel momento in cui il figlio si inserisce (o avrebbe dovuto farlo secondo i paramenti di una diligente condotta) in modo indipendente ed autonomo nella società e comunque non può protrarsi oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, al di là dei quali si risolverebbe in forme di parassitismo, in spregio al dovere di solidarietà di cui è richiesto l'adempimento a tutti i consociati (art. 2 Cost.), a maggior ragione all'interno della formazione sociale famiglia.

Chiarito quanto sopra, nel caso in questione, la Corte di Cassazione critica l'operato della Corte di Appello di Catania che non ha correttamente valutato le circostanze concrete alla luce dei principi che regolano la materia, non tenendo nella dovuta considerazione che il giudizio era iniziato quando la figlia era ancora minorenne e pure che il padre stesso, in un primo momento, aveva chiesto che le venisse riconosciuto un assegno a titolo di mantenimento.

Inoltre, la Corte catanese si era limitata ad affermare che la figlia era “ormai autonoma”, senza individuare il momento in cui lo era divenuta, e che aveva abbandonato gli studi, senza valutarne la capacità lavorativa in funzione alla sua formazione professionale e, soprattutto, alle concrete possibilità offerte dal mercato del lavoro del luogo di residenza.

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